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domenica 12 luglio 2015

Perché mezzo Parlamento deve tremare: Cav condannato, la soffiata di Belpietro

Compravendita senatori, Maurizio Belpietro: "Pur di condannare Silvio Berlusconi i pm riscrivono la storia"


di Maurizio Belpietro
@Belpietro Twitter


La sentenza con cui il Tribunale di Napoli ha condannato Silvio Berlusconi a 3 anni di carcere per aver corrotto il senatore Sergio De Gregorio e provocato la caduta del governo Prodi, prima che un errore giudiziario, rappresenta un falso storico. Il governo dell’Ulivo infatti non cadde per il voto contrario di Sergio De Gregorio: l’esecutivo alla mortadella finì affettato dalle inchieste giudiziarie che colpirono il partito famigliare di Clemente Mastella, oltre che per il voltafaccia di alcuni alleati di estrema sinistra e dei liberaldemocratici di Lamberto Dini. A Prodi non mancò il voto di De Gregorio, che non avrebbe fatto la differenza, ne mancarono sei e infatti cadde con 156 sì contro 161 no.

Non c’è bisogno di fare particolari indagini per scoprirlo: basterebbe sfogliare i principali quotidiani del 24 gennaio di sette anni fa. Nella cronaca del Corriere della Sera, De Gregorio non è neppure citato fra coloro i quali votarono no a Prodi, perché il suo voto contrario era scontato da almeno un paio d’anni, cioè dal giorno dopo la sua elezione. De Gregorio dal 1994 era infatti contiguo al centrodestra, tanto da essere stato sin dalla fondazione di Forza Italia nell’entourage di Antonio Martusciello, ex Pubblitalia che con la discesa in campo del Cavaliere passò direttamente da Fininvest alla Camera. Nel 2005, dopo un periodo trascorso come assistente parlamentare a Bruxelles, De Gregorio fu sul punto di essere candidato alle regionali in Campania proprio per Forza Italia e solo per un soffio non ce la fece.

L’esclusione fu ricompensata con il ripescaggio, senza successo, nella lista di Gianfranco Rotondi, per il quale divenne in seguito vicepresidente nazionale della Democrazia cristiana per le autonomie. Il vero mistero è dunque come sia stato possibile che un tipo del genere, con quasi vent’anni di carriera nelle retrovie del centrodestra (fu anche promotore di una sfortunata edizione napoletana del quotidiano della famiglia Berlusconi tra il 1997 e il 1998), sia finito per essere eletto nelle liste dell’Italia dei Valori. Ciò che si dovrebbe chiarire non è dunque perché il 6 giugno del 2006 De Gregorio sia passato di fatto nelle file del centrodestra, ma perché nell’aprile del 2006, cioè pochi mesi prima, l’ex pm di Mani pulite avesse accettato di farlo eleggere nelle liste del suo movimento. Perché un tizio cresciuto fra socialisti e berlusconiani all’improvviso venne arruolato nelle truppe dell’Italia dei Valori?

Del resto che il voltafaccia due mesi dopo l’elezione a senatore fosse evidente lo dimostra ancora la raccolta dei principali quotidiani. Il 7 giugno, dopo che De Gregorio si era fatto eleggere presidente della Commissione difesa con i voti del centrodestra e all’insaputa della parte politica che lo aveva portato in Parlamento, la Repubblica riferì la reazione di Di Pietro al blitz che aveva affossato la candidata dell’Unione. «Così facendo, De Gregorio si colloca fuori dalla linea politica del nostro partito e dell’Unione». Dunque, vediamo di ricapitolare. Fino alla primavera del 2005 De Gregorio è nel centrodestra, poi nella primavera del 2006 finisce nel centrosinistra, ma già all’inizio di giugno del 2006 sta di nuovo con il centrodestra. Perciò, dove sta il problema? Di centrodestra era e di centrodestra è rimasto, a prescindere dai finanziamenti al partito personale che aveva fondato. Semmai non si capisce perché l’Idv lo abbia candidato, ma questo è un altro discorso.

Non è finita. Torniamo alle cronache del gennaio 2008, quando Prodi viene sfiduciato. Il Corriere fa i nomi di una serie di senatori assenti al momento del voto, tra i quali Andreotti, Pallaro e Pininfarina. Gli articoli riferiscono il voto contrario di Clemente Mastella e di Tommaso Barbato, due esponenti dell’Udeur, oltre che di Domenico Fisichella, già An poi passato alla Margherita, di Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. Dunque per il Corriere a Prodi mancarono i voti di 8 senatori: Mastella, Barbato, Fisichella, Dini, Scalera, Andreotti, Pallaro e Pininfarina.

Il quotidiano di via Solferino si dimenticò di De Gregorio? O forse non lo conteggiò proprio perché da almeno due anni era considerato fuori dalla maggioranza? La risposta giusta è la seconda. Tanto è vero che la vittima del complottone, ossia Romano Prodi, nel discorso che fece a Palazzo Madama prima di essere mandato a casa non se la prese con Berlusconi e De Gregorio, ma si rivolse a quelle forze politiche della maggioranza che con il loro atteggiamento «avevano minato l’azione dell’esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili». Con chi ce l’aveva? Con Di Pietro, con Bertinotti e con Mastella, ossia con i galli che litigavano nel suo pollaio. Concetti che peraltro l’ex presidente del Consiglio ebbe modo di ribadire anche in seguito. Dunque, rileggendo la storia, si capisce che quella ricostruita in tribunale è una fiction, non la realtà dei fatti per come si svolsero. Ultima considerazione. Nel corso degli anni molti parlamentari hanno cambiato casacca e molti hanno beneficiato di nomine o di alti incarichi. Se fosse vera la tesi usata per condannare Berlusconi, ovvero che un onorevole che abbia ottenuto soldi o altri vantaggi sia da ritenere corrotto, mezzo Parlamento dovrebbe finire in galera. A cominciare da quegli onorevoli che, pur essendo stati eletti nelle file del centrodestra, sostennero il primo governo comunista della storia italiana, divenendo magari ministri o sottosegretari di Massimo D’Alema. Per loro non ci fu alcuna indagine sulle dazioni ambientali. Anzi, le denunce presentate da alcuni esponenti di centrodestra che avevano ricevuto e rifiutato la proposta indecente di sostenere l’ex segretario Ds furono archiviate in tutta fretta. Perché in Tribunale si emettono sentenze, mica si scrive la storia.

Capuozzo svela la vergogna italiana "Chi ha sacrificato i nostri due marò"

Marò, Toni Capuozzo: "Fregati dalla nostra Marina. Quante carriere sulla loro pelle"


Intervista a cura di Chiara Giannini 



«Sembra passato molto più tempo da allora. Era inverno, è venuta l’estate, poi un altro inverno, un’altra estate, un terzo inverno, un’estate, un inverno, e questa è la quarta estate. Era quasi un giorno qualunque, quel mercoledì 15 febbraio 2012, il giorno dopo San Valentino»: racconta così Toni Capuozzo, uno dei giornalisti italiani che più si è occupato del caso “marò”, il trascorrere quasi cadenzato delle stagioni che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria e internazionale più intricata di tutti i tempi. Lo racconta in un libro dal titolo “Il segreto dei marò” (Mursia, 16 euro), in uscita martedì 7 luglio in tutte le librerie italiane. È la storia di Massimiliano Latorre, che il giornalista conobbe in Afghanistan (era il suo capo scorta) tanti anni fa e Salvatore Girone, ma soprattutto la storia dell’assurdo intrigo che ha visto coinvolti leader internazionali, vertici delle forze armate, politici. Un segreto che si sintetizza in poche parole: i marò sono stati vittime di uno Stato che non ha avuto la volontà di risolvere subito la questione. E Toni, nel suo libro, non ci va leggero, facendo chiarezza sulla questione e raccontando connivenze e grandi carriere fulminee che, guarda caso, hanno interessato tutti coloro che si sono occupati, non portando nessun tipo di risultato, della vicenda dei due fucilieri di Marina.

Perché hai deciso di scrivere questa storia?

«Devo dire la verità, ho deciso di farlo con la speranza che fosse utile alla causa dei marò. Da subito si è capito che l’opinione pubblica non fosse abbastanza informata. C’è molta ignoranza sul caso, devo dire, forse, che spesso non è neanche voluta, ma occorreva far chiarezza. In un Paese in cui si sa tutto di Salvatore Parolisi, del caso di Cogne, di Meredith, mancava qualcuno che raccontasse la verità sull’odissea che stanno passando questi due militari. C’era un vuoto, insomma, e io ho cercato di colmarlo affinché molte cose non cadessero nell’oblio».

Nel tuo libro racconti per filo e per segno questa storia. Qual è uno dei punti che la caratterizza di più?

