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martedì 10 febbraio 2015

L'ex ciclista Marino ora preferisce l'aereo: tour mondiale (a spese dei romani) per vendere la Capitale ai turisti

Marino in tour vuole sedurre i turisti e portarli a Roma

di Franco Bechis 



Il programma è da giro del mondo in ottanta giorni. Fine febbraio: Miami, per un workshop. Marzo, Berlino per l’International Tourisme Bourse, e ancora Miami per il Cruise Shipping. Il 17 marzo a Mosca per un altro workshop, e nella capitale russa bisogna restare qualche giorno e presentarsi anche al Moscow International Travel & Tourism Exhibition. I primi di aprile, viaggio in Brasile, a San Paolo per il World travel market Latin America. Poi il 14 aprile a New York, e il 16 a Chicago, per due workshop. A maggio a Dubai per l’Arabian Travel market. E poi a Francoforte. E infine a giugno tappa obbligata ad Hong Kong, per l’International travel Expo. Ignazio Marino ha deciso di girare il mondo per sedurre i turisti stranieri e spiegare loro le bellezze di Roma.Il sindaco della Capitale ha deciso di non badare a spese, e ha finanziato un tour da maratoneta per i primi sei mesi del 2015, dove dovrà infilare anche una più banale capatina a Milano per la Borsa Internazionale del turismo. La squadra di Marino toccherà almeno 4 dei cinque continenti (l’Australia se l’è dimenticata), nella certezza che il tour porti buoni frutti. Nella delibera dove si è deciso a girare il mondo Marino infatti scrive che questo programma “consentirà a Roma capitale di fidelizzare mercati già solidi e contemporaneamente di fidelizzare l’immagine sui mercati emergenti e potenziali, incrementando i flussi turistici verso la cttà di Roma e promuovendo la città anche come sede di congressi e convegni, con una evidente ricaduta economica positiva per Roma Capitale e per tutta la filiera del turismo territoriale.

Di certa al momento c’è solo la spesa per queste missioni internazionali molto particolari. Ma il sindaco di Roma ha una giustificazione per ogni tappa. Anche per quella che sembra c’entrare meno, come la visita alla Cruise Shipping di Miami. Secondo Marino è occasione irripetibile, perchè  è “la più importante manifestazione a livello mondiale per il settore della cantieristica riservata esclusivamenyte agli operatori del settore, dato che il settore crocieristico vede una stretta collaborazione fra Italia e Stati Uniti, anche grazie a importanti acquisizioni aziendali”. E allora si parte, in crociera!

Avviso choc di Samsung ai suoi clienti: "Attenti, il vostro televisore vi ascolta"

Samsung: attenti, la SmartTv vi ascolta





L'avviso fa pensare ai primi anni della televisione, quando i primi spettatori, soprattutto gli anziani, tenevano gran contegno nel guardare la televisione, conviti che "quelli dall'altra parte" potessero sentirli e vederli. Ma fa pensare anche a "1984" , il romanzo di George Orwell che ha "inventato" il "grande fratello". E' quello che il colosso delle telecomunicazioni Samsung ha rivolto ai suoi clienti nel supplemento alla policy di utilizzo delle SmartTv: prima di parlare di temi familiari o personali o comunque “sensibili”, spegnete la televisione. Perché ascolta (e riferisce). L’allarme sta rimbalzando da diverse ore sui siti di news a stampo più tecnologico: "Siate consapevoli che se le parole pronunciate includono informazioni personali o sensibili, queste informazioni saranno tra quelle acquisite e inviate a una società esterna per il fatto che state usando il riconoscimento vocale, quello che si attiva con il simbolo del microfono sul telecomando (simbolo che compare poi anche sullo schermo tv per avvisarci che la funzione è attiva) -, ma stupisce il fatto che il colosso tech con i nuovi termini d’uso abbia voluto mettere le mani avanti.

Panico tra i furbetti del lavoro: spuntano gli 007 anti-assenteisti

I datori di lavoro si difendono: chiamano gli investigatori privati per incastrare gli assenteisti






In questo periodo di crisi, nessuna azienda può permettersi di pagare uno stipendio a chi non lavora, o fa finta di lavorare. Un concetto che a prima lettura sembra brutale, che non viene però dai politici o dai ministeri, bensì dai liberi professionisti. La soluzione che i privati stanno da tempo adottando è l'utilizzo di investigatori privati, in quanto dicono di sentirsi "abbandonati dallo Stato".

Sorvegliare i sospettati - Le indagini sugli "infedeli, come riporta il Giornale, partono dall'analisi dei cellulari e dei profili social network, metodi quindi inizialmente molto semplici che già permettono di smascherare i furbetti. Marzio Ferraro, ceo dell'agenzia Phersej, afferma che il 40% delle indagini aziendali si concentra sull'assenteismo dei dipendenti. L'obbiettivo è trovare prove documentali che possono essere utilizzate per il giudizio dell'azienda, che provvederà al licenziamento o meno del dipendente. La stessa Cassazione ha ribadito che è legittimo licenziare un dipendente che, in malattia svolge attività non compatibili con la patologia stessa.

Dati interessanti - Il 90% dei casi di sospettato assenteismo, viene confermato dopo le indagini. I mandati per il controllo dell'assenteismo nel 2014 sono cresciuti del 7%. Nel settore pubblico, secondo i dati che arrivano dal ministero, le assenze sono calate del 5%; anche se, dal conteggio, rimane fuori la scuola pubblica, un settore ad alta densità. Il dato più interessante riguarda la differenza di rilascio di certificati medici dal 2011 al 2013: l'aumento del dato nell'amministrazione pubblica è del 27%, mentre per il privato solo del 1%. Per non parlare dei puniti, che solo solo 1 su 15 mila furbetti.

Popstar, divi di Hollywood e 3 big italiani Chi ha conti in Svizzera: i nomi dei vip

Lista Falciani, i settemila italiani con conti in Svizzera





Un'inchiesta esplosiva sulla lista Falciani, l'elenco dei centomila clienti che hanno depositato denaro  in Svizzera, nei forzieri della filiale elvetica della britannica Hsbc. Tra questi ci sono settemila italiani. L'elenco è nelle mani dell'Espresso e di altri 44 giornali in tutto in mondo E' stata svelata dall'International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), il network di giornalismo investigativo con sede a Washington. Dall'inchiesta è venuto fuori un dossier di oltre 100mila clienti di più di 200 paesi con 81mila conti censiti dall'Iban tra il 1998 e il 2007.  Si è scoperto così che settemila italiani, nel 2007 custodivano circa sei miliardi e mezzo di euro. Tra questi due Valentino: lo stilista e Valentino Rossi, poi ci sarebbe, stando alle prime indiscrezioni, anche Flavio Briatore. Al di là dei nomi dei clienti vip, emergono i rapporti "imbarazzanti" della filiale svizzera della banca privata inglese: mercanti d'armi, esportatori di diamanti di contrabbando, narcotrafficanti, sospetti finanziatori dei terroristi di Al Qaeda, tutti accomunati da un gigantesco sistema di evasione fiscale di massa. 

I nomi degli italiani - In particolare, "Valentino aveva negli anni '06-'07 oltre 100 milioni di euro sui conti della Hsbc; per l'ex patron del Billionaire, 73 milioni in nove diversi conti; mentre il Dottor Rossi aveva 23 milioni". Nota importante: la presenza di alcuni nomi nell'inchiesta, precisa il consorzio Icij, non significa automaticamente che abbiano commesso reati, o che non abbiano regolarizzato la loro posizione con i rispettivi governi. Il legale di Briatore, Philippe Oukra, ha spiegato: "Quelle cifre risalgono a più di 10 anni fa con la conseguenza che il signor Briatore non è in grado di confermare o negare i dettagli delle vostre asserzioni. Il signor Briatore può confermare che lui e alcune sue compagnie - alcune delle quali erano guidate dalla Svizzera - hanno tenuto alcuni conti bancari in Svizzera, in modo perfettamente legale e rispettando tutte le leggi e regolamenti fiscali". Sui cinque conti ancora aperti nel 2008 il legale ha risposto che "il signor Briatore non farà ulteriori commenti".

