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sabato 28 febbraio 2015

Controlli anche sui 730 precompilati La guerra totale del Fisco: le novità

Fisco, dall'Agenzia delle Entrati controlli anche sui 730 precompilati non modificati





Il Fisco controllerà anche il 730 precompilato senza modifiche alla ricerca di errori. E' uno degli effetti principali delle modifiche sui visti di conformità apportate con il cosiddetto decreto semplificazioni (dlgs 21 novembre 2014, n. 175). Secondo quanto riferisce il quotidiano ItaliaOggi, i controlli formali verranno effettuati su professionisti commercialisti e Caf attraverso cui si presentano modelli 730 modificati o meno rispetto alla versione precompilata. Nei confronti del contribuente, precisa l'Agenzia delle Entrate, il controllo formale "verrà limitato sulla verifica della sussistenza delle condizioni soggettive che danno diritto a detrazioni, deduzioni e agevolazioni". Le conseguenze più pesanti, però, sono appunto per Caf e commercialisti, obbligato tra l'altro ad adeguare le loro polizze assicurative, innalzando a 3 milioni di euro (dai precedenti 2 miliardi di lire, poco più di un milione di euro) la soglia del massimale di polizza ed estendendo la garanzia assicurativa per la nuova fattispecie di visto infedele apposto su un modello 730 che li espone al pagamento di una somma pari alle imposte, interessi e sanzioni che sarebbero stati richiesti al contribuente. 

Le sanzioni - Nel caso di "visto infedele", la circolare dell'Agenzia delle Entrate precisa che sia con la presentazione della dichiarazione di rettifica del contribuente sia con la comunicazione dei dati rettificati da parte del Caf o del professionista, la responsabilità di questi ultimi sarà limitata al pagamento dell'importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente anziché anche alla imposta e agli interessi.

Giudici danno ragione a Libero: "La Rai è un'azienda lottizzata"

Rai, i giudici assolvono Libero e Oscar Giannino: "E' lottizzata, non è diffamazione"





La lottizzazione politica in Rai? E' cosa nota. Con questa motivazione la Corte di Appello di Milano ha assolto dall'accusa di diffamazione Oscar Giannino, il giornalista di Libero Enrico Paoli e l'allora direttore Alessandro Sallusti, portati a processo nel 2008 da viale Mazzini a causa di alcuni articoli pubblicati su Libero nel febbraio 2008. La tesi di quegli articoli, corredati da un diagramma, era chiara: in Rai le 900 poltrone dirigenziali erano spartite a seconda dell'appartenenza politica, seguendo un rigoroso manuale Cencelli che rispettasse le quote riservate a destra, sinistra e tecnici. 

Gli allora presidente e direttore generale della tv pubblica Claudio Petruccioli e Claudio Cappon non la presero bene e adirono alle vie legali. "Non era sicuramente un documento ufficiale Rai, e non è dunque il prodotto di una illecita schedatura domestica - spiegano i giudici milanesi -, tuttavia deve ritenersi atto informale interno, di provenienza verticistica, perché redatto da soggetto molto ben informato dell'effettivo organigramma". E sulla distribuzione "politica" dei dirigenti, la Corte d'Appello sottolinea come sia "circostanza notoria" che in Rai "anche i soggetti più che meritevoli siano avvantaggiati dalle conoscenze in ambito politico, perché sovente per fare carriera le sole doti personali non bastano e la meritocrazia è concetto di eccezionale applicazione, riservato a quei rari casi che emergono dal coro per peculiari e incontestabili capacità".

L'ìntervista di Giacomo Amadori "Le primarie, le escort, le mazzette" Il deputato del Pd vuota il sacco

Pd, parla il deputato Marco Di Stefano: "Dalle tangenti alle escort, vi racconto tutto"

Intervista a cura di Giacomo Amadori 



Al telefono la voce arrochita è da protagonista di un film poliziottesco anni '70. E in fondo l'onorevole del Pd (autosospeso) Marco Di Stefano lo sbirro lo ha fatto per davvero. Sebbene adesso sia accusato di essere un birbante e di aver intascato una tangente milionaria. L'avrebbe pagata il costruttore romano Daniele Pulcini per far affittare due palazzoni dalla regione Lazio, di cui Di Stefano è stato assessore. Ma da quando è indagato al parlamentare pd è stato attribuito di tutto, dai festini a luci rosse all'acquisto della laurea. I suoi grandi accusatori sono l’ex moglie Gilda Renzi e Bruno Guagnelli, fratello di Alfredo, l'amico di Di Stefano scomparso in circostanze misteriose nel 2009. Oggi per quella sparizione la procura di Roma indaga per omicidio. «Che sia chiaro: questa non è un'intervista, è una chiarificazione. Ma se vuoi usare queste parole (Di Stefano è un tipo che passa subito al tu ndr), usale bene. Io in questa vicenda c'entro poco: su di me è stato fatto un film».

La sua vecchia consorte sostiene che lei abbia intascato una mazzetta da 1,6 milioni di euro.

«Durante la separazione quella donna mi ha accusato di cose assurde che ho dimostrato false. Pensa che si è persino candidata con l'Udeur contro di me, senza aver mai fatto politica, pensando di darmi fastidio e ha preso la miseria di 38 voti. La sorella, con lo stesso obiettivo, è diventata presidente dell'Udeur di Roma. La mia ex moglie mi ha giurato vendetta. È pure andata da mia madre ottantenne a dirle che mi avrebbe mandato in galera».  

Quindi i soldi della tangente non li troveranno... 

«Non esistono e per quello sto tranquillo». 

Hanno scritto che lei è andato a Ginevra a nascondere i suoi soldi, scortato dalla polizia...

«Non sono mai stato a Ginevra e non so neanche come arrivarci. Hanno scritto pure che sono legato ai servizi segreti e che preparo dossier. Sono accuse allucinanti». 

È vero che si è comprato una laurea?  

«Un altro attacco incredibile. Ho fatto un pugno di esami in un’università telematica che se ci va un cerebroleso o un ragazzino di 12 anni si laurea in due anni. Quegli atenei online servono per prendere un pezzo di carta. Un mio amico (il presunto docente corrotto, ndr) mi ha detto: “A te basta il 18, preparati tre o quattro argomenti a piacere, in fondo un po’ di parlantina ce l'hai e i professori sono quello che sono”. Alla fine, in tre anni, dal 2007 al 2010, sono riuscito a dare solo 5 o 6 esami, poi ho lasciato perdere. Altro che laurea comprata». 

Nell'inchiesta di Roma è coinvolta anche la sua attuale compagna, Claudia Ariano. Lei la fece assumere nel 2009 da una società controllata dalla Regione. 

«Assolutamente no. È stata presa a Lazio service quando io non ero più assessore ed ero in guerra con l'allora governatore Piero Marrazzo. Figurati se assumevano la mia compagna, anche se in quel momento, per essere precisi, non lo era ancora. La stavo corteggiando senza troppa fortuna... Persone per bene come lei ce ne sono poche». 

È accusata di aver scritto una relazione sulla base della quale è stato affittato uno dei due palazzi di Pulcini. 

«Le hanno chiesto di tracciare il quadro della situazione, ma quell’edifico non l’ha preso lei. L’hanno tirata dentro per coinvolgere me. Poteva una dirigente che stava là da tre mesi indurre ad affittare un palazzo intero una società che ha un cda, un presidente, un direttore generale, un assessore e un governatore di riferimento? Siamo di fronte a un altro film». 

I soldi della mazzetta glieli trovano o no? 

«Ma che mi trovano? Io spero che stiano setacciando tutto il mondo. Io con quella storia del palazzo di Lazio service non c’entro niente. Sono andato a un’assemblea dei soci con delega di Marrazzo, con un ordine del giorno scritto da Marrazzo e ho soltanto detto che dal 2005 esisteva un problema logistico per centinaia di dipendenti e che la Corte dei conti ci aveva dato 70 milioni di multa perché usavamo il personale di Lazio service in maniera impropria». 

Con il senno di poi si rioccuperebbe di una vicenda che riguardava un immobile di un suo amico? 