«Certamente abbiamo detto più volte che i due marò hanno avuto un comportamento molto più che dignitoso, ma singolare, visto che dall’altra parte abbiamo avuto una classe politica che li ha totalmente abbandonati».

Insomma, ci sono stati intrighi, incompetenze. Contro chi si deve puntare il dito?

«Ricordiamoci come hanno operato 5 ministri degli Esteri e un ministro della Difesa, nello specifico l’ammiraglio Di Paola che, una volta che li aveva rispediti in India, si è guardato bene dal dare le dimissioni o dall’avviare l’arbitrato. L’Italia, secondo quanto scritto nella Costituzione, non invia nel Paese di appartenenza neanche gli stranieri accusati se in quella nazione vige la pena di morte. In India c’è e Di Paola ci ha spedito due militari italiani. L’ex ministro Giulio Terzi si è rifatto un po’ la verginità facendo del caso una bandiera, ma a mio avviso lo ha fatto in modo piuttosto ingenuo. E poi ci sono gli alti gradi della Marina Militare. Hanno fatto tutti carriera. Dallo stesso Di Paola che è andato a fare il consulente di Finmeccanica in America, a Binelli Mantelli che diventò Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ma c’è anche Staffan De Mistura, che ha successo a livello europeo e si occupa, se non sbaglio, di Siria».

Adesso si parla di arbitrato. Tu che ne pensi?

«Che resta l’accusa infamante: quella di aver sparato a degli innocenti, uccidendoli. Devo dire che l’arbitrato è stato un’impennata di orgoglio del governo italiano, visto che sappiamo che ogni tipo di trattativa portata avanti è fallita. Dobbiamo certo vedere come si muoverà l’India, che è una nazione finora rimasta ferma e immobile come un giocatore di poker al tavolo. Il primo ministro Modi, a sua volta, è sempre stato pilatesco, dicendo che della cosa si deve occupare la magistratura. Peraltro abbiamo un rinvio della data della prossima udienza della Corte Suprema al 14 luglio, giorno precedente all’ipotetico rientro in India di Massimiliano Latorre. Insomma, vorrei capire dove stiamo andando».

E adesso secondo te che succederà?

«Devo dire che siamo in un vicolo cieco e c’è peraltro la vicenda che assume sempre più l’aspetto della fragilità. Girone, per adesso, resta lì. Ed è da chiarire che questo è la cartina di tornasole per capire se dietro all’arbitrato c’è un accordo sottobosco, anche se la cosa certa è che occorreranno almeno tre mesi perché sia formata la giuria internazionale. Forse si tratterà di un arbitrato a senso unico, con l’India ancora ferma e l’Italia che chiede di far rientrare Girone. E, forse, Salvatore per Natale oppure l’anno prossimo potrà essere insieme a Massimiliano in qualche capitale europea di fronte agli arbitri. Ma sono tutte supposizioni. Non resta che rimanere fermi a vedere cosa accadrà. Intanto, per capirci qualcosa in più, leggete il mio libro».

sabato 11 luglio 2015

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene 


di Angela Bechis 


Problema furti - Caivano, una piazza difficile, sensibilissima, soprattutto alle rapine e al problema furti che, principalmente nel periodo estivo coinvolge numerose famiglie. Uno dei dilemmi più praticati insieme all'emergenza rifiuti. A mettere nero su bianco, questa volta, è stato il Movimento 5 Stelle locale che, dopo l'ennesima denuncia da parte di cittadini perbene, ha deciso di intervenire e interpellare il Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle), visto che a differenza dei partiti, il Movimento 5 Stelle, conta, per interventi prioritari, contatti diretti con Senatori ed Onorevoli. Difatti, dopo il coinvolgimento del Vicepresidente della Camera, Di Maio, il Movimento 5 Stelle locale, ha subito ricevuto buone, Di Maio ha aperto un'interrogazione parlamentare. Insomma, il Movimento 5 Stelle è presente e, dopo l'ottimo risultato ottenuto alle scorse amministrative, sta continuando a dare risultati e risposte ai tanti cittadini onesti, che sono la maggioranza, presenti sul territorio. 

"Berlusconi, ma la cocaina...?" Travaglio, ultimo fango sul Cav

L'ultimo fango di Travaglio su Berlusconi: lui, le cene eleganti, la cocaina...




Minorenni, escort, bunga bunga, corruzione, prostituzione. Negli anni, Silvio Berlusconi è stato accusato di tutto, nei processi in tribunale e in quelli mediatici. Ma al Fatto Quotidiano non basta. In un articolo di oggi, il giornale diretto da Marco Travaglio pone una nuova (infamante) interrogativo: nella residenza di palazzo Grazioli, a Certosa e ad Arcore, durante le "cene eleganti", qualcuno portava e usava cocaina, o no?

Secondo il Fatto, "gran parte delle persone che hanno frequentato in questi anni Berlusconi, Tarantini incluso, ha avuto avuto un forte legame con la cocaina. Tarantini - che nel processo è imputato di aver indotto decine di ragazze a prostituirsi - è già stato condannato in primo grado per cessione di stupefacenti". Embè? In passato, nel 2008, "Gianpi si muove in grande stile: spende 5 mila euro per farsi trasportare delle mozzarelle con un volo privato, da Bari alla Costa Smeralda. Ma soprattutto, per l' accusa, porta in Sardegna mezzo chilo di cocaina". Ce n'è anche per Iris Berardi: la polizia giudiziaria le ha sequestrato sei grammi di cocaina e i diari personali, in cui racconta che "nella mia pur breve vita non mi sono fatta mancare nulla, ho avuto tutti i vizi del mondo: droga, alcol, sigarette, sesso e anche orge ad Arcore... ". Questo basta, per i segugi di Travaglio, per accostare Berlusconi alla droga. Mah. Un'altra signora vista ad Arcore è Maristhell Polanco, nel cui appartamento la Guardia di Finanza, nel 2010, trova 2,7 chili di coca mentre altri 10 li sequestrano in un altro box affittato dal fidanzato Carlos: in totale quasi 13 kg. Tutto ciò non è avvenuto a casa di Berlusconi, ma per il Fatto Quotidiano non importa: per gettare fango sul Cav va bene tutto. Anche ricordare che  Federica Gagliardi, nel marzo scorso, le Fiamme Gialle sequestrano ben 24 chili di coca mentre sbarca dall'aeroporto di ritorno dal Venezuela. E che Sabina Began, imputata a Bari con Tarantini nel processo in corso oggi, più di dieci anni fa, ovvero nel 2003, era "molto amica di un importante trafficante di droga kosovaro, che si chiama Bashkim Neziri". Tutto fa brodo, anche se l'amico di un amico di un amico di Berlusconi usava cocaina dieci anni fa. I soliti maestri del fango.

"Capitano, che fa coi proiettili in cabina?" La hostess lo scopre, è panico sull'aereo

Houston, Comandante della United Airlines getta i proiettili nel wc ma l'hostess fa la spia




A tutti capita di avere la testa tra le nuvole ogni tanto. Un comandante della compagnia aerea United Airlines da Houston a Monaco di Baviera la mente l'ha proprio lasciata in alta quota. Il pilota mentre era in crociera si è leggermente dimenticato di avere nel suo bagaglio dieci pallottole. Ovviamente accortosi del pericoloso carico e non avendo il porto d'armi, ha deciso bene di sbarazzarsene nel modo più logico possibile: gettandoli nel cestino della cabina di pilotaggio. Come se niente fosse, l'uomo pensava di cavarsela senza conseguenze. Eppure per sua sfortuna una hostess, che cercava l'anello perduto di una passeggera, si è imbattuta nelle pallottole rovistando proprio nel cestino. Spaventata e terrorizzata dal terribile tesoro scoperto, la donna è corsa ad avvertire il comandante. Nella testa della poverina saranno passate mille possibili scenari, dal terrorista pentito al serial killer. Tutti sbagliati.

Recidivo - Il pilota allora allarmato e scoperto ha dovuto escogitare un modo ancora migliore per togliersi di torno queste scomode munizioni. Alla fine ha deciso di gettare tutti e 10 i pallini nel water della toilette, intasandola. La hostess però si è accorta di tutto e ha scelto di avvisare le autorità di terra dell'accaduto. Dopo l’atterraggio e lo sbarco degli innocenti passeggeri il velivolo è stato portato in un’area isolata e i pompieri dell’aeroporto hanno iniziato a svuotare i serbatoi dei gabinetti in cerca dei proiettili. L’aereo, quindi, non è stato disponibile per il volo di ritorno per oltre quattro ore, fino al ritrovamento di tutti i proiettili. Secondo la compagnia aerea i piloti sono autorizzati a portare una pistola durante i voli domestici, ma nonostante l'uomo del volo non avesse con sé la sua arma, non rischierà il processo penale.

