Visualizzazioni totali

martedì 17 febbraio 2015

Il governo: il falso in bilancio rimane reato per tutti Berlusconi sotto processo a Napoli, cosa cambia ora

Riforma giustizia, invariati i tempi di prescrizione dei processi, niente depenalizzazione del falso in bilancio





L'accordo su un pezzo importante della riforma anticorruzione stavolta sembra raggiunto. Il dubbio potrà scioglierlo solo il Parlamento quando riceverà il testo dell'emendamento sul falso in bilancio che il ministro Andrea Orlando e i rappresentanti di Ncd e Pd hanno concordato. E il passo in avanti è un giro di vite che spazza via le ipotizzate soglie di non punibilità dei bilanci e delle comunicazioni truccate o sbagliate.

I dettagli - Non ci sarà più una soglia percentuale sotto la quale il reato non sarà perseguito: tutto rientrerà nell'area penale e sarà reintrodotta la procedibilità d'ufficio. Per le piccole aziende con volume d'affari fino a 600 mila euro di ricavo lordo annuo, la pena rimarrà minima (da uno a tre anni di carcere), lasciando aperta la strada a patteggiamenti e altre soluzioni per la prima volta. Negli altri casi, quindi, di falsi in bilancio ordinari la pena sarà fissata tra due e sei anni di carcere, mentre per quotate in borsa le pene oscilleranno tra i due anni minimi fino a un massimo di otto.

Prescrizioni - Rimane da vedere se il testo concordato tra Orlando e i partiti di maggioranza sarà lo stesso che piomberà al Senato, basterebbe una virgola o una parola diversa per far vacillare l'accordo. Stessa sorte successa alle proposte del governo sulla prescrizione, che dall'annuncio estivo è arrivata solo il 16 febbraio 2015 alla Camera. In quel testo è rimasta coerente l'idea di sospendere il calcolo dei tempi per un massimo di due anni dopo la condanna di primo grado, e fino a un anno dopo la sentenza di Appello. Per i casi ordinari invece i tempi rimangono inalterati.

Silvio stai sereno - All'interno di una norma transitoria c'è scritto che questa riforma della giustizia sarà applicata solo ai procedimenti giudiziari successivi alla data di pubblicazione della legge. Quelli in corso sono esclusi e seguiranno le norme in vigore prima della riforma. Tra questi c'è il processo a Napoli che vede imputato Silvio Berlusconi con l'accusa di corruzione per la compravendita dei parlamentari. Il reato sarà prescritto nell'autunno del 2015 e difficilmente potrà arrivare prima la sentenza definitiva.

Quella profezia nera di Gheddafi: "Ecco come invaderanno l'Italia"

Libia e la minaccia dell'Isis, la profezia di Gheddafi nel 2011: "Invaderanno l'Italia, sarà caos nel Mediterraneo"





"L'Italia sarà invasa, nel Mediterraneo sarà il caos". Una profezia nera, come le bandiere dell'Isis. A farla fu Muammar Gheddafi, nella sua ultima intervista italiana il 15 marzo 2011, al Giornale. Era appena iniziata la guerra in Libia, Tripoli era bombardata dai caccia della Nato e i ribelli della primavera araba stavano alle calcagna del Raìs. L'avrebbero catturato di lì a poco, oltraggiato in un video che ha fatto storia, linciato in pubblico e ucciso. Davanti al taccuino di Fausto Biloslavo, però, Gheddafi era ancora lucido e soprattutto lungimirante. Difendeva se stesso, certo, ma aveva capito quello che sarebbe potuto accadere nel suo Paese: "Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden gli africani si muoveranno verso l'Europa. E il Mediterraneo diventerà un caos". Più o meno quanto dichiarano oggi i jihadisti dello Stato Islamico che stanno conquistando la Libia ("Se ci attaccate, vi manderemo 500mila immigrati") e le stesse autorità italiane, che temono nuovi sbarchi con 200mila persone da soccorrere. 

Quella profezia su Gaza - Il mondo arabo stava cambiando nel giro di pochi mesi. L'Europa applaudiva sperando nel trionfo della democrazia ma Gheddafi aveva intuito lo scenario successivo, assai meno ottimistico: "Per il momento la striscia di Gaza è ancora piccola, ma si rischia che diventi grande. Tutto il Nord Africa potrebbe trasformarsi in una sorta di Gaza". Anche qui l'assonanza con quanto afferma oggi Hamas è inquietante: "Se attaccheranno la Libia, sarà una nuova crociata", è il messaggio minaccioso che giunge dalla Palestina, in un drammatico incrocio di interessi e ideologia tra il Califfato di Al Baghdadi e il partito guerrigliero che finora aveva sempre messo la questione religiosa e islamica in secondo piano rispetto alla sua priorità, la guerra territoriale contro Israele. 

