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lunedì 9 marzo 2015

Caserta: Intervista all'amministratore del blog il Notiziario, Gaetano Daniele

Caserta: Intervista all'amministratore del blog il Notiziario, Gaetano Daniele



intervista a cura di Pasquale Califano 




Gaetano Daniele
Amministratore blog il Notiziario 

Incontriamo per caso alla facoltà di Giurisprudenza di Santa Maria Capua Vetere, l'amministratore del blog il Notiziario, Gaetano Daniele, presente sul web dal 2011. Gli chiediamo se è disposto a parlare di politica, con il sorriso sulle labbra ci invita a rimandare l'intervista a data da destinarsi ma, su nostra insistenza, ci dedica pochi minuti. 

Sig. Daniele, lei prima di dedicarsi all'informazione è stato uno dei più assidui sostenitori di Forza Italia, ha sempre portato a casa risultati importantissimi. Tra qualche mese Caivano torna al voto. Come vede l'attuale situazione politica? 

Più assidui sostenitori no, ho avuto come tanti giovani, un breve percorso politico. Seguivo le riunioni, organizzavo convegni, cercavo di mettermi a disposizione del Partito e del prossimo. Rispettavo i ruoli ma soprattutto chi aveva più esperienza di me. 

Oggi vede tutto questo nei vari schieramenti politici? 

No!. Oggi faccio fatica a capire le ideologie di ogni singolo esponente o candidato che sia. Tutti contro tutti. Non ci sono più regole, ed ognuno si arroga il diritto di sapere più dell'altro. Si è tornati un po come agli anziani uomini del fare: in casa sapevano fare un po di tutto, a differenza che questi di oggi non sanno fare neanche due più due, appunto, se non puntare il dito contro l'avversario politico. Il classico lavoro di chi non sa proporre. 

Secondo lei chi può traghettare Caivano fuori da questo scempio. 

Mi verrebbe da dire subito tutto d'un fiato Padre Maurizio Patriciello. Ma questo non lo posso sapere. Non mi piace giudicare, vedo come le dicevo sopra ai righi una certa miopia da parte delle nuovi classi dirigenti, comunque a Caivano uomini del fare ci sono, eccome. 

Ci può fare qualche nome? 

A volte l'essere perbene ed onesti non significa saper governare un Paese. Sento dire spesso: ma quella o quello è una persona perbene, d'accordo, e questo in politica serve, anzi è il primo punto, ma oltre a questo bisogna essere capaci di amministrare, bisogna saper tenere banco a ideologie differenti, confrontarsi con tutti. Il dott. Papaccioli a me è piaciuto molto come amministratore locale, ancora oggi lo reputo tra i migliori politici a nord di Napoli, ma deve allargare le sue vedute a 360°, altrimenti corre il rischio di fermarsi sempre sul via. In politica non si vince da soli. 

Oltre all'ex Sindaco Papaccioli, nella sua lista ci sono altri amministratori in grado di governare il Paese?

Sì, certo, c'è il dott. Monopoli, credo sia il futuro sindaco di Caivano, mi auguro solo che non faccia la fine del dott. Papaccioli, nel senso che stravinca le elezioni ma senza maggioranza. Questo risultato non solo nel centro destra ma anche a sinistra darebbe ulteriore instabilità ai cittadini. Quindi, che vinca il migliore portandosi dietro una squadra compatta in modo da poter esprimere nei prossimi 5 anni il proprio indirizzo dando più fissità al Paese. Caivano ha bisogno di stabilità. Intanto, non le nascondo la mia simpatia anche per alcuni esponenti di centrosinistra, come Arcangelo Della Rocca, Enzo Falco, Mario De Giorgio, Enzo Angelino, lo stesso candidato del Pd, Luigi Sirico, insomma, basta mettere insieme le giuste sinergie per rilanciare il Paese, la guerra in Politica serve solo agli affaristi. Per restare in tema programmi elettorali, trovo molto interessante la proposta del dott. Monopoli in merito al reddito di cittadinanza caivanese. Potrebbe incentivare, spingere tanti giovani fermi al palo, ad affacciarsi appunto, al mondo del lavoro.

Chi potrà beneficiare di questo reddito di cittadinanza?. 

I beneficiari dell'iniziativa saranno i giovani (oltre i 30 anni) disoccupati, inoccupati ed i titolari di  un ISEE inferiore ai 7000 euro annui con familiari a carico ovvero in caso contrario fino a 3000 euro. L'obiettivo non è solo conferire un reddito a tali soggetti ma assicurare loro l'entrata nel mercato del lavoro. Il contributo sarà erogabile fino a 450 euro mensili a persona per un massimo di sei mesi per quattro ore di lavoro giornaliere. Il valore complessivo dell'iniziativa dipende dai margini di intervento sul bilancio comunale ma una prima stima fatta dallo Staff del candidato Sindaco Monopoli, prevede un possibile impegno di risorse finanziarie pari a 400 mila euro che garantirebbero la fruibilità dell'iniziativa a circa 150 persone. 

Inizia la grande fuga da Forza Italia: quei 40 pronti a "cambiare casacca"

Forza Italia, i 40 parlamentari pronti a votare le riforme di Matteo Renzi





"Avanti nella direzione seguita fino a oggi". Matteo Renzi non ammette deviazioni nel percorso delle riforme anche a costo di sostituire i voti di un pezzo di Pd con chi in Forza Italia fa capo a Denis Verdini. Sarebbero infatti una quarantina i parlamentari azzurri che, nonostante la chiusura totale di Silvio Berlusconi, starebbe rivedendo la sua posizione su riforma costituzionale e Italicum anche grazie alla moral suasion verdiniana. "Matteo Renzi si sta innervosendo con la minoranza del suo partito. Se quelli si mettono di traverso, lui coglierà la palla al balzo per trascinare tutti a elezioni anticipate. Se ci trascina alle urne tu sei sicuro di essere ricandidato ed eletto?", ragiona Verdini spiegando ai colleghi forzisti il perché è necessario tenere fede al patto del Nazareno. E intanto sonda il terreno.

Quaranta nazareni - Secondo il retroscena di Tommaso Labate Verdini l'altro giorno ha parlato a lungo con Saverio Romano, con Pino Galati, Gianfranco Rotondi. Parlare di una corrente organizzata è eccessivo, avverte il Corsera, ma quella pattuglia che prima poteva contare soltanto sulla falange composta dai "fantastici quattro del verdinismo ortodosso" (Ignazio Abrignani, Gregorio Fontana, Luca d'Alessandro e Massimo Parisi), adesso ragiona su numeri più estesi. Al punto che, secondo alcuni calcoli fatti tra i parlamentari, sulle posizioni di Verdini - e cioè quelle di raccogliere i cocci dello "schema Nazareno" - si attesterebbero quindici senatori e ventotto deputati. Molti dei quali si muovono con un unico obiettivo: scongiurare del tutto anche la più remota ipotesi che Renzi provochi la fine anticipata della legislatura.

"Don giussani santino autoreferenziale" Socci: ora il Papa demolisce i ciellini

Antonio Socci: così il papa demolisce Comunione e liberazione

di Antonio Socci 


Antonio Socci 

Che cosa è accaduto ieri in piazza San Pietro fra papa Bergoglio e gli aderenti a Comunione e liberazione? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Il 3 marzo scorso, nell’omelia di santa Marta, il papa disse: «Ma come posso convertirmi? La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia... Si toglie col “fare”... cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? È semplice! “Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”».

In quelle stesse ore don Julian Carron, responsabile pro tempore di CL, sul tema della conversione scriveva l’esatto opposto: «Ogni volta che davanti a questa o quella situazione ci chiediamo che cosa dobbiamo fare, dimostriamo che non abbiamo ancora risposto a quella domanda. Niente lo documenta più di questo “che cosa fare?”. Abbiamo una cosa da fare, solo una: convertirci».

Bergoglio identifica la conversione con un “fare”, con un attivismo sociale che abbiamo già visto in America Latina e qui negli anni Settanta in certi gruppi cattolici di sinistra, dove alla fine Cristo si riduceva a “pretesto” per un attivismo sempre più politico e ideologizzato. Invece don Carron percorre la via di un ripiegamento intimistico che toglie alla fede e alla comunità cristiana ogni dinamica umana espressiva e si risolve in quella “scelta religiosa” che decenni fa venne fatta dall’Azione Cattolica e fu sempre combattuta da don Giussani come il suicido del cattolicesimo. Giussani aborrì allo stesso modo la riduzione “sociale” e attivistica del cristianesimo che considerava succube delle ideologie.

Fra la risposta bergogliana del “fare” e quella carroniana dell’intimismo psicoanalitico, c’è infatti una terza risposta, quella giusta, che è sempre stata espressa, potentemente, da don Giussani, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Si potrebbe sintetizzare così: l’incontro con Cristo, attraverso il volto dei suoi amici, della comunità cristiana, dà senso e bellezza alla vita, abbraccia e cambia tutta la persona, tutta la sua esistenza, e genera un popolo che ha uno sguardo originale su tutto, che ha un giudizio cristiano su ogni aspetto della vita personale e sociale, proponendo a tutti un orizzonte più umano e più vero di quello delle ideologie dominanti.