Documento segreto, governo demolito Quella (oscena) decisione sui marò

Marò, il documento che fa vergognare l'Italia: Paola Severino li voleva tenere in Italia, il governo si oppose per interessi economici




Un documento che dimostra tutta la vergogna italiana. Si parla del caso dei nostri marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. I due dovevano essere rispediti in India nel marzo 2013, dopo il permesso per trascorrere Natale in Italia: sulla possibilità si era a lungo discusso e dibattuto, ma poi il governo calò le braghe e li rispedì in India. Oggi, però, è sbucato un documento ufficiale del ministero della Giustizia, ai tempi guidato da Paola Severino. Un documento di cui dà conto Dagospia e che rivela che la giurista riteneva anticostituzionale rimandare i marò a Delhi. La Severino, insomma, si oppose con fierezza all'ipotesi di rispedire Girone e Latorre in India.

La ricostruzione - Nel documento, Severino spiegava che "i rilevamenti satellitari provano che la nostra nave era in acque internazionali. Tutto quello che viene detto è basato su idee, ma la prova sullo svolgimento dei fatti, versione differente tra le due parti, ancora non c'è stata. La posizione dei due militari italiani è molto delicata". Severino argomentava, e spiegava di non avere dubbi: gli indiani, per lei, non avevano alcun diritto di tenersi i marò, tantomeno di processarli. Noi non dovevamo rimandarli in India. Eppure furono rispediti, eppure Latorre e Girone tornarono ostaggi. Perché? Semplice: per non rovinare i rapporti commerciali con l'India. Meglio sacrificare la libertà dei nostri marò piuttosto che qualche euro. Una scelta contro la quale si oppose non solo la Severino, ma anche l'allora ministro degli Esteri Giulio Terzi, che all'epoca si dimise per dissociarsi dalla decisione del governo.

HANNO INTERCETTATO RENZI "Silvio con me, faccio fuori Letta"

Matteo Renzi intercettato: "Enrico Letta è un incapace e Silvio Berlusconi è d'accordo con me"




E' la mattina dell'11 gennaio 2014. Matteo Renzi è già segretario del Pd, ma a Palazzo Chigi (ancora per un mese) c'è Enrico Letta. Siamo a pochi giorni dal "#enricostaisereno" che sarebbe stato il preludio al cambio della guardia al governo. Renzi risponde al telefono al comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi. Renzi parla, scrive Il Fatto quotidiano, sul suo cellulare personale. E viene intercettato, perchè il comandante delle Fiamme Gialle è indagato per una sospetta fuga di notizie, caso che poi sarebbe stato archiviato.

Dopo i convenevoli di rito (Signor generale!", "Come stai, amico mio?"), i due passano al sodo. Cioè, parlano di politica. E già la cosa dovrebbe fare specie, visto che ai due lati della linea ci sono il segretario del maggior partito politico italiano e un alto esponente delle forze armate. Roba da Paese sudamericano. "Allora, rimpastino?" chiede il comandante. "Sì sì, rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino" (e vedremo che razza di rimpastone sarà di lì a qualche settimana). (...). Il comandante: "Significa arrivare al 2015...". E Renzi: "Sai a questo punto c'è prima l'Italia (come no, ndr), non c'è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all'aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico (che è il premier Enrico Letta, ndr).". E il comandante è d'accordo "E' niente (Letta, ndr), Matteo, non c'è niente, dai, siamo onesti".

Renzi rincara: "Lui non è capace. Non è cattivo. Non è proprio capace e quindi... Però l'alternativa sarebbe governarlo da fuori...". Adinolfi: "Secondo me ha il taglio del presidente della Repubblica". Renzi: "Lui sarebbe perfetto, glielo ho anche detto ieri. L'unico problema è che bisognerebbe aspettare agosto del 2016 (perchè Letta abbia 50 anni e diventi così eleggibile al Quirinale, ndr) e quell'altro (che sarebbe l'allor
a Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ndr) non ci arriva, capito? Me l'ha già detto".

Però, sulla via di un rimpastino o di un rimpastone, quell'11 gennaio 2014 Matteo Renzi sa già di avere un possibile e inusuale alleato, cinque giorni prima che il Patto del Nazareno venga annunciato e sette giorni prima che i due si vedano per la prima volta nella sede del Pd. E' Silvio Berlusconi. Ad Adinolfi, Renzi racconta infatti che "il numero uno ce l'ha a morte con Berlusconi per cui... e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso". Letta aveva le ore contate.

"Sarà una guerra, come nei Balcani" Allarme Nato, psicosi in casa nostra

Grecia, i pericoli per la Nato con una Grexit: dalla crisi nei Balcani alla sicurezza nel Mediterraneo




Il pericolo più temuto dagli analisti internazionali su una possibile Grexit, cioè un'uscita della Grecia dall'euro e dall'Unione europea, non è tanto il terremoto economico che minerebbe la timida ripresa delle economie continentali, quanto quello geopolitico. Su quel che deciderà di fare Atene ci sono gli occhi puntati di Stati Uniti e Russia, come un revival da Guerra fredda che si gioca stavolta sugli equilibri precarissimi della polveriera mediterranea. Riporta il Messaggero che non è tanto il risicato Pil greco a interessare le potenze internazionali - parliamo del 2% dell'Ue - quel che fa gola per il controllo degli equilibri regionali è la sua posizione geopolitica delicata tra Balcani e Turchia.

Tra due fuochi - Solo in apparenza l'atteggiamento di Barack Obama è stato distaccato nei confronti della crisi greca. Sopratutto negli ultimi giorni, gli Stati uniti sono intervenuti sempre più spesso per dire la propria e invitare l'Ue a ritrovare un accordo con Alexis Tsipras. Dall'altra parte ci sono pezzi importanti di Syriza a sentirsi più vicini a Vladimir Putin. Non è solo una sintonia tra comunisti ed ex sovietici che lega Mosca e Atene. Di mezzo c'è anche la tradizione della Chiesa cristiano-ortodossa che proprio sui magmatici scenari dei Balcani ha da sempre giocato un ruolo importante e potrebbe farlo anche nell'immediato futuro.

Balcani - Una questione quasi del tutto assente dalle pagine dei giornali italiani riguarda l'irrisolto nome che in campo internazionale deve essere riconosciuto alla Macedonia. Formalmente il Paese di Skopje si chiama Fyrom, proprio per non urtare la suscettibilità dei greci che ritengono l'unica Macedonia la propria. E poi c'è quel progetto della Grande Albania mai accantonato dall'etnia prevalente della regione che sogna un'unica realtà dal Kosovo a Skopje. Una Grecia fuori dall'Ue potrebbe riaprire situazioni turbolente, finora tenute a bollire a fuoco lento.

Cipro - Non meno importante è la situazione sull'isola di Cipro. Una crisi già aggravata dal mancato appoggio di Atene all'accordo tra le due Cipro, in contrapposizione ai ciprioti filoturchi. Nella Nato poi il clima si è fatto più teso da quando il presidente turco Erdogan ha abbracciato posizioni più islamiste. La Grecia funzionava da contrappeso nella regione, ma ora secondo Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell'Istituto affari internazionali, con una Grecia fuori dall'Ue: "vi sarebbe un oggettivo indebolimento della Nato nel Mediterraneo orientale, in un momento di confronto politico piuttosto dura con la Russia sulla questione ucraina".

Gli effetti - La Grecia difficilmente deciderà di uscire dalla Nato, ma di sicuro secondo gli esperti potrebbe rinegoziare la sua posizione nell'Alleanza atlantica. E non mancherebbero argomenti per minacciare gli alleati. A cominciare dal controllo sui traffici marittimi di immigrati clandestini e merci, che i greci potrebbero decidere di svolgere in modo più superficiale, con immediato riflesso negativo sul controllo dei flussi migratori e sulla sicurezza dell'intero Mediterraneo.

Cade il governo Renzi, esecutivo di emergenza Chi sale a Palazzo Chigi

Matteo Renzi rischia di perdere Palazzo Chigi: verso un governo di emergenza e Pietro Grasso premier




Una voce circola con sempre maggiore insistenza tra le stanze del potere, a Roma: governo tecnico. Prima sembrava una boutade. Oggi, invece, una concreta possibilità: Matteo Renzi va in archivio prima, molto prima del previsto? Possibile. Così come è possibile che in Italia arrivi un "governo di emergenza": i numeri al Senato sono ballerini, le difficoltà del premier sempre maggiori (a anche gli scandali, così come dimostrano le intercettazioni pubblicate oggi da Il Fatto Quotidiano).

