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lunedì 9 marzo 2015

"Don giussani santino autoreferenziale" Socci: ora il Papa demolisce i ciellini

Antonio Socci: così il papa demolisce Comunione e liberazione

di Antonio Socci 


Antonio Socci 

Che cosa è accaduto ieri in piazza San Pietro fra papa Bergoglio e gli aderenti a Comunione e liberazione? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Il 3 marzo scorso, nell’omelia di santa Marta, il papa disse: «Ma come posso convertirmi? La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia... Si toglie col “fare”... cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? È semplice! “Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”».

In quelle stesse ore don Julian Carron, responsabile pro tempore di CL, sul tema della conversione scriveva l’esatto opposto: «Ogni volta che davanti a questa o quella situazione ci chiediamo che cosa dobbiamo fare, dimostriamo che non abbiamo ancora risposto a quella domanda. Niente lo documenta più di questo “che cosa fare?”. Abbiamo una cosa da fare, solo una: convertirci».

Bergoglio identifica la conversione con un “fare”, con un attivismo sociale che abbiamo già visto in America Latina e qui negli anni Settanta in certi gruppi cattolici di sinistra, dove alla fine Cristo si riduceva a “pretesto” per un attivismo sempre più politico e ideologizzato. Invece don Carron percorre la via di un ripiegamento intimistico che toglie alla fede e alla comunità cristiana ogni dinamica umana espressiva e si risolve in quella “scelta religiosa” che decenni fa venne fatta dall’Azione Cattolica e fu sempre combattuta da don Giussani come il suicido del cattolicesimo. Giussani aborrì allo stesso modo la riduzione “sociale” e attivistica del cristianesimo che considerava succube delle ideologie.

Fra la risposta bergogliana del “fare” e quella carroniana dell’intimismo psicoanalitico, c’è infatti una terza risposta, quella giusta, che è sempre stata espressa, potentemente, da don Giussani, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Si potrebbe sintetizzare così: l’incontro con Cristo, attraverso il volto dei suoi amici, della comunità cristiana, dà senso e bellezza alla vita, abbraccia e cambia tutta la persona, tutta la sua esistenza, e genera un popolo che ha uno sguardo originale su tutto, che ha un giudizio cristiano su ogni aspetto della vita personale e sociale, proponendo a tutti un orizzonte più umano e più vero di quello delle ideologie dominanti.

Ieri, in piazza San Pietro, papa Bergoglio e don Carron, pur da posizioni contrapposte, si sono trovati convergenti nel tentativo di liquidare proprio questa via, che Giussani ha percorso dando vita a Comunione e liberazione, la via che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno riconosciuto e sostenuto, essendo anche la loro e quella della Chiesa. Certo, ieri a Roma si è reso omaggio all’uomo Giussani, ma trasformato in un santino e isolato dalla sua storia. Tentando di delegittimare e archiviare l’opera che da lui è nata, il popolo di Comunione e liberazione e la sua formidabile presenza sociale e culturale, la sua originale creatività che dagli anni Settanta ha incontrato e coinvolto tantissimi giovani e molti non credenti. Oggi restare fedeli con il cuore a quella storia, «a quella forma di insegnamento, alla quale siamo stati consegnati» (Ratzinger), significa, secondo Bergoglio, essere «guide da museo e adoratori di ceneri». E purtroppo don Carron converge su questa “liquidazione” di una storia comunitaria e di una presenza eccezionale.

Così però Bergoglio dice il contrario di quanto hanno affermato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e don Giussani. È innegabile, se non si vuol nascondere la testa sotto la sabbia. Faccio due esempi. Una delle bastonate di Bergoglio a CL è sull’autoreferenzialità. In effetti CL, come altre realtà ecclesiali, oggi ha questo grave problema, tanto è vero che la sua presenza pubblica è pressoché svaporata, e però Bergoglio non ha colpito solo l’attuale CL carroniana, ma anche e soprattutto il forte senso di appartenenza che Giussani ha insegnato, cioè l’identità comunitaria tuttora viva dei ciellini.

Infatti ha detto: «Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una spiritualità di etichetta: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale». Ma è facile ricordare parole opposte di Giussani sull’ “essere di CL”. Proprio l’altroieri il portavoce di CL, Alberto Savorana, in un’intervista, ricordava che il nome del Movimento nacque da un volantino degli universitari nel 1969: «Un giorno, entrando in uno dei locali frequentati da questi studenti, in via Ariosto a Milano, don Giussani vede quel volantino appeso, con riferimento al nome scelto da quelli della Statale, e dice: “Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari, perché comunione è liberazione”».

La seconda bastonata bergogliana è arrivata quando ha contrapposto il carisma a Gesù Cristo, mentre invece - come ha spiegato mille volte don Giussani - «il carisma è l’avvenimento di Cristo secondo la modalità con cui investe il mio presente... facilita l’appartenenza a Cristo, cioè è l’evidenza dell’avvenimento presente oggi... In questo senso il carisma introduce alla totalità del dogma». Giussani spiegava bene la parola: «Un carisma si può definire come un dono dello Spirito dato a una persona in un determinato contesto storico, affinché quell’individuo dia inizio a una esperienza di fede che possa risultare in qualche modo utile alla vita della Chiesa. Sottolineo il carattere esistenziale del carisma: esso rende più convincente, più persuasivo, più “abbordabile” il messaggio cristiano proprio della tradizione apostolica. Un carisma è un terminale ultimo dell’Incarnazione, cioè una modalità particolare attraverso la quale il Fatto di Gesù Cristo uomo-Dio mi raggiunge e, per il tramite della mia persona, può raggiungere altri». Invece Bergoglio contrappone le due cose: «Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada». Il messaggio implicito era il seguente: adesso dimenticate la vostra storia e il vostro carisma per seguire me e le mie idee. In realtà, nella storia della Chiesa, la ricchezza è stata proprio nella diversità di carismi: i benedettini sono diversi dai francescani, i domenicani dai gesuiti, i carmelitani dai comboniani. E tutti sono centrati su Cristo.

Anche i papi dei nostri anni hanno affermato cose opposte all’idea bergogliana. Per esempio, Giovanni Paolo II, in una lettera a Giussani per il 50° anniversario della nascita del Movimento, nel febbraio 2004, volle ripetere ai ciellini ciò che già tante volte aveva detto: «Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell’unica potestà che è Cristo Signore!». Poi espresse un altro giudizio diametralmente opposto a quello pronunciato ieri da Bergoglio: «Il vostro Movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale. La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo».

Papa Wojtyla definiva il Movimento «uno dei germogli della promettente “primavera” suscitata dallo Spirito Santo negli ultimi cinquant’anni». E, considerato che erano stati anni segnati «da una sofferta contrapposizione con le ideologie imperanti, da una crisi dei progetti utopistici e, più recentemente, da una diffusa tendenza al relativismo, allo scetticismo, al nichilismo, che rischiano di estinguere i desideri e le speranze delle nuove generazioni», il grande papa Wojtyla invitava tutti i ciellini «a risalire all’esperienza sorgiva da cui il Movimento ha preso le mosse, rinnovando l’entusiasmo delle origini. È infatti importante mantenersi fedeli al carisma degli inizi per poter rispondere efficacemente alle attese e alle sfide dei tempi». L’opposto di quello che si è sentito ieri.

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