Ieri, in piazza San Pietro, papa Bergoglio e don Carron, pur da posizioni contrapposte, si sono trovati convergenti nel tentativo di liquidare proprio questa via, che Giussani ha percorso dando vita a Comunione e liberazione, la via che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno riconosciuto e sostenuto, essendo anche la loro e quella della Chiesa. Certo, ieri a Roma si è reso omaggio all’uomo Giussani, ma trasformato in un santino e isolato dalla sua storia. Tentando di delegittimare e archiviare l’opera che da lui è nata, il popolo di Comunione e liberazione e la sua formidabile presenza sociale e culturale, la sua originale creatività che dagli anni Settanta ha incontrato e coinvolto tantissimi giovani e molti non credenti. Oggi restare fedeli con il cuore a quella storia, «a quella forma di insegnamento, alla quale siamo stati consegnati» (Ratzinger), significa, secondo Bergoglio, essere «guide da museo e adoratori di ceneri». E purtroppo don Carron converge su questa “liquidazione” di una storia comunitaria e di una presenza eccezionale.

Così però Bergoglio dice il contrario di quanto hanno affermato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e don Giussani. È innegabile, se non si vuol nascondere la testa sotto la sabbia. Faccio due esempi. Una delle bastonate di Bergoglio a CL è sull’autoreferenzialità. In effetti CL, come altre realtà ecclesiali, oggi ha questo grave problema, tanto è vero che la sua presenza pubblica è pressoché svaporata, e però Bergoglio non ha colpito solo l’attuale CL carroniana, ma anche e soprattutto il forte senso di appartenenza che Giussani ha insegnato, cioè l’identità comunitaria tuttora viva dei ciellini.

Infatti ha detto: «Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una spiritualità di etichetta: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale». Ma è facile ricordare parole opposte di Giussani sull’ “essere di CL”. Proprio l’altroieri il portavoce di CL, Alberto Savorana, in un’intervista, ricordava che il nome del Movimento nacque da un volantino degli universitari nel 1969: «Un giorno, entrando in uno dei locali frequentati da questi studenti, in via Ariosto a Milano, don Giussani vede quel volantino appeso, con riferimento al nome scelto da quelli della Statale, e dice: “Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari, perché comunione è liberazione”».

La seconda bastonata bergogliana è arrivata quando ha contrapposto il carisma a Gesù Cristo, mentre invece - come ha spiegato mille volte don Giussani - «il carisma è l’avvenimento di Cristo secondo la modalità con cui investe il mio presente... facilita l’appartenenza a Cristo, cioè è l’evidenza dell’avvenimento presente oggi... In questo senso il carisma introduce alla totalità del dogma». Giussani spiegava bene la parola: «Un carisma si può definire come un dono dello Spirito dato a una persona in un determinato contesto storico, affinché quell’individuo dia inizio a una esperienza di fede che possa risultare in qualche modo utile alla vita della Chiesa. Sottolineo il carattere esistenziale del carisma: esso rende più convincente, più persuasivo, più “abbordabile” il messaggio cristiano proprio della tradizione apostolica. Un carisma è un terminale ultimo dell’Incarnazione, cioè una modalità particolare attraverso la quale il Fatto di Gesù Cristo uomo-Dio mi raggiunge e, per il tramite della mia persona, può raggiungere altri». Invece Bergoglio contrappone le due cose: «Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada». Il messaggio implicito era il seguente: adesso dimenticate la vostra storia e il vostro carisma per seguire me e le mie idee. In realtà, nella storia della Chiesa, la ricchezza è stata proprio nella diversità di carismi: i benedettini sono diversi dai francescani, i domenicani dai gesuiti, i carmelitani dai comboniani. E tutti sono centrati su Cristo.

Anche i papi dei nostri anni hanno affermato cose opposte all’idea bergogliana. Per esempio, Giovanni Paolo II, in una lettera a Giussani per il 50° anniversario della nascita del Movimento, nel febbraio 2004, volle ripetere ai ciellini ciò che già tante volte aveva detto: «Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell’unica potestà che è Cristo Signore!». Poi espresse un altro giudizio diametralmente opposto a quello pronunciato ieri da Bergoglio: «Il vostro Movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale. La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo».

Papa Wojtyla definiva il Movimento «uno dei germogli della promettente “primavera” suscitata dallo Spirito Santo negli ultimi cinquant’anni». E, considerato che erano stati anni segnati «da una sofferta contrapposizione con le ideologie imperanti, da una crisi dei progetti utopistici e, più recentemente, da una diffusa tendenza al relativismo, allo scetticismo, al nichilismo, che rischiano di estinguere i desideri e le speranze delle nuove generazioni», il grande papa Wojtyla invitava tutti i ciellini «a risalire all’esperienza sorgiva da cui il Movimento ha preso le mosse, rinnovando l’entusiasmo delle origini. È infatti importante mantenersi fedeli al carisma degli inizi per poter rispondere efficacemente alle attese e alle sfide dei tempi». L’opposto di quello che si è sentito ieri.

Dell'Olio, la moglie di Ferrara all'attacco: "Lesbiche e attiviste, vi hanno umiliato"

Anselma Dell'Olio: "Detesto l'8 marzo, è demagogia. Il movimento femminista? Svuotato"





Buona festa della donna. Ma non per tutte. "Io detesto l'8 marzo", attacca Anselma Dell'Olio, giornalista, autrice di teatro, femminista e moglie di Giuliano Ferrara. "Lo detesto come feste e come giorno perché dimostra che gli altri 364 sono appannaggio dei maschi", spiega in un'intervista a Il Giorno. Dunque il dito puntato contro Sergio Mattarella, anche lui colpito dalla "degenerazione demagogica dell'8 marzo" (il riferimento è alla frase con cui il Capo dello Stato ha lodato il lavoro silenzioso delle donne). La signora Ferrara aggiunge: "La demagogia ha raggiunto l'acme con le proteste di Se non ora quando, che hanno cancellato una delle conquiste delle femministe della prima ora; la libertà delle donne di fare del proprio corpo ciò che vogliono".

Quale femminismo? - Secondo la Dell'Olio "bisogna ristabilire cos'è il femminismo. La verità - aggiunge - è che i maschi ci hanno scippato anche la forza propulsiva del movimento, con la teoria del gender". In che senso? "Il matrimonio gay - puntualizza - è diventato un'urgenza sociale solo quando la battaglia è stata portata avanti dai maschi. Le lesbiche non sono mai riuscite a sfondare il muro del silenzio sul problema. Quando i maschietti si sono fatti avanti, il matrimonio gay è diventato un'icona di libertà". Il femminismo dunque è morto? "E' svuotato di senso, che è peggio". La Dell'Olio conclude: "E' il movimento femminista che ha perso forza, non la spinta individuale delle donne".

L'ultima sòla del governo Renzi: quanto ci fa perdere in tre anni

Tfr in tasca nuovo flop di Renzi: quanto ci si perde in tre anni





Ad accendere il motore della ripresa dei consumi, e quindi dell'economia, dovrà essere qualcos'altro. Perchè come il suo predecessore bonus da 80 euro non ha avuto alcun effetto, anche il Tfr in busta paga sarà un buco nell'acqua. Peggio, potrebbe portare grosse perdite per chi decidesse di aderire all'iniziativa. Come scrive oggi il quotidiano La Stampa, ino a pochi giorni fa solo sei lavoratori su cento avevano optato per l' incasso e alla fine, prevede un sondaggio della Swg per la Confesercenti, meno di due dipendenti su dieci sceglieranno di incamerare la liquidazione nello stipendio.

Il perché lo spiegano le elaborazioni fatte dalla Fiba Cisl, la federazione dei bancari, che per uno stipendio medio parlano di perdite in tre anni che vanno da duemila fino a 10 mila euro rispetto alle opzioni cumulo in azienda o in fondo pensioni. E due conti se li stanno facendo i 14,4 milioni di lavoratori del settore privato, con almeno sei mesi di anzianità alle spalle, che in questi giorni stanno ricevendo i moduli per esercitare entro il mese un' opzione che varrà per i prossimi tre anni.

Un cinquantacinquenne in tre anni incasserebbe 3.778 euro in busta paga, con una perdita di 1.044 euro rispetto a quanto maturato lasciandolo in azienda e di 2.045 euro sulla rendita di un fondo pensioni, calcolando prudenzialmente un rendimento del 3% annuo. "Questo - spiega Andrea Scaglioni del centro studi a La Stampa - perché il Tfr in busta è peggio tassato e non dà rendimenti annui, quelli che rendono ancora più conveniente farlo cumulare in azienda o investirlo nella previdenza integrativa quando si è più giovani". Infatti un lavoratore di 40 anni, con lo stesso reddito, perderebbe 3.140 euro rispetto al cumulo e 5.667 in raffronto al rendimento di un fondo. Un venticinquenne poi ne perderebbe 9.453 non lasciandolo fruttare in azienda e addirittura 10.808 euro togliendolo dalla pensione integrativa.