Da Hollywood alle case reali - Per quanto riguarda gli altri nomi ci sono il re del Marocco Moahmmed VI e quello di Giordania Abdallah, ma anche la modella Elle Macpherson, cantanti come Tina Turner e Phil Collins, il pilota di Formula 1 Fernando Alonso, gli attori John Malcovich, Joan Collins e Gad Elmaleh, la famiglia del potentissimo banchiere spagnolo del Banco Santander Emilio Botìn, morto nel 2014. 

L'inchiesta - L'inchiesta nasce da Hervé Falciani, l'impiegato informatico alla Hsbc di Ginevra che tra il 2006 e il 2008 ha ricopiato su cd-rom i dati di tantissimi clienti dalla banca consegnandoli alla Francia. Nel 2010 a sua volta Parigi ha "girato" la lista ad altri paesi. La Svizzera ha chiesto l'estradizione di Falciani che dovrebbe essere processato nel paese elvetico con l'accusa di spionaggio economico, sottrazione di dati e violazione del segreto bancario.

domenica 8 febbraio 2015

Bechis: da Mediaset ai bilanci, la verità sui ricatti a Berlusconi

Bechis: tv e bilanci, la verità dei ricatti a Berlusconi

di Franco Bechis 



Che sia più politica che sostanza, si capisce dai toni. Dopo avere lanciato il sasso all’indomani della rottura del patto del Nazareno, con quei due pugni allo stomaco di Forza Italia (stangata su tasse Mediaset e nuova legge sul falso in bilancio), il Pd ieri ha iniziato a nascondere la mano. Con un sasso nel pugno e un fiore stretto nell'altra mano è sceso in campo direttamente Matteo Renzi, che nella sua e-news ha fatto sfoggio di entrambi gli atteggiamenti. Forza Italia si rimangia il Nazareno? «Buon appetito», ha scritto Renzi in versione pugile: «Noi non abbiamo cambiato idea. Ho sempre detto che voglio fare accordi con tutti e che non ci facciamo ricattare da nessuno. Perché i numeri ci sono anche senza di loro». Poi ha allargato il sorriso e teso la mano: «Spero che dentro Forza Italia prevalgano il buon senso e la ragionevolezza. Se ciò non dovesse accadere noi continueremo a rispettare Berlusconi e il suo partito come rispettiamo tutti i partiti che ottengono i voti dei nostri concittadini: il nostro obiettivo non è parlar male dei nostri avversari, ma lavorare bene per l’Italia». 

La linea del capo del governo è soprattutto questa seconda, e il pugno gli serve semplicemente per non farsi trascinare dentro vicende e regolamenti dei conti tutti interni a Forza Italia. Secondo l’interpretazione che si coglie sia nella cerchia più stretta del premier, sia con qualche sarcasmo all’interno di Forza Italia, il patto del Nazareno non sarebbe archiviato. Ma i segnali politici lanciati nelle ultime ore hanno lo scopo di dare un altro messaggio a Berlusconi: «Se ti interessa riprendere il filo del dialogo, lo si fa con chi lo ha tessuto fino ad oggi: Dennis Verdini e Gianni Letta. Altrimenti ognuno per la sua strada, e auguri». Non è questione di scortesia la scelta degli ambasciatori di Renzi - in primis il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti - di rifiutare ogni contatto con altri possibili ambasciatori che si sono fatti avanti nelle ultime 24 ore, come Maria Rosaria Rossi e Giovanni Toti. I due chiamano al telefonino, lasciano messaggi in segreteria telefonica, contattano anche gli uffici. Lotti non si fa trovare e non richiama nemmeno. Fra gli azzurri il gesto viene interpretato maliziosamente come un atto di amore nei confronti di Verdini, che all’interno del suo partito viene accusato di essere fin troppo testa di ponte del premier. Ma al di là delle simpatie personali, il governo cerca soprattutto di non entrare anche solo dando filo ora a questo o a quel dirigente, in una confusa guerra satrapica interna al partito di Berlusconi.

Si tratta però di puri messaggi politici, e lo erano anche gli «avvertimenti» arrivati dall’esecutivo giovedì: né sulla tassa Mediaset, né sul falso in bilancio c’è qualcosa più di un annuncio. L’emendamento proposto al “milleproroghe” infatti contiene solo un principio generale, che può fare oscillare i costi amministrativi delle frequenze digitali sia per Rai che per Mediaset da un euro a 50 milioni. Il quantum però verrebbe deciso - sempre che l’emendamento venga approvato - da un successivo decreto del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Ieri il renziano Michele Anzaldi che aveva soffiato il giorno prima sul fuoco della norma-vendetta su Mediaset, ha gettato acqua sul fuoco (come si deve fare quando i messaggi sono solo politici), sostenendo che oggi Mediaset paga 13 milioni l’anno e che al massimo rischierebbe di doverne pagare qualcuno in più: 17,5 milioni. E usando la chiave politica gli ha replicato Augusto Minzolini: «Non importa che siano 5,10 o 50 i milioni in più da pagare. Quelli interessano Mediaset, non noi. Ma se il governo doveva intervenire sulla materia in un senso o nell’altro avrebbe fatto bene a farlo in un altro momento, non certo all’indomani della rottura del cosiddetto Patto del Nazareno. È una questione di stile e galateo politico». Anche il Mattinale di Renato Brunetta ha usato quella chiave: più della sostanza, la forma politica che avrebbe per Renzi il senso di dare questo messaggio: «Chi resiste, chi non accetta la regola fiorentina della sottomissione, sappia che ne pagherà le conseguenze». 

Però nelle stesse ore all’Economia si stavano svolgendo riunioni tecniche sul famoso decreto fiscale che contiene quella depenalizzazione per evasori e frodatori fiscali fino al 3 per cento dell’imponibile. Tutte le proposte di modifica della norma sono state cassate dai vertici del ministero, su imput del ministro Pier Carlo Padoan (e probabilmente dello stesso Renzi). Anche quello è un segnale politico, ed è di apertura verso Berlusconi. Di lui e del Nazareno Renzi ha bisogno, soprattutto in vista del Consiglio dei ministri del prossimo 20 febbraio. Quel giorno oltre al decreto fiscale approderà in consiglio un nuovo capitolo del jobs act, quello sulle formule contrattuali. E inevitabilmente tornerà a spaccarsi il Pd, con il premier che avrà necessità di una mano sia da parte di Angelino Alfano che da Forza Italia. Il Nazareno è magari congelato, più propriamente addormentato. Ma pronto ad essere risvegliato. 

Occhio, i Comuni sono in crisi nera Per far soldi ci massacrano di multe

Multe a raffica per sanare i conti dei Comuni: nel 2015 già si è arrivati al 20% in più





Riparte l’offensiva dei comuni sulle multe. Gli incassi stimati per il 2015, dopo una leggera flessione causa crisi, tornano a salire: in media l’incremento supera il 20% della cifra indicata per il 2014. È quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos sui bilanci dei comuni italiani. A pesare sulla contabilità delle amministrazioni resta il problema dell’evasione, con punte fino al 50% e incassi effettivi in media inferiori del 30% rispetto alle voci stimate. E ovunque, nelle grandi città e nei comuni più piccoli, la reazione è all’insegna di una strategia aggressiva: più autovelox, perché gli strumenti per il controllo automatico della velocità garantiscono un rapido incremento dei verbali, e più vigili in strada nelle ore di punta per il traffico. A Roma, si pianifica un inasprimento dei controlli, con il 20% degli incassi delle multe già ’impegnati' per il potenziamento delle attività di accertamento delle violazioni. A Milano, gli autovelox arriveranno a fruttare fino a 480mila euro al giorno. Nei comuni più piccoli, scendono i numeri assoluti ma sale, in proporzione, l’incidenza delle multe. A Bolzano sono stimati incassi pari a 38 euro a carico di ognuno dei 105.713 residenti. Nel 2014, incrementi record a Bergamo, 2.000 multe in più sul 2013; a Subiaco (Rm), il picco di incremento del gettito: +50% sull’anno precedente. Il governo, peraltro, si mostra consapevole del problema. Tanto che il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi è intervenuto più volte per ribadire che "non è tollerabile che si utilizzi la leva delle contravvenzioni per ripianare buchi di bilancio". Il ministro ha anche stigmatizzato la tendenza delle Amministrazioni comunali a gonfiare le spese di notifica per compensare lo sconto del 30%, previsto dalla legge per chi paga entro pochi giorni.