Tempistiche - Come da troppo tempo accade, però, all'Italia verrebbero "vietate" le urne: niente elezioni, almeno non subito, con la complicità di una riforma elettorale ad oggi inesistente e dei dubbi sull'effettiva abolizione del Senato. Gioca poi un ruolo l'interesse dei parlamentari: arrivare al 2018, al termine della legislatura, e non perdere dunque un centesimo di euro. Lo scenario più probabile, dunque, è una sorta di compromesso. Un "governicchio" di transizione, magari non in grado di arrivare al 2018, ma in grado di completare le riforme necessarie per il ritorno alle urne. Non è dunque un caso che Diego Della Valle, proprio in questi giorni, abbia sparato su Renzi: Mr Tod's sa che le urne, forse, non sono poi così lontane (e il suo obiettivo è proprio quello di rubare spazio ed elettori a Renzi).

Il "candidato" - A complicare il quadro, il recente - e durissimo - dissidio tra Palazzo Chigi e Pietro Grasso, presidente del Senato. Uno scontro che si è consumato sul ddl scuola: il presidente del Senatori Pd ha scritto a Grasso rimproverandogli la conduzione dei lavori troppo "permissiva". Il punto è che, nei fatti, anche il presidente di Palazzo Madama rema contro l'esecutivo. Inoltre, il dubbio avanzato da Il Giornale è che possa far parte proprio del possibile e nascituro governo di emergenza. Magari andando ad occupare proprio la poltrona più pesante, quella di premier, per la quale - stando alle voci - ci sarebbe in lizza anche l'immarcescibile Giuliano Amato. Per inciso, Grasso, non sarebbe sgradito né a Silvio Berlusconi né alla minoraza del Pd, che più di tutti vorrebbe "liberare" Palazzo Chigi da Renzi.

venerdì 10 luglio 2015

Successo per la replica di Mons. Spinillo su Facebook Guarda il Video

Successo per la replica di Mons. Spinillo su Facebook


di Don Carlo Villano
a cura di Gaetano Daniele 



Ieri sera, giovedì 9 luglio, i fedeli 2.0 hanno sfidato caldo e afa per incontrare il vescovo di Aversa sul web. Il caldo africano che ha investito il nostro paese nella prima decade di luglio non ha scoraggiato i tanti fedeli che ieri sera, giovedì 9 luglio 2015, si sono collegati sulla Pagina Facebook Ufficiale della diocesi di Aversa per mettersi di nuovo in dialogo con Mons. Angelo Spinillo.

Dopo l’ottimo esordio di fine maggio, infatti, il Vescovo aveva subito espresso il desiderio di trasformare  l’incontro virtuale con gli internauti in un appuntamento da replicare periodicamente.
Il popolo del web ha risposto con altrettanto entusiasmo e interesse all’invito rivoltogli da Mons. Spinillo: oltre un centinaio tra post e commenti lasciati sulla bacheca di “Chiesa di Aversa”; una trentina le persone che hanno preferito contattare il vescovo scrivendogli un messaggio in privato; oltre mille i “Mi piace” a foto, riflessioni e risposte; quasi 23000 le visualizzazioni. 

Le statistiche delle oltre due ore di “diretta” (dalle 21:00 alle 23:00 inoltrate) offrono un’interessante chiave di lettura generale, ma è ben più profonda la riflessione che emerge dall’analisi di dubbi, domande e considerazioni rivolte al pastore normanno, post e messaggi che hanno toccato diversi argomenti e problematiche.

A fine serata, nel saluto conclusivo affidato ad un video, Mons. Angelo Spinillo ha ringraziato “tutti coloro che hanno voluto partecipare a questo momento di dialogo su Facebook e a tutti gli amici che hanno collaborato a renderlo possibile. Tutto quanto è stato espresso stasera è un segno di grande ricchezza e di umanità. Nel salutarvi faccio mio uno dei  messaggi arrivati questa sera che ci invita a ricordare le tante vittime delle persecuzioni che, nel mondo, negano la verità di ciò che è la fede: partecipare alla vita condividendo il bene, dono di Dio per tutti”.


LAVORO, LUNEDI' A PALAZZO GIURECONSULTI CONFRONTO BIPARTISAN SU JOBS ACT CON ROSATI E APREA

LAVORO, LUNEDI' A PALAZZO GIURECONSULTI CONFRONTO BIPARTISAN SU JOBS ACT CON ROSATI E APREA


di Gaetano Daniele




Al via a Milano, lunedì 13 luglio a Palazzo Giureconsulti, il primo confronto bipartisan sul Jobs Act in Lombardia, regione chiave per testare gli effetti del provvedimento sul lavoro, anche dal punto di vista politico. L’occasione è il convegno "Il Jobs Act tra politiche attive e Agenzia nazionale", promosso da Jobbing Centre e Fondazione Anna Kuliscioff, dalle 14 alle 18 in Piazza Mercanti. Un tavolo a cui presenzieranno la politica, le parti sociali e i tecnici del settore lavoro, del sindacato e dell’impresa. Per la politica c’è attesa per il confronto tra Onorio Rosati, consigliere regionale PD, già Segretario generale della Camera del lavoro di Milano, e Valentina Aprea, assessore regionale all'Istruzione, Formazione e Lavoro. “Il PD lombardo - dichiara Rosati -  valuta positivamente la nascita dell’Agenzia Nazionale per le politiche attive del Lavoro (Anpal), che garantirà standard minimi comuni per tutte le Regioni sui servizi per l’accesso all’impiego e la ricollocazione, così come svolgerà funzione di rating rispetto alla qualità e all'efficacia delle politiche attive e dei soggetti pubblici e privati. Non si tratta di centralismo, ma di garanzie omogenee per tutti i territori: il diritto al lavoro è sancito dalla Costituzione, non può dipendere dalla Regione in cui si risiede". "Non deve però esserci un livellamento al ribasso”, aggiunge Rosati. “Le esperienze migliori di cui la Lombardia fa parte vanno salvaguardate. Sì dunque ad un ombrello nazionale, ma sì anche alla salvaguardia di spazi di autonomia per le diverse eccellenze regionali”. Teme invece un ritorno allo statalismo Valentina Aprea: “Il decreto attuativo del Jobs Act sulle politiche attive propone un modello neo-statalista, in cui domina lo Stato centrale e viene meno ogni forma di flessibilità territoriale. In Lombardia ha vinto la collaborazione pubblico-privato: si rischia di tornare indietro. La Lombardia chiede modernità: chiede che i centri pubblici per l'impiego e gli operatori pubblici e privati che hanno garantito al sistema lombardo di raggiungere l'efficienza siano parte di un sistema misto dove i diversi attori giocano alla pari, senza nostalgie per un centralismo che ha già fallito nel passato”. Un confronto aperto, che lunedì sarà arricchito dalle proposte dei tecnici e del mondo del lavoro. 

La verità sul ritiro di Santoro: Perché è andato via da La7

La verità sul ritiro di Santoro: ecco perché è andato via da La7


di Franco Bechis
@francobechis


Sta forse in due cifre la verità sul ritiro di Michele Santoro dalla tv. E sono quelle contenute all’ultima riga del bilancio 2014 della società Zerostudio’s srl, quella che produceva per La7 prima il Servizio pubblico condotto da Michele Santoro e poi Anno Uno, la trasmissione di Giulia Innocenzi. Quelle due cifre raccontano l’utile incassato nel 2013 (1.452.549 euro) e quello restato in cassa alla fine del 2014, secondo anno pieno dell’esperienza tv con La7 (116.858 euro). I guadagni di Santoro & c si sono praticamente decimati nell’ultimo anno. E la voglia di continuare deve essere venuta meno: alla fine si rischiava pure di rimetterci dei soldi.

Guadagni risicati - Che è accaduto? Qualche cosa lo racconta un’altra riga di quel bilancio: quella dei ricavi delle vendite e delle prestazioni. Nonostante nell’anno solare 2014 Zerostudio’s (società controllata al 66,8% da Santoro insieme alla moglie Sanja Podgajski e al 30% dall’Editoriale Il Fatto spa), avesse realizzato una puntata in più dell’anno precedente, da La7 sono arrivati 9 milioni e 20 mila euro contro i 12 milioni e 340 mila euro dell’anno prima. Sono stati tagliati costi di produzione, ma non è bastato, e alla fine il guadagno è stato davvero risicato. Talmente risicato che nessuno ha pensato nemmeno di dividerselo.