Stipendi fino a 30mila euro al mese Paghiamo noi i cassintegrati Alitalia

Il Pd ci fa pagare i cassintegrati Alitalia

di Sandro Iacometti 



Qualcuno, come i 36 piloti ex Alitalia e Meridiana pizzicati dalla Gdf qualche settimana fa, aveva persino deciso di arrotondare la cassa integrazioni lavorando illegalmente all’estero. Un bel coraggio, considerato che grazie ai contribuenti italiani i dipendenti delle compagnie aeree in esubero possono intascare fino a 30mila euro lordi al mese.

Ad alzare definitivamente il velo sul generoso aiutino pubblico destinato al personale di volo e di terra dei vettori nazionali, che in diverse occasioni anche noi di Libero abbiamo denunciato, è stato il neo presidente dell’Inps, Tito Boeri, nell’ambito dell’operazione trasparenza con cui la sezione del sito Inps chiamata «porte aperte» si ripropone di svelare i retroscena dei fondi speciali gestiti dall’istituto. Quello per il Trasporto aereo (Fsta), si legge nella scheda tecnica, preleva circa 220 milioni l’anno dai cittadini, «più del finanziamento annuo per la lotta alla povertà attraverso il Sostegno di inclusione attiva». La legge istitutiva del Fondo per l’integrazione dei trattamenti di mobilità, cig e solidarietà (del 2004) prevedeva un contributo solo a carico di datori di lavoro (0,375%) e dei lavoratori (0,125%), escluse le componenti accessorie del salario. Ma la musica è rapidamente cambiata.

Ed oggi l’Fsta è alimentato principalmente dall’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di 3 euro. Un’anomalia a cui la Fornero ha dato un termine temporale (il 2014), ma che il Destinazione Italia di Letta nel dicembre 2013, con l’attuale premier Matteo Renzi che già faceva il severo cane da guardia del governo, ha tranquillamente prorogato fino al 2019 per agevolare la vendita di Alitalia agli arabi. A questo scopo l’addizionale è stata aumentata di 1 euro (era a 2) mentre la scorsa estate accordi di governo con le parti sociali hanno aumentato il periodo di godibilità del beneficio da parte dei lavoratori fino a 9 anni dai precedenti 7, aggiungendo anche il pagamento dei contributi previdenziali.

In questo periodo, alla faccia degli esodati, gli ex lavoratori delle compagnie aree prendono stipendi da favola semplicemente stando a casa. Il Fondo garantisce, infatti, un’integrazione del salario all’80%. Il che significa, come scrive Boeri, che i lavoratori percepiscono una prestazione che supera di gran lunga il massimale di 1167,91 euro previsto per cig e mobilità. Con assegni che scavallano spesso i 10mila euro lordi mensili e in alcuni casi limite si avvicinano ai 30mila euro. Il tutto dal 2007 al 2014 è costato quasi 1,4 miliardi. Di cui, stando alle percentuali definitive del 2013, il 98% a carico dei viaggiatori attraverso l’addizionale.

Dopo Aurora e Sole è nata Celeste, la terza figlia di Michelle Hunziker

Nata Celeste, la terzogenita di Michelle Hunziker





"È nata la nostra terza bambina alle 10.30  di ieri, domenica 8 marzo. Si chiama Celeste ed è un amore pazzesco! 3kg 330g di donnina che ci renderà la festa delle donne ancora più speciale per tutta la vita! Vi voglio bene Michelle". Così, sul suo profilo Facebook, Michelle Hunziker ha annunciato ieri la nascita della sua terzogenita, la seconda figlia avuta da Tommaso Trussardi dopo Sole.  Anche il papà bis ha celebrato su Facebook la nascita della secondogenita: "Oggi si festeggiano le donne; quale dì più importante  e significativo.... Per noi si riempie di una gioia ancor più grande. È nata la piccola Celeste!!! Grazie a tutti coloro che ci hanno  sostenuto ed assistito. Tomaso e Michelle". Il benvenuto a Celeste arriva anche dalla sorella maggiore Aurora, primogenita di Michelle Hunziker avuta con Eros Ramazzotti: "Sorellona per la terza volta!! Benvenuta Celeste!".

Il cucchiaio di Icardi fa felice Mancini Il Napoli fallisce l'operazione 2° posto

Calcio, serie A: Napoli-Inter 2-2





Il secondo posto resta stregato per il Napoli. Nel posticipo serale della 26esima giornata, i biancocelesti pareggiano 2-2 al San Paolo gettando al vento la possibilità di portarsi a sole due lunghezze dalla Roma, che nel pomeriggio aveva pareggiato a reti bianche col Chievo. E pensare che la squadra di Benitez conduceva per due a zero fino a mezz'ora dalla fine.

Il primo tempo è divertente, con le folate azzurre che mettono in ansia la difesa nerzzurra: al 13’ Higuain, servito da Mertens, non trova lo specchio, al 14’ Handanovic mette in angolo su Hamsik. Al 21’ Higuain si divora il vantaggio a a tu per tu con Handanovic. L'argentino ha un'altra occasione  al 31’, quando Mertens lo serve alla perfezione ma lui spara in curva.

I primi 45 minuti si chiudono sullo 0.0, ma a inizio ripresa il Napoli concretizza la superiorità fin lì dimostrata passando in vantaggio. Al 6' Henrique scodella in area, Hamsik incredibilmente solo non ha difficoltà nell’incornare l’1-0. Al 18’ arriva il raddoppio con un gran tiro di Higuain dalla distanza che non lascia scampo ad Handanovic. Quando il Napoli sembra avere la gara in pugno, arriva la rete dell'Inter, che  accorcia con Palacio, bravo a spedire in rete un pallone vagante. Finale palpitante: al 41’ Henrique atterra Palacio in area: rigore e secondo giallo per il difensore di casa che finisce anzitempo negli spogliatoi. Icardi si incarica della battuta e, con un cucchiaio, firma il 2-2.

Pansa: "Renzi da rottamatore a zar Ha trasformato l'Italia nel Cremlino"

Pansa: "Nel Cremlino di Renzi obbedire o tacere"

di Giampaolo Pansa 



«Sai che cosa mi ricorda Palazzo Chigi? Il Cremlino» dice un vecchio collega che ha fatto per parecchio tempo il corrispondente dall’Unione sovietica. La sua sicurezza mi sorprende: «Perché il Cremlino?». Lui risponde: «Per molti motivi. Il primo è che nessuno conosce davvero che cosa accada in quel palazzo. Quali sono gli obiettivi di chi ci lavora? Che intendono fare dell’Italia e del potere che hanno raccolto per strada, grazie a un insieme di circostanze oscure e senza essere eletti da nessuno? Ma la ragione più forte è un’altra. Come nel vero Cremlino, la fortezza di molti leader sovietici e oggi di Vladimr Putin, anche quello di largo Chigi è abitato da una persona sola che sta diventando sempre più potente».

La persona sola è Matteo Renzi, il nostro premier. Non esiste ancora un’analisi spassionata del leader fiorentino. Tuttavia qualche elemento del suo identikit lo conosciamo. Ha un alto concetto di sé. L’autostima non ha incertezze. È tutto preso dalla propria volontà e intelligenza. Non assomiglia a nessuno dei leader della Prima Repubblica. Neppure Alcide De Gasperi o Palmiro Togliatti erano come lui. Soltanto Amintore Fanfani, un altro toscano, ma di Arezzo, presentava gli stessi difetti: l’arroganza, il fastidio sprezzante per le lungaggini del Parlamento, la convinzione di essere il meglio del meglio. Era sicuro di vincere sempre. Poi incontrò la disfatta nel referendum contro il divorzio. Matteo rifletta.

È il carattere a suggerire a Renzi la forma di governo che preferisce. L’ha spiegata più volte e l’ha ripetuta nell’ultima, importante intervista a Marco Damilano dell’Espresso. Ha detto: «Per il governo io ho in testa il modello di una giunta che funziona con un forte potere di indirizzo del sindaco». In apparenza la parola «giunta» è innocua. Ma pronunciata dal nostro premier assume un significato equivoco. La politica mondiale ne ha conosciute molte di giunte, comprese quelle dei militari golpisti. E dal dopoguerra in poi abbiamo visto molti leader autoritari che sostenevano di essere soltanto gli amministratori della loro nazione. 

