Guido Crosetto: "Silvio deve passare il testimone, ma Salvini non è l'uomo giusto"
Intervista a cura di Giancarlo Perna
Dopo esserci accordati telefonicamente per l’intervista, Guido Crosetto mi richiama e dice: «Mi è venuto un dubbio: tu sai che mi sono dimesso da tutto e sono tornato a vita privata?». «Certo che lo so. Sta tranquillo», gli ho risposto ridendo e abbiamo confermato l’appuntamento. L’episodio descrive la scrupolosità di Guido che mai approfitterebbe di un equivoco per apparire su un giornale come avrebbe invece fatto un presenzialista ad ogni costo.
L’incontro è nel suo ufficio di presidente dell’Aiad, la Federazione delle aziende italiane produttrici di armamenti, collegata al dicastero della Difesa di cui Crosetto fu sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011). Sono nove mesi che Guido, dopo essersi dimesso dalla presidenza di Fratelli d’Italia, ha assunto la carica (gratuita) lasciando la politica. «Una liberazione» spiega. «Ho smesso di parlare di bene comune e urlare senza essere ascoltato. Vivo meglio». «Non sembra», ribatto guardandone l’aria sfatta. «Oggi sono giù» conferma. «Appena tornato dall’Egitto, dove ho incontrato gli Stati maggiori occupati con la guerra all’Isis, in casa ho trovato un’emergenza familiare. Ho la nostra bimba di sedici mesi con febbre a quaranta mentre la mia compagna sta aspettando il secondo figlio ed è prossima al parto. Sono bloccato mentre avrei un mucchio di impegni».
Il cinquantunenne «gigante di Marene» è davvero un omone. Quando ti guarda dall’alto dei suoi due metri sembra che cerchi uno spillo. Ha anche la mitezza di chi sa di poterti annichilire con uno spostamento d’aria. Di lui si ricorda un solo dispetto. Quello fatto da adolescente ai genitori, che erano liberali, dichiarandosi dc per mero spirito di ribellione. I Crosetto, schiatta piemontese della provincia di Cuneo, quella di Giolitti e Einaudi, erano liberali per convinzione e ruolo essendo titolari di una grande impresa costruttrice di macchine agricole. Azienda oggi in mano al Crosetto che ho di fronte. In veste dc, Guido è diventato a 27 anni sindaco di Marene (una sgambata da Cuneo) e per tre lustri ha tenuto l’incarico. Sparita la Dc e apparso il Berlusca, Crosetto è tornato nell’alveo familiare e ha aderito a Fi, diventandone deputato per tre legislature, dal 2001 al 2013. Poi, deluso dall’inconcludenza del Cav, ha fondato Fdi con Giorgia Meloni. «Sodalizio durato, sì e no, un annetto», osservo. «Non per lei, che è brava» risponde Guido. «È stata un’esigenza mia. Non ero più combattivo. In politica, non si può solo sopravvivere. Bisogna avere energia. Così, ho preso una pausa entrando nella sfera privata». «Ma eri in crisi da tempo, deluso dal Cav», gli ricordo. «Contestavo la sua politica economica, per me distruttiva. Il distacco vero è iniziato con la fine del suo governo e l’appoggio a Monti che si è prostrato all’Ue, peggiorando la situazione. A quel punto, ho lasciato il partito. L’ho fatto prima delle elezioni. Senza salire sulla barca, per poi lasciarla una volta eletto. Com’è in uso», dice con orgoglio ma stancamente. Un po’ è mogio, ipotizzo, perché non fuma. Un tempo, tirava cento Marlboro al giorno. Ora strapazza oggetti strizzandoli tra le dita.
«C’è ancora il centrodestra?», dico a bruciapelo. «Ci sono» risponde. «Tanti pezzi di un futuro contenitore. Prima o poi, dovrà pur nascere qualcosa di simile al Pd che raggruppi il centrodestra attorno a un leader. Ne va dell’alternanza. Se manca, non c’è democrazia». «Voti ancora da quelle parti?», domando. «Ormai, diffido dei partiti. Meglio votare le persone. Quelle serie», replica. «Tipo?», chiedo. «Persona seria è Giorgia Meloni. Nel Pd, considero seria Roberta Pinotti...», «Per forza» lo blocco «è ministro della Difesa, il primo cliente delle aziende armiere tue associate. Stai provando a fare il lobbista con me?». Ride e ribatte: «Non sembra ma di seri ce ne sono tanti in politica. Il leghista Giancarlo Giorgetti; il mio conterraneo Enrico Costa, viceministro della Giustizia. Ne vuoi altri?». Squilla però il suo cellulare. È la mamma dal Piemonte che vuole notizie della nipotina malata. Parlano anche dell’altro figlio di Crosetto, quello del primo letto, che ha diciotto anni e vive lassù nella casa di famiglia. Poi, riprendiamo.