"Sarà un incubo per l'Italia" - Ancora oggi, come nel 2011, l'Occidente dibatte: meglio la guerra o la diplomazia? "Negoziare con i terroristi legati ad Osama bin Laden non è possibile - spiegava all'epoca Gheddafi, sfiorando l'ovvio -. Loro stessi non credono al dialogo, ma pensano solo a combattere ed uccidere, uccidere ed uccidere". Ora però a Tripoli Europa e Italia non hanno più un referente certo come lo era a suo modo il Colonnello-dittatore, che ricordava: "L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa. Se si minaccia, se si cerca di destabilizzare, si arriverà alla confusione. Avrete Bin Laden alle porte, ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La situazione è grave per tutto l'Occidente. Come possono i dirigenti europei non capirlo?". Domanda che sul Corriere della Sera e Repubblica, l'11 marzo 2011, ci rivolgeva anche Seif el Islam, il figlio di Gheddafi oggi detenuto in Libia, a Zintane: "Se le milizie prendessero il controllo del Paese, voi sareste le prime vittime, avreste milioni di immigrati illegali, i terroristi salperebbero dalle spiagge di Tripoli verso Lampedusa e la Sicilia. Sarebbe un incubo per l'Italia, svegliatevi!".

Già finita la "pacchia"al distributore Benzina e diesel su: tutti gli aumenti

Carburanti, su i prezzi di benzina e gasolio





Gli aumenti quelli veri sono attesi per il periodo a cavallo dell'estate, come conseguenza della ridotta produzione di "shale" negli Usa. Ma già in queste settimane il calo dei prezzi dei carburanti si è arrestato dopo la precipitosa discesa dei mesi scorsi. E anzi, nel fine settimana si sono registrati ritocchi all'insù da parte di tutte le compagnie petrolifere. Come riporta il quotidiano Il Giorno, a ritoccare sabato scorso i listini di benzina e diesel sono state Eni (+1,5 cent/litro), Ip (+0,8 cent) ed Esso (+1 cent), seguite oggi (lunedì) da TotalErg (+2 cent) e da un nuovo rialzo della stessa IP (+1 cent).

Ma i prezzi praticati sono in salita dappertutto, anche per le no-logo. Secondo quanto risulta in un campione di impianti che rappresenta la situazione italiana per il servizio Check-Up Prezzi QE, il prezzo medio praticato "servito" della benzina va oggi dall'1,643 euro/litro di Eni all'1,662 di Tamoil (con le no-logo a 1,487). Per il diesel si passa dall'1,564 euro/litro di Eni all'1,576 di Esso e Q8 (no-logo a 1,397). Il Gpl, infine, è tra 0,588 euro/litro di Esso a 0,625 di Shell (no-logo a 0,570). Le punte massime sempre sul "servito" (no-logo escluse), osservate per tutti e tre i prodotti nell'Italia meridionale, risultano in salita a 1,736 euro/litro per la benzina e a 1,628 euro/litro per il diesel, mentre sono stabili a 0,653 euro/litro per il Gpl.

Ecco i prezzi medi praticati con servizio (Euro/litro) al 16 febbraio:  Benzina Diesel Gpl Eni 1,643 1,564 0,596; Total/Erg 1,658 1,571 0,593; Esso 1,656 1,576 0,588; IP 1,658 1,573 0,601; Q8 1,660 1,576 0,599; Shell 1,659 1,570 0,625; Tamoil 1,662 1,575 0,601; No logo 1,487 1,397 0,570.

Cambiare conto corrente è facile: la lista delle banche più convenienti

Conti correnti, cambiare è semplice. Ecco quelli più economici





In attesa che la matassa si sbrogli e che finalmente si possa cambiare banca in dodici giorni e senza spese di chiusura - come decreto imporrebbe - ecco la lista degli istituti di credito dove i consumatori possono risparmiare. Secondo Corriere Economia, che ha affidato la ricerca a ConfrontaConti e Osservatorio Finanziario, quelli che seguono sono i conti correnti più convenienti. 

Per chi usa la banca tradizionale - Partendo dal presupposto che i conti più economici sono quelli online che assicurano costi più bassi per le operazioni e sono più pratici, il Banco Popolare vince su tutti gli altri in tutte le simulazioni. Per chi usa la banca tradizionale Banco Popolare propone due conti convenienti: Premiaconto Risparmio 1501 (15 euro) e Premiaconto Plus 1501 (49 euro). Segue Che banca! (50 euro), quindi Deutsche Bank, Credem e Intesa San Paolo.

Per chi usa la banca online - Per chi preferisce consultare e disporre operazioni via internet il conto Youbanking del Banco Popolare è a costo zero, Che Banca! Online 24 euro e Conto Weebank 25 euro. Per chi in generale usa poco la banca c'è lo Zip Base di Mps a 23 euro e il nuovo My Genius modulare - opzione Silver - di Unicredit a 48. Per chi ha più di 65 anni è conveniente il Conto Libretto del Banco Popolare a 15 euro, Saggetà di Deutsche Bank a 39 euro e Bnl Pensione Facile a 44 euro.  