Sindaco d'Italia - Renzi si presenta come il sindaco d’Italia. Ma non ha nulla di chi si accolla la difficoltà di lavorare per i cittadini. Lui lavora per se stesso. Matteo è il centro della vita di Matteo. È un logorroico, capace di pronunciare un’infinita quantità di parole. Si sente un gigante tra i nani. È un cinico senza limiti, lo ha dimostrato nella conquista volpina di Palazzo Chigi, attuata con l’assassinio politico di un premier del suo stesso partito. È un campione della promessa a vuoto, dell’annuncio senza costrutto, dell’ottimismo predicato in ogni istante. Sempre a velocità folle.

Un vecchio motto dice: puoi illudere uno per un’infinità di volte e puoi illudere tutti una volta sola. Ma non puoi ingannare tutti ogni volta. Renzi non si cura di questa regola saggia. Nel Cremlino di Matteo domina la strafottenza. La parola renzista è sostanza. Le promesse si avverano da sole. Il suo verbo non ammette dubbi e meno che mai resistenze. Pensa di avere la meglio su tutto e su tutti. Il dissenso è un atteggiamento proibito che rasenta il reato. La regola è una sola: obbedire o tacere. La sottomissione di chi gli sta accanto è la virtù indispensabile per sopravvivere. Lo dimostra la sorte dei ministri di Renzi. Un critico sorprendente, il direttore del Foglio Claudio Cerasa, venerdì ci ha spiegato che non contano quasi nulla. Tranne una: la ministra per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, che ha ottenuto persino un ufficio all’interno del Cremlino. Gli altri e le altre, nel giro di appena un anno, appaiono comparse.

La ministra Maria Carmela Lanzetta aveva l’incarico degli Affari regionali, ma è sparita, oggi sta da qualche parte in Calabria. La ministra della Difesa, Roberta Pinotti, voleva invadere la Libia, ma il premier l’ha bacchettata sulle dita e ridotta al silenzio. La stessa sorte è toccata al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha parlato ignorando le intenzioni del premier. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non sapeva nulla del decreto fiscale. La ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, è stata messa nell’angolo da Renzi sulla questione dei professori da assumere. Si è dichiarata «basita», ossia stupefatta, ma non ha trovato il coraggio di dimettersi.

Un sindaco «dal forte potere d’indirizzo» può preoccuparsi dei suoi assessori? Ma non scherziamo! Il premier tiene conto soltanto della cerchia ristretta degli uomini di mano, a cominciare dal sottosegretario Luca Lotti, il meno raccontato dai media, uno sconosciuto. Un gradino più sotto stanno i consiglieri, primo fra tutti Andrea Guerra, già amministratore delegato di Luxottica. Sono figure difficili da definire. Senza un profilo istituzionale certo, il loro potere è uno stato di fatto. Contano perché il premier ha deciso così. Almeno per oggi. 

Nel vero Cremlino sovietico accadeva di peggio. Una ministra ripudiata come la povera Lanzetta sarebbe finita in un gulag siberiano. La Federica Mogherini, spedita in Europa con un incarico di cartapesta, prima di partire per Bruxelles avrebbe fatto un corso rapido di rieducazione nel collegio della Lubianka, la polizia segreta. Il Cremlino di Renzi è meno sanguinario. Qui bisogna soltanto dire di sì, oppure tacere. E se non sei disposto al silenzio, non ti resta che accomodarti fuori dall’uscio.

Comunque sia, la vita all’interno di Palazzo Chigi potrebbe essere soltanto un affare del giornalismo d’inchiesta. Non è una specialità oggi molto diffusa, ma in fondo i media non sono l’unica arma da usare per mettere in sicurezza una democrazia. Il vero interrogativo che ci dobbiamo porre è se il modello Cremlino possa espandersi nei rapporti fra il cittadino e il potere politico. Qui arriviamo al dunque. Ossia alla domanda delle domande: il forte «potere d’indirizzo» che connota il renzismo può mutarsi in qualcosa di peggio?

Domanda delle domande - Per peggio intendo una democrazia che, giorno dopo giorno, si incammina verso una mutazione profonda che ha un unico traguardo: il regime di un uomo solo al comando. Sappiamo che Renzi irride quanti ne parlano. Ritiene che sia una fantasia malata fatta circolare da Renato Brunetta, l’oppositore più tenace nel giro di Silvio Berlusconi. Eppure il quesito non è ozioso. Se al Cremlino ci sta un signore che si ritiene investito di una missione storica e non ha modi cortesi, anzi è molto vendicativo, il risultato è fatale. Qualunque centro di potere, burocratico, economico, giudiziario o culturale, prima di prendere una decisione vorrà sentire l’opinione del premier. Tanti si arrendono senza avere il coraggio di combattere. E consegnano all’uomo del Cremlino la loro libertà.

Siamo già di fronte a una democrazia dimezzata. Una condizione che può soltanto peggiorare. Per una circostanza che sta sotto gli occhi di tutti. Il modello Cremlino, ovvero il renzismo nella versione più dura, non ha oppositori. La destra e la sinistra mostrano le stesse pulsioni suicide. All’interno dei loro fortini sempre più fragili, si insultano, si combattono, si distruggono. La loro stupidità rasenta il tradimento. Sono le quinte colonne del generalissimo calato in armi da Firenze. Non s’illudano: dentro Palazzo Chigi è già pronto il mattatoio dove verranno decapitate

domenica 8 marzo 2015

Quelle "malelingue" su Verdini: che cosa può succedere con Silvio

Forza Italia, l'indiscrezione: Denis Verdini e i suoi pronti a rompere e a votare le riforme di Matteo Renzi





Il dado è tratto, il patto è rotto. L'ultima e definitiva conferma è arrivata dalle parole di Silvio Berlusconi, che intervenendo telefonicamente a un evento di Forza Italia in Puglia ha spiegato che "martedì voteremo contro le riforme di Matteo Renzi". Una gatta da pelare, per il premier, un primo tentativo per risalire la china, per il Cavaliere. Peccato però che in Forza Italia non tutti siano d'accordo. In particolare non sarebbe d'accordo il grande tessitore del Patto del Nazareno ormai stracciato, Denis Verdini. Tanto che due azzurri anonimi, citati da Il Giorno, spifferano: "Se Brunetta martedì si alzerà in aula e, su mandato di Berlusconi, annuncerà il voto contrario di Forza Italia alle riforme, subito dopo diversi deputati azzurri si pronunceranno in dissenso dal loro gruppo, dicendo sì al ddl Boschi. Saranno gli amici di Denis Verdini".

Insomma, in Forza Italia si teme che Verdini e i suoi - circa 15 tra Camera e Senato - possano rompere definitivamente e schierarsi con Renzi. Scontato, invece, il "no" alle riforme renziane delle altre due grandi fazioni di Forza Italia, i "lealisti" e i dissidenti capeggiati da Raffaele Fitto. Ed è in questo contesto che monta il disappunto di Verdini, che viene descritto come sempre più lontano da Berlusconi e dal suo cerchio magico. In Forza Italia c'è chi sostiene che Denis non tradirà, mai. Ma al contrario c'è anche chi pensa che non tutto sia così scontato: "Dopo il riconoscimento e la stima che Renzi gli ha ribadito sull'Espresso - sussurra un azzurro sempre a Il Giorno -, Verdini non potrà fare altro che farsi carico di un gruppo di responsabili che portino a casa Italicum e Risorse". Staremo a vedere. Di sicuro, per ora, c'è solo una cosa: il "no" di Berlusconi alle riforme di Renzi, infatti ha ottenuto un paradossale risultato, soddisfare Fitto e far incupire ulteriormente Verdini.

La Meloni imbarca anche gli ex grillini L'ondata di fan al corteo di Venezia

Venezia, in diecimila alla manifestazione anti-Renzi di Giorgia Meloni con la Lega





Il piccolo partito di Fratelli d'Italia è riuscita a portare diecimila persone a Venezia per il corteo del fronte anti-Renzi organizzato anche con la Lega di Matteo Salvini. L'organizzazione era tutta nelle mani della romana Giorgia Meloni, i più fedeli dal resto d'Italia hanno risposto alla chiamata, ma il sostegno è arrivato ovviamente dai militanti del centronord. C'erano anche i leghisti veneti, ma non il loro leader, Matteo Salvini, che da Genova aveva già annunciato di non partecipare per dedicarsi un giorno alla famiglia.

È la compagnia della Meloni a creare curiosità. Oltre al cofondatore Ignazio La Russa, a sostenere l'iniziativa veneziana ci sono il tecnico rapito in Libia il veneziano Gianluca Salviato, Adriano Sabbadin figlio di Lino, colpito a morte da Cesare Battisti, e la sorpresa: Walter Rizzetto, ex Cinquestelle. Manca Salvini, ma la Meloni in qualche modo manda un segnale: il suo partito non attira solo transfughi di Forza Italia o Ncd. Slogan contro l'euro, contro Renzi, ma anche in favore del benzinaio di Nanto Graziano Stacchio: "Graziano Stacchio ce l’ha insegnato - gridano i manifestanti - legittima difesa non è reato".