Tra i seri in lista non ho sentito Silvio Berlusconi.
«Il suo tempo è finito. La differenza tra un leader e un grande leader è che il grande sa quando passare il testimone».
Lui invece?
«Per restare mangia i suoi figli, come Cronos. Finché arriveranno figli che mangeranno lui. Silvio è molto cambiato».
Cioè?
«La sua parte migliore era la straordinaria umanità. Ora è freddo e cinico. Cosa che non era mai stato».
È smarrito.
«Ha rinunciato all’impegno politico. Vuole solo tutelare le aziende frutto del suo lavoro. Ciò lo obbliga a essere filogovernativo. Il proprietario di Mediaset deve stare con chi governa come una volta i proprietari della Fiat. Con la differenza che Agnelli non aveva un suo partito».
La dice lunga sulla mentalità anti industriale del potere italiano.
«Giusto. Un grande imprenditore deve essere attento alla politica per difendere le sue aziende, cosa che in altri Paesi non serve. Con l’aggravante che in Italia, oltre che alla politica, si deve guardare alla magistratura poiché anche un singolo giudice può in ogni momento uccidere un’azienda».
Dai ragione alla sinistra che ripete da vent’anni: il Cav è in politica per i suoi interessi.
«È vero oggi, non vent’anni fa. Avere ragione vent’anni dopo, non significa affatto averla avuta allora. Anzi».
Meloni e il suo partito segnano il passo.
«Giorgia cresce, il partito è fermo. La credibile è lei».
L’astro di Matteo Salvini è vera luce?
«Mediaticamente, è sveglio come un furetto. Ma pensa solo ai voti. Non a farsi una squadra per realizzare un progetto. Crede di essere autosufficiente».
Vuole uscire dall’euro.
«L’euro è fatto per l’economia tedesca. Per noi è un problema. Uscirne è difficile, rimanere letale».
Se tu fossi premier?
«Lascerei l’euro. L’avrei fatto da tempo. Più si va avanti, più è complicato. Dal 2008 abbiamo perduto il 25 per cento della nostra ricchezza. L’Italia è il Paese che più ci ha rimesso con l’euro».
Il patto del Nazareno è stato buona cosa?
«Per Renzi presidente del Consiglio un vantaggio straordinario. Altrettanto per Berlusconi azionista di Mediaset».
Cosa ti piace in Renzi?
«La determinazione, l’energia, la pazzia, il gusto del rischio. Tutte caratteristiche fondamentali per un leader».
Cosa ti spiace?
«Gli manca una classe dirigente per il Paese. Come Salvini si reputa autosufficiente. Però ha più carisma di chiunque. Da cittadino, mi dispiacerebbe se lo sprecasse. Penso che l’interesse nazionale venga prima di quello di partito».
Il Cav, indispettito per Mattarella, rinnega quanto ha fatto per un anno con Renzi.
«Se fino a ieri hai appoggiato, come fai ora a criticare? Surreale».
Mattarella?
«Lo conosco bene. Un galantuomo».
Come ex dc hai un debole per lui?
«Ho un debole per le persone perbene».
Se il Cav rifacesse le promesse già fatte, gli crederesti votandolo?
«Mi trovi una moglie che dopo tre-quattro tradimenti crede ancora al marito o viceversa?».
Guerra all’Isis?
«Quando un’organizzazione ha per scopo di eliminarti perché hai una religione diversa o per obiettivo la tua capitale perché sede di una religione diversa, non hai molta scelta: devi difenderti».
Ti fidi di più di Obama o Putin?
«Obama in politica estera ha sbagliato tutto, vedi la Libia. Con Putin vorrei rapporti migliori. Lui non è un problema per noi. L’integralismo islamico, sì».
L’Italia è eternamente marginale.
«Non sappiamo presentarci come sistema Paese. All’estero la nostra delegazione è formata dall’ambasciatore, l’addetto militare, il rappresentante Ice e cinque aiutanti. La Francia, se il Paese è di suo interesse, ci installa duecento persone con i controfiocchi».
Come vedi il nostro futuro?
«Con preoccupazione. Anche se visitando Paesi con più prospettive di noi, mi sono reso conto che, per qualità, il nostro sistema industriale è tra i primi».
Se, scoraggiato, farai le valigie, per dove?
«La provincia di Cuneo. Non c’è niente di meglio».