Questo è il momento d'oro dei mutui Tutti i consigli per la scelta giusta

Mutui, il momento d'oro per accenderne uno: quale scegliere per risparmiare il più possibile





Se il 2015 sarà l'anno della ripresa, tanto per parafrasare un abusatissimo adagio, lo scopriremo solo vivendo. Di sicuro, però, c'è che questo gennaio 2015 è un mese d'oro per chi volesse accendere un mutuo. Già, perché i tassi dell'indice Euribor, che determina le oscillazioni di un prestito a condizioni variabili, sono rimasti prossimi allo zero. Il costo dei mutui variabili, dunque, ha raggiunto minimi storici anche per le banche, che inoltre, per attrarre clienti dopo aver tenuto per anni serrati i rubinetti, si combattono a colpi di ribassi dello spread. Tutte le migliori offerte, dunque, oggi sono sotto al 2%, e diversi analisti non escludono che nel giro di pochi mesi si possa arrivare anche all'1,5 per cento.

I rischi nascosti - Ma come sottolinea il Corriere Economia, tassi così bassi nascondono anche qualche rischio, legato a doppio filo all'auspicato e plausibile ritorno dell'inflazione, che potrebbe sicuramente far salire il valore dell'Euribor e dunque, entro i limiti stabiliti in sede di stipula, anche il valore della rata variabile. Ma dopo anni di vacche magre c'è anche una seconda buona notizia, relativa ai mutui a tasso fisso, anch'essi scesi a livelli che in Italia non si vedevano da anni. In proporzione il costo di questi mutui è sceso ancor di più rispetto ai variabili: oggi la distanza tra le due formule è a 130 centesimi, rispetto ai 250 centesimi di un anno fa.

Parola alle cifre - In cifre, oggi è possibile accendere mutui a tasso fisso a 20 anni con un tasso di poco superiore al 3% e a 30 anni sotto al 3,5 per cento. Se al quadro si aggiunge il fatto che i valori immobiliari si stanno stabilizzando, pur non crescendo, il momento per l'acquisto di una casa appare uno dei migliori da anni a questa parte. Altre cifre le offre il portale mutuionline.it, che rileva che per prestiti ventennali da 100mila euro a tasso variabile il miglior prodotto, oggi, chiede un interesse dell'1,86%, con una rata mensile da 499 euro. Il costo per uno stesso mutuo ma a tasso fisso, invece, è di 566 euro. Una differenza di 67 euro al mese che si allarga a 80 euro  se il raffronto per un mutuo di stesso importo viene calcolato su 30 anni (rata mensile di 362 euro per il variabile, 442 per il fisso). Il maggiore esborso per il fisso può essere considareto come una polizza assicurativa contro il rischio di rialzi (crescono infatti i mutui a tasso fisso, salite al 40,9% del totale nel 2014).

Fisso o variabile? - Resta da comprendere se, davvero, può valere la pena stipulare un mutuo a tasso fisso. La risposta è affermativa se la priorità di chi lo accende è la tranquillità e la "certezza" della rata mensile. Da un punto di vista finanziario, invece, non c'è una risposta univoca. Di certo c'è che negli ultimi 20 anni, che ha scelto un tasso fisso a condizione standard non ha mai risparmiato rispetto a chi ha scelto un variabile. E' pur vero, però, che l'obiettivo del quantitative easing deciso dalla Bce di Mario Draghi è quello di far salire l'inflazione. E se il risultato sarà centrato salirà anche il costo del denaro, dunque anche l'indice Euribor e in definitiva - pur sempre entro i limiti fissati al momento della stipula - la rata di chi ha scelto un mutuo variabile.

Tfr direttamente in busta paga da marzo: ecco tutti i passi da fare per averlo

Tfr in busta paga da marzo: ecco come fare ad averlo






A partire dal primo marzo i lavoratori dipendenti dal settore privato, che lo vorranno, potranno ricevere in busta paga la Qu.I.R., ovvero la quota di del trattamento di fine rapporto maturata. Sembra infatti superata l'empasse che fino a ieri dava in forse il decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm) alla legge di Stabilità 2015 per definire le modalità di adesione da parte dei lavoratori, nonché i criteri di funzionamento del Fondo di garanzia di ultima istanza dello Stato presso l’Inps di 100 milioni iniziali per le imprese con meno di 50 dipendenti. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera il decreto sarebbe stato inviato al Consiglio di Stato e a Palazzo Chigi sono sicuri che l’operazione Tfr in busta paga potrà partire come previsto dal primo marzo.

Come aderire - Alla dozzina di pagine del Dpcm che disciplinano gli aspetti tecnici dell'operazione è allegato il fac simile del modulo che i lavoratori, con una anzianità minima di servizio di sei mesi, dovranno utilizzare nel caso scelgano di aderire. C'è tempo per fare questa scelta fino al fino al 30 giugno 2018, ma una volta questa decisione non si non potrà tornare indietro, almeno fino alla fine della sperimentazione, fissata appunto a giugno 2018. Ovviamente, le future quote di Tfr non verranno più accantonate ai fini della liquidazione o non verranno più destinate al finanziamento del fondo pensione per chi vi aderisce.

Tempi - Una volta consegnato il modulo al datore di lavoro, il Tfr in busta paga sarà liquidato a partire dal mese successivo a quello della richiesta nelle aziende con più di 50 dipendenti e tre mesi dopo in quelle con meno di 50 dipendenti. Sono esclusi dall'operazione i lavoratori dipendenti domestici, i dipendenti del settore agricolo, di aziende sotto procedure concorsuali e fallimentari o di ristrutturazione dei debiti. Esclusi anche i dipendenti in servizio in unità produttive sotto cassa integrazione straordinaria.

Tassazione - La Qu.I.R. specifica il Corsera, sarà tassata secondo le aliquote ordinarie Irpef. Per questo, rispetto al regime fiscale agevolato del Tfr, l’operazione risulterà sconveniente per i redditi medio-alti. Secondo il Caf Acli già per redditi superiori a 28 mila euro la tassazione sarebbe penalizzante. Il Tfr in busta paga, inoltre, inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico, ma le stesse quote di Tfr non verranno considerate nel computo del reddito complessivo per la concessione del bonus da 80 euro, né ai fini dell’imponibile previdenziale. Sono insomma diversi gli aspetti da valutare prima di un’eventuale adesione.

Alleanze, candidati, nemici interni: "Salvini, piano per cambiare la Lega"

Lega Nord verso il consiglio federale. Le mosse di Matteo Salvini per "limitare" Flavio Tosi





Federalista nelle politiche, "centralista" nell'assetto. Sarebbe questa, secondo La Stampa, la Lega Nord che sta per disegnare Matteo Salvini. Per marzo (forse l'8 a Genova) il segretario federale convocherà il terzo congresso straordinario negli ultimi quindici mesi per modificare lo statuto del Carroccio. La posta in palio è notevole: capire chi gestirà candidati e alleati alle prossime elezioni amministrative. Di fatto, l'obiettivo di Salvini secondo il quotidiano torinese sarebbe quello di togliere poteri al segretario nazionale (ossia regionale) Flavio Tosi. 