«Non è colpa mia se c'è stata una gara pubblica e lui l'ha vinta. Sono stato dieci anni in commissione urbanistica e per questo chiunque avesse ottenuto l'appalto sarebbe stato mio amico. Conosco pure il tuo editore. Chi non conosco a Roma io?» 

Alcuni testimoni dicono che Alfredo Guagnelli, il 28 aprile 2009, avrebbe ritirato a Montecarlo un milione di euro in contanti da suo cognato, Maurizio De Venuti, per un investimento... 

«Chi ce li ha i soldi a Montecarlo? E secondo te io facevo investimenti con Alfredo? Che non vedevo quello che combinava negli affari?».  

Eppure ci sono tre testimoni. 

«E che dicono? Io li querelo». 

Dopo gli articoli di «Libero» suo cognato è stato pure sentito in procura e i magistrati hanno mostrato la sua foto a più di un teste per vedere se lo riconoscessero. 

«Maurizio sta sempre insieme con me, certo che lo conoscono». 

I pm stanno verificando se il 28 aprile di sei anni fa si trovasse a Montecarlo. 

«Può darsi che ci fosse. Mio cognato da 20 anni va nel Principato almeno tre volte l'anno. Lo avrà dichiarato anche ai pm. Ma non credo che questo sia un reato». 

De Venuti ha incontrato Guagnelli a Montecarlo quel giorno di primavera? 

«Non lo escludo. Ma anche questo non è un reato». 

C'era pure lei nel Principato? 

«Non lo so. Comunque lassù Alfredo aveva molti altri contatti». 

Gli inquirenti stanno verificando se suo cognato abbia davvero consegnato un milione di euro. 

«Non può essere accaduto». 

Ma perché i testimoni hanno parlato di soldi? 

«Lo avrà fatto Guagnelli e non so perché. Avrà avuto i suoi motivi. E se quel giorno lui e Maurizio erano entrambi a Montecarlo non significa che mio cognato gli abbia elargito quella somma». 

Sui giornali l'hanno accusata di aver preso parte a festini sexy e Bruno Guagnelli dice che il fratello le avrebbe messo a disposizione una ragazza della sua agenzia di modelle... 

«I festini sono un’incredibile invenzione». 

E la fanciulla di cui parla Bruno? 

«Mi trovavo al casale di Alfredo in Toscana e ci stava pure lei».  

Ci sono testimoni che dicono di avervi visti consumare un rapporto. 

«È entrato un domestico mentre stavo guardando una partita di calcio e questa stava vicino a me. Ero un personaggio in vista e come tutte le ragazze ha provato a fare qualcosa… ma mi chiedo dove sia il reato». 

Per Bruno Guagnelli era stata pagata da suo fratello. 

«Non penso che fosse una escort. Visto che non ero brutto e contavo qualcosa se un’amica di Alfredo veniva con me potevo immaginare che fosse pagata? Con lui ci siamo divertiti, era un compagnone, ma i ruoli erano chiari e distinti: l’assessore ero io e lui solo un mio amico. Se avessimo commesso qualche illecito insieme il giorno dopo ci avrebbero scoperto. Probabilmente, in certi ambienti lui si è venduto il mio nome, la mia amicizia, questo sì».
  
L'hanno definita il boss del Pd romano... 

«Ma io non conto un cazzo. Quando hanno fatto il rimpasto in Regione sono stato il primo che hanno cacciato perché non avevo coperture nazionali». 

Eppure ha ottenuto numerose preferenze... 

«Vengo dalla strada, ho sempre sputato sangue e ho gente che mi vuol bene. Se mi candido a Roma arrivo primo o secondo e invece alle primarie sono arrivato ventitreesimo». 

Bravo. Parliamo delle primarie. In un'intercettazione lei minacciava sfracelli. 

«Ho detto certe cose solo perché avevo il patema d’animo». 

Ma è innegabile che le primarie del Pd siano molto chiacchierate. 

«Lo dicono tutti. L’ho detto io ed è successa l'iradiddio. Io ho solo presentato un ricorso al mio partito». 

Che cosa non le è piaciuto? 

«Al secondo turno poteva votare solo chi lo avesse già fatto al primo. Nelle mie sezioni, quelle dove ero più forte, hanno mandato presidenti puntigliosissimi. A Casalotti dove prendo mille preferenze molti miei elettori non hanno potuto votare. Invece nelle altre sezioni hanno votato tutti, dai marocchini ai cinesi, e per dimostrarlo ho mandato dei miei amici in giro. Li hanno accettati anche se non avevano partecipato al primo turno. Io fatto ricorso indicando nomi e cognomi degli amici miei. È evidente che c'è stata disparità. Poi dici che sono incazzato. Sono vent’anni che faccio politica e visto che non sono organico al partito, sono sempre sopravvissuto grazie ai miei consensi. Il mio candidato al Comune di Roma è arrivato quarto. Ti sembra possibile che io possa arrivare ventitreesimo? Non ci crede nessuno». 

Però l'hanno fatta entrare in Parlamento da primo dei non eletti... 

«Perché tutti avevano capito che forse avevano esagerato. Alle primarie è successo di tutto. A livello nazionale sono stati presentati mille ricorsi e il partito li ha dovuti bocciare in blocco perché erano troppi. In compenso i primi dei non eletti sono stati tutti piazzati da qualche parte. A me m’hanno mandato alla Camera dopo aver messo quella che mi era arrivata davanti a fare l'assessore: era una che avevano inserito in lista alle tre di notte senza farla passare dalla primarie. Se qualcuno ha lavorato a questa soluzione è perché penso che nel partito lo ritenessero giusto. Non mi sembra che sia una cosa tanto grave». 

Dicono che lei sia un renziano. È stato uno dei relatori alla Leopolda di Firenze. 

«Là sono stati invitati tutti i parlamentari. Hanno chiesto chi volesse tenere un tavolo di discussione: io mi sono offerto e l’ho fatto». 

Si è parlato di una trappola per Renzi... 

«Perché doveva essere un trappola? Certamente sono successe tante cose strane. Ci sono stati giornali che mi hanno aggredito in maniera particolare. In questi mesi ho capito che la politica nazionale è una cosa troppo grande per me».

venerdì 27 febbraio 2015

Vittoria di Renzi in Ue? La Kyenge: a salvarci dagli immigrati sarà lei...

Ue, Cècile Kyenge nominata responsabile per l'emergenza immigrazione





L'Unione europea ha scelto Cècile Kyenge per fermare l'emergenza degli sbarchi di immigrati. Come riporta il Giornale.it, l'ex ministro Pd dell'Integrazione nel governo di Enrico Letta ha ricevuto l'incarico dall'Europarlamento insieme alla maltese Roberta Metsola del Ppe: le due eurodeputate saranno le relatrici del "rapporto di iniziativa strategico sulla situazione nel Mediterraneo e sulla necessità di un approccio globale dell'Ue alle migrazioni". In altre parole, l'Unione europea ha affidato alla Kyenge e alla Metsola il compito di ricordarci come così non si possa andare avanti. Ma attenzione, perché stando ai giudizi espressi a caldo dalla stessa Kyenge, sommati alle riflessioni fatte fino a pochi giorni fa, la linea è chiara: superare Triton così come è stato superato Mare Nostrum, e andare in direzione di una accoglienza che sappia garantire "la tutela della vita umana". Storceranno il naso Matteo Salvini, i leghisti e tutti coloro che pretenderebbero una stretta sugli sbarchi, anziché un allargamento delle maglie. 

"Responsabilità condivisa tra gli Stati" - "Dobbiamo superare il perenne approccio emergenziale con cui è stato sempre affrontato il tema - ha spiegato la Kyenge, commentando la nomina -. Il flusso di migranti che attraversano le frontiere Sud dell'Europa è un fatto strutturale e transnazionale". Quel che occorre, spiega l'ex ministro, è la condivisione delle responsabilità "tra tutti gli Stati membri, ponendo al centro innanzitutto la tutela della vita umana". Un paio di settimane fa, interpellata dall'agenzia di stampa Adnkronos, la Kyenge tuonava contro il ministro degli Interni Angelino Alfano: "Ha abbattuto i costi di Mare Nostrum, ma è a posto con la sua coscienza?". "Alfano ha accettato, davanti all'Europa, una logica al ribasso che ha ridotto la vita umana ad un fatto di costi. 