Secondo tempo - Dopo il pienone di piazza del Popolo a Roma, quella volta organizzato da Salvini ma con tutto Fdi presente, quello di Venezia vuole essere il secondo passo di un soggetto politico tutto concentrato sull'alleanza da testare con la Lega: "Vogliamo far nascere un nuovo centrodestra - ha detto La Russa - e oggi chiudiamo il cerchio dopo la manifestazione della Lega a Roma, di cui siamo stati ospiti. Oggi ricambiamo il gesto per fare fronte comune contro la politica di Matteo Renzi". La Russa ribadisce i punti della protesta: "Siamo qui contro le tasse, la delinquenza, il malaffare e la corruzione, con un grande segno di passione ma anche pronti alla proposta".

Non solo Lega - "Questa è un’altra importante manifestazione di quel fronte anti Renzi - ha detto Giorgia Meloni - che abbiamo costituito mettendo insieme movimenti diversi che però si ritrovano come opposizione alle politiche di questo governo e dei suoi mandanti cioè l’Europa della burocrazia e della tecnocrazia. Qui ci sono tante persone massacrate delle politiche di questo governo troppo occupato a fare gli interessi delle lobby piuttosto che occuparsi dei problemi dell’economia reale"

L'inviato Onu sveglia l'Ue sulla Libia "Subito un blocco navale europeo"

Libia, l'inviato Onu Bernardino Leon: "Subito un blocco navale nel Mediterraneo"





Una prima proposta concreta, per quanto insufficiente, per contenere gli effetti della crisi libica arriva dall'inviato dell'Onu Bernardino Lèon, impegnato in Marocco nella mediazione tra le fazioni libiche per la creazione di un governo di unità nazionale. Sulla terraferma la crisi è ancora viva, ma come ha detto Leon al Corriere della Sera: "C'è una misura che l'Unione Europea può prendere subito: presidiare in forze il mare davanti alla Libia. L'Italia non può farlo da sola, ha bisogno di aiuto. Sono certo che il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite appoggerebbe l'iniziativa". I negoziati vanno avanti in Marocco, ma la situazione per l'inviato Onu è più complicata del previsto: "Colgo comunque un clima di moderato ottimismo". Una cosa è certa: per Lèon un intervento militare immediato al momento è "irrealistico: "Stiamo lavorando a un'altra ipotesi: organizzare missioni di polizia con alto contenuto di specializzazione da schierare in diverse aree molte pericolose".

Sono tornati i picchiatori comunisti: vogliono spaccare la faccia a Salvini

Matteo Salvini nel mirino dei picchiatori rossi





Ormai è ufficiale. Per i sinistri estremi il nemico numero uno è lui. Non lo vogliono far parlare, lo assediano con presidi e manifestazioni ogni volta che si presenta in piazza o in un luogo chiuso a parlare. Lo aggrediscono in macchina a calci e colpi di casco. Matteo Salvini è il nuovo "cattivo". Silvioo berlusconi, ormai, è da tempo lontano dal palcoscenico, è anziano e la sua Forza Italia spuntata. Il resto della destra è frammentata in partitini che a malapena supereranno la soglia d'ingresso alle prossime elzioni politiche. I "fascisti" sono quattro gatti: Forza Nuova, Casa Pound e poco altro.

Salvini e la sua Lega, invece, sono tanti, sono in ascesa continua e puntano, superati i confini della Padania, a conquiestare il centro e sud Italia con un progetto organico, radicato sul territorio. Paradossalmente, pur essendo il partito più "anziano" della seconda Repubblica, il Carroccio ha la maggior forza vitale tra forze che siedono oggi in parlamento. E Salvini è lui stesso giovane e dinamico, uno da strada e pedalare non un fighetto da Palazzo Romano. Yanto che, eletto due volte a Roma, due volte ha lasciato la comoda poltrona in Parlamento preferendogli quella in Europa, dove peraltro è un noto "assenteista" essendo impegnato di continuo in giro per l'Italia a far crescere la "sua" Lega. Lui è la destra, oggi, e non fa nulla per nasconderlo. Per questo, è "pericoloso". Lo diceva, papale papale, una dei manifestanti anti-Lega domenica scorsa a Roma: "Non possiamo lasciare il Paese nelle mani di Salvini. Lui è uno pericoloso perchè è capace di parlare alla pancia del Paese".

Capito? Altro che Meloni, Fitto e compagnia cantante. Quale sia il livello dell'avversità che gli amienti anarchici, No Tav e della sinistra radicale nutrono nei confronti del segretario del Carroccio lo si è visto lo scorso 13 novembre a Bologna, quando la sua auto in arrivo in un campo nomadi della città è stata presa a calci dagli invasati di sinistra, che hanno provato ad appendersi alla macchina per bloccarla e hanno sfondato il lunotto posteriore a colpi di casco. La polizia, avvertita da tempo della visita del leader leghista, non si sa dove fosse e cosa facesse. fatto sta che ancora oggi, pur avendo la Lega un suo servizio d'ordine, Salvini non ha una scorta. Dopo Bologna c'è stata Milano, 22 febbraio: altro campo nomadi e altra contestazione. Quindi Roma, coi leghisti cui è stato impedito di sfilare per le vie della Capitale, dove invece gli antagonisti hanno girato in lungo e un largo, e piazza del Popolo blindata dalle forze dell'ordine. Infine Genova, dove Salvini parlava in vista delle regio0nali a favore del candidato del carroccio. E fuori dal teatro blindato in cui parlava, altra contestazione. "Basta, sono stufo, questa non è democrazia". Macchè democrazia, quelli gli vogliono spaccare la faccia, la democrazia non sanno nemmeno cos'è.

Addio agli assegni, adesso saranno elettronici: come pagare con una foto (ed evitare brutte sorprese)

Arriva l'assegno in formato elettronico: come pagare inviando una semplice foto





Gli assegni in formato elettronico sono realtà anche in Italia. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (54/15) del 6 marzo scorso, il ministero dell'Economia e la Banca d'Italia hanno dato il via libera all'uso delle "semplici" foto degli assegni bancari e circolari, validi a tutti gli effetti quanto i vecchi pezzi di carta.

Come funziona - Il pagamento attraverso l'assegno elettronico, si legge nel decreto attuativo del Mef, avviene quando: "il trattatario o l'emittente ricevono dal negoziatore l'immagine dell'assegno". Tradotto dal folle burocratese significa che una volta ricevuta la scansione o la semplice foto dell'assegno, il pagamento è ritenuto quasi fatto. Una volta ricevuto il file, la banca dell'emittente o del trattatario, cioè di chi deve pagare, ha massimo un giorno lavorativo per mettere a disposizione il denaro. Nel caso di mancato pagamento di un assegno elettronico, il protesto o la constatazione equivalente devono essere svolti esclusivamente per via telematica. Trasformare il pezzo di carta in un file digitale è un'operazione delegabile a soggetti terzi, sarà la banca a garantire che il soggetto incarico ha le competenze per effettuare la digitalizzazione. Uno strumento in più che riduce carte e tempi spesso superflui, ma che ancora paga i regolamenti anacronistici italiani sul mondo digitale. Potete mettere da parte smartphone e applicazioni di messaggistica: gli assegni elettronici si possono inviare solo via posta certificata, in teoria obbligatoria per tutti i professionisti e aziende, e ogni email deve essere convalidata dalla firma digitale.

sabato 7 marzo 2015

L'ULTIMO SCIPPO A BERLUSCONI Ecco che cosa gli vogliono fregare

Forza Italia, Raffaele Fitto pronto alla guerra contro Silvio Berlusconi: vuole vietargli di usare il simbolo del partito





Per Silvio Berlusconi si preannuncia una nuova battaglia in tribunale. No, non c'entrano nulla le Olgettine. C'entra Raffaele Fitto: il Cavaliere, infatti, non teme soltanto di perdere (ancora) la sua libertà personale. Ma teme anche di perdere il logo di Forza Italia. Già, perché il dissidente Fitto, pur di "difendersi" nel partito che lo vuole emarginare, sarebbe pronto a una guerra di carte bollate pur di inibire l'uso del logo Forza Italia alle regionali.

L'avvertimento - Come spiega il Corriere della Sera, Fitto potrebbe rivolgersi all'avvocato Pellegrino - noto legale pugliese di centrosinistra - per difendersi dall'assedio azzurro. E non solo: come detto il dissidente starebbe pensando di vietare l'uso del simbolo alle Regionali. Una possibilità in un certo modo confermata dallo stesso Fitto, che ieri, parlando alla platea di Vibo Valentia, ha spiegato: "Qualora non ci fossero le condizioni per portare avanti la nostra battaglia, allora cercheremo di difenderci".