Salvini vs Tosi - Da quando è diventato capo della Liga Veneta nel 2013, sostengono gli avversari interni, il sindaco di Verona sta di fatto facendo il bello e il cattivo tempo nel Carroccio veneto, muovendosi con grande autonomia non solo su quanto di sua pertinenza (espulsioni e commissariamenti) ma anche su quanto sarebbe meglio concertare a livello federale, come appunto candidature e alleanze. Che i rapporti tra i "lombardi" e i "veneti" non siano particolarmente rosei è cosa nota, da tempo. E non riavvicina i contendenti neppure la strategia di Tosi in vista delle regionali venete (che vedranno candidato il governatore uscente Luca Zaia): il sindaco è da sempre sostenitore delle "liste civiche" che Salvini vorrebbe invece limitare alle sole liste del candidato sindaco o governatore. Inoltre, Tosi vorrebbe aprire il fronte anche alla neonata Italia Unica di Corrado Passera, chiudendo però agli altri partiti di centrodestra. Opposta, invece, la strategia del segretario federale: meno liste civiche, come detto, ma mano tesa a Forza Italia e Fratelli d'Italia, con unica esclusione di Ncd. Temi caldi così come un altro che sarà all'ordine del giorno del prossimo consiglio federale, quello che prevede l'impossibilità di ricandidarsi per chi ha già ricoperto due mandati. E Tosi e i suoi uomini sarebbero i primi a cadere sotto i colpi di questa mannaia.

sabato 7 febbraio 2015

Renzi a caccia di montiani e forzisti Belpietro: ecco di cosa ha paura

Belpietro: ecco perché Renzi ha paura e va a caccia di montiani e forzisti

di Maurizio Belpietro 



Da quando Matteo Renzi è riuscito a imporre il suo candidato al Colle non c’è più niente che lo tenga. Il nostro presidente del Consiglio viaggia a qualche metro da terra, convinto che dopo aver spianato l’opposizione interna ed esterna, presto camminerà sulle acque e moltiplicherà anche pani, pesci e occupati. Lo stato d’animo del premier - che, vale la pena di ricordarlo, appena dieci anni fa era il giovane segretario della Margherita in una provincia come quella di Firenze in cui contavi solo se eri diessino - è comprensibile. Meno comprensibile è però che non faccia nulla per nasconderlo, lasciandosi andare a uscite che paiono quelle di un bullo di provincia. L’altro ieri ai ministri dell’Udc che cercavano di salvare almeno la poltrona se non la faccia ha risposto di non avere tempo da perdere con i partitini, aggiungendo che se qualcuno deve leccarsi le ferite non è certo affar suo. Un tono sprezzante e sicuro che ieri ha replicato, ma questa volta rivolto all’ex compagno di patto Silvio Berlusconi. Dopo la fregatura del Quirinale, il Cavaliere ha riunito l’ufficio di presidenza e ha dichiarato decaduto il patto del Nazareno, precisando che Forza Italia valuterà di volta in volta se votare a favore o contro le riforme. Beh, sapete che ha risposto il presidente del Consiglio per tramite della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani? Meglio, così: non avendo tra i piedi Berlusconi e Brunetta riusciremo a farle prima. 

Ora, si può discutere o meno se le riforme siano di buona o cattiva qualità, se siano utili o dannose per il Paese. Ciò che non è in discussione è che se a un anno di distanza questi provvedimenti non sono legge dello Stato, la colpa non è di Forza Italia, ma della minoranza del Partito democratico. Sono loro, i sinistri del Pd, ad aver rallentato la lunga marcia del Grande timoniere toscano, non certo il Cavaliere, che anzi per dodici mesi ogni volta che si è reso necessario è andato in soccorso di Renzi, facendogli trovare quei voti che mancavano, anche a prezzo di perdere i suoi. Senza di lui di sicuro l’Italicum non sarebbe arrivato in porto e se lo fosse sarebbe stato molto diverso da quello approvato, nel senso che non garantirebbe al premier di poter vincere le elezioni e per di più con la possibilità di scegliersi (lui, non gli elettori) gli uomini da mandare in Parlamento. Dicendo quel che ha detto, Renzi non solo mistifica la realtà, ma soprattutto tende a nascondere il vero problema che ha davanti, ossia che se fino ad oggi ha giocato le sue carte su più tavoli, quelli del Pd, di Forza Italia e infine perfino di Cinque Stelle e Sel, ora rischia di essere ostaggio della sinistra radicale. 

Che cosa intendiamo dire? Che se mentre, fino all’altro ieri, il premier teneva a bada la sua minoranza interna cercando e trovando sponda in Silvio Berlusconi e in Forza Italia, adesso, avendo tirato un pacco all’alleato che lo ha sostenuto dall’esterno e anche a quelli che come Ncd lo hanno fatto dall’interno, il secondo forno con cui finora il suo governo ha panificato non sarà più disponibile. Senza Berlusconi le riforme viaggeranno più spedite? Dipende, se il presidente del Consiglio si piegherà ai voleri dei dissidenti su legge elettorale, Jobs act e altro è possibile che le leggi abbiano un iter meno accidentato. Ma è anche altamente probabile che le norme varate siano assai meno efficaci di quelle che Renzi vorrebbe varare. Mandando all’inferno il Belzebù di Arcore, il presidente del Consiglio si lega ad altri diavoli e non è detto che finisca meglio che con il Cavaliere. Né si può pensare che il governo riesca a stare a galla con un altro gruppo di responsabili composto da ex Ncd, ex Cinque Stelle ed ex Forza Italia, come da un paio di giorni il premier lascia filtrare nella speranza di convincere Berlusconi a non fare un passo indietro. A parte che forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a una compravendita di parlamentari, ma pensate davvero che ci si possa fidare di gente sempre pronta ad andare in soccorso del vincitore? Rischieremmo di rivedere a sinistra quello che vedemmo nel 2010 con Scilipoti e Razzi, con i risultati che sono noti.

Dunque non è vero che ci sono tre forni, come si è scritto in questi giorni: quello di governo, quello delle riforme e quello per il Quirinale. Forse i tre forni ci sono stati, ma oggi Renzi rischia di averne uno solo ed è composto dal suo partito cui si uniscono Sel e un po’ di Cinque Stelle scappati da casa Grillo. Se rompe con il nuovo centrodestra e soprattutto con Forza Italia, il presidente del Consiglio si lega alla solita sinistra, ovvero a chi gli ha messo sin dall’inizio i bastoni fra le ruote per quanto riguarda le riforme e anche per il lavoro. Insomma, Renzi fa il bullo, ma - come ogni buon giocatore d’azzardo - sta bluffando. È vero che a Ncd e anche a Forza Italia conviene essere della partita piuttosto che esserne esclusi, ma conviene anche a Renzi, il quale poi dovrebbe governare con Vendola. Del resto, nonostante alzi i toni, l’ex Rottamatore guarda con occhio attento gli umori degli italiani. Un occhio tanto attento che per aver sottomano i sondaggi sul suo consenso, Palazzo Chigi ha appena sottoscritto un contratto da 70mila euro. E la chiamano spending review. 

Kyenge tradita dai suoi "compagni" Anche per il Pd sembra un orango

Cécilie Kyenge triste per il Pd che salva Roberto Calderoli





L'ex ministro Cécile Kyenge non si dà pace dopo che la giunta per le immunità al Senato ha deciso che Roberto Calderoli non la ha insultata. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.

Dem a corrente alternata - Ed è proprio con i suoi compagni di partito che se la prende la Kyenge in un'intervista su Repubblica: "Se l'abbiano fatto con calcoli elettorali - ha detto - la troverei una cosa ancora più grave". Insomma per l'ex ministro i piddini si può anche scaricare una delle grandi battaglie di civiltà pur di raccimolare qualche voto in più in aula e dire candidamente che pure loro potrebbero pensare a un orango davanti a una foto del primo ministro nero d'Italia.

Squillo Marino, ecco la svolta osè: a Roma nasce la zona a luci rosse

A Roma la prima zona a luci rosse riservata alle prostitute





Il primo quartiere a luci rosse in Italia nascerà a Roma entro tre mesi. La sperimentazione targata giunta Marino ha individuato al quartiere Eur una strada nella quale la prostituzione sarà tollerata.

Recupero sociale - L'operazione secondo gli amministratori del IX municipio romano dicono sia a sfondo sociale. Per ora è chiaro che il progetto costerà 5mila euro al mese per pagare le unità di strada, gli operatori sociali che seguiranno le ragazze nei loro bisogni e proveranno a tutelarle dagli sfruttatori.
Lontano dagli occhi - Secondo l'huffingtonpost.it l'idea è di allontanare le prostitute dal centro abitato. La pia speranza del presidente del IX municipio, Andrea Santoro, è di frenare il fenomeno della prostituzione imponendo multe fino a 500 euro per quei clienti indisciplinati, scoperti fuori dall'area autorizzata.