Vedute diverse - Il presidente della società, Cinzia Monteverde, che per altro è anche presidente dell’Editoriale il Fatto (che nel 2014 ha chiuso con un utile assai simile a quello di Santoro), ha cercato di non drammatizzare: «È comunque un risultato molto positivo anche alla luce dell’andamento generale dell’economia, e soprattutto alla luce della crisi del mercato di riferimento e dunque di quello televisivo». Secondo il presidente della società di Santoro infatti «Il settore televisivo, esattamente come l’anno passato, sta attraversando un momento di particolare difficoltà dovuta al cambiamento epocale che i nuovi modelli d’informazione stanno imponendo agli operatori del settore. I programmi televisivi tradizionali, dunque rischiano di essere non adeguati a sostenere questo cambiamento, come testimonia la diminuzione generale degli share». Servizio Pubblico naturalmente viene ritenuto da chi lo fa un caso a parte, e infatti si segnala che è stata La7 a perdere ascolti, ma «La nostra società costituisce certamente un eccezione in questo scenario, avendo registrato con la trasmissione Servizio Pubblico e AnnoUno, risultati superiori alla media dell’emittente. Basti pensare che la media di share nel 2014 ottenuta da Servizio Pubblico si attesta al 7,26% e quella di AnnoUno al 5,59%, mentre la rete (emittente La 7) si attesta al 3,26%».

Nuove assunzioni - Per altro nel 2014 l’organico della società è pure salito: 38 dipendenti rispetto ai 35 dell’anno precedente. Questo a fronte di una diminuzione dei corrispettivi previsti dal contratto: «Va tenuto in considerazione che con il su detto contratto si è registrata una diminuzione dei ricavi rispetto al 2013, pur incrementando il volume di produzione di una puntata nel 2014. Inoltre si è reso necessario rinforzare la struttura risorse umane, e non solo, per realizzare simultaneamente oltre al talk show Servizio Pubblico anche il programma ulteriore Announo».

Pure la finanza - Zerostudio’s aveva a fine 2014 liquidità in cassa per un milione e 795 mila euro. Dopo i primi tre mesi 2015 si era però ridotta a un milione e 130 mila euro. Ed è probabilmente riflettendo su queste cifre che Santoro ha deciso al momento di chiudere l’esperienza con La7 alla scadenza naturale del contratto, il 30 giugno scorso. Ma la società di produzione resta in piedi, e qualcosa altro farà di sicuro. Qualche fastidio può avere dato al popolare conduttore televisivo anche una visita inattesa della guardia di Finanza (primo gruppo di Roma) il primo dicembre scorso, per «verificare i corretti adempimenti e versamenti ai fini Ires, Irap e Iva». Come sono arrivate però le fiamme gialle se ne sono subito andate via: «Alla conclusione delle operazioni di verifica», rivela la nota integrativa al bilancio, «è stato redatto e sottoscritto il processo verbale di constatazione che nelle conclusioni riporta: «»Il controllo effettuato non ha evidenziato irregolarità».

LA PATRIMONIALE SULLE PENSIONI La riforma: ti prosciugano l'assegno

Pensioni, Tito Boeri: "Contributo di solidarietà su quelle più alte"




Da tempo si parla della proposta di riforma delle pensioni. Ora, è arrivata. E spaventa. Tito Boeri, neo-presidente dell'Inps, l'ha presentata nelle sue linee essenziali. Si parte dal primo, amaro, punto: un contributo di solidarietà "a chi ha i redditi pensionistici più elevati in virtù di trattamenti molto più vantaggiosi di quelli di cui godranno i pensionati di domani". Insomma, la riforma si riduce a un taglio degli assegni. Di cifre, Boeri, non ne ha fatte. Insomma ancora non è chiaro chi verrà ulteriormente punito: resta solo la certezza che mister Inps vuole ridurre parte degli assegni. Dunque il secondo caposaldo della riforma, quella che Boeri definisce "flessibilità sostenibile". Nel lungo periodo il sistema contributivo contiene all'interno tutti i meccanismi per permettere ai lavoratori di lasciare in anticipo rispetto all'età di maturazione dei requisiti di vecchiaia. In buona sostanza basterà spalmare il montante dei contributi versati su un numero di anni maggiore. Il corollario è che quanto prima si lascerà il lavoro tanto più bassi saranno gli assedi. In media, anticipando di 4 o 5 anni, stando a quanto emerso dalle simulazioni, la riduzione sarebbe pari a un 15-30% sull'assegno. Secondo Boeri si tratta dell'unica via per non aumentare il debito pensionistico e scaricare il costo sulle future generazioni.

SONDAGGIO-BOMBA: 40 PER CENTO Grillo e Salvini in paradiso. E il Pd...

Sondaggio Datamedia, crescono M5s e Lega Nord: insieme sfiorerebbero il 40 per cento




Il vento greco continua a spingere Beppe Grillo e Matteo Salvini, leader dei due principali movimenti euro-scettici in Italia. E' quanto emerge dall'ultimo sondaggio Datamedia per Il Tempo. Piccoli movimenti in avanti, ma costanti, simili a quelli rilevati nelle ultime settimane. La parola alle cifre. Se si votasse oggi, la Lega Nord prenderebbe il 15,4%, in ascesa di 0,1 punti percentuali. Avanza anche il M5s, accreditato del 22,6%, in ascesa dello 0,2 per cento. Lega e M5s, in un'ipotetica unione, sfiorerebbero dunque il 40%, staccando il Pd di Matteo Renzi, in calo dello 0,3% e oggi accreditato del 33,9 per cento. Un'emorragia di voti, per il premier, che nella battaglia greca si è supinamente schierato al fianco della Merkel. Quindi Forza Italia, che perde un altro 0,1% e scende al 12,2 per cento. Stabile Fratelli d'Italia-An, accreditato del 4,1%; Sel cresce dello 0,1% al 3,9%; Area Popolare Ncd-Udc, in calo dello 0,1%, si assesta al 2,6 per cento. Infine il consueto dato sulla fiducia nel premier, che cala di settimana in settimana: ora è al 35%, di poco sopra alla percentuale di cui viene accreditato il suo partito alle urne.

Addio libretto di circolazione per l'auto La riforma: documento unico e sconti

Auto, via alla riforma del Pra: arriva il certificato unico per ogni automobile




La riforma della Pubblica Amministrazione prosegue la sua strada in Parlamento e già oggi potrebbe lasciare il Senato con le ultime votazioni per tornare alla Camera in ultimo passaggio. Tra gli ultimi emendamenti approvati, ci sono grosse novità per il settore automobilistico. Viene riformato il Pubbblico registro automobilistico, fino ad oggi gestito dall'Aci. Secondo la nuova norma, il Pra si trasferirà sotto il controllo del ministero delle Infrastrutture che dovrebbe trasformarlo in un'Agenzia. Con la riforma arriverà anche il documento unico per gli automobilisti. Un certificato unico per ogni automobile che così accorperà il libretto di circolazione e l'attestato di proprietà. Con l'unificazione dei documenti è prevista una riduzione dei costi per la produzione dei certificati, con un risparmio anche per chi dovrà affrontare un passaggio di proprietà.

Firme false, giudici salvano Chiamparino Ma il Pd trema: i nomi di chi rischia

Torino, il Tar salva Sergio Chiamparino sulle firme false: ma otto consiglieri Pd rischiano




I giudici del Tar Piemonte hanno dichiarato inammissibili i ricorsi elettorali per le presunte firme false raccolte a sostegno della candidatura di Sergio Chiamparino alla presidenza della Regione Piemonte nel 2014. Il Tar ha accolto solo il ricorso contro la lista provinciale del Pd di Torino "Chiamparino presidente". Ai ricorrenti è stato concesso ai ricorrenti i termini per proporre querela di falso in sede civile. Respinti invece i ricorsi sulle altre tre liste presentati dalla ex consigliera leghista, Patrizia Borgarello.

A rischio - Sono otto i consiglieri regionali del Partito Democratico che rischierebbero, nel caso si arrivasse a un annullamento della proclamazione degli eletti nella lista provinciale torinese. I tempi però non sono brevi, visto il vincolo alla querela concesso dai giudici. Il giudizio amministrativo sarà quindi sospeso in attesa dell’esito di quello civile che dovrà accertare l’eventuale irregolarità delle firme a sostegno della lista. Solo dopo si potrebbe arrivare a un annullamento della proclamazione degli eletti nella lista provinciale. In bilico ci sono un assessore della giunta Chiamparino, Gianna Pentenero, il segretario regionale del partito nonchè capogruppo in Consiglio regionale, Davide Gariglio, il presidente del consiglio regionale, Mauro Laus, e altri sei consiglieri: Andrea Appiano, Nino Boeti, Raffaele Gallo, Elvio Rostagno e Daniele Valle.

