Giampaolo Pansa: Matteo Renzi il bullo ci rottama la testa
di Giampaolo Pansa
Tra le tante parole ascoltate venerdì dai politici europei dopo gli assalti del terrorismo islamico, mi hanno colpito quelle pronunciate da Manuel Valls, il primo ministro francese. Ha detto: «Per una società è difficile convivere per anni sotto la minaccia di un attacco. Ma da oggi la domanda non è se ci sarà questo attacco, ma quando avverrà».
Le parole di Valls mi hanno ricordato quelle di papa Francesco. Poco tempo fa, il pontefice aveva rammentato a tutti noi, credenti e non credenti, una verità che nessun leader osava ricordare: «È cominciata una Terza guerra mondiale. Questa volta a pezzi, a singoli blocchi. Ma è certo che siamo di fronte a un altro conflitto globale».
Se la diagnosi di Bergoglio è vera, e il Bestiario ritiene che lo sia, le conseguenze sono inevitabili. In questa guerra non esistono più dei fronti definiti, per il semplice motivo che l’intero pianeta è un terreno di battaglia. Tutti noi, dai bambini ai più anziani, siamo dei soldati anche se non indossiamo una divisa e non imbracciamo un’arma. Chiunque può essere ucciso in qualsiasi momento e in qualunque luogo. Come è accaduto ai tanti turisti europei che se ne stavano a prendere il sole su una delle spiagge più belle della Tunisia.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’Italia ha già vissuto l’inferno della guerra in casa. Condotta nelle fabbriche, negli uffici, nei giornali, nelle scuole, nelle sedi politiche, persino negli ospedali. È accaduto negli anni Settanta e Ottanta, con un numero di morti e di feriti che oggi sbalordisce anche il sottoscritto, un cronista obbligato a raccontarla giorno dopo giorno.
Ho visto uccidere amici come Walter Tobagi e Carlo Casalegno, agenti di polizia e magistrati conosciuti sul lavoro, uomini di pace come Vittorio Bachelet, Roberto Ruffilli e Marco Biagi. Ho visto sequestrare e sopprimere un leader come Aldo Moro. Ho visto gambizzare un’infinità di persone, da Indro Montanelli a Carlo Castellano, sino ai tanti studenti di un istituto torinese, fatti sdraiare nella palestra della loro scuola e feriti a rivoltellate uno dopo l’altro.
In quell’epoca, la società italiana ha sofferto l’assalto continuo del terrorismo di sinistra delle Brigate rosse, di Prima linea e di gruppi che volevano imitarle, poi del terrorismo nero, anche questo sceso in campo per uccidere. Eppure l’Italia non si è disgregata e ha evitato di diventare nemica di se stessa. Uno dei motivi è chiaro: nonostante i suoi infiniti difetti, il sistema politico della Prima Repubblica non si è disfatto, ha evitato il collasso, ha mantenuto un minimo di unità e ha aiutato gli italiani a non soccombere. Anche nei lunghi giorni del sequestro Moro, i partiti non sono spariti nella notte della discordia. La Dc, il Pci e il Psi, non da soli, sono stati in grado di mostrare al Paese un minimo di solidarietà. Pure il leader socialista Bettino Craxi, che voleva salvare Moro mettendo in libertà dei brigatisti incarcerati, è sempre stato coerente nella difesa dell’ordine repubblicano.
La domanda di oggi è se l’Italia del Duemila mostrerà la stessa concordia di allora, quando il terrorismo del Califfato nero colpirà anche in casa nostra. Nessuno di noi ha una risposta. Siamo tutti di fronte a un’incognita tra le più terribili. Succede così a un essere umano sicuro di ammalarsi o di essere infettato da qualche virus: saprà di essere in grado di resistere soltanto il giorno che rischierà di morire. Ecco perché, arrivati a questo punto, diventa inevitabile parlare del nostro presidente del Consiglio: Matteo Renzi.