"Gli sbarchi? Dobbiamo imparare a gestirli" - Il ministro Alfano - proseguiva la Kyenge - dice che anche con Mare Nostrum c'erano comunque i morti? Nel passaggio a Triton il peggioramento c'è stato eccome, lo dicono i numeri, e soprattutto si è dato un costo alla vita umana. Forse, per lui, la vittoria è quella di aver accolto meno persone". "Triton ha fallito ed è servita a lavare la coscienza dei paesi membri dell'Ue, soprattutto dell'Italia", era l'accusa pesante della Kyenge anche al premier Renzi -. Il nostro Paese, primo tra tutti gli altri, deve spingere perché diventi un'operazione europea", visto che in passato "non ha avuto il coraggio di difendere Mare Nostrum. Dobbiamo pretendere di più. I conflitti e le guerre ci sono: è inevitabile che ci siano anche le migrazioni. Noi, piuttosto, dobbiamo imparare a gestirli". In attesa dei risultati di questa nomina ad effetto, il Pd già esulta per il successo segno del "prestigio del Pd in Europa": che sia questo il massimo risultato del semestre di presidenza italiana? 

Salvini dice addio al patto degli spinaci: "Io e Cav troppo diversi, niente accordo"

Lega Nord, Matteo Salvini: "Con Berlusconi niente accordi, siamo troppo diversi"





"Io e Berlusconi siamo diversi, non c'è accordo tra di noi". A meno di tre mesi dalle elezioni regionali che stanno creando non pochi problemi alla Lega Nord in Veneto, il segretario federale del Carroccio Matteo Salvini manda in soffitta il patto degli spinaci sottoscritto ad Arcore appena due settimane fa con il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. "Ad oggi con Berlusconi non c'è un accordo sul piano politico nazionale perché a Bruxelles sediamo su banchi diversi - ha spiegato Salvini da Barberino del Mugello, nel corso del suo tour fiorentino -. Lui difende l'euro che noi riteniamo una moneta sbagliata, lui è insieme alla Merkel, noi alla Le Pen. Abbiamo una visione di Italia e di Europa completamente diversa". Lega e Forza Italia, insomma, sarebbero troppo lontani per pensare a possibili alleanze elettorali alle regionali e non solo, anche se la situazione è decisamente fluida. Ma dalla Toscana Salvini punta il dito contro gli azzurri e il loro filo-renzismo: quella regione, suggerisce il leghista, è "l'esempio migliore di una mancanza di opposizione per dieci anni. Nel senso che qua Fi e Pd hanno inciuciato per dieci anni. Noi vogliamo portare un po' di aria nuova". La sfida del Carroccio è una sola: mandare a casa Renzi, che "si è gonfiato tanto in fretta però quando ti gonfi tanto in fretta, ma non mantieni quello che prometti, ti sgonfi altrettanto in fretta. Ci stiamo preparando al dopo Renzi". 

Bersani, picche a Renzi con minaccia: "Non sono un figurante. E l'Italicum..."

Pd, Pier Luigi Bersani contro Matteo Renzi: "Non andrò alla riunione al Nazareno, non sono un figurante"

di Claudio Brigliadori 



"Io non sono un figurante". Rischia di fare molto male lo schiaffo di Pier Luigi Bersani a Matteo Renzi. Intervistato da Avvenire, l'ex segretario del Pd annuncia che diserterà l'incontro fissato per domani, venerdì 27 febbraio, tra il premier e i parlamentari democratici. "Non ci penso proprio (ad andare, ndr). Perché io m'inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto", dice Bersani, che boccia in toto anche l'impianto del Jobs Act: "Mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni 70" e perciò si pone "fuori dall'ordinamento costituzionale". L'ex candidato premier del Pd uscito con le ossa rotte dal voto del febbraio 2013 guida un nutrito gruppetto di dissidenti anti-renziani: anche Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina hanno annunciato come posizione personale che non parteciperanno alla riunione al Nazareno. 

L'avvertimento sull'Italicum - Ma da  Bersani arriva anche un secco avvertimento al premier su Italicum e riforma costituzionale, altri due nodi da sbrogliare in Parlamento con numeri decisamente risicati per Renzi dopo la rottura del patto con Silvio Berlusconi: "Il combinato disposto tra i due testi rompe l'equilibrio democratico. Se la riforma della Costituzione va avanti così io non accetterò mai di votare la legge elettorale".

La rivoluzione a viale Mazzini: così cambiano i telegiornali Rai

Rai, la riforma di Gubitosi: "Come cambiano i telegiornali"





Il piano news targato Luigi Gubitosi è una realtà: oggi il Cda Rai lo ha approvato nella formulazione che tiene conto del parere della Vigilanza Rai. Tante le novità, a partire da una indicazione che concerne le due newsroom che accorperanno le testate: a quanto apprende resteranno i marchi e i loghi di Tg1, Tg2, Rai Parlamento per la prima newsroom, e di Tg3, Rai News 24 e TGR, per la seconda newsroom. Questo, si sottolinea nel piano, a garanzia di identificabilità e pluralismo. Le due newsroom assumeranno poi il nome di Rai Informazione 1 (che avrà un solo direttore e sei vicedirettori) e Rai Informazione 2 (che avrà anch’essa un direttore e sei vicedirettori). Lo stop alle sovrapposizioni, di troupe e non solo, e più in generale, la razionalizzazione delle risorse produttive consentono, secondo il documento del Dg, risparmi per oltre 70 milioni.

Telegiornali regionali - Più in dettaglio, sembra che sul fronte di Rai Informazione 1  l’intento sia quello di superare la frammentazione delle varie edizioni giornaliere, di mettere a fattor comune la digitalizzazione ed anche di rimodulare il piano logistico della palazzina A di Saxa Rubra. Per quanto attiene poi Rai Informazione 2, si vuole conferire alla TGR un ruolo centrale per la trasmissione di un flusso costante di notizie dalla periferia al centro e viceversa, in uno scambio costruttivo con le risorse culturali e produttive del territorio, anche attraverso una collaborazione con l’informazione televisiva locale di qualità. Novità anche sul fronte delle nomine dei direttori delle testate giornalistiche. Il piano parla di procedure trasparenti che prevedano la pubblicazione sul sito dell’Azienda di un avviso pubblico rivolto sia ai dipendenti Rai, sia ai professionisti esterni. Un cambio sostanziale, questo, se si considera che finora i direttori di testata venivano nominati dal Cda. Sul fronte di internet, il piano punta a sviluppare un progetto per far diventare il web una fonte e uno strumento per la realizzazione del prodotto informativo Rai, anche interagendo con il pubblico dei social media.

Il commento - "Non ci fermiamo mai!". Lo afferma il presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico, sulla sua pagina facebook, raccontando, a proposito di Rai: "Poco fa mi ha chiamato la Presidente della Rai Annamaria Tarantola per comunicarmi  che il Consiglio di amministrazione ha approvato il nuovo Piano news recependo tutte le integrazioni indicate dalla commissione di Vigilanza. Erano 35 anni che non si procedeva ad una riforma dell’informazione"

Schiaffo di Renzi agli automobilisti: cosa cambia se fai un incidente

Assicurazioni, tagliati gli indennizzi per gli incidenti stradali

di Antonio Castro



Fate bene attenzione a non farvi male alla guida di un mezzo o a non farvi investire. Insomma, restate abili e sani (se potete) perché la crisi si è mangiata (o meglio: si potrebbe rosicchiare), un 15% abbondante degli attuali indennizzi di invalidità. Infatti, il recente disegno di legge Concorrenza - se mai passerà al vaglio parlamentare per come è uscito la settimana scorsa da Palazzo Chigi - ritocca al ribasso le basi di calcolo degli indennizzi. In sostanza: ogni punto di invalidità varrà un po’ meno. Si passerà da 795,91 euro a 674,78, -15%. Una limatura non di poco conto: e anche se le nuova tabelle ancora non ci sono, si è già stimato che con questa limatura le assicurazioni risparmieranno milioni, decine di milioni di mancati (o minori) indennizzi.

