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domenica 12 luglio 2015

Capuozzo svela la vergogna italiana "Chi ha sacrificato i nostri due marò"

Marò, Toni Capuozzo: "Fregati dalla nostra Marina. Quante carriere sulla loro pelle"


Intervista a cura di Chiara Giannini 



«Sembra passato molto più tempo da allora. Era inverno, è venuta l’estate, poi un altro inverno, un’altra estate, un terzo inverno, un’estate, un inverno, e questa è la quarta estate. Era quasi un giorno qualunque, quel mercoledì 15 febbraio 2012, il giorno dopo San Valentino»: racconta così Toni Capuozzo, uno dei giornalisti italiani che più si è occupato del caso “marò”, il trascorrere quasi cadenzato delle stagioni che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria e internazionale più intricata di tutti i tempi. Lo racconta in un libro dal titolo “Il segreto dei marò” (Mursia, 16 euro), in uscita martedì 7 luglio in tutte le librerie italiane. È la storia di Massimiliano Latorre, che il giornalista conobbe in Afghanistan (era il suo capo scorta) tanti anni fa e Salvatore Girone, ma soprattutto la storia dell’assurdo intrigo che ha visto coinvolti leader internazionali, vertici delle forze armate, politici. Un segreto che si sintetizza in poche parole: i marò sono stati vittime di uno Stato che non ha avuto la volontà di risolvere subito la questione. E Toni, nel suo libro, non ci va leggero, facendo chiarezza sulla questione e raccontando connivenze e grandi carriere fulminee che, guarda caso, hanno interessato tutti coloro che si sono occupati, non portando nessun tipo di risultato, della vicenda dei due fucilieri di Marina.

Perché hai deciso di scrivere questa storia?

«Devo dire la verità, ho deciso di farlo con la speranza che fosse utile alla causa dei marò. Da subito si è capito che l’opinione pubblica non fosse abbastanza informata. C’è molta ignoranza sul caso, devo dire, forse, che spesso non è neanche voluta, ma occorreva far chiarezza. In un Paese in cui si sa tutto di Salvatore Parolisi, del caso di Cogne, di Meredith, mancava qualcuno che raccontasse la verità sull’odissea che stanno passando questi due militari. C’era un vuoto, insomma, e io ho cercato di colmarlo affinché molte cose non cadessero nell’oblio».

Nel tuo libro racconti per filo e per segno questa storia. Qual è uno dei punti che la caratterizza di più?

«Certamente abbiamo detto più volte che i due marò hanno avuto un comportamento molto più che dignitoso, ma singolare, visto che dall’altra parte abbiamo avuto una classe politica che li ha totalmente abbandonati».

Insomma, ci sono stati intrighi, incompetenze. Contro chi si deve puntare il dito?

«Ricordiamoci come hanno operato 5 ministri degli Esteri e un ministro della Difesa, nello specifico l’ammiraglio Di Paola che, una volta che li aveva rispediti in India, si è guardato bene dal dare le dimissioni o dall’avviare l’arbitrato. L’Italia, secondo quanto scritto nella Costituzione, non invia nel Paese di appartenenza neanche gli stranieri accusati se in quella nazione vige la pena di morte. In India c’è e Di Paola ci ha spedito due militari italiani. L’ex ministro Giulio Terzi si è rifatto un po’ la verginità facendo del caso una bandiera, ma a mio avviso lo ha fatto in modo piuttosto ingenuo. E poi ci sono gli alti gradi della Marina Militare. Hanno fatto tutti carriera. Dallo stesso Di Paola che è andato a fare il consulente di Finmeccanica in America, a Binelli Mantelli che diventò Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ma c’è anche Staffan De Mistura, che ha successo a livello europeo e si occupa, se non sbaglio, di Siria».

Adesso si parla di arbitrato. Tu che ne pensi?

«Che resta l’accusa infamante: quella di aver sparato a degli innocenti, uccidendoli. Devo dire che l’arbitrato è stato un’impennata di orgoglio del governo italiano, visto che sappiamo che ogni tipo di trattativa portata avanti è fallita. Dobbiamo certo vedere come si muoverà l’India, che è una nazione finora rimasta ferma e immobile come un giocatore di poker al tavolo. Il primo ministro Modi, a sua volta, è sempre stato pilatesco, dicendo che della cosa si deve occupare la magistratura. Peraltro abbiamo un rinvio della data della prossima udienza della Corte Suprema al 14 luglio, giorno precedente all’ipotetico rientro in India di Massimiliano Latorre. Insomma, vorrei capire dove stiamo andando».

E adesso secondo te che succederà?

«Devo dire che siamo in un vicolo cieco e c’è peraltro la vicenda che assume sempre più l’aspetto della fragilità. Girone, per adesso, resta lì. Ed è da chiarire che questo è la cartina di tornasole per capire se dietro all’arbitrato c’è un accordo sottobosco, anche se la cosa certa è che occorreranno almeno tre mesi perché sia formata la giuria internazionale. Forse si tratterà di un arbitrato a senso unico, con l’India ancora ferma e l’Italia che chiede di far rientrare Girone. E, forse, Salvatore per Natale oppure l’anno prossimo potrà essere insieme a Massimiliano in qualche capitale europea di fronte agli arbitri. Ma sono tutte supposizioni. Non resta che rimanere fermi a vedere cosa accadrà. Intanto, per capirci qualcosa in più, leggete il mio libro».

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