Catasto, così cambia l'imponibile: minimi e massimi città per città

Riforma catasto, come cambiano valori patrimoniali e rendite degli immobili: affacccio, piano, ascensore, tutti i criteri





Quartiere, stato di conservazione, presenza di ascensore o meno influiranno sul nuovo valore patrimoniale delle abitazioni. I dettagli sulla riforma del catasto sono ancora nebulosi ma dalla bozza del testo che arriverà venerdì prossimo in Consiglio dei Ministri è già possibile capire le "linee guida" che dovrebbero condurre a valori più "equi" o sicuramente aggiornati rispetto alle attuali rendite catastali che risalgono, di fatto al 1988-89.

Il valore patrimoniale - E' il Sole 24 Ore a fornire qualche anticipazione sul "metodo di calcolo" sui valori patrimoniali. Innanzitutto, verrà individuato il valore medio di mercato al metro quadrato dell'immobile in un determinato ambito territoriale. Si terranno conto, come detto, di variabili come le caratteristiche fisiche dell'immobile stesso: il quartiere in cui è situato, la tipologia edilizia, lo stato di conservazione, la presenza o meno di un ascensore, il piano dell'alloggio, la superficie, l'affaccio. Verrà quindi applicata una funzione statistica (ancora allo studio) per modificare l'immobile in base alle caratteristiche precedentemente elencate, e il risultato così ottenuto verrà diminuito del 30% (è la cifra indicata per ora nei documenti) per evitare alcune sopravvalutazioni. 

La rendita catastale - Più o meno lo stesso procedimento verrà applicato alle nuove rendite catastali che serviranno come base imponibile per le imposte sui redditi. Ma se le rendite, come prevedibile, cresceranno, potrebbe non essere altrettanto automatico l'aumento di Imu e poi Local Tax, visto che il governo ha previsto la presenza di un'aliquota base modificabile dai singoli Comuni entro un range prestabilito. L'aumento della tassa sull'immobile, dunque, dipenderà non solo dalla crescita della rendita ma anche dall'aliquota stessa.

Le simulazioni - In generale, comunque, si dovrebbe registrare un aumento sia sull'imponibile Imu sia sul valore patrimoniale. Secondo le simulazioni del Sole, a Milano l'imponibile minimo varierà da 52.080 euro a 403.200 euro mentre il valore patrimoniale oscillerà tra i 108.290 e i 414.050 euro. A Roma l'imponibile sarà tra 56.448 e 477.120 euro mentre il valore patrimoniale tra i 108.290 e i 420.420 euro. A Napoli si andrà da 28.560 e 221.088 euro (imponibile) e 101.920 e 318.500 euro (valore patrimoniale), a Firenze rispettivamente tra 28.560 e 195.216 euro e 114.660 e 350.350 euro. A Genova imponibile compreso tra 26.880 e 277.536 euro e valore patrimoniale tra 95.550 e 382.200 euro, a Bologna imponibile tra 31.248 e 234.360 euro e valore patrimoniale tra 114.660 e 394.940 euro. A Palermo, invece, si dovrebbe variare dai 25.200 e i 182.280 euro di imponibile Imu e i 63.700 e i 242.060 di valore patrimoniale.

Volano euro-stracci tra Grecia e Ue: Tsipras manda la Troika al diavolo

La Grecia rifiuta le condizioni del Consiglio europeo, Alexis Tsipras: "Assurde e inaccettabili"





Nulla di fatto al Consiglio europeo con i ministri dell'Economia e delle Finanze dell'Eurozona riuniti a Bruxelles. La Grecia ha rifiutato la proposta di estendere il programna di assistenza finanziaria alle stesse condizioni previste dal memorandum della Troika (Ue, Fmi e Bce), già accettato dal precedente governo Samaras. Condizioni "assurde e inaccettabili" ha detto Alexis Tsipras. Poco prima di entrare in riunione, il falco tedesco Wolfang Schaeuble aveva dato un assaggio di come sarebbe andata la giornata: "Mi dispiace per i greci - aveva detto - hanno eletto un governo che si sta comportando in modo piuttosto irresponsabile in questo momento". Il tedesco, che chiama la Troika con un più politicamente corretto "istituzioni", ha aggiunto che: "Non si può continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi e poi continuare a fare proposte su come gli altri dovrebbero continuare a mantenere questo tenore di vita". Caustico il portavoce greco Sakellaridis: "È tutto soggettivo. Potrei dire allo stesso modo che il comportamento della Germania è irresponsabile, ma non voglio arrivare a uno scambio di osservazioni". L'eurogruppo tornerà a riunirsi venerdì 20 febbraio.

Salvini leader di tutto il centrodestra Il sondaggio: chi vota Silvio dice sì

Sondaggio Ipsos, gli elettori vogliono Salvini leader del centrodestra





Bene la svolta nazionale, sì a Matteo Salvini leader del centrodestra. Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera la nuova linea del segretario della Lega sta dando i suoi frutti tanto che nelle ultime settimane si è registrato un vero e proprio testa a testa con Forza Italia per il primato nel centrodestra (entrambi i partiti sono dati tra il 13 e il 14 per cento). La svolta nazionale, infatti, sembra convincere gli elettori, soprattutto quelli del Sud e delle isole dove il 40 per cento vede positivamente questo cambiamento di prospettiva. 