Spiega tecnicamente l’avvocato Cristiano Pellegrini Quarantotti, esperto proprio in contenziosi sanitari/assicurativi del Foro di Roma: «Il provvedimento andrà ad abbattere considerevolmente la misura dei risarcimenti per le vittime di incidenti stradali, in quanto, oltre a ridurre la base di calcolo (punti di invalidità, ndr) per i danni di lieve entità derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è andata a riformulare la denominazione degli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private, sostituendo la dicitura “danno biologico” in “danno non patrimoniale”». E non si tratta di un cambiamento di «poco conto», approfondisce l’avvocato Pellegrini Quarantotti, «visto che l’importo indicato nelle tabelle nazionali, a questo punto, rischia di vedere ricompreso anche il cosiddetto danno morale che rientrante nella più ampia categoria del danno non patrimoniale, che, fino ad oggi», conclude l’esperto, «veniva liquidato, invece, come posta risarcitoria autonoma rispetto al danno biologico».

Insomma, con questo giochino le assicurazioni risparmieranno un bel po’ di quattrini, e uno stesso danno subito nel 2014 verrà risarcito più vantaggiosamente, mentre se verrà approvato il disegno di legge del governo, allo sfortunato incidentato dal prossimo anno verrà riconosciuto un indennizzo sicuramente minore.

Da giorni gli esperti delle associazioni dei consumatori si sgolano spiegando che se dovesse passare questa riforma ai cittadini sarà recapitata una sonora fregatura. Federconsumatori lo spiega così: «Numerose sentenze di Cassazione hanno ribadito che, per la liquidazione del danno biologico, occorre fare riferimento alle Tabelle del Tribunale di Milano (già basse per i danni), che l’Ania ed il governo vogliono dimezzare, cassando così equi risarcimenti consolidati dal diritto sul danno alla salute». Il governo, con la sforbiciata annunciata venerdì scorso, si proponeva di rendere un po’ meno rigido il nostro sistema assicurativo (paghiamo un costo medio Rc Auto superiore a tutti gli altri Paesi europei, un abbondante 30%), e invece che aumentare i premi in caso di danni invalidanti, come si potrebbe logicamente ipotizzare, sembra aver accolto l’indicazione sussurrata da tempo delle compagnie assicurative.

Ma non basta. Infatti, mettendo mano al capitolo assicurazioni il governo è anche riuscito a far infuriare i riparatori di auto, aprendo - a loro dire - la strada al monopolio delle grandi compagnie pure nel campo delle riparazioni: «Errare è umano», ha tuonato il presidente dei Carrozzieri di Confartigianato Silvano Fogarollo, «ma perseverare è diabolico. Per l’ennesima volta, con le misure in tema di Rc Auto, assistiamo al tentativo di consegnare il mercato delle riparazioni auto nelle mani delle assicurazioni. Questo», taglia corto Fogarollo, «in nome di una presunta liberalizzazione, e senza tener conto che una misura identica era giù stata stralciata nel 2014 dal Decreto Destinazione Italia e che in Parlamento sono state presentate proposte di legge proprio su questa materia». La minaccia, ora, è che il prossimo 7 marzo possano invadere Roma proprio i carrozzieri, anche perché se il ddl confermerà l’impianto anticipato da Renzi ci ritroveremo con oltre «il 50% delle carrozzerie private sul lastrico».

Conti correnti, azioni, oro: guida per evitare guai col Fisco

Svizzera, conti correnti, azioni, oro. Così ci si mette in regola





Ora che il governo Renzi ha siglato l'accordo con la Svizzera sul segreto bancario, bissato da quello con l'altro paradiso fiscale europeo Liechtenstein, cosa cambia per gli italiani che hanno un conto corrente o un deposito a Lugano o a Vaduz? Ecco la guida stilata da La Stampa sulle nuove regole fiscali.

1) Se il conto è regolare e i depositi e i relativi interessi sono sempre stati dichiarati al Fisco italiano non cambia nulla e non c'è niente da temere. Un conto si dice regolare quando ogni anno si dichiarano i capitali posseduti all'estero e gli interessi che producono, al pari degli gli immobili e i relativi redditi che questi producono, compilando il quadro RW della dichiarazione annuale. Prima l'obbligo scattava col superamento delle soglia dei 10mila euro, con l'introduzione della nuova legge la soglia è stata alzata a 15 mila euro.

2) I conti non in regola non sono più protetti dal segreto bancario e in qualsiasi momento l'Agenzia delle entrate potrà richiedere informazioni sui titolari dei conti. Dal 2018, poi, lo scambio di informazioni con la Svizzera sarà automatico.

3) Chi è in possesso di un conto illegale e vuole mettersi in regola può aderire alla voluntary disclosure entro il 30 settembre prossimo compilando l'apposito modulo. In questo modo potrà regolarizzare denaro, immobili, quote di partecipazione in società estero-vestite e lingotti d'oro. Farlo non è conveniente come lo scudo fiscale di una volta ma assicura un forte sconto sulle sanzioni amministrative accessorie, evita quelle penali e circoscrive l'accertamento agli ultimi 5 anni. Le imposte sul capitale detenuto illegalmente all'estero come sugli interessi che ha prodotto vanno però pagate per intero.

4) Chi non si mette in regola rischia sanzioni amministrative salatissime (fino al 300% del capitale) e il nuovo reato di autoriciclaggio (da 2 a 8 anni di reclusione). In ogni caso, da mesi ormai, le banche svizzere non accettano più capitali illeciti e pretendono che vengano sanati quelli già depositati.

5) Un evasore ormai non ha più molte alternative per "salvare" i propri capitali. Anche le principali piazze offshore come Montecarlo, Lussemburgo, Liechtenstein e Singapore, hanno firmato o stanno firmando accordi simili a quelli della Svizzera. Restano pochissimi paradisi fiscali: Dubai, Panama e qualche Paese caraibico.

6) Aprire un conto in Svizzera o in altri Paesi stranieri è ancora possibile a patto però di seguire e rispettare le regole dettate dal Fisco. Si può fare attraverso le filiali italiane (e non online), rispettando le regole di trasparenza italiane. E se fino a ieri chi voleva godere del segreto bancario doveva recarsi personalmente nella banca Svizzera per aprire un conto anche cifrato, ora l'anonimato non varrà più, e oltre al documento di identità occorrerà presentare la documentazione che attesta la produzione del reddito e giustifica l'apertura di un conto all'estero e nel caso si tratti di capitali che si è chiesto di sanare occorre produrre la documentazione che attesta l'avvio delle procedure di voluntary disclosure.

7) I cosiddetti frontalieri, sia italiani che svizzeri (finora non compresi negli accordi), saranno assoggettati a imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività, sia nello Stato di residenza. La quota spettante allo Stato del luogo di lavoro ammonterà al massimo al 70% del totale dell'imposta normalmente prelevabile alla fonte. Il Paese di residenza dei lavoratori applicherà l'imposta sul reddito delle persone fisiche tenendo conto delle imposte già prelevate nell'altro Stato ed eliminando l'eventuale doppia imposizione. Il carico fiscale totale dei frontalieri italiani rimarrà inizialmente invariato e successivamente, con molta gradualità, sarà portato al livello di quello degli altri contribuenti.

Grande Italia in Europa League: 5 su 5 agli ottavi Toro super a Bilbao, impresa Roma col Feyenoord

Europa League, Feyenoord-Roma sospesa per 10 minuti: i tifosi olandesi lanciano oggetti in campo, banana contro Gervinho





L'Italia del pallone ritrova l'orgoglio perduto in Europa League: cinque squadre su cinque arrivano agli ottavi, con un paio di imprese da ricordare. La Fiorentina batte 2-0 il Tottenham (Mario Gomez e Salah), l'Inter (Guarin) e il Napoli (De Guzman) superano 1-0 Celtic e Trabzonspor. Ma soprattutto, il Torino vince 3-2 a Bilbao contro l'Athletic, prima squadra italiana a riuscirci nella storia, e scrive una pagina epica nel libro granata: Quagliarella su rigore, Maxi Lopez e Darmian nella ripresa ribaltano il 2-2 dell'andata e dimostrano che il cuore, a volte, riesce ancora a fare la differenza. Ma è a Rotterdam che va in scena il riscatto italiano: una settimana dopo i disastri degli ultrà olandesi nella Capitale, la Roma vince 2-1 contro il Feyenoord e fa emergere ancora una volta l'inciviltà dei tifosi di casa.