Tragedia a Roma: muore bimbo di 4 anni L'incidente in Metro, giallo sui soccorsi

Roma, muore un bambino di 4 anni nella metropolitana




Un bambino di 4 anni è morto nella stazione della metropolitana Furio Camillo a Roma. Dalle prime informazioni sembra che il piccolo sia precipitato per cause imprecisate nella  tromba dell’ascensore. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che l’hanno estratto e insieme con il 118 hanno tentato di rianimarlo. Dalle prime informazioni sembra che il bimbo fosse con la madre quando è precipitato nella tromba dell’ascensore. La donna è stata soccorsa dal 118 ed è in stato di choc. Secondo le prime ricostruzioni, il bambino era rimasto bloccato in ascensore con la mamma ed è precipitato durante le operazioni di trasbordo. Sulla vicenda sono in corso indagini dei carabinieri e la Procura ha aperto un'inchiesta. Dalle prime informazioni sembra che personale della stazione li abbia raggiunti attraverso un elevatore parallelo che ha una porta comunicante, ma tra i due ascensori ci sarebbe uno spazio al centro.  L'assessore alla mobilità di Roma, Guido Impronta, dichiara: «Con un gesto di generosità i soccorritori hanno messo in atto una procedura non codificata. Secondo quanto ricostruito dall’assessore capitolino dopo che un ascensore era rimasto bloccato con le persone a bordo, i soccorritori si sono affiancati con un altro ascensore dove hanno tentato di trasbordare tutte le persone. Nel corso di questa procedura il bambino sarebbe precipitato nell’intercapedine finendo nel vuoto. Il bambino è dunque precipitato da una ventina di metri finendo nel pozzo della tromba dell’ascensore.  I vigili del fuoco hanno dovuto recuperare il corpo del bambino nel pozzetto dell’ascensore che si trova al piano delle banchine, mentre l’ascensore era rimasto bloccato all’altezza del piano tornelli. Tutta la struttura dei due ascensori è stata posta sotto sequestro, mentre i carabinieri dei rilievi scientifici del nucleo operativo di via Inselci hanno compiuto un sopralluogo. Sequestrato anche il passeggino del piccolo.

Le reazioni - Sotto choc la madre del bambino che era con lui durante l'accaduto. Il padre è arrivato poco dopo. Con loro un gruppo di psicologi. «Si tratta di un evento sconcertante che ci addolora profondamente e sul quale va fatta al più presto piena
luce", dichiara il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

Piano segreto: torna la lira Ecco come lasceremo l'euro

Addio euro, il piano del M5S: come tornare alla lira, punto per punto




E se tornassimo alla lira? Dopo il fragoroso no con cui la Grecia ha risposto al referendum - che le chiedeva se avesse intenzione di accettare o meno la proposta di Commissione europea, Fmi e Bce -, per gli ellenici si prospetta più vivida che mai la possibilità di un ritorno alla moneta nazionale, la dracma. Ma anche in Italia sono in molti a sognare il ritorno alla cara vecchia lira: una nostalgia dettata dall'esasperazione per una situazione economica sempre più in crisi. E poi, è risaputo, l'Italia ha un debito pubblico talmente elevato che nel possibile sgretolarsi dell'Unione europea e di tutti i suoi buoni propositi, potrebbe essere con la Spagna tra i primi a seguire a ruota la rovina della Grecia. Quindi perchè non giocare d'anticipo e tornare alla lira quando si ha ancora qualche cartuccia in canna?

Proposta grillina - Messi da parte catastrofismi di sorta, il ritorno alla moneta nazionale porterebbe a una situazione economica meno drammatica di quanto si potrebbe immaginare. La ricetta di uscita dall'euro - oltre che da un sempre barricadero Matteo Salvini, che la mette in cima alle priorità della sua Lega Nord - è fornita dal Movimento 5 stelle, che tramite una delle sue menti economiche, Laura Castelli, mette in luce punto per punto, nero su bianco, gli scenari e le conseguenze di un'uscita dalla moneta unica.

I preliminari - Secondo il documento redatto dalla Castelli, tutti i Paesi dell'Unione dovrebbero tornare alla propria moneta nazionale, e la Banca centrale europea potrebbe vigilare sulle fluttuazioni dei tassi di cambio fra le varie valute, per non incorrere in pericolose svalutazioni. La prima tappa per poterlo fare però sarebbe un referendum, per consentire alla sovranità popolare di decidere del proprio destino. Un referendum stile Grecia insomma, in cui però la domanda sia: volete uscire dall'euro? Con un bel "sì" in pole position sulla scheda. Anche perché il sistema di un paese alla lunga risulta viziato se lo stesso non ha la possibilità di decidere della propria moneta, sostengono grillini, leghisti e molti altri con loro.

Le conseguenze - Quali sarebbero gli effetti immediati di un'uscita dall'euro? Si teme senza dubbio un'inflazione mostruosa, con una lira che varrebbe pochissimo e un euro prevaricante. Ma questa paura, secondo la Castelli, sarebbe infondata. Anzi: un po' di inflazione potrebbe rivelarsi una boccata di ossigeno per l'Italia che soffre di deflazione cronica, una condizione per cui i prezzi diminuiscono per una debolezza complessiva della domanda di beni e servizi: le aziende non riescono a piazzare le merci a certi prezzi, e per sopravvivere li abbassano, infilandosi in una spirale negativa. Infondato, secondo la pentastellata, anche il timore di un aumento del peso dei mutui: rimarrebbero stabili perché sarebbero convertiti in lire il giorno stesso dell'uscita dall'euro. Un altro effetto temuto è l'aumento dello spread e quindi degli interessi sul debito. Sbagliato, perché la Banca d'Italia applicherebbe un calmiere sui tassi di interesse, e nel caso il debito aumentasse troppo, la Banca stessa potrebbe decidere di acquistarlo.

Senza euro...  - La terza grande incognita riguarda l'attività del secondario: se un'azienda guadagna in lire ma paga eventuali importazioni in euro (importazioni necessarie alla produzione della merce commercializzata), andrebbe in perdita. Sbagliato anche questo, perché quando il cambio va a corrispondere le esigenze di un Paese allineandovisi, l'economia riparte. La svalutazione della moneta nazionale costituirebbe infatti un vantaggio per le aziende estere, che potrebbero investire nel paese a un prezzo inferiore che in altre nazioni. Questo farebbe ripartire l'economia con il turbo. Tutto avrebbe come prova della sua effettiva validità il fatto che Paesi facenti parte dell'Unione europea ma che hanno conservato la moneta nazionale come ad esempio la Danimarca o il Regno Unito hanno un'economia più florida e hanno retto meglio alla crisi finanziaria mondiale. Sarebbe un tuffo nel vuoto se fatto subito. Oppure l'Italia potrebbe stare a guardare come va a finire in Grecia, e decidere di conseguenza. Ma allora potrebbe essere troppo tardi.

giovedì 9 luglio 2015

Clausole, scadenze, codici, consegne: comprare online senza avere fregature

Acquisti e saldi online, occhio alle fregature: la guida per comprare sicuro




Forse per mancanza di tempo da dedicare ai giri nei negozi, forse per comodità o forse per una web-addiction, la verità è che sempre più italiani fanno i loro acquisti online. E ovviamente sempre più italiani cercano di acquistare i beni di cui hanno bisogno con gli sconti. Lo testimonia una rilevazione di Facile.it che afferma che in appena due anni la ricerca di codici di sconto sulla rete sono aumentati del 60% in Italia. Il sito comparatore corre in aiuto dei suoi clienti e stila dunque una lista di preziosi consigli per non cadere in trappole e per portare a termine l'acquisto nella maniera più favorevole per il consumatore.

Attenzione - Bisogna prestare attenzione a ogni tipo e proposta di sconto: oltre a quella del sito sul quale si intende acquistare la merce a cui si è interessati, è possibile trovare altri codici sconto attraverso siti partner. Bisogna naturalmente fare attenzione alle condizioni di utilizzo del codice sconto: dalla data di scadenza all'applicazione effettiva dello sconto indicato. Sempre utile poi il confronto della merce di diverse piattaforme: esattamente come accade nei negozi, è possibile trovare un prezzo più basso in un luogo (virtuale) piuttosto che in un altro. Se poi si fanno acquisti su siti di e-commerce esteri è bene ricordarsi i periodi in cui vengono applicati i saldi, probabilmente diversi rispetto a quelli italiani. Un paio di esempi su tutti che in Italia non abbiamo: il Black friday e il Cyber monday americani.

Le scritte in piccolo - Come per ogni acquisto bisogna poi fare estrema attenzione alle clausole, le tanto temute scritte in piccolo che se non lette accuratamente possono riservare amare sorprese. Studiate bene le condizioni di reso, se ci sono e come funzionano, perché dopo l'acquisto con i saldi tante volte non si torna indietro. Attenzione anche ai costi di spedizione, che talvolta riservano costose e imprevedibili rivelazioni. E modellate la consegna in base alle vostre specifiche esigenze: talvolta è meglio spendere qualche euro in più ma avere il proprio acquisto consegnato proprio davanti alla porta di casa, piuttosto che ai piedi del condominio sul marciapiede. Ultimo fatto da ricordare: il pagamento con carta di credito è quello più sicuro, perchè ha una perfetta tracciabilità. Guardarsi dunque da altre modalità di pagamento, che talvolta presentano anche dei sovrapprezzi.