Conquista del Sud - In particolare, l'ipotesi ventilata dal segretario del Carroccio di correre alle regionali Centrosud con il simbolo "Noi con Salvini" se ottiene il 36% di dissenso contro il 29 di consenso (comunque altissimo), convince invece il 78 per cento degli elettori leghisti e il 59 di quelli azzurri e un terzo dell'elettorato meridionale. A dimostrazione del fatto che Salvini è molto amato dalla base. 

Coalizione - Per quanto riguarda la leadership nel centrodestra, la candidatura di Salvini è ben vista dal 45 per cento degli italiani contro il 36 per cento che si dice scettico. Sorprendente che proprio tra gli elettori di Forza Italia quasi il 90% ci creda fortemente. Del resto Salvini sembra l'unico in grado di rendere competitivo il centrodestra contro il Pd di Matteo Renzi. 

Perché oggi Mattarella sfiducia Renzi Occhio alla sorpresa: "Silvio potrebbe..."

Silvio Berlusconi al Quirinale da Mattarella





Il momento è propizio, dopo il caos in Parlamento sulle riforme. Questa settimana, forse già oggi, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovrebbe ricevere al Quirinale una delegazione di rappresentanti delle opposizioni, ovvero le forze politiche che negli scorsi giorni sono uscite dall'aula della Camera per protestare contro il "metodo Renzi" nella scelta del capo dello Stato e sulle modalità di approvazione degli emendamenti al decreto-Boschi. Al Colle saliranno dunque esponenti di Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle. E ai piani alti di Forza Italia si sta alacremente lavorando perché a parlare con Mattarella per conto degli azzurri ci vada Silvio Berlusconi in persona, anche in qualità di leader del maggior partito di opposizione. Sarebbe, quello, uno schiaffo non da poco a Matteo Renzi, col Cavaliere che dopo aver voltato le spalle al premier si accrediterebbe al Quirinale come interlocutore principe dell'opposizione a quello che per mesi è stato il suo alleato. Ed è chiaro che, se Mattarella, "accettasse" la salita al Colle del Cavaliere, a schiaffo aggiungerebbe schiaffo.  Anche perchè Renzi, al Quirinale, dal momento della nomina di Mattarella, non ci è ancora stato.

lunedì 16 febbraio 2015

L'Isis pianifica già lo sbarco: "Siamo arrivati a sud di Roma"

L'Isis pianifica lo sbarco: "Siamo in Libia, a sud di Roma"





Un conto è stare in qualche buco sperduto della Siria o dell'Iraq. Un altro sulle rive del Mediterraneo, e quindi a poche centinaia di chilometri dall'Europa. O meglio, dall'Italia. Nelle scorse ore, i jihadisti dell'Isis hanno preso il controllo di alcune aree costiere della Libia, puntando a prendere il controllo dell'intero paese. Non per nulla, ioeri la farnesina ha orinato agli italiani di lasciare il Paese e chiuso l'ambasciata italiana a Tripoli. Il paese è completamente fuori controllo, una polveriera. A poche centinaia di chilometri da noi. E i fanatici del califfato hanno iniziato a sparare alto contro il nostro Paese. Poche ore fa, uno dei militanti spiegava sui social network come di fatto il nostro Paese si trovi ora a portata di missile. "Colpiamoli con uno scud" era l'incitamento ai compagni. Capirai...la Libia è zeppa di armi lasciate lì e finite in chissà che mani quando il regime del colonnello Gheddafi è stato fatto crollare. Poi nel mirino è finito il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, definito "un crociato". E di conseguenza il nostro Paese, a questo punto ufficialmente indicato tra quelli nemici. Oggi un altro intervento : "Prima ci avete visto sulle colline della Siria, ora siamo a sud di Roma. In Libia". Tradotto: "Stiamo arrivando". Il messaggio è stato divulgato insieme al video, girato in Libia, che mostra la decapitazione di 21 cittadini egiziani di religione copta.