Banana contro Gervinho - A Rotterdam l'ordine pubblico viene garantito in città (con i tifosi romanisti controllati a vista e perquisiti), ma dentro allo stadio De Kuip succede di tutto. Sugli spalti il gol di Ljajic e poi l'espulsione dell'attaccante del Feyenoord Te Vrede scatenano la reazione dei supporter biancorossi, tra i quali sicuramente c'era anche qualcuno di quelli che una settimana fa hanno sfasciato il centro della Capitale. Al 10' del secondo tempo del ritorno dei sedicesimi di finale di Europa League (con la Roma in vantaggio 1-0 e per il momento qualificata, dopo l'1-1 dell'Olimpico) succede di tutto: l'arbitro Clément estrae il rosso al giocatore di casa e dagli spalti parte un fittissimo lancio di oggetti per protesta. Insulti e grida dopo che già nel primo tempo erano volati insulti razzisti e anche una banana gigante di quelle gonfiabili contro l'attaccante ivoriano Gervinho. Gesto razzista o semplice "inciviltà" tra le tante? Difficile capirlo, ma nel dubbio arbitro e delegati Uefa hanno deciso di sospendere la gara per far placare gli animi. Quando si riprende, le emozioni non mancano: al 12' pareggia Manu, al 15' è proprio Gervinho a firmare il definitivo 2-1 che rende vano l'1-1 strappato dal Feyenoord all'Olimpico. 

giovedì 26 febbraio 2015

Fitto vuole fare causa a Berlusconi e al cerchio magico di Forza Italia

Tra Fitto e Forza Italia anche la grana dei soldi





Casse sempre più vuote in Forza Italia. Da cinque mesi, riferiscono fonti parlamentari azzurre, non viene pagato l’affitto dell’immobile di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma e la scorsa settimana sono arrivati sei decreti ingiuntivi da parte di aziende che non hanno ricevuto i pagamenti su forniture di beni e servizi. Oltre ai 46 dipendenti messi in cassa integrazione, pendono poi sul partito le cause di alcuni ex dipendenti del Pdl che hanno impugnato il licenziamento.

Ma la grana soldi è anche il nuovo fronte che si apre tra il partito e Raffaele Fitto. Il commissario di FI in Puglia, Luigi Vitali, nei giorni scorsi ha avvertito che chi non ha versato i contributi non può aspirare alla candidatura. Ma la risposta dei fedelissimi dell’europarlamentare arriverà a breve. Probabilmente sotto forma di lettera indirizzata alla tesoriera Maria Rosaria Rossi, con la richiesta di avere l’elenco di tutti coloro che alle politiche e alle Europee sono stati candidati nonostante non abbiano versato le somme spettanti al partito.
"Lo scontro - viene riferito - ora si sposterà nelle Aule dei tribunali giudiziari".

Nel 2013 il partito decise di chiudere i rubinetti alle sedi regionali, di non inviare più i fondi per l’affitto. Da qui la decisione dei parlamentari pugliesi di non versare gli 800 euro e di pagare direttamente i dipendenti, pur versando i 25 mila euro per la candidatura. Ora l’accusa del commissario è che c’è un ammanco di 50 mila euro sul bilancio regionale; "non esiste, e adesso chiederemo di vedere il biancio nazionale del partito", è la risposta dei cosiddetti frondisti. I frondisiì pensano ad una iniziativa ancor più forte, visto che si sta ragionando sull’ipotesi di dar vita, attraverso il ricorso degli iscritti, ad una ’class action’ per capire come sono stati gestiti in questi anni i finanziamenti nelle casse di FI. "Sarà guerra anche legale", è l’avvertimento.

L'intervista di Giacomo Amadori L'impresario sputtana le star di sinistra "Chi voleva i soldi in nero"

"Da Beppe Grillo a Jennifer Lopez: tutti pagati in nero e si dicono di sinistra", un impresario racconta le pretese delle star

Intervista a cura di Giacomo Amadori 


Gino Paoli 

Lello Liguori, ottantenne impresario di lungo corso, è stato definito il Grande Gatsby della Riviera ligure. Ha gestito locali da Sanremo a Santa Margherita ed è stato anche il re delle notti milanesi. Ha conosciuto la malavita meneghina molto da vicino e uno dei boss dell’epoca, Angelo Epaminonda, detto il Tebano, lo ha accusato di tutto: «Omicidio, associazione a delinquere, spaccio internazionale di droga», ha ricordato Liguori. Hanno persino tentato di ucciderlo, ma l’ha sempre sfangata. «Ho pagato cara l’amicizia con Bettino Craxi. Sono stato interrogato da undici magistrati, coinvolto in 11 processi e assolto 11 volte» ha dichiarato qualche anno fa al Secolo I. E per difendere Craxi ha litigato anche con Beppe Grillo: «Lo detesto perché va in giro a fare il politico, a sputtanare tutti quanti, ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e 60 in nero», ha detto nella stessa intervista al quotidiano genovese. Dichiarazioni che sono state riprese con enfasi dai media solo nel 2014 e Grillo, fuori tempo massimo, ha minacciato querele.

Signor Liguori, ma il leader del Movimento5stelle, alla fine, l’ha denunciata per davvero? 

«No, mai, anche perché ho documenti e testimoni. Nei giorni scorsi sono stato contattato dai difensori di Luca Barbareschi. Grillo lo ha querelato perché in televisione ha fatto una dichiarazione sui pagamenti in nero. Sono dovuto andare dal comandante dei carabinieri a confermare che Grillo con me ha evaso più di 300 milioni di lire. È venuto almeno 20 volte nei miei locali. Inizialmente prendeva 70 milioni di cachet: 10 in assegno e 60 in nero. Questo lo ha fatto quattro volte al Covo e una volta allo Studio 54 di Milano, che era mio. Poi ha lavorato altre volte a 20-30 milioni. Comunque sempre con la stessa prassi. Quando è venuto a Milano io avevo con me una persona testimone del pagamento: è andato lui alla cassa a prendere i soldi».

E i documenti?

«Ci sono le mie dichiarazioni alla Siae in cui dicevo quante persone c’erano nel locale. Quello è un documento».

Ha mai ingaggiato Gino Paoli?

«Una decina di volte».

E con lui come veniva retribuito? In modo regolare?

«(Breve pausa) Non ricordo. Paoli è un amico e non ricordo. Riguardo a Grillo mi è stato chiesto da più parti, da destra e da sinistra, di asfaltarlo. Naturalmente sotto elezioni tutti speravano in una débâcle di Grillo. E io ho detto: si può fare. Mi sono messo lì tre giorni e ho parlato con tutti i giornali».

Politica a parte, glielo richiedo: lo stesso sistema di pagamento veniva utilizzato con Gino Paoli?

«Guardi, con tutti. Io ho portato in Italia 300 artisti americani, ho lavorato con spagnoli, francesi, greci e i compensi sono sempre stati versati in quel modo. Se lei li vuole è così, altrimenti non vengono».

Dunque non l’ha stupita che Paoli sia accusato di evasione fiscale?

«Io ho una figlia a Lugano e vedo quelli che stanno riportando indietro i soldi».

Ma il cantautore genovese veniva pagato in nero sì o no?

«Io l’ho ospitato tante volte con Ornella Vanoni, ma anche insieme con Grillo. Perciò lo chieda a Grillo (ride)».

Per loro stessa modalità di remunerazione: me lo può confermare?

«Era la stessa per tutti. Io adesso sto trattando per l’Expo. Hanno preso Andrea Bocelli non da me, da un inglese. Volevano un’altra star. Abbiamo tentato di affiancargli Angelina Jolie, ma Bocelli non ha voluto perché oscurava un po’ il suo nome. Allora abbiamo deciso di puntare su Jennifer Lopez. Ma con gli intermediari è la solita storia: costa 1,8 milioni, però bisogna dargliene "normali" (ufficiali ndr) 1,2. Tanto per dire. Non lo riporti, però, perché non abbiamo ancora firmato i contratti e faremmo brutta figura con la Lopez».