Basta segreti su Facebook: l'app sugli ex Ecco come scoprire chi toglie l'amicizia

Scopri chi ti ha tolto l'amicizia: la nuova app di Facebook




Ogni giorno ne inventano uno. Questa app permetterà a chiunque di poter andare tranquillamente in depressione dopo aver scoperto chi e quante persone lo hanno cancellato dalla propria cerchia di amici di Facebook. Arriva Who Deleted Me On Facebook, l’ultima app realizzata da uno sviluppatore inglese Anthony Kuske, che permetterà di scoprire, come dice il nome stesso, chi ci ha tolto l’amicizia dal social. Per utilizzarla basta accedere tramite il proprio account Facebook per vedere la nostra lista di amici divisa in sezioni: nuovi, che ti hanno cancellato, che hai cancellato, disattivati e attuali. E’ disponibile su Android e iOS gratuitamente e utilizzabile anche attraverso un’estenzione per il browser Chrome.

Attacco a Wall Street, aeroporti, giornali Bomba dalla Cina, è giallo blackout Usa

Usa, il sito di Wall Street si blocca dopo due ore dall'apertura




Il sito del Wall Street Journal alle 17.32 ora italiana (11.32 a New York) si è fermato per problemi tecnici. "Oops, 504! Something did not respond fast enough, that's all we know", questo è il messaggio che accoglie chi prova a cliccarci. Il Nyse, la società che gestisce le Borse di New York, è stato costretto a fermare gli scambio per tutti i titoli sospendendo il trading a due ore dall'apertura. In una nota il Nyse ha spiegato che il big board sta risolvendo la problematica, che spera di risolvere il prima possibile. Come riporta l'agenzia Bloomberg, un funzionario del Dipartimento della Sicurezza nazionale ha affermato che non si tratta di un attacco da parte degli hacker per fortuna, come si era pensato in un primo momento.

La causa - Il Wall Street Journal ha scritto che il blocco sarebbe invece causato da un’anomala ondata di vendite arrivata dalla Cina, che ha mandato in tilt i computer della Borsa. Proprio il sito del Wsj.com ha incontrato problemi tecnici simili: è stato a lungo inaccessibile, per poi riprendere in una versione 'light'. Gli altri circuiti americani per la contrattazione di titoli sono invece rimasti accessibili e operativi. Separatamente il Nasdaq in un comunicato ha spiegato che sta "operando normalmente" e che "è in grado di scambiare azioni di 'tipo A' (quelle di aziende quotate al Nyse). Anche Bats, la principale piattaforma alternativa, ha confermato di essere operativa sulle azioni quotate al Nyse.

Anche il Pd scarica il senatore di Alfano Via libera all'arresto di Antonio Azzolini

Senato, sì agli arresti domiciliari per Antonio Azzollini: via libera dalla giunta per le immunità




La giunta per le immunità del Senato ha votato a favore della richiesta degli arresti domiciliari per il senatore Antonio Azzollini del Nuovo centro destra. Sono stati 12 i voti per il sì (Pd, M5s, Lega Nord), 7 quelli per il no (Fi, NCd e Gal). Il senatore pugliese è accusato dalla procura di Trani di essere coinvolto nel crac della casa di cura Divina Provvidenza di Bisceglie. La decisione della giunta ora dovrà passare dal voto dell'aula a palazzo Madama.

ARRIVA IL DEFAULT FISCALE Tasse a rischio: il Fisco può saltare

Fisco, nessuna decisione del governo sui dirigenti illegittimi del Fisco: si rischia il default fiscale




Fra pochi giorni il Fisco italiano rischia la paralisi e migliaia di cartelle esattoriali rischiano di saltare, così come gli equilibri di bilancio dello Stato. L'approvazione a fine giugno da parte del governo di Matteo Renzi dei cinque decreti attuativi sulla riforma fiscale sembrava voler dare un segnale chiaro ai contribuenti italiani, oltre che agli investitori esteri. Il messaggio doveva essere che con l'Agenzia delle entrate ora chi paga le tasse può e deve avere un rapporto più forte e costante. Ci dovrebbe essere più trasparenza e certezza delle regole, fattori indispensabili per gli imprenditori che decidono per mille ragioni di investire con le proprie attività in Italia, che siano italiani o che vengano dall'estero. Requisito importante però da parte dell'Agenzia delle Entrate dovrebbe essere quello di essere legittimata a operare. Ma come ricorda il Sole 24 ore, il Fisco italiano viaggia in un mare in tempesta da diverse settimane e all'orizzonte i fulmini non promettono niente di buono.

Le sentenze - L'Agenzia delle entrate è sotto scacco da quando la Corte costituzionale (sentenza n.37/2015) ha determinato la decadenza dall'incarico dirigenziale di centinaia di funzionari ai quali per esperienze e competenze, ma senza un concorso, erano stati assegnati incarichi di direzione e coordinamento. Da aprile gli organigrammi sono stati stravolti, con buona pace degli imprenditori che si rivolgevano al Fisco e al massimo trovavano qualcuno che ancora resisteva attraverso le firme in delega. Inutile visto che anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha dichiarato nulli tutti gli atti firmati dai dirigenti revocati, con la minaccia di esposti alla Corte dei conti e alla Procura. In tanti quindi si sono tirati indietro, lasciando vacanti le poltrone.

L'inerzia - Dal governo non arrivano segnali concreti e in pochi giorni l'attività del Fisco italiano rischia di rimanere compromessa per un lungo periodo, con un danno per il Paese ancora difficile da quantificare e con il rischio concreto anche di perdere il gettito del voluntary disclosure, con buona pace della lotta all'evasione tanto decantata dal governo Renzi.

mercoledì 8 luglio 2015

Feltri gela l'Italia, profezia nerissima: "Questione di tempo poi...". Da panico

Grecia, Vittorio Feltri e il referendum: "Tsipras ha perso, Atene come i barboni. E per gli altri Paesi è questione di tempo..."





Smaltita la sbornia da festeggiamenti per la vittoria del no al referendum greco vissuta da tanti, anche in Italia, è arrivato l'inevitabile momento di tornare con i piedi per terra e ricordare che: "Nelle casse dei greci non c'è il becco di un quattrino". Il fondatore di Libero Vittorio Feltri sgombra l'aria dai fumi della festa di Atene, riconosce "ai greci un orgoglio notevole" che però "non potevano e non possono permettersi". Eppure, ricorda Feltri sul Giornale, le cose sembravano partite bene con la promessa dei greci di sistemare i conti: "In parte sembrava esserci riuscita a riderre le spese", almeno finché non è arrivato Alexis Tsipras: "col suo partito di sinistra (dissipatore per definizione" che ha riassunto migliaia di dipendenti pubblici e riaprendo la tv di Stato: "Addio austerità".

Beffa del voto - Il referendum ha dato l'esito sperato dal premier greco, ma quella che sembrerebbe una vittoria è stata invece una sonora batosta per i greci: "Ha peggiorato i rapporti tra Grecia e Berlino, di fatto azzerandoli e rendendone problematica una ripresa risolutiva". Feltri arriva anche a dare ragione al presidente del parlamento europeo Martin Schulz: "Ormai il popolo ellenico può confidare soltanto su interventi umanitari: è come un clochard che non ha niente e niente può pretendere dagli ex 'soci' dell'Unione".

Elemosina - Feltri si dice fondamentalmente scettico su un accordo all'ultimo momento che possa salvare la Grecia: "Il Paese è in ginocchio, le banche sono a secco, l'economia (non sostenuta da un'industria manifatturiera) boccheggia". Difficile che Angela Merkel si faccia: "impietosire dai mendicanti greci".

Bocciati - Con la vittoria del no, il popolo greco ha rifiutato senza dubbi "la politica di sacrifici imposta da Bruxelles". Un colpo duro anche "per l'Europa e l'euro - continua Feltri - bocciati senza riserve da un Paese membro dell'Unione. Se si aggiunge che nel continente germogliano e fioriscono movimenti politici, sempre più forti, contrari alla moneta unica e alla dittatura del Quarto Reich, è facile capire quanto la Ue sia in crisi e incapace di reagire allo scopo di modificarsi".

Contagio - Anzi più l'Ue reagisce e peggio è, soprattutto quando sottovaluta il voto greco che non è: "Un incidente della storia" ma invece "sintomo di un malessere generato da una conduzione politica insensata per non dire gravemente dannosa". La Grecia secondo Feltri è un po' vittima di se stessa: "Ma qualcuno le ha dato una mano a strangolarsi". E non è una situazione che riguarda solo i greci, anzi: "È la medesima fine che rischiano di fare altre nazioni, se non muta lo spartito dell'Unione. È solo una questione di tempo, non molto".

