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martedì 24 febbraio 2015

Pansa, la pagella a Renzi: bocciato l'uomo degli insulti e delle minacce

Giampaolo Pansa: "Da Matteo Renzi solo chiacchiere. E su chi non si inchina piovono insulti e minacce"


di Giampaolo Pansa 



«Perché non ti piace Matteo Renzi?» mi domanda un amico. Provo a spiegarglielo nel giorno del primo compleanno del suo governo. Per cominciare non mi piace la subdola cattiveria usata nel cacciare Enrico Letta da Palazzo Chigi e prendere il suo posto. In quel momento Renzi era il segretario del Partito democratico. Dunque il cortese Letta era il premier che il Fiorentino avrebbe dovuto sostenere e aiutare. Invece il gelido Matteo mise in scena un inganno vomitevole. Scrisse a Letta: «Enrico stai sereno». Poi arraffò il suo posto di capo del governo.

So di raccontare una congiura di palazzo che i lettori di Libero conoscono. Ma ho voluto farlo perché illustra bene il lato più sgradevole del premier: la voglia sfrenata di potere e l’asprezza nel mettere fuori gioco chiunque tenti di sbarrargli il passo. Non sono nato ieri e ho imparato che la politica, come diceva il socialista Rino Formica, «è sangue e merda». Ma nessuno mi obbliga ad accettare uno dei due sistemi. Renzi, invece, ci sguazza in quel pantano. L’unica speranza è che preferisca la cacca al sangue.

In questo primo anno dell’Era Renziana, ci siamo resi conto che bisogna guardarsi dalle virtù del Fiorentino. Ho conosciuto e descritto molti leader politici di sinistra, di destra e di centro. Nessuno era uno stinco di santo. Era meglio stargli alla larga, non essere compiacenti, non accettare né chiedere favori. Ma il Fiorentino li supera tutti, dimostrandosi la carogna più carognesca della repubblica post-1945.

Chi lo conosce bene è in grado di descriverlo senza incertezze. Renzi ha un pessimo carattere, è vendicativo, ringhioso, per niente conciliante, sempre con il pugnale in mano per ferirti, una chiacchiera da rifilarci, una minaccia da presentare, uno sgarbo per impaurirci. La minaccia è nascosta, ma non fallisce mai il bersaglio. Diventa odiosa quando si fonda su una concezione proprietaria del potere pubblico e privato. Qualche azienda ti offre un incarico delicato? Se il premier mostra il pollice verso, non la otterrai mai.

Il Fiorentino è anche abituato a dileggiare chi non s’inchina. Il primo esempio di questa tecnica l’abbiamo visto sotto forma di una domanda: «Fassina chi?». Poi sono venuti i gufi, i rosiconi, i menagramo, i lagnosi. «Quelli che non parlano male di me, ma dell’Italia», ci spiega lui. Al prossimo giro dirà: «Io, Matteo Renzi, sono l’Italia. Chi non mi ama è colpevole di alto tradimento». Stiano in guardia i sindacalisti non disposti a genuflettersi e i parlamentari dell’opposizione.

In questi giorni Matteo ha aggiunto all’elenco dei nemici i senatori e i deputati che cercano di ostacolare la sua marcia trionfale con l’ostruzionismo. Nel concionare senza contradditorio su una rete Rai, ci ha spiegato che questo cancro è estraneo alla storia dell’Occidente democratico. Ecco una topica da cattivo liceale. Infatti l’ostruzionismo parlamentare è nato negli Stati Uniti. Poi si è trasferito in Europa. E ha vissuto momenti epici. Nel 1876 i deputati irlandesi pronunciarono tremila e ottocento discorsi in 154 giorni. Il Fiorentino sarebbe uscito pazzo da questo colossale filibustering.

Gli eccessi verbali piacciono a Renzi solo quando convengono a lui. Resterà nella storia dell’ossequio senza limiti la confessione di essere «gasatissimo» da Sergio Marchionne. Ve la immaginate la Merkel che si dichiara supergasata dal capo della Mercedes? Il Bestiario no. Altre volte Matteo traveste con paroloni faccende assai più semplici. Il governo alza dal 20 al 26 per cento la tassazione dei conti correnti? I risparmi affidati alle banche diventano subito «operazioni finanziarie». 