Marò, tre anni di vergogna italiana E dal governo tutto tace

I marò tre anni di vergogna E dal governo tutto tace


di Chiara Giannini 


Tre anni, ovvero millenovantacinque giorni stretti nella morsa di un incubo che pare interminabile. Avvolti da questa cappa di silenzio imposto dall’ennesimo governo che dice «lasciateci lavorare», ma che poi, di fatto, non fa niente per arrivare alla definitiva risoluzione di una vicenda ormai assurda. Paradossale fino in fondo, perché non si possono scontare tre anni di reclusione senza processo - di più, senza neanche un ben definito capo d’accusa. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono vittime dello Stato, prima che dell’ingiustizia indiana. Solo per aver avuto la sfortuna, quel 15 febbraio del 2012, di trovarsi a bordo della Enrica Lexie, il mercantile sul quale erano operativi assieme ad altri quattro fucilieri del San Marco che componevano il team antipirateria. I pirati arrivarono, come capita di frequente nelle acque dell’Oceano Indiano. Qualche colpo di avvertimento partì dalla nave, gli aggressori fuggirono. Ore dopo la Guardia costiera indiana li richiamò in porto a Kochi: «Hanno ucciso due pescatori del St Antony», questa l’accusa. Peccato che quel barchino, dalla Lexie, non lo avessero mai visto, e che in un andirivieni di versioni fornite e poi ritrattate, l’armatore Freddy Bosco corresse più e più volte quanto dichiarato inizialmente. Ovvero che l’incidente era avvenuto in un orario completamente diverso da quello poi riportato da tutti: dall’Imo (International marittime organization), dalla Marina militare, dall’armatore della nave italiana, dagli stessi marò.

Così Max e Salvo, come tutti sono ormai abituati a chiamarli, da tre lunghi anni vivono da prigionieri in mano straniera. Vero, Latorre ora è a Taranto, e però in attesa di capire se ad aprile, una volta scaduto il permesso concesso dall’India per motivi di salute, dovrà far rientro a New Delhi. Girone vive invece là, all’interno dell’ambasciata italiana. Entrambi di fatto abbandonati dalla politica, ma certo non dai cittadini comuni, dalle associazioni combattentistiche e d’arma e da molti esponenti del mondo militare. Resta il fatto che tre ministri della Difesa e cinque degli Esteri non sono riusciti a riportarli a casa. Non c’è riuscito l’inviato speciale Staffan de Mistura, non c’è riuscita l’Europa, non gli ambasciatori. Solo qualche brillante generale è stato capace di trattare per farli rientrare a votare, a febbraio 2013. Ma i giochi politici che portarono anche alle dimissioni dell’ex ministro Giulio Terzi completarono il quadro dell’incapacità diplomatica dell’Italia e i due marò dovettero far rientro a New Delhi.

Girone, da allora, non ha più messo piede sul suolo patrio, Latorre solo per curarsi dopo l’ictus che lo ha colpito a fine agosto, ma vive una vita in attesa. «Che cosa volete che dica? Mi auguro che tutto questo finisca presto - spiega a Libero Paola Moschetti, compagna di Massimiliano -. E incredibile, sono passati tre anni, oraentriamo nel quarto: per noi familiari è sempre più dura. Più che altro è quest’aria di incertezza. È un’ingiustizia che continua, il silenzio non aiuta». Prende fiato, poi prosegue: «Massimiliano migliora lentamente, sta seguendo le terapie all’ospedale militare. Abbiamo preso un cane, un piccolo carlino che ha un mese e che abbiamo chiamato Napoleone. Perché? Perché Giuseppina Bonaparte aveva proprio un carlino, l’unico che sapesse tener testa alll’imperatore, che riusciva a spodestarlo dalla sua sedia e mandarlo fuori dalla stanza. Ci ha fatto simpatia, Max lo adora». Mentre all’Inddia il nostro governo ha dimostrato di non sapere tener davvero testa. «Tre anni di sofferenza, vergogna, dolore e malattia - aggiunge Marco Cicala, del Cocer Interforze - che due cittadini italiani e due servitori dello Stato si trovano ad affrontare solo per aver servito il proprio Paese. Ma non sono soli, tutte le donne e gli uomini in uniforme sono con loro». Concetto ribadito da Terzi, da Elio Vito (Fi), Ignazio Larussa (Fdl), così come dal Gianluca Pini (Lega Nord), che parla di «tre anni di fallimenti di governi che meriterebbero di finire a processo per alto tradimento». Certamente quello dei marò, visto che dopo tanto tempo ancora non si vede la fine.

Forza Italia, un "big" torna in campo: "Stiamo sparendo. Ora ci penso io..."/L'intervista

Antonio Martino: "Forza Italia si sta dissolvendo. Ma a risollevarla ci penso io"

Intervista a cura di Giancarlo Perna 



«Forza Italia è in dissolvimento. Appena smaltiti i postumi dell’influenza, mi impegnerò nel dibattito del partito per rimediare a una situazione di totale friabilità». È la prima cosa che mi dice Antonio Martino dopo i convenevoli. L’influenza cui si riferisce l’ex ministro, tessera numero due di Fi, essendo Silvio Berlusconi la numero uno, è di quelle che avrebbero atterrato un bufalo. Una settimana a letto, febbre a trentanove e spossatezza prossima al deliquio. «Ora tiro le cuoia, mi dicevo pensando ai miei settantadue anni mentre ero scosso da brividi», racconta di buonumore Martino, tornato in forma seppure con la raccomandazione medica di riguardarsi ancora per qualche giorno. Ha fatto uno strappo per venire nel suo ufficio di parlamentare di fronte a Montecitorio e sottoporsi all’intervista.