Colpo di Barbara, sì allo stadio del Milan Salasso per papà Silvio: quanto gli costa

La Fiera ha detto sì: il Milan avrà il suo stadio




Ciao ciao San Siro. Il Milan avrà il suo stadio, come alcuni dei più importanti club europei. La Fondazione Fiera Milano infatti, dopo sei mesi si analisi e valutazioni, ha rotto gli indugi e ha accettato la proposta della società rossonera, fortemente sostenuta da Barbara Berlusconi. L'impianto sorgerà a pochi metri dalla nuova sede del Milan al Portello.

Come riporta la Gazzetta dello Sport, Oltre a caricarsi in toto degli interventi di bonifica del sottosuolo (il club prevede una spesa dai 15 ai 20 milioni), il Milan ha notevolmente potenziato il cash da pagare a Fondazione Fiera Milano per l’affitto dei suoli proprio negli ultimi giorni. Dai 3,5 milioni all’anno per 50 anni, i rossoneri sono saliti fino a 3,95 milioni annui: 450mila euro in più per ogni stagione, 22,5 milioni in 50 anni che porta l’offerta totale a 217,5 milioni (bonifica compresa). L'avversario del Milan, il gruppo bergamasco Vitali con la sua proposta di realizzare una Milano Alta, si era fermato a una proposta da 3,7 milioni annui per un totale di 185 milioni.

Lo stadio del Milan  avrà una capienza di 48mila spettatori. Al suo interno ristoranti, un albergo e anche un liceo a indirizzo sportivo. Il tutto immerso nel verde e con un impatto visivo più simile a un palazzo che a uno stadio nel senso classico del termine. Data di consegna dei lavori è 2018-19. Mille i posti di lavoro creati e 500 persone assunte.

"Ho paura solo di Del Debbio" Renzi: "Vi spiego il perchè"

Renzi mette in guardia i suoi "Attenti a Del debbio"




Ha tenuto lezione ai suoi, Matteo Renzi. Perchè quelli del Pd (ma guarda?) non sanno comunicare (eccezion fatta per Maria Elena Boschi, che infatti è in pole position per una promozione tanto nel partito quanto nel governo). E, ovviamente, parlando di comunicazione, la lezione di "coach" Renzi è andata sui talk show, vere e proprie tribune politiche pressochè quotidiane. Il presidente del Consiglio non ha citato nè Santoro nè Floris, nè Giannini nè Paragone. Ma, come scrive il Corriere della Sera, si sarebbe soffermato in particolare su Paolo Del Debbio, che quest'anno ha ottenuto ottimi ascolti su Rete4. Ma c'è di più: "Anche una persona di grande cultura che usa un registro diverso dagli altri finisce per parlare alla pancia del Paese" ha detto di lui il premier. E dunque: Del Debbio come grillo o come Salvini, "pericolo" numero uno dal quale guardarsi con grande attenzione e circospezione quando si va in tv.

L'insulto del grande imprenditore "Greci poveri perchè non lavorano"

Caprotti: "Greci in crisi perchè lavorano poco"




Novant'anni tra qualche mese, lombardo, Bernardo Vaprotti è il fondatore storico dei supermercati Esselunga. Un'attività che fa cinquant'anni quest'anno. Ma lui, in realtà, figlio di una famiglia del tessile, lavora da quando era ragazzo. Uno, insomma, che sul lavoro ha l'autorità per dire la sua. E oggi l'ha detta sul caso Grecia, poche ore dopo la vittoria del "no" al referendum che ha spinto il Paese a un passo dal Grexit. "Penso che bisogna che si mettano a lavorare un po’. Vanno in pensione a 50 anni, come si fa?". Caprotti non crede a ripercussioni per l’Italia: "Noi qui abbiamo la Ferrari, abbiamo grandi aziende" dice intervistato da il corriere.it. La ricetta anticrisi però è semplice: "Anche in Italia abbiamo bisogno di lavorare di più. Non si può lavorare 1400 ore quando gli americani ne lavorano 1800".

Ecco quanto varrebbe la nuova dracma Per i greci una mazzata tremenda

La nuova dracma varrebbe tra il 25 e il 50% di un euro




Per passare ad una nuova Dracma occorre superare una serie di ostacoli. In primis, come scrrive il ssito leggo.it riportando il Financial Times, l'Organizzazione internazionale per la normazione dovrà dare alla nuova valuta greca un codice che possa essere identificato dai computer per elaborare pagamenti e operazioni su titoli e derivati.

Il codice di tre caratteri potrebbe essere GRN (Grecia nuovo) per distinguerlo dal precedente GRD (Grecia Dracma). In teoria la programmazione di un nuovo codice potrebbe essere realizzata in meno di 24 ore ma nella realtà per adeguare tutti gli strumenti utilizzati nelle operazioni valutarie occorre molto più tempo. Poi sarà necessario risolvere legalmente tutte le questioni legate a contratti finanziari sottoscritti in euro. E si tratterà di un lavoro lento, lungo e meticoloso.

Qualora la Grecia uscisse dall'eurozona, la nuova dracma greca finirebbe per essere scambiata tra i 25 e i 50 centesimi di euro. Ne è convinto, come riferisce Bloomberg, il miliardario Usa Wilbur Ross il quale in un'intervista alla CNBC ha detto che una «Grexit» costituirebbe davvero «un bel brutto haircut (taglio) per il popolo ellenico». «Tagliare il valore della moneta ridurrebbe automaticamente il valore delle pensioni e di tutto il resto», ha dichiarato Ross.

Niente oro, pieno di Btp: come investire in tempo di crisi

Grecia, dove investire in borsa durante la crisi di Atene: i consigli degli esperti




Dove investire i propri risparmi nel periodo della crisi più acuta in Grecia e con l'incertezza sull'esito delle trattative tra Atene e Bruxelles? Non esiste esperto di finanza disposto a dare una risposta definitiva, vista soprattutto l'unicità di una situazione finora mai verificatasi. Ma ci sono pochi e semplici consigli utli da poter seguire, considerando che nel corso delle prossime settimane, i mercati finanziari europei saranno caratterizzati da una forte volatilità, cioè da una variazione ampia e discontinua dei prezzi dei titoli e azioni quotati. Una situazione che sarà valida per il breve periodo, ma già nel medio gli esperti garantiscono che prevarrà la tendenza al rialzo. Per quanto la Grecia possa sprofondare in una crisi senza precedenti, sull'intero Pil dell'Ue pesa circa il 2% e gli ultimi dati indicano una ripresa più decisa da parte dell'economia europea. Il suggerimento di base è quello di diversificare i propri investimenti, non puntando solo ai mercati europei, ma valutando anche quelli di Stati uniti e Giappone.

Cibo ed energia - Se si è disposti a sopportare la volatilità iniziale dei titoli, Stefano March dell gestore finanziario Azimut suggerisce dalle pagine del Corriere della sera di guardare con attenzione a un'ampia gamma di investimenti. La diversificazione riduce i rischi di un'esposizione monosettoriale e permette di sondare il terreno nell'ambito alimentare, nelle utility e nei titoli petrolieri.

Società - Uno spazio da esplorare sono le obbligazioni societarie, come consigliano gli esperti del mercato londinese. Per quanto sottoposte a grande volatilità, ci sono obbligazioni nel mercato americano che garantiscono rendimenti alti a 6,5% annuo in un contesto di bassi default. Da evitare in questo caso il settore energetico, ancora instabile. Meglio quindi titoli nel settore media, telecomunicazioni e beni industriali. Lo stesso metodo può essere applicato in paesi emergenti, che però vivono in macroregioni stabili: tra questi ci sono India e Messico. Meglio evitare il Brasile, entrato in recessione, il Medio oriente, visto il calo del prezzo del petrolio e la Cina.

BOT - Per chi non ha voglia e interesse a rischiare in mercati meno conosciuti degli europei, tornano più convenienti di un tempo i titoli di stato. Il Quantitative easing della Bce di Mario Draghi portano stabilità a questo tipo di titoli e negli ultimi tre mesi sono tutti risaliti. Solo tre mesi fa il Btp a 10 anni era al 1,2%, oggi è al 2,4%. Sorte migliore per i Btp a 5 anni, quasi triplicati dallo 0,5 all'attuale all'1,35%. E sempre nel settore ci sono i titoli di stato di Paesi emergenti, che possono svalutare la propria moneta nei confronti dell'euro e offrire quindi extra rendimenti. Tra le scelte più consigliate ci sono Turchia, India, Sudafrica e Messico.

Beni rifugio - La crisi greca a sorpresa ha fatto calare il prezzo dell'oro, il bene rifugio per eccellenza. Volendo comunque investire in materie prime, gli esperti suggeriscono il rame, salito negli ultimi sette giorni del 2% e diretto verso un'ulteriore crescita nel prossimo trimestre.