Ritorniamo alla coppia Grillo-Paoli. Mi può ribadire che facevano “nero” insieme?

«Ma sì. Guardi che se lo chiede a Grillo, lo ammette. Tanto dice che è tutto finito in prescrizione. In effetti sono cose di tanti anni fa».

E secondo lei anche Gino Paoli confermerebbe?

«(Liguori cambia all’improvviso registro) Gino Paoli non ricordo neanche... mi sembra di averlo pagato regolarmente. Anche perché il mio direttore, che è mio cognato, ha suonato per vent’anni con Paoli. Era capo orchestra. È stato lui a fare i contratti, non io».

Dunque con l’autore del “Cielo in una stanza” avete fatto tutto a regola d’arte?

«Mah. Io penso. Non sono in grado di dire né sì, né no».

Però quando è venuto con Grillo, l’accordo l’hanno fatto con lei?

«Naturalmente, li ho messi insieme io».

E in quell’occasione stesso pagamento per entrambi?
«Non so, perché Grillo è andato via prima. Paoli si è fermato sino a tardi con mio cognato che aveva accesso alla cassa».

Mi sembra di capire che lei sia troppo amico di Gino Paoli...

«È così».

Ci sono altri personaggi con cui ha avuto brutte esperienze?

«Io ho una causa con Teo Teocoli. Nel 1999 doveva fare una serata per la Confindustria, ma rinunciò per motivi di salute. Ho dovuto sostituirlo a mezzanotte con Giorgio Faletti che ho trovato all’ultimo momento vicino a Portofino; eppure Teocoli ha incassato diversi milioni dalla Confindustria. L’ho scoperto recentemente. Grazie a una vecchia fattura ho visto che in quell’occasione c’erano 1.100 persone per un conto totale di 94-95 milioni. A me ne hanno dati solo 72, perché avevano scalato il cachet di Teocoli. (Il 22 febbraio ndr) il suo avvocato mi ha mandato una lettera in cui diceva che se io avessi divulgato questa notizia mi avrebbero querelato. Io naturalmente sono andato subito a sporgere denuncia per appropriazione indebita e furto».

Altri personaggi con cui ha trattato?

«Io ho lavorato con Ornella Vanoni, Patty Pravo, Vasco Rossi, Claudio Baglioni e sono stati tutti pagati regolarmente. Senza nero».

In ogni caso, con tutto quello che guadagnano gli artisti, non le sembra un po’ scorretto che alcuni cerchino di evadere le tasse?

«E gli sportivi allora? Guardi Valentino Rossi. Mi sembra che abbiano trovato conti all’estero un po’ a tutti. Non dovete andare a toccare il nostro mondo. Compresi noi dei locali notturni. Sono stato al Covo 37 anni e avevo 40 locali contemporaneamente, tra Italia ed estero. Ovviamente, proprio per colmare i disavanzi causati dai pagamenti in “nero” delle “attrazioni”, quando si poteva, cercavamo di fare qualche biglietto in meno per la Siae».

Beh, sta dicendo che eravate costretti a costituire fondi neri per i compensi fuori busta degli artisti. Adesso sembra che abbiano trovato il tesoretto svizzero di Gino Paoli...

«Che è della sinistra estrema...».

Si definisce ancora "comunista".

«Appunto».

Eppure sembra abbia accantonato due milioni Oltralpe... Il suo guaio è che non è riuscito a riportarli indietro. 

«Gli do un consiglio: si deve mettere d’accordo con l’Agenzia delle entrate, pagare il 5 per cento e farli rientrare. Così sta più tranquillo».

Forse adesso è troppo tardi. La procura l’ha già indagato per evasione fiscale. In un’intercettazione avrebbe detto di aver ricevuto pagamenti in nero da parte degli organizzatori delle feste dell’Unità. Lo stesso trattamento di riguardo che gli ha riservato lei.

«Io non ho detto di averlo pagato in nero. Anche perché a volte, con i miei locali, guadagnavo un miliardo a sera e non potevo certo controllare tutti i conti. Ma adesso lasciamo perdere l’argomento perché io nel mondo dello spettacolo ci lavoro ancora».

"Siamo laureati, meritiamo di più" In Fiat 20 neoassunti mollano il posto

Alla Fiat di Melfi in 20 hanno rinunciato al lavoro: troppa fatica in catena di montaggio





C'è una scena epica accaduta allo stabilimento Fiat di Melfi che vale simbolicamente più di mille Jobs act. Un ingegnere neoassunto, tra i 300 appena imbarcati da Sergio Marchionne dopo il successo di Jeep Renegade e Fiat 500X, stava lavorando alla catena di montaggio. Poi il raptus: ha preso il paraurti che aveva in mano e lo ha scaraventato per terra. Basta, stop, quel lavoro non era proprio fatto per lui e non è stato il solo a gettare letteralmente la spugna.

Ingegneri ribelli - Mentre a Melfi si preparano ad accogliere altri 700 nuovi arrivi, dopo i primi 300, circa 20 giovani entrati in azienda come operai, scrive Repubblica, hanno abbandonato. "Sociologicamente - dice Roberto Di Maulo del sindacato Fismic - è una percentuale significativa", dal Lingotto minimizzano: "Non sono certo grandissimi numeri, appena si è diffusa la notizia delle nuove assunzioni a Melfi siamo stati sommersi dalle domande di lavoro. Ne sono arrivate decine di migliaia".

Incomprensione - Il problema sta tutto nei requisiti richiesti ai candidati: meno di 30 anni, diploma con voto minimo 85/100 o laurea. E sono proprio i secondi casi ad aver ceduto prima di tutti, per lo più laureati in ingegneria che non si aspettavano di finire a sporcarsi le mani nella catena di montaggio: "Ma nelle fabbriche moderne - spiega Fedinando Uliano della Fim - la distinzione tra colletti bianchi impegnati negli uffici e tute blu addette alla produzione è ormai superata". C'è chi dà la colpa ai ritmi di lavoro più serrati, richiesti dalla Fca e accettati dai sindacati per stringere i denti e tenere in piedi la baracca. Sta di fatto che gli ingegneri non se l'aspettavano quindi di fare gli operai, ma questo gruppo aveva un futuro di carriera e "diventare in futuro un team leader" secondo Uliano. I laureati forse si aspettavano di entrare da subito come impiegati, un misunderstanding avrebbe detto Marchionne. Con la disoccupazione giovanile al 40%, l'ultimo problema per l'azienda sarà trovare sostituti.

Più gravi le condanne per corruzione Ecco di quanto vengono aumentate

Aumentata a 10 anni la condanna per il reato di corruzione





Passa in commissione Giustizia del Senato l’emendamento del Governo che alza la pena della corruzione fino a 6 anni nel minimo e 10 nel massimo, ma l’inasprimento rafforza, spinta da più parti - a cominciare da Forza Italia - l’ipotesi che in questo modo si debba rivedere il sistema complessivo delle pene del ddl anticorruzione all’esame del Senato. Al punto che si potrebbe rendere necessario un  correttivo per coordinare, modulandolo, il sistema sanzionatorio contenuto nel provvedimento. Intanto il Governo non ha ancora presentato l’annunciato emendamento sul falso in bilancio e Forza Italia, in commissione, ha reagito chiedendo di approfondire tutti gli articoli, emendamento per emendamento, al testo. Il Governo aveva confermato, nei giorni scorsi, con il viceministro Costa, la volontà di presentare la propria proposta per l’Aula, ma in commissione è scoppiata la protesta. Ieri era stato il presidente della stessa, Francesco Nitto Palma ad annunciare in ufficio di presidenza, secondo quanto è stato riferito, invece, che ci sarebbe al ministero della Giustizia un testo pronto che sarebbe stato portato davanti ai commissari fra ieri e oggi. Ma al momento non è stato depositato. Intanto è saltata la seduta notturna che sembrava prevista al termine dei lavori d’Aula iniziati questo pomeriggio e la commissione si è aggiornata a martedì.