Dietro il vestito scuro con panciotto si intravedono le bretelle, ha il distintivo di Fi sul bavero della giacca e, seduto allo scrittoio, rappresenta a pennello la schiatta dei Martino, ministri degli Esteri da due generazioni. Lo fu il padre, Gaetano, negli anni ’50. Lo è stato lui, nel 1994, col primo governo Berlusconi. Esperienza che lo gratificò lasciandogli una maniacale cura dei dettagli, tra i quali spicca il rito della barba per il quale usa pennelli venuti apposta da Londra e un sofisticato rasoio con lama che surclassa quelle dell’Isis. Ancora di più gli piacque essere ministro della Difesa, sempre col Cav, tra il 2001 e il 2006. Dopo di allora la vita del professor Martino - già esimio docente di Economia alla Sapienza e alla Luiss - ha preso un andamento più quieto, conforme al suo carattere. Ora però, la sensazione di avere perso tempo con l’influenza in un momento critico per Fi, gli ha dato un fervore inusitato. «Sto pensando, caro dottore, di avere una colpa emendare: non ho mai fatto attività politica nel partito. Ho lavorato per me, secondo la mia indole individualista. Ma oggi Fi è in tale stato, senza una vera classe dirigente, da spingermi da subito a occuparmene».

«Che intende fare?», chiedo. «Inizierò da “Rivolta l’Italia”, movimento di cui sono cofondatore con Giuseppe Moles (giovane ex deputato, da un ventennio braccio destro di Martino, ndr), la cui finalità è quella di aggregare le anime liberali, ripeto liberali, di Fi. Nascemmo nel 1994 con l’obiettivo di diventare un partito liberale di massa. Abbiamo invece dirazzato, diventando altro. Mi batterò per tornare alle origini». «Mi compiaccio per l’attivismo», dico. «Si è ringalluzzito perché nelle settimane scorse il suo nome è stato fatto per il Quirinale?». «Mi ha fatto piacere. Ma non sono mancate ombre», replica. «Che ombre?», domando. «Silvio si è comportato malissimo. Quando ha proposto ai grandi elettori di Fi di votare il mio nome per il Colle c’è stato un applauso fragoroso. Poi però, uscito dalla riunione, ha cominciato a fare una gran pubblicità per Giuliano Amato, il suo vero candidato». «Si è sentito preso in giro?», domando. «Mi aveva appena proposto e già mi accantonava per un uomo di tutt’altra storia politica. Per di più, era recidivo. Una decina di anni fa, quando ero ministro della Difesa, gli Usa puntavano su di me come segretario generale Nato. Quando l’ambasciatore americano lo disse a Silvio, che allora era premier, lui replicò: «Perché non Amato?».

L’ambasciatore rispose: «Non ci siamo capiti. Noi non vogliamo un italiano. Vogliamo Antonio Martino». Declinai poi io stesso perché avevo da fare alla Difesa. Però...». «Ora che so il retroscena capisco la sua reazione di fronte al giornalista che le chiese quale sarebbe stata la sua prima mossa in caso di elezione al Quirinale. “Mi dimetterò”, fu la sua replica, sgarbata e non da lei. La verità è che era offeso?», chiedo. Martino si appoggia allo schienale e dice: «Sdrammatizzavo. Un modo per dire che non mi struggevo per andare al Quirinale. Sette anni sul Colle, come dice mia moglie Carol (americana, ndr), sono peggio di una condanna a morte. La battuta, “mi dimetterò”, non è nemmeno mia. Fu un autorevole deputato yankee, Buckley, che alla domanda: “Se fosse eletto sindaco di New York, che farebbe?”, rispose: “Chiederei di ricontrollare le schede”». Martino ride e io gli faccio compagnia.

Così, siamo finiti a Mattarella, cattocomunista, antiliberale, nemico del Cav.

«Un piccolo capolavoro di masochismo. Mattarella è garbato ma non vedo perché farlo presidente. Se si eleggessero tutte le persone garbate, sarebbe un mondo invivibile: non avremmo che cafoni in giro».

Solo adesso il Cav ha capito che Renzi è una lenza? 

«Dubito che ne avesse davvero fiducia. Altri lo hanno indotto ad accordarsi con Renzi per attenuare il danno che lo strapotere del Pd poteva arrecare a lui e alle sue imprese».

Le aziende sono il tallone di Achille del Cav. 

«Da quando lo hanno condannato, Silvio è stato preso dal terrore irrazionale di essere diventato povero. Un tempo regalava cravatte di Marinella. Oggi ha cambiato fornitore per risparmiare».

Lei come ha preso la rottura del patto del Nazareno?

«Era basato su due riforme sbagliate: l’Italicum e l’abolizione del Senato. Con l’Italicum, Renzi si farà un partito unico di centro, tipo Dc, circondato da una congerie di partitini. Con il nuovo Senato saranno rafforzate le Regioni che sono l’organo più corrotto dell’Amministrazione pubblica».

Ora, come niente fosse, il Cav ripudia tutto ciò che ha fatto con Renzi. 

«Non è il suo primo ripensamento. Fece voltafaccia anche ai tempi della Commissione per le riforme di D’Alema negli anni ’90».