L’eccesso parolaio nasconde di continuo una realtà ben più misera. Renzi ripete ogni volta che l’eccellenza di un leader politico si misura sulla capacità di scegliere collaboratori più bravi di lui. Non sembra che sia così, se osserviamo il gineceo delle ministre che lo attorniano. Una, la Maria Teresa Lanzetta, è già sparita nel buio. Rimangono sul palcoscenico signore per ora sotto i riflettori: Madia, Pinotti, Giannini, Guidi e soprattutto la favorita, Maria Elena Boschi. La Federica Mogherini, spedita da Renzi a guidare la politica estera europea, si è rivelata una principiante inesperta e condannata all’inesistenza.

Il Fiorentino si pone il problema di tante brave signore destinate all’oblio? No di certo. Il nuovo direttore del Foglio, Claudio Cerasa, ha osservato con intelligente arguzia: «Il concetto chiave del renzismo è accentrare per governare. Il risultato di questo processo lo si osserva ogni giorno nei rapporti tra il governo e la Presidenza del consiglio. La netta impressione è che tutti i ministri, tranne forse Maria Elena Boschi, siano diventati viceministri dei veri ministri, quelli con le casacche da consiglieri o da sottosegretari del capo del governo che si muovono per Palazzo Chigi».

Tra loro troviamo personaggi che il pubblico non conosce. Un esempio per tutti? Luca Lotti, un giovanotto di provincia che ha ricevuto da Matteo più di una delega: all’Informazione, alla Comunicazione del governo, all’Editoria, persino alla Pianificazione e organizzazione del centenario della Prima guerra mondiale e del settantesimo anniversario della Resistenza. Lustrini e pennacchi? Per niente.

Lotti è l’uomo invisibile che custodisce i segreti del potere renzista. Il solo che potrebbe sciogliere un enigma: esiste il Cerchio Viola di Matteo, l’ultimo esemplare di tanti cerchi magici di altre storie politico-affaristiche, nato a Firenze e oggi dilagante anche all’estero? 

Il giorno che il premier deciderà di ritirarsi perché è riuscito a fare tutto oppure niente, gli editori andranno a caccia di best seller che non avranno nulla da invidiare a una spy story politica o a un super romanzo che svelerà il lato oscuro del potere italiano. Oggi bisogna attenersi a ciò che si vede dopo un anno di renzismo. Ovvero al risultato pratico di un governo che festeggia un anno di vita.

Le mitiche riforme istituzionali stanno ancora sulla carta o sono incompiute. Il Senato lo vediamo sempre dove stava da decenni. La legge elettorale, l’Italicum disegnato sulla statura di Matteo, non esiste ancora. Idem per la riforma del pubblico impiego, quella fiscale, quella della giustizia. La riforma del lavoro, il Job Act, non si conosce se funzionerà. In compenso le tasse non sono state per niente abbassate, checché ne dica il premier. Il taglio vero della spesa pubblica è di là da venire. In compenso Renzi ha fatto un abuso stratosferico del voto di fiducia. Una settimana fa eravamo a quota trentaquattro. Oggi siamo a quota quaranta o giù di lì. 

Comunque il governo regge perché non ha alternative. A questo punto esiste una domanda inevitabile: il renzismo piace agli italiani? Sul tempo corto sì. Perché è visto come un nemico della Casta politica, il soggetto più odiato dai cittadini senza potere, un insieme di eccellenze che vivono nel timore di essere rottamate e di uscire dal Parlamento senza biglietto di ritorno.

E sul tempo lungo? Nessuno è in grado di dirlo. Renzi ripete di continuo che il 2015 sarà l’Anno Felix dell’Italia. Ma se lo diciamo in una fabbrica, su un treno di pendolari o al bar, la gente ci prende per matti. Il Fiorentino può aumentare il volume delle chiacchiere e la potenza delle minacce. Eppure anche lui è appeso a un filo. In tanti possono tagliarlo. A cominciare da una catastrofe dovuta a un atto di terrorismo del Califfato nero. Un soggetto che neppure l’astuto Matteo aveva messo in conto.

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