Compravendita senatori, Maurizio Belpietro: "Pur di condannare Silvio Berlusconi i pm riscrivono la storia"
di Maurizio Belpietro
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La sentenza con cui il Tribunale di Napoli ha condannato Silvio Berlusconi a 3 anni di carcere per aver corrotto il senatore Sergio De Gregorio e provocato la caduta del governo Prodi, prima che un errore giudiziario, rappresenta un falso storico. Il governo dell’Ulivo infatti non cadde per il voto contrario di Sergio De Gregorio: l’esecutivo alla mortadella finì affettato dalle inchieste giudiziarie che colpirono il partito famigliare di Clemente Mastella, oltre che per il voltafaccia di alcuni alleati di estrema sinistra e dei liberaldemocratici di Lamberto Dini. A Prodi non mancò il voto di De Gregorio, che non avrebbe fatto la differenza, ne mancarono sei e infatti cadde con 156 sì contro 161 no.
Non c’è bisogno di fare particolari indagini per scoprirlo: basterebbe sfogliare i principali quotidiani del 24 gennaio di sette anni fa. Nella cronaca del Corriere della Sera, De Gregorio non è neppure citato fra coloro i quali votarono no a Prodi, perché il suo voto contrario era scontato da almeno un paio d’anni, cioè dal giorno dopo la sua elezione. De Gregorio dal 1994 era infatti contiguo al centrodestra, tanto da essere stato sin dalla fondazione di Forza Italia nell’entourage di Antonio Martusciello, ex Pubblitalia che con la discesa in campo del Cavaliere passò direttamente da Fininvest alla Camera. Nel 2005, dopo un periodo trascorso come assistente parlamentare a Bruxelles, De Gregorio fu sul punto di essere candidato alle regionali in Campania proprio per Forza Italia e solo per un soffio non ce la fece.
L’esclusione fu ricompensata con il ripescaggio, senza successo, nella lista di Gianfranco Rotondi, per il quale divenne in seguito vicepresidente nazionale della Democrazia cristiana per le autonomie. Il vero mistero è dunque come sia stato possibile che un tipo del genere, con quasi vent’anni di carriera nelle retrovie del centrodestra (fu anche promotore di una sfortunata edizione napoletana del quotidiano della famiglia Berlusconi tra il 1997 e il 1998), sia finito per essere eletto nelle liste dell’Italia dei Valori. Ciò che si dovrebbe chiarire non è dunque perché il 6 giugno del 2006 De Gregorio sia passato di fatto nelle file del centrodestra, ma perché nell’aprile del 2006, cioè pochi mesi prima, l’ex pm di Mani pulite avesse accettato di farlo eleggere nelle liste del suo movimento. Perché un tizio cresciuto fra socialisti e berlusconiani all’improvviso venne arruolato nelle truppe dell’Italia dei Valori?
Del resto che il voltafaccia due mesi dopo l’elezione a senatore fosse evidente lo dimostra ancora la raccolta dei principali quotidiani. Il 7 giugno, dopo che De Gregorio si era fatto eleggere presidente della Commissione difesa con i voti del centrodestra e all’insaputa della parte politica che lo aveva portato in Parlamento, la Repubblica riferì la reazione di Di Pietro al blitz che aveva affossato la candidata dell’Unione. «Così facendo, De Gregorio si colloca fuori dalla linea politica del nostro partito e dell’Unione». Dunque, vediamo di ricapitolare. Fino alla primavera del 2005 De Gregorio è nel centrodestra, poi nella primavera del 2006 finisce nel centrosinistra, ma già all’inizio di giugno del 2006 sta di nuovo con il centrodestra. Perciò, dove sta il problema? Di centrodestra era e di centrodestra è rimasto, a prescindere dai finanziamenti al partito personale che aveva fondato. Semmai non si capisce perché l’Idv lo abbia candidato, ma questo è un altro discorso.
Non è finita. Torniamo alle cronache del gennaio 2008, quando Prodi viene sfiduciato. Il Corriere fa i nomi di una serie di senatori assenti al momento del voto, tra i quali Andreotti, Pallaro e Pininfarina. Gli articoli riferiscono il voto contrario di Clemente Mastella e di Tommaso Barbato, due esponenti dell’Udeur, oltre che di Domenico Fisichella, già An poi passato alla Margherita, di Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. Dunque per il Corriere a Prodi mancarono i voti di 8 senatori: Mastella, Barbato, Fisichella, Dini, Scalera, Andreotti, Pallaro e Pininfarina.
Il quotidiano di via Solferino si dimenticò di De Gregorio? O forse non lo conteggiò proprio perché da almeno due anni era considerato fuori dalla maggioranza? La risposta giusta è la seconda. Tanto è vero che la vittima del complottone, ossia Romano Prodi, nel discorso che fece a Palazzo Madama prima di essere mandato a casa non se la prese con Berlusconi e De Gregorio, ma si rivolse a quelle forze politiche della maggioranza che con il loro atteggiamento «avevano minato l’azione dell’esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili». Con chi ce l’aveva? Con Di Pietro, con Bertinotti e con Mastella, ossia con i galli che litigavano nel suo pollaio. Concetti che peraltro l’ex presidente del Consiglio ebbe modo di ribadire anche in seguito. Dunque, rileggendo la storia, si capisce che quella ricostruita in tribunale è una fiction, non la realtà dei fatti per come si svolsero. Ultima considerazione. Nel corso degli anni molti parlamentari hanno cambiato casacca e molti hanno beneficiato di nomine o di alti incarichi. Se fosse vera la tesi usata per condannare Berlusconi, ovvero che un onorevole che abbia ottenuto soldi o altri vantaggi sia da ritenere corrotto, mezzo Parlamento dovrebbe finire in galera. A cominciare da quegli onorevoli che, pur essendo stati eletti nelle file del centrodestra, sostennero il primo governo comunista della storia italiana, divenendo magari ministri o sottosegretari di Massimo D’Alema. Per loro non ci fu alcuna indagine sulle dazioni ambientali. Anzi, le denunce presentate da alcuni esponenti di centrodestra che avevano ricevuto e rifiutato la proposta indecente di sostenere l’ex segretario Ds furono archiviate in tutta fretta. Perché in Tribunale si emettono sentenze, mica si scrive la storia.
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