Esasperati - Santoro racconta come oggi le prostitute sostino indisturbate sotto le abitazioni ogni sera e il giorno dopo: "In ogni angolo del quartiere, ritroviamo le strade piene di preservativi usati gettati per terra". Non proprio quindi una zona a luci rosse, come già presenti in altre città europee, l'idea assomiglia più a un bel recinto nelle campagne romane.

giovedì 5 febbraio 2015

Giordania, la rabbia e l'orgoglio: bombarda Mosul e lo Stato islamico

Isis, la Giordania bombarda Mosul. L'Imam del Cairo: "Terroristi da crocifiggere, tagliategli mani e piedi"





I jihadisti dello Stato islamico andrebbero crocifissi e si dovrebbero tagliare loro mani e piedi. A sostenerlo non è un ultrà cristiano inorridito dal prigioniero giordano bruciato vivo dai tagliagole dell'Is ma, al contrario, una delle principali autorità del mondo islamico. Ahmed Al Tayeb, grande imam della moschea egiziana di Al Azhar a Il Cairo e massima istituzione sunnita (la stessa fazione a cui appartengono i miliziani del Califfato di Al Baghdadi), ha lanciato un proclama attraverso l'università di Al Azhar esprimendo riguardo all'ultima terrificante esecuzione "profonda indignazione per questa azione terrorista ignobile che esige la sanzione indicata dal Corano per questi tiranni che corrompono e che fanno la guerra ad Allah e al suo messaggero. Devono essere uccisi, crocifissi e bisogna tagliare loro le mani e i piedi". Secondo Al Tayeb l'Isis è una "organizzazione terrorista satanica" mentre l'uccisione del pilota giordano è "un'azione maligna". Quindi l'appello "alla comunità internazionale perché lotti contro questa organizzazione terroristica che perpetra azioni selvagge e barbare che non soddisfano né Allah né Maometto". 

La Giordania bombarda Mosul - Il re Abdullah II di Giordania, a cui Al Tayeb ha espresso "solidarietà", ha intanto avvertito che Amman darà una "dura risposta" allo Stato islamico per l'assassinio del pilota: "Il sangue dell'eroe martire non resterà senza la severa risposta della Giordania e del suo esercito a questo atto codardo e criminale perché questa organizzazione terroristica non solo lotta contro di noi, ma anche contro l'islam e i suoi nobili valori". Secondo fonti giordane, poi confermate in serata, l'aviazione ha bombardato Mosul, la capitale irachena dello Stato islamico. La Giordania ha dunque ripreso, con maggior vigore, le operazioni militari iniziate mesi fa insieme all'alleanza internazionale guidata dagli Stati Uniti.

Mentana vs Sardoni, show dalla Bignardi Carrambate e imbarazzi: "Quella volta..."

Le Invasioni barbariche, Daria Bignardi ospita Enrico Mentana, Alessandra Sardoni e Paolo Celata: battute e imbarazzi...

di Claudio Brigliadori 



Quando dopo qualche minuto Daria Bignardi fa la carrambata e chiama in studio Enrico Mentana, a Le invasioni barbariche cala il gelo per un secondo. Il direttorissimo del TgLa7 prende la sedia e si piazza proprio in mezzo ai protagonisti fino a quel momento, i due suoi inviati Alessandra Sardoni e Paolo Celata: "E' l'ultimo loro giorno di lavoro a La7". La Bignardi aveva appena finito di rimbrottare la Sardoni: "E' vero che la prima regola per lavorare con Mentana è non offendersi mai?". Mentre Celata risponde secco "sì", la brava Alessandra tace, un po' imbarazzata. "Ma sai che sei un po' paracula?", scherza la Bignardi, prima di far venire un coccolone ai suoi ospiti mettendoli faccia a faccia con l'incontentabile Mentana. 

Filippo Lupi @F_Lupi

Mentana non puoi mettere baby Sardoni in un angolo... #leinvasioni
21:50 - 4 Feb 2015

Il direttore e gli inviati - Per molti, su Twitter e Facebook, la partecipazione dei due giornalisti del TgLa7 alle Invasioni era l'evento televisivo della settimana (o forse più). L'ebrezza di vedere la stakanovista Sardoni fuori da dirette e conduzioni stile 30 ore per la vita era pari solo alla malinconia di saperla "ostaggio" di La7 anche nella sua forse unica serata libera. Entrambi, sono stati grandissimi protagonisti delle dirette quirinalizie per l'elezione del presidente Mattarella. La Sardoni (diventata grazie ai suoi guanti una icona lesbo) stasera è malata, ha 38 di febbre: "Malata, mah...", si mostra scettico Mentana. Poi via a qualche indiscrezione succulenta: "Avevo visto Berlusconi scherzare ma non me la sono sentita di rincorrerlo per intervistarlo, i Corazzieri potevano abbattermi", ricorda Celata. "Dovevi farlo, ti liberavamo noi", è stata la risposta del suo direttore, che poi si lascia scappare: "Avevamo Maurizio Gasparri in diretta, lui si dilungava e gli ho detto: Ci dobbiamo lasciare, c'è la pubblicità. Non era vero". 

La sfuriata di Mentana - Quando parla Mentana, la Sardoni lo guarda rapita: "E' innamorata", la stuzzica la Bignardi. "No, è ambigua - puntualizza un po' velenoso Enrico Mitraglietta -. Lei dice: Cosa mi giova?". Un rapporto spiazzante a cui i telespettatori sono abituati: Mentana chiede l'impossibile e la Sardoni, che su Facebook si è addirittura guadagnata una pagina dedicata, infaticabile, intervista, insegue, carpisce, aggiorna. "Solo una volta mi sono arrabbiato furiosamente con lei - la pungola -: avevamo rifatto tutta la scenografia nuova e lei l'ha usata come fosse ancora quella vecchia".

Quella strana frase nel cuore della notte: così "Repubblica" umilia la Finocchiaro...

Anna Finocchiaro umiliata da "Repubblica": quello strano tweet nel cuore della notte





Accade tutto a notte (quasi) fonda. Siamo intorno alla mezzanotte. E l'account Twitter (ufficiale, eh) di Repubblica ritwitta un cinguettio di Sebastiano Messina, firma del quotidiano debenedettino. Nella foto potete leggere il tweet, piuttosto esplicito, in cui viene ripresa una frase di Silvio Berlusconi, che al Quirinale, nel giorno dell'insediamento di Sergio Mattarella, rivolgendosi ad Anna Finocchiaro avrebbe detto: "Noi abbiamo sempre tifato per lei". E dunque il commento di Messina: "Parole che ci fanno apprezzare ancor di più Mattarella". Come dire che la Finocchiaro è poco di buono, reso ancor peggio dall'apprezzamento di Berlusconi. Niente di male, per carità, nel pensiero di Messina: ognuno dice ciò che vuole, soprattutto su Twitter. Ciò che fa specie, al contrario, è il fatto che il pensiero venga ritwittato - e dunque "sposato" - dall'account ufficiale di Repubblica, che si diverte ad "umiliare" la Finocchiaro sui social. Sì, proprio la Finocchiaro del Pd...

Silvio dice addio al patto del Nazareno: "Rotta l'intesa con Renzi, ci ha tradito"

Forza Italia, la svolta: "Il Patto del Nazareno è rotto"





Fine dei giochi: il patto del Nazareno è rotto. L'intesa siglata tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi è giunta al capolinea. Il Patto è finito sul banco degli imputati nel corso del tesissimo ufficio di presidenza "ristretto" che si è tenuto a Palazzo Grazioli. I vertici di Forza Italia hanno duramente criticato le posizioni assunte da Renzi nel corso della corsa quirinalizia che ha portato all'elezione di Sergio Mattarella. Posizioni, quelle del premier, che hanno portato alla rottura: "E' stato Renzi a disattendere la parola data, ad assumere un metodo non corretto e a non rispettare il Patto".

L'annuncio - Dunque, nel corso della riunione, è stato Giovanni Toti ad annunciare che "il Patto del Nazareno così come lo avevamo interpretato fino ad oggi noi lo riteniamo rotto". Una posizione che l'europarlamentare aveva già anticipato in un'intervista di poche ore prima a Maurizio Belpietro. "Il governo - ha aggiunto - ha già detto con grande chiarezza che proseguirà sul cammino delle riforme, ma noi non ci sentiamo legati a condividere la strada perché prevedeva un presupposto fondamentale, che era: sulle istituzioni si sceglie insieme e dunque anche sul capo dello Stato".