La "ratio" - Insomma, Berlusconi ora teme il tentativo di "scalata giudiziaria" del suo partito. Nel frattempo, e in attesa della stesura della lista per le regionali, Fitto non vorrebbe arrivare a tanto, a rivolgersi insomma ad un avvocato per fare la guerra al Cavaliere. Ma tutto è possibile. Se i nomi dei fittiani venissero "epurati" dalle liste pugliesi degli azzurri, il dissidente, sostiene il Corsera, sarebbe pronto a un'iniziativa giudiziaria. Il presupposto della possibile azione legale graviterebbe attorno allo statuto di Forza Italia, che per Fitto non verrebbe rispettato.

"Dramma di mia figlia malata. L'operazione al cuore e il terrore": l'incubo di Paolo Bonolis e di sua moglie

Paolo Bonolis, la moglie: "Vi racconto il dramma della nostra figlia malata"





Per la prima volta Sonia Bruganelli, la moglie di Paolo Bonolis, racconta il dramma vissuto in famiglia, quello dei problemi di salute della prima figlia della coppia, Silvia. Sonia lo ha fatto in una lunga intervista concessa al settimanale Gente. Bonolis e la moglie, insieme da 18 anni, hanno avuto tre figli. La prima, Silvia, ha avuto un inizio difficile. "Appena nata è stata sottoposta a un intervento al cuore. Il post operatorio è stato problematico e l'ha portata ad avere un po' di ritardi nell'iter di crescita - spiega Sonia -. Il mio primo timore è stato: Come riuscirò a comunicare con mia figlia? Io non mi arrendevo all'idea che sarebbe potuto accadere". Per fortuna, così non è stato. Silvia, infatti, è migliorata tantissimo. Nella toccante intervista, la moglie di Bonolis spiega che oggi comunica senza problemi e, dopo molto lavoro e altrettante terapie, ha ancora davanti a sé grandissimi margini di miglioramento. "Nonostante le sue difficoltà iniziali, Silvia è la più solare, divertente, ironica, la più disponibile verso gli altri ed è innamoratissima di Paolo", conclude Sonia.

L'identikit per scovare i pedofili La mappa: dove sono e come evitarli

La triste hit parade della Pedofilia: Europa vergognosa vincitrice





La realtà drammatica del fenomeno degli abusi sui minori rivela ogni anno dei numeri sconvolgenti. Quest'anno sono state scoperte 574.116 foto pedopornografiche di bambini dai 3 ai 13 anni, mentre i video sono 95.882. Il dramma aumenta in quanto dietro queste immagini ci sono stupri e sodomizzazioni. Questo è quanto emerge da rapporto annuale 2014 "Pedofilia- Crimini contro l'infanzia", redatto dall'associazione Meter dalla parte dei bambini-onlus di don Fortunato di Noto.

Europa triste vincitrice - Innanzitutto la pedopornografia è condivisa attraverso gli archivi telematici dei singoli utenti che mettono a disposizione i file in rete. Sono stati monitorati e denunciati i seguenti archivi: 353 Dropbox (5.496 foto, video 2.975), 36 iCloud (1.348 foto, video 3.873), 3 Box.com (6.676 foto e 1336 video). L'analisi dei dati indica come l'Europa sia «il continente col record negativo. Il 46,62% delle segnalazioni pone il “Vecchio Continente” in testa alla classifica, seguita da Africa (24,67%), America (16,98%), Asia (12,93%), Oceania (1,8%)». Il primo posto, nel 2013, era dell'Africa. Il numero dei siti segnalati negli anni è aumentato ma Meter invita a prestare attenzione: «Questo è il punto di partenza e non la fine, perché l'“offerta” pedofila ha scoperto un nuovo modo di comunicarsi rappresentato da altri canali che non sono necessariamente i siti. Oggi ci sono, infatti, i social network e gli archivi telematici».

La classifica - In Europa vince questa deplorevole classifica la Slovacchia con 764 (61,41%), seguita dalla Russia con 117 (9,92%), Montenegro 96 (8,14%), Lettonia 69 (5,85%), Groenlandia 32 (2,71%). «Da notare che la Germania, con 44 siti, ha il 3,73% delle segnalazioni e l'Italia con 14 (1,19%)». Il totale è di 1.179 segnalazioni. In Africa prevale la Libia con 701 (89,99%), Mauritius 77 (9,88%), Zambia 1 (0,13%). Il totale è di 779 segnalazioni. In America al primo posto c’è la Colombia con 492 (67,03%), poi la Georgia del Sud con 198 (26,98%) e gli Usa con 41 (5,59%). Il totale è di 734 segnalazioni. In Asia «la fa da padrone» il Giappone con 287 (70,34%), seguito da India con 113 (27,7%) e Micronesia 4 (0,99%). Totale: 408 segnalazioni.

L'identikit del pedofilo - I rischi di molestia e adescamento per minori su Facebook e Vkontakte sono in crescita. Questo perché il social network permette al pedofilo di fornire false identità eliminando differenze d'età o culturali che normalmente pongono limiti nelle relazioni tra minori e adulti. Inoltre, ricordiamo che Facebook richiede un'età minima di 13 anni, ma molto spesso i ragazzini di età inferiore riescono comunque ad accedere al social. Meter indica poi che sui social «si possono incontrare tre tipi di pedofili: il seduttore, che è molto affettuoso e fa molti regali al bambino ottenendo il silenzio del piccolo grazie alle sue capacità manipolatorie; l'introverso, che comunica pochissimo con i bambini e utilizza difficilmente approcci seduttivi; il sadico, ossia il pericoloso. È un pedofilo che trae piacere nel vedere soffrire fisicamente e psicologicamente: tende trappole e utilizza la forza per rapire e uccidere la vittima nei casi più estremi». E ancora, c’è «il voyeur pedofilo o telematico, che non abusa dei bambini ma usufruisce del materiale pedopornografico che trova in rete o tramite il commercio sommerso di foto e filmati».

Il 2015 sarà l'anno della grande invasione La profezia nera sull'ondata di immigrati

Immigrazione, il direttore di Frontex: "Nel 2015 un milione di sbarchi"





A parlare non è Matteo Salvini, nè la sua amica Marine Le Pen. Ma il direttore di Frontex, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea. Fabrice Leggeri spiega in una intervista alla vigilia della stagione estiva, che è quella più delicata per gli sbarchi dal Nord Africa, che ci dobbiamo preparare al peggio per l'anno che è appena iniziato. Che la "invasione" dello scorso anno sarà nulla rispetto a quel che ci attende nei prossimi mesi. "Nel 2015 dobbiamo essere preparati ad affrontare una situazione più difficile dello scorso anno. A seconda delle fonti - spiega - ci viene segnalato che ci sono tra i 500mila ed un milione di migranti pronti a partire dalla Libia". Leggeri ha toccato anche il tema della possibile presenza dell'Isis dietro il traffico dei migranti in Libia: "Dobbiamo essere coscienti dei rischi.  C'è preoccupazione tra gli Stati. Perchè se questo non accade ora potrebbe accadere in futuro".

Leggeri ha parlato anche del ruolo dell'Agenzia che guida nell'emergenza legata agli sbarchi: "Se si vuole che Frontex faccia più operazioni abbiamo bisogno di risorse e staff e dell'impegno degli Stati membri a rendere disponibili i loro mezzi", ha dichiarato, aggiungendo poi che "Frontex è una parte. Da solo non è sufficiente ad affrontare questo enorme problema. Ad esempio, la cooperazione con i Paesi terzi è molto importante". Alcune settimane fa una motovedetta italiana è stata minacciata da trafficanti armati durante un salvataggio vicino alle coste libiche. "Su questo abbiamo avuto anche uno scambio di vedute con gli Stati Ue" dice leggeri. "Ma questo non significa che domani non ci possano esser altri incidenti. E' vicino alle coste libiche che c'è il rischio".

C'è troppo cadmio in una partita di tonno scatta il ritiro dagli scaffali per una ditta

Allarme cadmio nel tonno all'olio di girasole, ritirato un lotto del marchio Insuperabile





Troppo cadmio in un lotto di scatolette di tonno, così i supermercati allertati stanno provvedendo a rimuoverle dagli scaffali. L'anomalia è stata riscontrata nelle confezioni del tonno a marchio Insuperabile all'olio di girasole. Sono confezioni da 3 scatolette ciascuna da 80 grammi, in scadenza nel 2019. La partita di tonno era già in commercio, inevitabile quindi che qualcuno abbia potuto acquistare qualche confezione del lotto L 52° A. Gli esperti consigliano di non consumare quel prodotto, vista l'alta concentrazione del cadmio, un metallo pesante che può essere dannoso se assunto in quantità elevate.