Riconoscere gli errori non è nelle sue corde. 

«Per farlo dovrebbe avere la fiducia in se stesso che invece a Silvio manca. Paradossale per un uomo che ha fatto tanto come lui. La prova è che, oltre a circondarsi di complimentatori, vanta di continuo i propri successi».

L’amicizia che ha per lui non le fa velo.

«L’amicizia è senza veli».

Un leader tentennante e perdente è ancora un leader?

«Chi è incerto sulla linea da seguire, non è più un leader».

È il caso del Cav? 

«Non lo so. Con lui nulla è mai scontato. Certo, è imprigionato in una cerchia di persone che non valgono niente, a parte Dudù. Eliminati, invece, chi gli voleva bene: la segreteria Marinella, Valentino Valentini, il portavoce, Paolo Bonaiuti».

E col Nazareno ha perso metà elettorato.

«Senza contare tutti i nostri che non vanno più a votare».

Che motivo ha oggi un liberale per tifare Cav?

«Pochi. Ma, con l’antiliberalismo degli altri partiti, Fi resta ancora il luogo più ospitale per noi».

Il Cav è vero liberale? 

«Istintivamente, sì. Gli manca qualche lettura. Ha però due convinzioni profonde: è anticomunista e filoamericano. Entrambe essenziali, ma non sufficienti per dirsi liberali».

L’ha mai preso per il bavero per ricondurlo sulla retta via?

«Sarebbe inutile. Riesce ad ammansire chiunque. Fa il sorriso giusto, trova il giusto argomento. Alla fine molli».

Più il Cav declina, più si pensa stia in politica per le aziende, anche per la continua presenza di Fedele Confalonieri.

«Non l’ho mai pensato, neanche quando entrò in politica. Confalonieri c’è, perché è un cervello di prima classe. Sarebbe stato un ottimo uomo di governo».

Riallearsi con Angelino Alfano?

«Controproducente. L’elettore di Fi è rancoroso. Ha cacciato Gianfranco Fini senza appello. Allearsi con Alfano può diventare un autogol».

Matteo Salvini?

«Mi sembra un esagitato estremista. Inoltre, come alleato di Marine Le Pen non è l’ideale per uno che vota Fi. Sull’Ue però dice cose sensate, abbandono dell’euro a parte».

Renzi è la nostra ultima speranza?

«È una preoccupazione. Ha vitalità, eloquio e capacità di persuasione. Non ha però la stoffa del riformista solutore di problemi. Con una spesa dello Stato abnorme e le aziende tassate al 65 per cento contro il 41 della media Ue, non si rilancia l’economia».

Ha ancora voglia di fare politica?

«Mi basta mezzora alla Camera per perdere ogni voglia. C’è una costante, puntuale come gli acciacchi in vecchiaia: ogni legislatura è peggiore della precedente».

Se lascia che fa?

«Ho più musica che non ho potuto ascoltare e libri che non ho letto degli anni che mi restano da vivere».

Rivoluzione Mattarella al Quirinale: chi ha scelto per la poltrona più pesante

Quirinale, la rivoluzione di Sergio Mattarella: i nomi dei suoi uomini (e le riconferme)





Al Quirinale va in scena la rivoluzione firmata da Sergio Mattarella: tra lunedì e martedì il presidente della Repubblica completerà la sua squadra. Fari puntati su quella che è considerata la casella più importante e delicata, ossia quella di segretario generale attualmente ricoperta da Donato Marra. Secondo Il Messaggero, esclusi ribaltoni (improbabili) dell'ultimissima ora, il ruolo verrà ricoperto da Ugo Zampetti. Si tratta di un grande esperto di procedure parlamentari, per 15 anni segretario generale della Camera. Zampetti, dunque, dovrebbe bruciare la concorrenza di Alessandro Pajno, nonostante l'antica amicizia che lega quest'ultimo a Mattarella.

Altri rumors - Ci sono poi gli altri incarichi in via definizione. L'obiettivo dell'inquilino del Colle è il contenimento dei costi. Squadra snella, dunque. E ove possibile anche un ricambio generazionale, una volontà già dimostrata con la scelta del portavoce: Giovanni Grasso, 52 anni, giornalista parlamentare di Avvenire, starà al fianco di "Sergiuzzo" (al suo attivo anche una biografia su Piersanti Mattarella, il fratello del presidente ucciso dalla mafia). Nella stretta cerchia di Mattarella, inoltre, anche Simone Guerrini, ex segretario dei giovani Dc all'epoca in cui l'attuale inquilino del Colle fu ministro della Difesa, nel 1998. La poltrona di consigliere per i problemi dell'informazione è stata invece assegnata a Gianfranco Astori, altro fedelissimo di Mattarella e suo portavoce ai tempi dell'incarico alla Difesa, nonché ex direttore dell'agenzia Asca e più volte deputato dc e sottosegretario di governo.