"Meglio così" - La prima replica da parte del Pd è arrivata dalla vicesegretaria Debora Serracchiani, che in una nota ha scritto: "Se il patto del Nazareno è finito, meglio così". Nel vertice a Palazzo Grazioli, però, non si è parlato soltanto del Patto, ma anche - e soprattutto - del partito. Nel corso del tesissimo summit, Renato Brunetta e Paolo Romani hanno presentato le loro dimissioni, ma Silvio Berlusconi le ha respinte, riconfermando i vertici del partito (nonostante i durissimi attacchi di Raffaele Fitto).

"Stima per Mattarella, ma..." - Nel dettaglio, un comunicato diffuso da Forza Italia al termine della riunione, spiega: "Denunciamo il metodo scelto dal Partito democratico per arrivare alla designazione del candidato Presidente". E ancora: "La stima e il rispetto, umano e politico, per la persona designata, non possono farci velo nel giudicare inaccettabili le modalità adottate nella trattativa tra le forze politiche dal partito di maggioranza relativa. Modalità che hanno sconfessato quel principio di condivisione delle scelte istituzionali, elemento fondante del patto sulle riforme da noi sempre onorato".

Passo indietro - "La decisione di procedere unilateralmente - si legge ancora nel comunicato - all’indicazione della più alta carica dello Stato in un momento tanto delicato per le nostre istituzioni, interessate dal più vasto cambiamento dall’approvazione della Costituzione Repubblicana, costringe il nostro movimento politico a denunciare lo spirito e i presupposti degli accordi che hanno fin qui guidato il cammino delle  riforme approvate insieme al Partito Democratico e alle altre forze di maggioranza".

Quella gola profonda del Pd che sbugiarda Renzi Il colpo gobbo, si va subito al voto: lo scenario

Matteo Renzi, la mossa per andare a votare: colpo gobbo sull'Italicum

di Franco Bechis 



Era da poco passato il mezzogiorno, e mentre Matteo Renzi e Sergio Mattarella terminavano il giro nel centro di Roma a bordo della Flaminia presidenziale senza capote con grande soddisfazione del nuovo capo dello Stato (lui è molto freddoloso), nel cortile di Montecitorio è iniziata una lunga discussione fra due senatori. Uno dei due è ben noto a chi frequenta il palazzo: Donato Bruno, avvocato di Forza Italia ed esperto di riforme istituzionali. Negli ultimi mesi insieme ad Anna Finocchiaro a palazzo Madama ha officiato il patto del Nazareno guidando l’approvazione sia della riforma costituzionale che della legge elettorale, l’Italicum.

L’altro senatore è meno noto alle cronache: si chiama Mauro Del Barba, è un bancario della provincia di Sondrio, oggi è segretario della commissione Bilancio di palazzo Madama ed è anche tesoriere del gruppo parlamentare del Pd guidato da Luigi Zanda. Del Barba è un renziano della prima ora, che nonostante la giovane età ha condiviso lo stesso cursus politico dell’attuale premier: animatore dei gruppi per l’Ulivo, dirigente locale del partito popolare e della Margherità, poi il Pd. Ha appoggiato Renzi alle primarie del 2012, che ha stravinto nel suo territorio, e per questo si è conquistato un posto in Senato. Proprio Del Barba ha acceso la miccia di quella discussione: «Se si dovesse andare a votare», ha spiegato a Bruno, «possiamo subito utilizzare l’Italicum, che ormai è quasi approvata. Basta inserire quel testo in un decreto legge che estenda il meccanismo maggioritario con ballotaggio anche all’elezione per il Senato».

SENZA PRECEDENTI
Tralasciamo qui le lunghe, animate e dotte risposte di Bruno, che invano ha tentato di spiegare al suo interlocutore come quella idea fosse tecnicamente irrealizzabile: non ci sono precedenti di una legge elettorale introdotta per decreto legge. E in ogni caso l’Italicum non potrebbe essere la soluzione per il Senato, dove servirebbe un premio di maggioranza su base regionale, come più volte hanno sottolineato i presidenti della Repubblica (perfino il Porcellum fu modificato così, causando tutti i pasticci ben conosciuti, dall’intervento dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi). Non sbagliava il senatore Bruno a profetizzare che mai il nuovo Capo dello Stato avrebbe messo la sua firma sotto un decreto legge di questa natura. Quel che conta è proprio l’idea stessa lanciata da Del Barba, e il suo cocciuto insistere sulla fattibilità. Perché è un segnale politico, non proprio secondario. Viene da un renziano doc, e segnala quel che si sussurra a palazzo da qualche giorno: chiusa con successo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, Renzi sta nuovamente pensando ad elezioni che gli consentano di risolvere una volta per tutte la sua personale partita con la minoranza del Pd (solo addormentata dalla battaglia per il Quirinale in cui si sono serrate le fila) e allo stesso modo pure il potere di interdizione degli alleati minori della maggioranza, Ncd in testa.

MAGGIORANZA FRAGILE
Per altro proprio le ferite che nel partito di Angelino Alfano si sono aperte in questi giorni riportano fra i temi di attualità la possibilità di una fine anticipata del governo e di conseguenza anche della legislatura. Il tema politico indubbiamente c’è, e il fatto che nelle fila dei fedelissimi del capo del governo ci si ponga con urgenza il tema di una legge elettorale in grado di offrire una maggioranza certa alle urne, indica come il quadro istituzionale sia davvero a rischio frana. Anche se non tutti ne sono convinti.

«A me sembra che il tema politico di una rottura della maggioranza di governo in questo momento non sia attuale. Anche i malumori passeranno», sostiene Emanuele Fiano, altro renziano del Pd che alla Camera ha seguito come relatore i percorsi delle riforme istituzionali. Della stessa opinione è anche la figura più rappresentativa della minoranza Pd, Pierluigi Bersani, che sminuisce i rischi che possano venire da Ncd sulla stabilità di governo: «Sono arrabbiati? Sì, ma alla fine anche la rabbia sbollirà», dice lui. Qualche segnale in questo senso è sembrato arrivare ieri da sguardi e sorrisi a favore di telecamere di Renzi e Alfano durante il discorso di insediamento di Mattarella.

L’INCOGNITA NCD
Non è molto, anche perché nel partito i maldipancia non sono pochi, e il clima sembra aggressivo nei confronti del premier. Non è sfuggita l’assenza di Maurizio Lupi nei banchi dell’esecutivo. Sono state ribadite le dimissioni della portavoce del partito, Barbara Saltamartini che in una intervista a Libero tv (questa mattina su www.liberoquotidiano.it) ha spiegato: «mi è ormai impossibile portare una voce che non condivido».

Si è dimesso da capogruppo in Senato Maurizio Sacconi. E traballa la sua collega alla Camera, Nunzia De Girolamo. Il cronista di Libero ieri le ha rivolto una domanda iniziando con un «voi del Ncd...», e lei con ampio sorriso ha replicato : «Noi? Vorrai dire loro...».

Anche Fabrizio Cicchitto fa presagire aria di tempesta: «da quel che mi risulta il premier non ha ancora sciolto e annullato il Parlamento. Che quindi ha ancora la sua libertà di decidere. E anche di votare contro a provvedimenti che non condivide...». Il clima dunque è questo. E la forzatura sulla legge elettorale è davvero gran tentazione di Renzi e del suo gruppo. Più che appellarsi a San arbitro Sergio Mattarella non si può...

mercoledì 4 febbraio 2015

MALPENSA, COMI: No a ipotesi Malpensa solo come aeroporto cargo

MALPENSA, COMI: No a ipotesi Malpensa solo come  aeroporto cargo 


di Gaetano Daniele



On. Lara Comi
Europarlamentare Forza Italia (Vicepresidente Gruppo Ppe)

"Sono lieta che a Malpensa si inauguri il nuovo Hub internazionale DHL Express. Non vorrei però che ci si rassegnasse a considerare lo scalo varesino come dedicato perlopiù al settore cargo. Sarebbe un danno enorme per l'occupazione e per lo sviluppo dell'economia lombarda e di tutto il Nord. DHL Express rafforzerà pure il suo business, ed è una buona notizia. L'importante però è che si rilanci Malpensa non solo nel traffico merci, ma come hub internazionale e intercontinentale, in linea con la sua vocazione originaria poi tradita prima con il dehubbing che ha privilegiato Roma e adesso con il piano Alitalia Etihad del ministro Lupi. Così l'On. Lara Comi al nostro blog, il Notiziario sul web, e nota: L'entusiasmo di Raffaele Cattaneo, che cantando le lodi dello sviluppo di DHL Express afferma di essere in prima linea nel sostenere l'hub, dovrebbe accompagnarsi ad azioni concrete in questo senso. Ripeto: è ottimo che una grande azienda investa su Malpensa considerandola strategica e con enormi potenzialità di sviluppo. Lo stesso Presidente di Sea, Pietro Modiano, - conclude Comi - ha spiegato come l'aeroporto nel 2014 abbia registrato la più rapida crescita in Europa con un aumento del traffico merci del 9,1% rispetto all'anno precedente. Non dimentichiamoci però che non può essere questo l'unico sbocco possibile per Malpensa."