Occhio al 730 precompilato: costa di più Ecco la fregatura del nuovo Fisco del governo

730 precompilato, caos detrazioni e rincari: che fregatura il nuovo Fisco con Matteo Renzi

di Maurizio Belpietro 



Lo scorso anno, quando Matteo Renzi annunciò in campagna elettorale che avrebbe semplificato la vita di chi paga le tasse con il 730 precompilato, gli chiesi come avrebbe fatto con le detrazioni. Il presidente del consiglio liquidò la faccenda come se si trattasse di un dettaglio, ma la mia impressione fu che non solo non sapesse come risolvere la questione, ma nemmeno fosse a conoscenza di che cosa fossero le detrazioni e come funzionassero. «Il premier va di fretta e non si cura dei dettagli», mi rassicurò un suo collaboratore. Forse tutti gli uomini che hanno una visione si comportano così, lasciando ai funzionari la traduzione in pratica delle loro intuizioni. Però non occupandosi delle procedure necessarie a trasformare in realtà un’enunciazione poi si rischia un guaio ed è quello che sta succedendo proprio con la dichiarazione dei redditi precompilata.

Già tempo fa noi di Libero avevamo lanciato l'allarme, prevedendo la massima confusione. L'articolo del nostro Franco Bechis forse sarà stato giudicato eccessivamente pessimista, ma giunti alla vigilia dell’operazione di semplificazione del Fisco tutti i nodi vengono al pettine. Il primo è appunto quello delle detrazioni, che non essendo prevedibili (come fa l'Agenzia delle entrate a conoscere l'ammontare delle somme spese per il medico, per la colf o per il mutuo? È vero che tutto è registrato, ma l'elaborazione dei dati è complicata) rischiano di mandare a pallino il modello precompilato. Il contribuente infatti non trovando inseriti quei dati sarà costretto a ricorrere al commercialista o a un centro di assistenza fiscale, con tutto ciò che ne consegue. Per prima cosa pagherà, come è ovvio, e dunque non ci sarà il risparmio tanto atteso, e per seconda dovrà rinunciare all'immunità fiscale, ossia alla promessa che utilizzando la dichiarazione predisposta dagli uffici fiscali non avrà problemi con l'Agenzia delle entrate. Non essendo più vergine, ma essendo stato corretto da un commercialista, il modello rilasciato dal Fisco non è più immune dai controlli e perciò siamo alle solite, ossia al rischio di vedersi contestata la dichiarazione dei redditi.

Tuttavia i problemi non si fermano qui. Siccome con la nuova normativa è stata introdotta anche la responsabilità del commercialista che compila il modello da consegnare all'Erario, attribuendo dunque al professionista il rischio di pagare in solido con il contribuente, ragionieri e centri di assistenza fiscale sono sul chi va là e alcuni addirittura sono pronti a rifiutare la compilazione delle dichiarazioni dei redditi che possano presentare rischi. In tal caso l'italiano che paga le tasse si ritroverebbe abbandonato a se stesso, senza sapere a chi rivolgersi. Non è tutto. Gli studi professionali per tutelarsi dal pericolo di dover onorare sanzioni pesanti si sono attrezzati con una polizza di assicurazione, ma vista la complessità della materia (con il Fisco si rischia sempre, anche quando non si ha alcuna intenzione di evadere o di nascondere i propri redditi) il premio è assai salato. E ovviamente per il contribuente tutto ciò non è gratis, perché se il commercialista ha una spesa in più, questa alla fine ricadrà sulla parcella che il cliente si vedrà presentare.

Risultato, l'idea di far pervenire a casa una dichiarazione dei redditi già predisposta, senza complicare la vita degli italiani, è bella e apprezzabile, ma si scontra con la realtà e con un Fisco che ormai è comprensibile a pochi. Se il diavolo si nasconde nei dettagli, forse prima di lanciare l'operazione semplificazione sarebbe stato il caso di sfoltire la normativa fiscale. Perché è vero che all'estero il bollettino delle tasse arriva a casa senza costringere i contribuenti a faticare su numeri e documenti, ma negli altri Paesi le istruzioni per compilare la dichiarazione dei redditi sono composte di poche pagine, mentre da noi solo per spiegare che cosa bisogna fare ne servono settecento. Forse si doveva partire da lì, da un Fisco che per essere capito ha bisogno di un dizionario. Ma in tal caso più che di semplificazione forse si doveva parlare di rifondazione fiscale: buttare tutto ciò che c'è per prendere esempio dalla Svizzera o dagli Stati Uniti. Ma così facendo, pensate a quanta gente resterebbe senza lavoro. Di certo chi ha inventato la Delirium tax.

venerdì 6 marzo 2015

Caivano (Na), MONOPOLI: "Mai più eco-"balle" che mortificano il nostro Popolo"

Caivano (Na), MONOPOLI: "Mai più eco-"balle" che mortificano il nostro Popolo"




La nostra coalizione, nasce per evitare che a Caivano la malapolitica continui a "sgovernare" il Paese, procurando ferite mortali, come quelle delle piramidi di eco balle, che mortificano nel corpo e nello spirito il nostro popolo e il nostro territorio. Così il candidato Sindaco del Centro Destra, Simone Monopoli ai nostri microfoni, e nota: "Mai più dobbiamo tollerare scempi come questo, mai più dobbiamo permettere che partiti come il Partito Democratico possano gestire, come hanno fatto da 20 anni a questa parte, il nostro destino". Mai più!

Prof di ruolo licenziato, insegnava male A Treviso scoppia un caso nazionale

Treviso, professore di ruolo licenziato perché insegnava male: scoppia un caso nazionale





E' stato licenziato un professore dell'Istituto superiore Einaudi -Scarpa di Montebelluna, provincia di Treviso, per non aver saputo svolgere al meglio il proprio lavoro. Il caso è sicuramente più unico che raro, perché il docente in questione non è un precario o un supplente, ma un docente con cattedra. 

Il caso - La disavventura del prof, che probabilmente aprirà la strada ad altri casi analoghi, inizia nel 2007 con l'immissione in ruolo del docente per una cattedra di educazione tecnica. Lo scorso anno studenti e genitori hanno iniziato a segnalare al preside dell'istituto, Gianni Madallon, delle incongruenze nelle valutazioni: voti molto bassi in verifiche giuste, e voti alti altisonanti per compiti sbagliati. Il dirigente ha dunque avvisato l'ufficio scolastico regionale che ha inviato degli ispettori per verificare il lavoro del docente. L'iter è durato sei mesi, con la scelta di licenziare il docente. 

E' possibile licenziare -  Di casi analoghi non ce ne sono si può dire. A parte uno del 1987, in cui un'insegnante di Padova perse il lavoro per lo stesso motivo. Sicuramente è molto difficile licenziare per una mancanza nella qualità dell'insegnamento. Si può togliere il posto più facilmente a chi offende o minaccia un collega, il difficile viene nel dimostrare in un' aula di tribunale, quando quel docente accusato di imperizia ricorre alla magistratura, che non si riesce davvero a spiegare Platone. Stando alle stime, nelle scuole pubbliche italiane su oltre 650mila docenti di ruolo, il 3% (22mila docenti) sono inadeguati. 

Le leggi - In tutte le leggi è prevista la rimozione dall'incarico per inadempienza didattica. Si va dal Testo Unico sulle disposizioni legislative in materia d' istruzione del 1994 al decreto legge 150/2009, firmato dall' ex ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Tuttavia, al netto di un percorso normativo chiaro, i sindacati temono ora l' effetto del disegno di legge sulla Buona scuola. Tra i punti della riforma c' è, infatti, quello della valutazione per il corpo docente che peserà per ben il 70% sugli scatti salariali. "La valutazione –- spiega il segretario nazionale della Flc-Cgil, Domenico Pantaleo –- per come è stata presentata finora dal Governo, seguirà dei criteri molto discrezionali e poco oggettivi perché mancano dei parametri, affidando il giudizio sull' operato di un insegnante al preside, a due docenti mentor e a uno di staff. Si vuole migliorare la scuola ma si rischia l' effetto contrario – prosegue Pantaleo – dando il via a valutazioni e possibili procedimenti basati sull' onda dell' emotività. Questa scelta invece che affinare le potenzialità dell' istruzione italiana – conclude un segretario – potrebbe generare un meccanismo che priverebbe qualsiasi docente anche delle più basilari tutele contrattuali»"

Btp, risparmi e mutui e case: effetto Draghi sulle nostre tasche

Draghi, Bce e Quantitative easing, gli effetti sulle nostre tasche: btp e depositi in calo, mutui più leggeri

di Tobia De Stefano 



Allacciate le cinture, si parte. Lunedì la Bce immetterà sul mercato la prima ondata di liquidità da 60 miliardi con l’obiettivo dichiarato di far ripartire l’economia e scacciare definitivamente gli spettri della deflazione. Magari ci vorrà qualche mese, ma, parola di Draghi, si andrà avanti di questo passo. Dal 9 marzo fino a settembre del 2016 gli acquisti di titoli di Stato supereranno quota mille miliardi con ovvie conseguenze anche su prezzi e andamenti di Bot, Btp, bond, mutui e strumenti vari di liquidità. Insomma, anche sui risparmi degli italiani. Cosa fare? Conti di deposito. Una premessa: dimentichiamoci il 3-4% lordo che i conti di deposito, magari se vincolati, garantivano fino a non troppi mesi fa. Oggi i migliori rendono non più del 2% e con i tassi così bassi e il Quantitative Easing galoppante molto probabilmente scenderanno ancora.

