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venerdì 6 marzo 2015

Renzi teme il flop e chiama il Cav Voti e patto, ecco cosa si son detti

Matteo Renzi teme il flop e richiama Silvio Berlusconi: "Vieni a trovarmi"


di Paolo Emilio Russo 


È volato a Mosca, ricevuto da Vladimir Putin, per discutere di geopolitica e della crisi Ucraina. Nel mentre, però, Matteo Renzi dispensava randellate a destra, ma soprattutto a manca, sul suolo italico. Lo strumento utilizzato è una intervista concessa al settimanale L’Espresso: il premier parla del futuro, annuncia una «svolta a sinistra», lancia un appello a Silvio Berlusconi e accusa senza mezzi termini la presidente della Camera, Laura Boldrini, di essere «uscita dal recinto istituzionale». 

Andiamo con ordine. Il nuovo “calendario” dell’esecutivo conterrà le «unioni civili» e un «accordo fiscale con il Vaticano», annuncia il premier. «Dobbiamo fare le cose di sinistra», dice testualmente. Tra queste c’è una trattativa - in corso - con il Vaticano per «recuperare soldi», come già fatto con la Svizzera. Se il segretario Pd torna a chiedere la riduzione «a quattro corpi di Polizia» e parla di un «modello di governo dove c’è un forte indirizzo del sindaco», i passaggi più forti dell’intervista sono destinati a Silvio Berlusconi, a Laura Boldrini e Maurizio Landini. 

Al leader di Forza Italia, col quale ha rotto dopo dodici mesi di feeling in occasione del voto per il nuovo Presidente della Repubblica, il premier riserva parole che sembrano di comprensione: «Io sono stato leale con il Patto del Nazareno, lui no. Penso perché costretto da Renato Brunetta e da qualche stratega illuminato di Palazzo Grazioli», dice Renzi all’Espresso. Il Cavaliere, in realtà, sostiene esattamente il contrario: «Io sono stato leale», ha sempre detto sin dall’indomani dello strappo. Renzi sembra avere una sua ricostruzione dell’accaduto, ma prova a “scagionare” il leader di Forza Italia e gli lancia un vero e proprio appello: «Dal primo giorno il capogruppo di Forza Italia alla Camera, a differenza del Senato, ha remato contro le riforme e il patto del Nazareno. Brunetta ha lavorato per fare fuori le colombe», dice. Il leader Pd “rivaluta” anche Denis Verdini, che aveva fatto da parafulmine dopo il fallimento della trattativa sul Quirinale: «È un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza. Sa che abbiamo i numeri anche da soli». L’ex sindaco rivela alcuni contenuti dei passati faccia a faccia col suo predecessore: «Io l’ho sempre detto a Berlusconi: il patto con te lo faccio per un atto politico, non per una necessità numerica. Lui ha cambiato idea, i colloqui tra Brunetta e una parte della minoranza del Pd lo hanno convinto che sulla riforma costituzionale mi sarei fermato. Invece siamo andati avanti». 

Detto ciò, il premier sembra disponibile a riaprire un canale di dialogo, forse anche per garantirsi quei numeri che almeno in Senato certamente non ha oggi, specie per far passare le riforme: «Sono rimasto molto scottato, tuttavia per il momento Berlusconi rappresenta i moderati», premette. E aggiunge: « È il capo del principale partito dell’opposizione, dato che Beppe Grillo si tiene fuori da tutto, si marginalizza da solo. Ora mi auguro che Forza Italia torni alla ragionevolezza: questa norma l’abbiamo scritta insieme. Come spiegheranno il voto contro?». Intanto i piddini incontreranno una delegazione di grillini per discutere di Rai. 

Se il Cavaliere al telefono coi suoi dice di non volere che «utilizzino Renato come pretesto», lo stesso Brunetta, che fu davvero tra gli ispiratori dello strappo, sembra quasi onorato: «Il premier mi cita 3 volte come suo arcinemico in una sola intervista. Sono diventato, mio malgrado, sua ossessione. #Matteostaisereno», scherza. Ad Arcore le battute del leader Pd sono state comunque accolte con soddisfazione: «Vedremo, ma certo è un segnale importante», ha commentato il Cavaliere. Già da alcuni giorni i forzisti hanno abbandonato la linea dell’Aventino e parteciperanno al voto in Aula.

L’attacco più pesante è riservato alla numero uno di Montecitorio. L’esponente di Sel viene accusata senza mezzi termini di avere perso l’aura di imparzialità che ci si aspetta da una importante carica istituzionale: «Non mi spiego certe posizioni che ha preso negli ultimi giorni, uscendo anche dal suo perimetro di intervento istituzionale». Il riferimento è al monito della presidente, che aveva chiesto all’esecutivo di fare un uso più accorto dello strumento del decreto legge, che blinda le discussioni in Parlamento e lo «esautora». 

Le critiche alla numero uno di Montecitorio, accusata di essere «mossa dalla volontà di fare un leader politico», «esattamente come il segretario della Fiom, Maurizio Landini», non sono certamente frutto di un lapsus. Ieri sera, infatti, la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, le ha rilanciate: «La Boldrini ha travalicato il suo ruolo». A difendere la presidente, stavolta, soltanto Sel: «Renzi pensa che le Camere siano una dependance di Palazzo Chigi?», contrattacca il capogruppo, Arturo Scotto.

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