Sindaci dem all'ultimo delirio: arriva la tassa sui menu e gli zerbini

La tassa delirio del Comune di Bologna su zerbini, menù dei ristoranti e cartelli degli orari





La fantasia al potere partorisce grandi colpi di genio quando i sindaci dem la applicano per tassare esseri viventi e oggetti inanimati in nome del bilancio. A Bologna è nata la Delirium tax, come l'ha chiamata in prima pagina il quotidiano Italia Oggi. Il sindaco Pd Virginio Merola ha deciso che qualsiasi forma di pubblicità deve essere tassato. Nel ventaglio di bersagli capita davvero di tutto e soprattutto sfuggire alla morsa degli esattori comunali è praticamente impossibile. Il delirio è destinato a non fermarsi a Bologna, dove certo non si sono inventati niente, ma l'inedito sta nell'applicazione della gabella che sta piacendo a diversi sindaci pronti a portare la genialata anche nei proprio comuni.

Lo zerbino - La Delirium tax bolognese si applica, ad esempio, sui menu dei ristoranti esposti all'esterno dei locali. Una bella fregatura considerando che i ristoratori sono obbligati ad esporre piatti e relativi prezzi fuori dal proprio locale, se non vogliono rischiare il multone. I gabellieri del comune di Bologna, racconta Italia Oggi, sono arrivati a far rientrare nella tassa delirante anche il cartello "Qui si fa lista nozze" in un negozio di oggettistica, la proprietaria ha dovuto sborsare 500 euro. Colpito anche un cartello con le offerte del mese di un ottico e udite udite anche quello con gli orari di apertura: "Era esposto in vetrina" si sono giustificati gli zelanti funzionari. Si arriva anche al tragicomico delirio per le 52 euro pagate da un tabaccaio che ha esposto la scritta "Self service 24 ore su 24". Tassato anche lo zerbino di un gioielliere con le sue iniziali, l'adesivo con le carte di credito accettate in un ristorante e un barista si è visto arrivare una cartella da 3000 euro per aver esposto un adesivo con i nomi delle ditte dei suoi gelati.

Meglio fuggire - I commercianti bolognesi ora hanno un diavolo per capello. Il sindaco ha preferito mandare il suo vice per incontrare i rivoltosi che hanno strappato solo uno sforzato: "Siamo pronti a migliorarla". Commercianti e artigiani di Bologna saranno contenti di lavorare nella seconda città con la pressione fiscale più alta d'Italia. La Cna ha stimato che una piccola impresa commerciale bolognese arriva a pagare fino al 74,2% del proprio reddito per soddisfare la voracità del fisco. In piena crisi economica, dal 2011 al 2014 la pressione fiscale sui piccoli esercizi bolognesiu è cresciuta del 9,6%. C'è anche chi ha rinunciato a organizzare la Sensation white night, una specie di flash mob in cui ci si ritrova a centinaia per cenare all'aperto vestiti di bianco: le tasse da pagare sono aumentate rispetto lo scorso anno e stavolta sarebbero state insostenibili.

Il vaffa di Renzi ai giudici: ecco cos'ha twittato Matteo su Enzo Tortora

Responsabilità civile dei giudici: Matteo Renzi ritwitta la figlia di Enzo Tortora





La foto di Enzo Tortora che fa il segno della vittoria. Una vittoria che "questa sera è anche un pò vostra. È anche vostra". Con queste parole Gaia Tortora, figlia dello storico presentatore Rai ed euro deputato Enzo Tortora, ha salutato l’approvazione della norma sulla responsabilità civile dei magistrati alla Camera. E a poche ore di distanza anche il presidente del consiglio Matteo Renzi si associa nel pensiero all’uomo la cui vita è stata spezzata da una accusa ingiusta e infamante che lo ha portato a vivere anche l’esperienza del carcere. Ed è singolare la coincidenza di date: la legge sulla responsabilità civile dei magistrati è arrivata a pochi giorni dal 20 febbraio, data in cui Tortora, ormai riabilitato, tornò in tv nel 1987 con la celebre frase: "Dove eravamo rimasti?".

Terremoto in tv: Del Debbio sfida la anchorwoman della sinistra

Del Debbio in tv con "Dalla vostra parte", una nuova striscia quotidiana





Nessuno guarda più i talk show ma quei pochi che ancora si accomodano sul divano per sentire parlare i politici il lunedì sera mettono su Rete 4 e si vedono Quinta Colonna. Ed è stato tale il successo della trasmissione di Paolo Del Debbio - altroché Floris, Giannini e Santoro - che dal 3 marzo, anticipa il sito davidemaggio.it, che il giornalista condurrà anche un nuovo programma d'informazione. Si tratterà di una striscia quotidiana, in onda sempre su Rete 4 e si chiamerà Dalla Vostra Parte.

Il talk show andrà in onda a partire dalle 20,30 in diretta concorrenza con Otto e Mezzo su La7 condotto da Lilli Gruber. Dalla Vostra Parte si concentrerà sui principali fatti della giornata, dalla politica all'economia alla cronaca. In diretta dallo studio del tg di Mario Giordano, l'analisi di Del Debbio sarà arricchita dalla presenza di ospiti e da collegamenti sul territorio.

mercoledì 25 febbraio 2015

Mediaset alla conquista della Rai: il piano d'attacco di Berlusconi

Silvio Berlusconi vuole le antenne della Rai





Mediaset ha deciso di muovere le torri che trasmettono il segnale televisivo della Rai e  lancia un'offerta pubblica d'acquisto (Opa) per conquistare il 100% di Rai Way, attraverso la controllata Ei Towers, la società che possiede le antenne delle televisioni di Cologno Monzese. L'azienda, di proprietà della famiglia Berlusconi, è pronta a pagare oltre 1,2 miliardi di euro. A sostegno dell'offerta di scambio Ei Towers ha convocato un'assemblea il 27 marzo per un aumento di capitale. L'opa partirà dopo quella data ed avrà una durata stimata  tra i 15 e i 40 giorni e dovrebbe concludersi entro l'estate. Ecco i motivi della manovra, Ei Towers spiega: "La creazione di un operatore unico delle torri broadcasting è utile per porre rimedio all'attuale situazione di inefficiente moltiplicazione infrastrutturale dovuta alla presenza di due grandi operatori sul territorio nazionale." La società del gruppo Mediaset inoltre assicura che continuerà a garantire l'accesso alle infrastrutture a tutti gli operatori televisivi e aprirà sempre più la propria infrastruttura in prospettiva degli operatori Tlc." Ottimi quindi gli obiettivi di integrazione tra Ei Towers e Rai Way: l'offerta mira a revocare le azioni di quest'ultima dal listino di Piazza Affari (dove Rai Way è stata quotata da poco), o l'acquisto di una partecipazione che rappresenti minimo 66,67% del capitale sociale.

L'incubo di Grillo, un Matteo esulta Un partito ha messo la freccia

Sondaggio Piepoli, Pd vola con Jobs act, crolla FI, ma cresce il leader Matteo Salvini con la Lega





Da un lato la riforma del lavoro che fa guadagnare punti al Partito democratico, dall'altro le spaccature all'interno di Forza Italia e l'intensificarsi dell'attività delle Procure attorno a Silvio Berlusconi che affossano Forza Italia. Le vicende dell'ultima settimana non potevano dare uno scenario diverso da quello emerso con il sondaggio dell'Istituto Piepoli pubblicato da affaritaliani.it. Secondo la rilevazione del 23 febbraio, il partito di Matteo Renzi arriva a quota 39%, guadagnando un punto negli ultimi sette giorni. Nel centrosinistra compare solo Sel che cade sul 4% perdendo mezzo punto. Nel centrodestra è Forza Italia a registrare un altro minimo con l'11% (-0,5%). Ma la vera sorpresa sta nel pareggio che la Lega nord registra con il Movimento 5 stelle, il partito di Matteo Salvini secondo Piepoli ha raggiunto il 16% mentre il movimento grillino è in calo al 16,5%, a fronte del 17% della scorsa settimana. Senza scossoni gli ultimi sette giorni per Ncd al 4,5% e Fratelli d'Italia al 3,5%.