TERREMOTO IN FORZA ITALIA Raffica di dimissioni, Silvio dice no

Forza Italia, Renato Brunetta si dimette: Silvio Berlusconi respinge il passo indietro





Terremoto totale. Guerra atomica. Conflitto nucleare. Resa dei conti. Fate voi, scegliete la definizione che più vi aggrada per definire ciò che sta accadendo in Forza Italia, il partito "terremotato" dall'elezione di Sergio Mattarella al Colle. L'indiscrezione dell'ultimissima ora, non ancora confermata dal diretto interessato ma rilanciata da fonti azzurre, è relativa alle dimissioni di Renato Brunetta. L'Adnkronos, citando fonti presenti all'ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli, dà notizia del passo indietro del capogruppo dalla sua carica: Brunetta avrebbe messo le dimissioni sul piatto. Inoltre avrebbe chiesto la possibilità di votare di nuovo a scrutinio segreto le cariche di capogruppo alla Camera e al Senato, "perché così funziona un sistema democratico". Le dimissioni, però, sarebbero state respinte da Silvio Berlusconi, che avrebbe confermato la piena fiducia ai vertici del partito. La notizia del passo indietro di Brunetta arriva poco dopo l'affondo di Raffale Fitto, che in una contro-conferenza stampa alla Camera ha affermato di "non riconoscere il valore politico" dell'ufficio di presidenza ristertto a Palazzo Grazioli, dove Silvio Berlusconi si confronta con i suoi fedelissimi (tra i quali, appunto, Brunetta). Al pari di Brunetta, anche l'omologo al Senato, Paolo Romani, avrebbe messo sul piatto la sua poltrona: anche queste dimissioni sarebbero state respinte.

Angelino Alfano, il diktat dei frondisti di Ncd: "O ministro, o leader"

Angelino Alfano, il diktat dei frondisti di Ncd: "O ministro, o leader"





"Deve decidere cosa fare da grande", continuano a ripetere i dissidenti di Ncd riferendosi ad Angelino Alfano. "Se vuole fare il leader del partito deve mollare la poltrona da ministro", ragionavano nella riunione semicarbonara organizzata l'altra notte dalla fronda malpancista. "Se vuole continuare a fare il ministro, lasci la guida di Ncd ad altri". Per ora nessuno è uscito allo scoperto, ma i malumori crescono. Barbara Saltamartini se ne è andata con la Lega di Matteo Salvini e Maurizio Sacconi si è dimesso da capogruppo.

Le rassicurazioni di Lupi - Per sapere cosa ne sarà di Ncd bisognerà attendere che i congiurati si rivedino e che Alfano incontri Matteo Renzi. Nel frattempo il ministro Lupi cerca di smorzare le polemiche: "Ncd rilancerà la propria azione e non si sfascerà". E ancora: "Alfano non rischia assolutamente e non c'è alcun impeachement in corso da parte di altri". "Angelino", puntualizza il ministro per le infrastrutture, "è il leader che ci ha permesso di costruire quest'area". 

Ma come rosica Giuliano Amato: la frase (al vetriolo) su Mattarella

Giuliano Amato su Sergio Mattarella: "Era il mio candidato preferito. Dopo di me"





"Ho lavorato con Mattarella per molti anni, da ultimo alla Corte costituzionale. Ha qualità adattissime per questo incarico che gli italiani gli hanno affidato". Giuliano Amato, a margine della cerimonia di insediamento di Sergio Mattarella al Quirinale, commenta così la figura del nuovo presidente della Repubblica. Belle parole, poi come è nello stile del dottor Sottile è partita la frecciatina: "Era il mio candidato preferito. Dopo di me".

L'oscuro presagio di un Mattarella Il fratello: "Sergio, fai attenzione..."

Antonino Mattarella: "Un consiglio a mio fratello Sergio? Si guardi dai politici"





Del fratello di "Sergiuzzo", come lo chiamavano da bambino, negli ultimi giorni, se n'è parlato molto. Tutta colpa di una vecchia storia, di una vicenda relativa ai suoi rapporti con alcuni criminali della banda della Magliana. Lui è Antonino Mattarella, fratello del neopresidente della Repubblica, Sergio. "Sono io Antonino Mattarella, ho 78 anni, quattro più di Sergio, ho fatto il docente universitario - spiega in un'intervista a Repubblica - e quando non sto a Roma sono sempre qui a Santa Venerina con i miei cani di razza che allevo e mando ai concorsi". Per la precisione si tratta di 47 cani, con i quali vive in un rifugio che si trova sotto all'Etna, circondato da nove ettari di vigna.

Le ombre - Antonino Mattarella parla subito di quelle ombre nel suo passato, senza però voler entrare nel dettaglio. "Sono amareggiato - premette -, io non c'entro con l'attività politica di mio fratello, non ho mai interferito con certe cose, né con Sergio e prima neanche con Piersanti. Non avevano bisogno di me". Sulla vicinanza con i criminali della Magliana aggiunge: "E' una vicenda assurda, di 25 anni fa. Lo stesso pm che l'aveva aperta ha chiesto poi l'archiviazione che il giudice ha controfirmato. Cosa dovrei aggiungere su una storia che non esiste da un punto di vista giudiziario?". E ancora: "Non ha senso che veniate qui a tirare fuori una cosa come questa quando non la si conosce". Insomma, "non ne voglio più parlare". L'argomento, dunque, è assai sgradito.

Rapporto fraterno - Si parla poi di Sergio, il fratello ora inquilino del Colle più alto. "Che rapporto ho con lui? Fraterno, bellissimo. Non ci vediamo spessissimo ma ci sentiamo sempre. Quando andavo a Palermo dormivo sempre a casa sua". Antonino riprende: "Lo ho sentito subito dopo l'elezione, prima ci siamo scambiati il solito sms e poi abbiamo parlato al telefono. Ma aveva fretta, stava preparando il discorso". Ma se lo aspettava, Antonino, che suo fratello sarebbe diventato presidente della Repubblica? "Ero convinto che Presidente sarebbe dovuto diventare la volta precedente perché Sergio è l'uomo giusto al momento giusto"".

Il profetico consiglio - L'intervista prosegue: "Come definisco Sergio in due parole? Una persona equilibrata. Renzi ha detto che è di grande rigore morale. Equilibrio e rigore morale, le doti di un Presidente della Repubblica". E dunque si arriva al "consiglio" di Antonino a "Sergiuzzo", un consiglio sibilino, quasi profetico: "Cosa gli consiglio? Di guardarsi dai politici". Sergiuzzo, insomma, deve guardarsi da quegli stessi politici a cui, fino a qualche anno fa, apparteneva in maniera attiva (prima dell'elezione, era "uscito di scena" da nove anni). E ancora: "Sergio è un uomo di profondissima cultura, cosa non comune tra gli uomini politici italiani. Non mi permetterei di dargli consigli tranne che uno: continui a fare quello che ha fatto sino ad ora". Ossia, s'intende, "guardarsi dai politici".