Scarsi guadagni con i titoli di Stato. Lo spread ormai oscilla intorno a quota 100 punti e il rendimento del Btp decennale non supera l’1,35% lordo. Se solo si pensa che a inizio 2014 eravamo intorno al 4% si capisce come nel giro di un anno sia cambiato il mondo. «L’aspetto fondamentale - spiega l’analista obbligazionario di Banca Albertini Syz Angelo Drusiani - è la bassissima redditività di qualsiasi investimento sui titoli di Stato, in particolare sui bond dei paesi non virtuosi. Il decennale portoghese non va oltre l’1,80%, mentre i titoli di Stato greci superano il 9% ma vista l’indecifrabilità della situazione politica presentano eccessivi. E parliamo delle durate più lunghe, perché se dovessimo considerare quelle medio basse, allora scenderemmo sotto l’1%».

Insomma, grandi margini per chi volesse entrare ora non ce ne sono e anche in futuro il quadro non dovrebbe cambiare. «Guardando quanto è successo negli Usa (il Qe della Fed, ndr), questa fase dovrebbe continuare anche nei prossimi mesi. L’unica variabile può essere la decisione, probabilmente tra giugno e settembre, della Fed di alzare i tassi. In quel momento si potrebbe ipotizzare una sorta di contagio». E anche per chi volesse puntare sul mercato delle obbligazioni societarie la strada è tutt’altro che in discesa. «Il mercato corporate - continua Drusiani - offre rendimenti più interessanti, ma il problema è che le nuove emissioni partono da un importo minimo di 100 mila euro e quindi sono poco accessibili. Morale della favola: investire attraverso fondi di investimento o private banker oggi darebbe quella garanzia di diversificazione planetaria che oggi è ancora più importante». 

Mutui e case. Già da diversi mesi i costi sui mutui sono in calo e il trend dovrebbe continuare almeno per tutto il 2015. «Il grosso della discesa - spiega Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline.it - è alle spalle, ma sono prevedibili ulteriori limature. Oggi gli spread sono sotto il 2% e toccano la soglia minima dell’1,50% per il variabile e dell’1,85% per il fisso, in futuro questi picchi potrebbero diventare delle medie con i prodotti più convenineti che arriveranno fino all’1,30%». Ma tornare all’1% non è ipotizzabile. «Non credo si ritorni a certi livelli, il sistema economico anche se in ripresa non è solido come anni fa e gran parte delle richieste oggi riguardano la surroga (la possibilità di cambiare il vecchio mutuo con un nuovo prestito) che consente di risparmiare in media 30-40 mila euro a famiglia. In questo momento i migliori tassi fissi costano intorno al 3% e chi sostituisce un prodotto sottoscritto nel 2011-2012 con tassi intorno al 5-6% riesce a risparmiare migliaia e migliaia di euro (vedi la tabella sopra ndr)». E se riduci i tassi sui mutui e aumenti la liquidità sul mercato per forza di cose anche i prezzi delle abitazioni vanno su. Così come vanno su le attività finanziarie, per esempio le azioni. «La Borsa italiana - conclude Drusiani - è ancora la più interessante perché arriva da anni di grandi svalutazioni e perché diverse società hanno nell’export (altro effetto del Qe è l’indebolimento dell’euro ndr) la loro punta di diamante. Insomma, tutto il settore industriale è da tenere in grande considerazione».

Renzi teme il flop e chiama il Cav Voti e patto, ecco cosa si son detti

Matteo Renzi teme il flop e richiama Silvio Berlusconi: "Vieni a trovarmi"


di Paolo Emilio Russo 


È volato a Mosca, ricevuto da Vladimir Putin, per discutere di geopolitica e della crisi Ucraina. Nel mentre, però, Matteo Renzi dispensava randellate a destra, ma soprattutto a manca, sul suolo italico. Lo strumento utilizzato è una intervista concessa al settimanale L’Espresso: il premier parla del futuro, annuncia una «svolta a sinistra», lancia un appello a Silvio Berlusconi e accusa senza mezzi termini la presidente della Camera, Laura Boldrini, di essere «uscita dal recinto istituzionale». 

Andiamo con ordine. Il nuovo “calendario” dell’esecutivo conterrà le «unioni civili» e un «accordo fiscale con il Vaticano», annuncia il premier. «Dobbiamo fare le cose di sinistra», dice testualmente. Tra queste c’è una trattativa - in corso - con il Vaticano per «recuperare soldi», come già fatto con la Svizzera. Se il segretario Pd torna a chiedere la riduzione «a quattro corpi di Polizia» e parla di un «modello di governo dove c’è un forte indirizzo del sindaco», i passaggi più forti dell’intervista sono destinati a Silvio Berlusconi, a Laura Boldrini e Maurizio Landini. 

Al leader di Forza Italia, col quale ha rotto dopo dodici mesi di feeling in occasione del voto per il nuovo Presidente della Repubblica, il premier riserva parole che sembrano di comprensione: «Io sono stato leale con il Patto del Nazareno, lui no. Penso perché costretto da Renato Brunetta e da qualche stratega illuminato di Palazzo Grazioli», dice Renzi all’Espresso. Il Cavaliere, in realtà, sostiene esattamente il contrario: «Io sono stato leale», ha sempre detto sin dall’indomani dello strappo. Renzi sembra avere una sua ricostruzione dell’accaduto, ma prova a “scagionare” il leader di Forza Italia e gli lancia un vero e proprio appello: «Dal primo giorno il capogruppo di Forza Italia alla Camera, a differenza del Senato, ha remato contro le riforme e il patto del Nazareno. Brunetta ha lavorato per fare fuori le colombe», dice. Il leader Pd “rivaluta” anche Denis Verdini, che aveva fatto da parafulmine dopo il fallimento della trattativa sul Quirinale: «È un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza. Sa che abbiamo i numeri anche da soli». L’ex sindaco rivela alcuni contenuti dei passati faccia a faccia col suo predecessore: «Io l’ho sempre detto a Berlusconi: il patto con te lo faccio per un atto politico, non per una necessità numerica. Lui ha cambiato idea, i colloqui tra Brunetta e una parte della minoranza del Pd lo hanno convinto che sulla riforma costituzionale mi sarei fermato. Invece siamo andati avanti». 

Detto ciò, il premier sembra disponibile a riaprire un canale di dialogo, forse anche per garantirsi quei numeri che almeno in Senato certamente non ha oggi, specie per far passare le riforme: «Sono rimasto molto scottato, tuttavia per il momento Berlusconi rappresenta i moderati», premette. E aggiunge: « È il capo del principale partito dell’opposizione, dato che Beppe Grillo si tiene fuori da tutto, si marginalizza da solo. Ora mi auguro che Forza Italia torni alla ragionevolezza: questa norma l’abbiamo scritta insieme. Come spiegheranno il voto contro?». Intanto i piddini incontreranno una delegazione di grillini per discutere di Rai. 

Se il Cavaliere al telefono coi suoi dice di non volere che «utilizzino Renato come pretesto», lo stesso Brunetta, che fu davvero tra gli ispiratori dello strappo, sembra quasi onorato: «Il premier mi cita 3 volte come suo arcinemico in una sola intervista. Sono diventato, mio malgrado, sua ossessione. #Matteostaisereno», scherza. Ad Arcore le battute del leader Pd sono state comunque accolte con soddisfazione: «Vedremo, ma certo è un segnale importante», ha commentato il Cavaliere. Già da alcuni giorni i forzisti hanno abbandonato la linea dell’Aventino e parteciperanno al voto in Aula.

L’attacco più pesante è riservato alla numero uno di Montecitorio. L’esponente di Sel viene accusata senza mezzi termini di avere perso l’aura di imparzialità che ci si aspetta da una importante carica istituzionale: «Non mi spiego certe posizioni che ha preso negli ultimi giorni, uscendo anche dal suo perimetro di intervento istituzionale». Il riferimento è al monito della presidente, che aveva chiesto all’esecutivo di fare un uso più accorto dello strumento del decreto legge, che blinda le discussioni in Parlamento e lo «esautora». 

Le critiche alla numero uno di Montecitorio, accusata di essere «mossa dalla volontà di fare un leader politico», «esattamente come il segretario della Fiom, Maurizio Landini», non sono certamente frutto di un lapsus. Ieri sera, infatti, la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, le ha rilanciate: «La Boldrini ha travalicato il suo ruolo». A difendere la presidente, stavolta, soltanto Sel: «Renzi pensa che le Camere siano una dependance di Palazzo Chigi?», contrattacca il capogruppo, Arturo Scotto.