Leader - Per l'istituto Piepoli il personaggio politico più apprezzato è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il 77%, Matteo Renzi non guadagna punti e rimane fermo al 51%. Lo segue, avvicinandosi, Matteo Salvini che dal 24 è passato al 27%. Dietro di lui Silvio Berlusconi al 16% e Beppe Grillo al 12%.

"Razzista, poveraccio, ma vai a...", Maurizio Gasparri sbotta in diretta e attacca: "Porto Renzi in tribunale"

"Razzista, poveraccio, ma vai a...", Maurizio Gasparri sbotta in diretta e attacca: "Porto Renzi in tribunale"





E' scatenato Maurizio Gasparri. Passano i giorni ma la polemica con Matteo Renzi, anziché spegnersi, si alimenta sempre più. Così ieri, ospite a La Zanzara su Radio 24, il vicepresidente del Senato di Forza Italia torna alla carica: "Il padre di Renzi? Non gli chiedo scusa, quando uno come il premier ti offende così va scandagliato nella storia personale, perché non può pensare di passarla liscia. E lo voglio portare in tribunale perché c'è una diffamazione nei miei confronti". Gasparri si riferisce alla stessa battuta fatta dal premier prima, durante un convegno sulla Buona Scuola e poi da Lucia Annuziata domenica 22 su Rai 3: "Non si può pensare che questo sia regolato da una legge intitolata a Gasparri".

"Questo giovanotto -  sbotta Gasparri - ha usato un tono offensivo e razzista. E' razzismo, ha parlato di me come un essere inferiore, l'aveva già detto prima di andare dalla Annunziata davanti a quelli del Pd. E' un poveraccio, uno privo di contenuto, destinato all'Isola dei Famosi o alla conduzione di quiz televisivi. Ma è pure qualcuno che ha fatto fare insider trading con il provvedimento sulle banche popolari". Renzi, attacca ancora l'ex ministro, "non ha mai letto un libro in vita sua, ogni tanto finge di comprare libri alla Feltrinelli per farsi riprendere da un tg, ma li compra come si comprano le saponette o la schiuma da barba, li prende così, a caso. Odio questo senso di superiorità culturale". Ma Tiziano Renzi ha sempre smentito di far parte della massoneria, dicono i conduttori: "Perché si vergogna? Non è un reato. E poi molti massoni devono smentire per obbligo la loro appartenenza, c'è questa regola". Ma Gasparri ne ha pure per Lucia Annunziata, che pure lo ha difeso in diretta tv: "Per par condicio dovrebbe ospitarmi per rispondere, ma Lucia è una militante politica e non lo farà". 

Sergio Mattarella, il diktat ai giudici: "Non dovete essere protagonisti"...

Sergio Mattarella, il messaggio ai giudici: "Non siate né burocrati né protagonisti"





"I magistrati non siano né burocrati, né protagonisti". Un messaggio chiaro, quello di Sergio Mattarella alle toghe. Il capo dello Stato, in visita a Scandicci per l'inaugurazione dei corsi della Scuola della magistratura, alla vigilia della riforma sulla responsabilità civile ha parlato del ruolo della magistratura. Chiaro l'invito di Mattarella a darsi "delle strategie organizzative volte al recupero di efficienza" del sistema giudiziario. E ancora: "Il compito dei giudici deve essere né di protagonista assoluto nel processo né di burocratico amministratore di giustizia". Mattarella sottolinea come "al magistrato si richiede una costante tensione culturale che trova sì fondamento in studi e aggiornamenti continui, sempre più necessari nel contesto normativo in rapido movimento, ma si nutre anche di una profonda consapevolezza morale della terzietà della funzione giurisdizionale, basata sui principi dell’autonomia e dell’imparzialità".

Condannata per una cena con Putin Ha dato buca, la Muti rischia grosso

Ornella Muti condannata a 8 mesi di carcere per truffa a Pordenone, si è data malata ma era a cena con Vladimir Putin





Ornella Muti è stata condannata per truffa a otto mesi di carcere e 600 euro di multa dal Tribunale di Pordenone, pena che potrà evitare pagando una sanzione di 30 mila euro. La colpa della Muti risale al 10 dicembre 2010, quando l'attrice avrebbe dovuto esibirsi in uno spettacolo al teatro Verdi di Pordenone. Quella sera però la Muti non si è presentata per una laringo-faringite, documentata da un certificato medico risultato poi falso. Quella sera però la Muti non ci sarebbe mai stata al teatro Verdi perché aveva già accettato un altro invito, indubbiamente difficile da rifiutare: era a San Pietroburgo, ospite di una cena di beneficenza in compagnia del presidente russo Vladimir Putin e del premio Oscar Kevin Costner. Una bugia innocente che si è trasformata in una delle condanne più severe e sproporzionate viste finora: addirittura il giudice ha deciso di infliggere una condanna superiore a quella richiesta dalla Procura (6 mesi e 15 giorni di reclusione). Ora però la Muti dovrà vedersela con gli organizzatori dello spettacolo al teatro Verdi, che si sono costituiti parte civile. Sul bidone ricevuto si rivarranno in separata sede.

Fumo addio, dopo 20 minuti o 20 anni ecco cosa accade al corpo umano

Smettere di fumare, cosa accade al corpo da 20 minuti a 20 anni





Smettere di fumare è una tortura. Crisi d'astinenza, ansia, nervosismo, depressione sono i primi effetti collaterali. Chi ha abbandonato le bionde lo sa bene: si affrontano mesi da incubo. Eppure smettere di fumare fa bene, da subito. Già dopo 20 minuti ci sono i primi benefici, e dopo 20 anni si è definitivamente liberi, riporta il Corriere della Sera. Ma cosa accade al corpo umano quando si butta per sempre il pacchetto? Ecco passo per passo, cosa succede dopo l'ultimo tiro.

Dopo 20 minuti - La pressione del sangue si stabilizza e migliora, scendono le pulsazioni e si normalizza la frequenza cardiaca.

Dopo 8 ore - E' il momento in cui vorresti accenderti subito una sigaretta ma proprio dopo 8 ore i livelli di monossido di carbonio nel sangue scendono, quelli di ossigeno tornano alla normalità e la nicotina diminuisce fino a oltre il 90%.

Dopo 24 ore - I sintomi da astinenza sono forti: depressione, irritabilità, frustrazione, ansia. Eppure sono già tornati alla normalità i livelli di monossido di carbonio.

Dopo 2 giorni - Migliorano il senso del gusto e dell'olfatto’odorato.

Dopo 3 giorni - Migliora il respiro, soprattutto se sotto sforzo. In molti riferiscono sintomi influenzali come insonnia, difficoltà a riposarsi, cambiamenti nell'appetito, vertigini. 

Tra 15 giorni e 9 mesi - Migliorano la circolazione sanguigna e l'attività polmonare. Sparisce la cosiddetta tosse da fumatore e la congestione nasale. Aumenta l'energia fisica e diminuiscono il senso di fatica e spossatezza. Il corpo si libera della nicotina. 

Dopo 1 anno - Cuore e arterie registrano i maggiori miglioramenti: si dimezza il rischio di malattie coronariche, infarto miocardico e ictus.

Dopo 5 anni - Il rischio di emorragia cerebrale diminuisce del 41 per cento, mentre quello di ictus diventa pari ai livelli di chi non ha mai fumato. Per le donne ex fumatrici, scende la minaccia di ammalarsi di diabete al livello delle donne che non hanno mai fumato.

Dopo 10 anni - Per gli uomini il pericolo di contrarre diabete si abbassa ai livelli dei non fumatori. Scende anche il rischio di contrarre alcuni tumori come alla bocca, gola, esofago, vescica, rene e pancreas. Il rischio di tumore al polmone scende del 70%.

Dopo 15 anni - Il corpo si normalizza e le condizioni si equiparano a quelle di chi non ha mai fumato per la perdita di denti, le malattie coronariche, e il rischio di morte precoce.

Dopo 20 anni -  Dopo 20 anni di totale assenza delle sigarette si è completamente liberi dalle conseguenze patologiche del fumo e ogni rischio di malattia è equiparato a quello di chi non ha mai fumato.