Si fa fregare 40 miliardi e ringrazia: Renzi incontra Tsipras e fa il comunista

Matteo Renzi incontra Alexis Tsipras: "Le elezioni in Grecia un messaggio di speranza"





Rosso spinto e rosso stinto. Da un lato Alexis Tsipras, dall'altro Matteo Renzi. Il premier greco è stato ricevuto con picchetto d'onore nel cortile di Palazzo Chigi: l'Italia, infatti, era la seconda tappa del suo tour europeo iniziato a Malta. Il premier nostrano, per l'omologo ellenico, ha speso parole d'encomio, soffiando (pur blandamente) sul fuoco dell'antieuropeismo incarnato da Tsipras, il premier più sexy del globo: "Sono convinto che abbiamo tutti bisogno di leggere nel risultato delle elezioni greche il messaggio di speranza che viene da un'intera generazione di persone che chiedono di avere più attenzione riguardo all'interesse verso chi sta subendo la crisi", ha spiegato Renzi.

"Una svolta vera" - Il toscano Matteo ha poi aggiunto: "Abbiamo la stessa età ma veniamo da esperienze diverse e apparteniamo a famiglie politiche differenti, ma abbiamo in comune l'idea di restituire alla politica la possibilità di cambiare le cose". Da par suo, Alexis il rosso, ha ribadito che "è necessario un cambio in Europa, bisogna portare la coesione sociale e crescita al posto delle politiche di paura e incertezza". E ancora: "Non è affatto formale dire che è stato un incontro costruttivo. Non ho parlato italiano ma con Renzi parliamo la stessa lingua. Se vogliamo parlare la lingua della verità occorre una svolta per la crescita che porti, attraverso riforme, a Stati più funzionali".

Siparietti e dimenticanze - Al termine dell'incontro anche un siparietto: Renzi ha ricordato a Tsipras di aver detto che non avrebbe indossato la cravatta fino a che non uscirà dalla crisi. E così, porgendo un pacchettino ad Alexis, Renzi ha affermato: "Noi vogliamo dare una mano vera alla Grecia, che non vuol dire dare sempre ragione, ma siammo sicuri che ne uscirà e quando accadrà ci piacerebbe che il premier indossasse una cravatta italiana". Sorrisi e battute, dunque, ma nessun accenno alla frecciata scoccata alla vigilia dallo stesso Tsipras, quando aveva puntato il dito contro il debito italiano, chiedendo all'Europa di non accanirsi con la Grecia. Renzi ha preferito tacere. E incassare. Come non ha detto una parola sul fatto che la Grecia, orientata a non ripagare i debiti contratti per il salvataggio, finirebbe col non restituire all'Italia 40 miliardi di euro. Mica bruscolini, insomma...

Piano B di Renzi, al governo anche senza Ncd. Ecco come farà senza Alfano

Il piano B di Renzi, al governo anche senza Ncd. Ecco come farà senza Alfano





Non ha bisogno di Angelino Alfano e del Nuovo centrodestra per governare, Matteo Renzi. Se anche il primo ministro rompesse, il leader del Pd avrebbe comunque i numeri per approvare le riforme, perché ancora prima dell'intesa sulla candidatura di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, Renzi sapeva che poteva contare su molti senatori appartenenti a tutti gli schieramenti. 

Al momento, come riporta il Corriere della Sera, non è necessario per Renzi portare a compimento "Orizzonte 2018" ma la manovra è già messa a punto come rivela un esponente del Pd: "In caso di necessità, al Senato i numeri ci sono. Anche senza il Nuovo centrodestra". E in questa ottica si possono ora rileggere le parole di Maria Elena Boschi quando qualche giorno fa diceva che "la maggioranza è autosufficiente". Del resto, il ministro per le Riforme è parte in causa della manovra: è stata lei infatti a convincere alcuni esponenti di Ncd a votare per Mattarella ancor prima del via libera di Alfano e questi sono già stati ribattezzati "gli 11 apostoli della Boschi". 

Intanto Alfano è stretto tra Renzi che lo attende al varco da un lato e Matteo Salvini che prova a chiuderlo dall'altro ed è sfinito dalle defezioni e dalla crisi di nervi che attraversa il partito. Angelino è convinto che "ce la faremo" e che "nessuno se ne andrà". Ma Renzi è pronto a tutto.

Pino Daniele, straziante richiesta dell'ex: "No, dopo l'autopsia il suo cuore..."

Pino Daniele, la ex compagna dopo l'autopsia: "Non gettate via il suo cuore come carta sporca"





Sono iniziati gli accertamenti peritali sull'autopsia richiesta dalla procura di Roma sulla salma di Pino Daniele, il cantante scomparso il 4 gennaio 2015 a causa di un infarto. Il professor Giuseppe Ambrioso, direttore di cardiologia e fisiopatologia cardiovascolare dell'ospedale di Perugia, in qualità di perito, ha confermato l'inizio degli esami. L'autopsia eseguita l'8 gennaio è stata richiesta per chiarire se Pino Daniele sarebbe potuto essere salvato da un intervento tempestivo. Amanda Bonino, compagna del cantante, ha scritto una lunga lettera ai medici incaricati di esaminare il cuore. La sua richiesta è che il cuore del cantautore non venga gettato.

La lettera - "Ho appreso dai giornali che durante l'autopsia è stato espiantato il cuore di Pino - scrive Bonino -. Avere la conferma che fosse tutto vero è stato devastante e ancor più doloroso dover intuire quale potrebbe essere il suo destino una volta terminati gli esami.... Se razionalmente, con grande dolore, devo accettare una disposizione del pm come atto dovuto, al contempo, trovo moralmente inaccettabile che quel cuore, che idealmente è il luogo dell'anima di Pino, in cui sono le persone che ama, gli amici veri, dove è Napoli, dove c'è un po' di Maremma, dove sono le sue passioni e le sue ispirazioni, possa essere distrutto e smaltito come un rifiuto organico qualsiasi, per dirla con le sue parole.... come una carta sporca".

"Con quel cuore..." - La lettera continua: "Il pensiero di ciò mi addolora quanto la sua morte. Mi auguro che esista la possibilità che i suoi resti possano essere ricongiunti e possano finalmente riposare in pace nel silenzio incantato della campagna Toscana. Confido nel buonsenso e nel rispetto che un paese civile dovrebbe avere nei confronti della dignità umana, a maggior ragione nei confronti di una personalità unica ed irripetibile come quella di Pino, che proprio con quel cuore ha arricchito il nostro patrimonio culturale e musicale donandoci opere straordinarie che rimarranno per sempre all'umanità. Amanda".

Ribaltone al Fatto, silurato Padellaro: chi è il nuovo direttore (e il vecchio...)

Fatto quotidiano, silurato Antonio Padellaro: Marco Travaglio nuovo direttore





Ribaltone al Fatto Quotidiano, Marco Travaglio è il nuovo direttore e sostituisce Antonio Padellaro, alla guida del giornale nei suoi primi 5 anni di vita. Ad annunciarlo una nota della Società Editoriale Il Fatto che comunica che il consiglio di amministrazione "ha deliberato la nomina di Marco Travaglio come nuovo direttore della testata Il Fatto Quotidiano". L'editorialista principe di Servizio Pubblico già da un anno era condirettore del giornale. L'Assemblea degli azionisti tenutasi oggi ha inoltre nominato Padellaro, all'unanimità, Presidente della Società Editoriale il Fatto. 

"L'amministratore delegato Cinzia Monteverdi, insieme ai consiglieri Luca D'aprile, Peter Gomez, Lucia Calvosa, Layla Pavone, Marco Tarò, e alla presenza del Collegio Sindacale presieduto da Niccolò Abriani, hanno accolto la proposta di nomina di Marco Travaglio presentata da Antonio Padellaro che, con grande forza e spirito propositivo per il futuro, resterà in forza al giornale non solo come fondatore ma anche, e soprattutto, come editorialista", sottolinea la nota. "Con la convinzione che il nuovo assetto garantirà la continuità con il passato e nuove idee per il futuro i Soci hanno ringraziato Antonio Padellaro per l'insostituibile apporto che ha dato alla nascita e allo sviluppo del giornale e per il prestigio e l'equilibrio con cui ha diretto la testata in questi anni. Apporto fondamentale che proseguirà da oggi in poi nella sua nuova veste", conclude.