Bechis: tv e bilanci, la verità dei ricatti a Berlusconi
di Franco Bechis
Che sia più politica che sostanza, si capisce dai toni. Dopo avere lanciato il sasso all’indomani della rottura del patto del Nazareno, con quei due pugni allo stomaco di Forza Italia (stangata su tasse Mediaset e nuova legge sul falso in bilancio), il Pd ieri ha iniziato a nascondere la mano. Con un sasso nel pugno e un fiore stretto nell'altra mano è sceso in campo direttamente Matteo Renzi, che nella sua e-news ha fatto sfoggio di entrambi gli atteggiamenti. Forza Italia si rimangia il Nazareno? «Buon appetito», ha scritto Renzi in versione pugile: «Noi non abbiamo cambiato idea. Ho sempre detto che voglio fare accordi con tutti e che non ci facciamo ricattare da nessuno. Perché i numeri ci sono anche senza di loro». Poi ha allargato il sorriso e teso la mano: «Spero che dentro Forza Italia prevalgano il buon senso e la ragionevolezza. Se ciò non dovesse accadere noi continueremo a rispettare Berlusconi e il suo partito come rispettiamo tutti i partiti che ottengono i voti dei nostri concittadini: il nostro obiettivo non è parlar male dei nostri avversari, ma lavorare bene per l’Italia».
La linea del capo del governo è soprattutto questa seconda, e il pugno gli serve semplicemente per non farsi trascinare dentro vicende e regolamenti dei conti tutti interni a Forza Italia. Secondo l’interpretazione che si coglie sia nella cerchia più stretta del premier, sia con qualche sarcasmo all’interno di Forza Italia, il patto del Nazareno non sarebbe archiviato. Ma i segnali politici lanciati nelle ultime ore hanno lo scopo di dare un altro messaggio a Berlusconi: «Se ti interessa riprendere il filo del dialogo, lo si fa con chi lo ha tessuto fino ad oggi: Dennis Verdini e Gianni Letta. Altrimenti ognuno per la sua strada, e auguri». Non è questione di scortesia la scelta degli ambasciatori di Renzi - in primis il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti - di rifiutare ogni contatto con altri possibili ambasciatori che si sono fatti avanti nelle ultime 24 ore, come Maria Rosaria Rossi e Giovanni Toti. I due chiamano al telefonino, lasciano messaggi in segreteria telefonica, contattano anche gli uffici. Lotti non si fa trovare e non richiama nemmeno. Fra gli azzurri il gesto viene interpretato maliziosamente come un atto di amore nei confronti di Verdini, che all’interno del suo partito viene accusato di essere fin troppo testa di ponte del premier. Ma al di là delle simpatie personali, il governo cerca soprattutto di non entrare anche solo dando filo ora a questo o a quel dirigente, in una confusa guerra satrapica interna al partito di Berlusconi.
Si tratta però di puri messaggi politici, e lo erano anche gli «avvertimenti» arrivati dall’esecutivo giovedì: né sulla tassa Mediaset, né sul falso in bilancio c’è qualcosa più di un annuncio. L’emendamento proposto al “milleproroghe” infatti contiene solo un principio generale, che può fare oscillare i costi amministrativi delle frequenze digitali sia per Rai che per Mediaset da un euro a 50 milioni. Il quantum però verrebbe deciso - sempre che l’emendamento venga approvato - da un successivo decreto del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Ieri il renziano Michele Anzaldi che aveva soffiato il giorno prima sul fuoco della norma-vendetta su Mediaset, ha gettato acqua sul fuoco (come si deve fare quando i messaggi sono solo politici), sostenendo che oggi Mediaset paga 13 milioni l’anno e che al massimo rischierebbe di doverne pagare qualcuno in più: 17,5 milioni. E usando la chiave politica gli ha replicato Augusto Minzolini: «Non importa che siano 5,10 o 50 i milioni in più da pagare. Quelli interessano Mediaset, non noi. Ma se il governo doveva intervenire sulla materia in un senso o nell’altro avrebbe fatto bene a farlo in un altro momento, non certo all’indomani della rottura del cosiddetto Patto del Nazareno. È una questione di stile e galateo politico». Anche il Mattinale di Renato Brunetta ha usato quella chiave: più della sostanza, la forma politica che avrebbe per Renzi il senso di dare questo messaggio: «Chi resiste, chi non accetta la regola fiorentina della sottomissione, sappia che ne pagherà le conseguenze».
Però nelle stesse ore all’Economia si stavano svolgendo riunioni tecniche sul famoso decreto fiscale che contiene quella depenalizzazione per evasori e frodatori fiscali fino al 3 per cento dell’imponibile. Tutte le proposte di modifica della norma sono state cassate dai vertici del ministero, su imput del ministro Pier Carlo Padoan (e probabilmente dello stesso Renzi). Anche quello è un segnale politico, ed è di apertura verso Berlusconi. Di lui e del Nazareno Renzi ha bisogno, soprattutto in vista del Consiglio dei ministri del prossimo 20 febbraio. Quel giorno oltre al decreto fiscale approderà in consiglio un nuovo capitolo del jobs act, quello sulle formule contrattuali. E inevitabilmente tornerà a spaccarsi il Pd, con il premier che avrà necessità di una mano sia da parte di Angelino Alfano che da Forza Italia. Il Nazareno è magari congelato, più propriamente addormentato. Ma pronto ad essere risvegliato.
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