Abbiamo imparato a conoscerlo alla fine del 2013 quando è diventato il leader del Partito democratico e poi nel febbraio del 2014 quando ha sottratto a Enrico Letta l’incarico di capo del governo. Renzi si è presentato agli italiani con un verbo insolito e sprezzante: rottamare. Il significato era chiaro: fare piazza pulita di tutto quello che gli sembrava vecchio, inutile, dannoso. Anticaglia da spedire nel guardaroba dei cani senza esitare e senza rimorsi.
Ma la rottamazione è una parola di guerra, implica uno scontro senza fine, suggerisce un’epurazione priva di pietà. Renzi è stato coerente. Ha messo brutalmente in disparte politici, manager pubblici e una quantità di figure anche interne al suo governo, come Carlo Cottarelli chiamato per tagliare la spesa pubblica. Tutti colpevoli di un solo reato: non essere fedeli al premier e pronti a obbedirgli senza discutere.
Al tempo stesso, il Chiacchierone fiorentino si è dimostrato il più conflittuale tra i tanti capi di governo che abbiamo avuto. Ha inaugurato la tecnica dell’insulto presidenziale: gufi, rosiconi, portatori di iella, uccelli del malaugurio, sabotatori di un’Italia che è anche la loro nazione.
Si è vantato di non avere nessun rapporto con le opposizioni, tanto quelle di sinistra che di destra. Ha sfruttato l’appoggio momentaneo di Forza Italia e poi ha scaricato Silvio Berlusconi. Ha cercato di mettere nell’angolo i sindacati e persino la minoranza del proprio partito. Discrimina persone considerate sgradite perché lo infastidiscono con le loro critiche. Sta accadendo pure a giornalisti schedati come disubbidienti.
Per usare una parola di moda, Renzi non pratica la vicinanza, bensì la lontananza. Ha fatto di Palazzo Chigi un bunker dove soltanto lui e i suoi fedeli possono vivere al sicuro. La politica come conflitto perenne è il suo habitat naturale. Gli garantisce di mostrarsi un premier veloce, audace, rivoluzionario più che riformista. «Andrò avanti nonostante tutto e tutti!» è diventato il suo mantra preferito. Affiancato da inutili spavalderie. Per esempio quella di sostenere che l’Italia «non è un Paese dei balocchi», bensì una nazione che l’Europa dovrebbe imitare.
Ma adesso la retorica renzista inizia a mostrare delle crepe. La crisi economica non è affatto risolta e il Mezzogiorno rischia di non risollevarsi più. L’immigrazione incontrollata è diventata un tragico rebus che il premier non sa risolvere. Genera insicurezza, sconforto, rabbia in gran parte degli italiani. Innesca contrasti tra regioni, comuni e governo. La distribuzione dei migranti in molte località impreparate a riceverli, fatta a tavolino dal ministero dell’Interno, sta creando un marasma mai visto, soprattutto nelle comunità che vivono di turismo.
Come dice il premier, l’Italia non è un Paese dei balocchi. Infatti siamo una nazione a rischio, come tante altre. Sino a oggi il terrorismo islamico ci ha lasciato in pace. Sarà anche merito dei nostri servizi di intelligence, dello stellone che ci protegge, del Padreterno che ha un occhio di riguardo per la nazione che ospita il Pontefice. Ma quanto durerà questa condizione felice? Le parole del primo ministro francese Valls suonano profetiche. La domanda che dobbiamo proporci è quando avverrà l’attacco all’Italia. Dunque Renzi ha l’obbligo di riflettere se il suo cesarismo autoritario sia la strategia giusta per una fase storica che impone di essere solidali di fronte a un pericolo grave.
Il giorno che avremo addosso le truppe del Califfato, il Chiacchierone fiorentino dovrà chiedere aiuto anche ai gufi e ai rosiconi che osteggiano il suo governo. Riduca la boria, azzeri l’arroganza, non tagli i ponti con nessuno degli avversari. Avrà bisogno di tutti, anche del povero autore del Bestiario.