Chi invece resta - C'è infine chi, al Quirinale, della squadra di Giorgio Napolitano verrà riconfermato. Tra questi Antonio Zanardi Landi, che dovrebbe restare nel ruolo di consigliere diplomatico. E ancora Giulio Cazzella come consigliere per gli Affari interni e per i rapporti con le autonomie. Non è neppure escluso che resti a tempo anche Rolando Mosca Moschini, attuale consigliere militare e del Consiglio supremo di difesa. Infine un "niet": nonostante le precedenti indiscrezioni, al Colle non dovrebbe arrivare il generale Giampaolo Di Paola, poiché già in pensione, e dunque non potrebbe essere richiamato.

Brunetta-show: lite in tv, poi fa strike Così massacra Casini, Monti e Fitto

Brunetta, show da Maria Latella: "Pier Ferdinando Casini chi?"





Un crescendo rossiniano. Un Renato Brunetta "forza nove", quello andato in scena nell'intervista concessa su Sky a Maria Latella. Si parte dal rituale bisticcio con la conduttrice. Si parla del complotto del rating e dell'inchiesta di Trani, e il capogruppo di Forza Italia attacca: "Perché non ne parlate? Perché non ne parla mai? Mi faccia una domanda". E Latella: "Se permette, qui, le domande le faccio io". Poi si parla di attualità politica, e Brunetta ne ha per tutti. Si parte da Raffaele Fitto: "Se sarà costretto a lasciare Forza Italia? Penso che tutti siano fondamentali in questa fase. Fitto è una grandissima risorsa per Forza Italia. Predicava attendismo nei confronti di Renzi, poi sulle riforme è stato superato dagli eventi". Poi si passa a Mario Monti, che ci ha lasciato dietro di sé solo "macerie", ma il meglio Renato lo dà quando si parla di Pier Ferdinando Casini. "Potrebbe tornare in Forza Italia?, chiede Latella. E Brunetta: "Casini chi? Chi? Non lo conosco. Non conosco questo Casini, guardi". C'è poi spazio per Denis Verdini, definito "la prima vittima di Renzi". Argomenta Brunetta: "Si era speso per il superamento della guerra civile strisciante e Renzi lo ha buttato via". Infine una battuta sul Patto del Nazareno, che "era alla base del riconoscimento reciproco anche nel fare le riforme costituzionali. È stato un anno duro e difficile di Nazareno e questo aveva come punto fondamentale l’elezione condivisa del presidente della Repubblica, Renzi ha stracciato questo patto per tenere insieme il suo partito".

Ombre a Sanremo, Ron guida la protesta: "Festival truccato, annullati dei voti a..."

Festival di Sanremo, Ron guida la protesta: "Il televoto era truccato"





Dopo quelle sul televoto, altre - gravi - ombre sul Festival di Sanremo. Ombre delle quali si fa portavoce niente meno che Ron. Ma procediamo con ordine. Quello che è successo potrebbe ricalcare ciò che avvenne parecchi anni fa con Elio e le storie tese, che nel 1996, con La terra dei cachi, si sussurra fossero stati "defraudati" dalla vittoria, poi andata a Red Ronnie e Tosca. Ma, si diceva: ombre sul Festival. Infatti a poche ore dalla vittoria de Il Volo è giallo sui trionfatori. Anzi, è giallo su Nek. E non solo per quello strano errore della classifica (era comparso al nono posto, poi è arrivato secondo), ma soprattutto perché su Twitter corre il sospetto. C'è stata infatti una pioggia di tweet di protesta di persone il cui voto via sms per Nek - a televoto ancora aperto - non è stato accettato. Una pioggia di tweet zelantemente rilanciati da Red Ronnie, che come detto si è dunque fatto paladino della protesta. I tweet avevano già iniziato ad arrivare verso la fine dell'ultima puntata di Sanremo, e alcune persone segnalavano come anche dei voti in favore de Il Volo venissero rifiutati. Un caso sul quale dovrà fornire qualche spiegazione Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos, la società che ha gestito i meccanismi di voto. Per inciso, l'annuncio della vittoria de Il Volo, è stata accolta da sonori fischi all'Ariston e dal disappunto in sala stampa.

Le spiegazioni - E qualche spiegazione, poi, nella conferenza stampa è arrivata. A parlare è stato Giancarlo Leone, il direttore di Rai1, che ha spigato: "Quest’anno il televoto è stato molto più massiccio degli altri anni. Ieri sera ci sono stati 700.000 voti  in tre ore e poi lo stesso numero di voti in 20 minuti e questo avrebbero ingenerato i problemi. Una sorta di imbuto e alcuni voti sarebbero andati in tilt". Questa la replica a chi gli chiedeva conto dei voti "rifiutati". Quindi anche una spiegazione all'errore sulla classifica in cui per qualche istante si è visto Nek al nono posto: "Voglio chiarire che i dati Ipsos sono giunti in maniera corretta. L’errore nella visualizzazione della classifica dei 16 finalisti è stato generato da un conflitto di numeri sul computer tra codici dei cantanti e posizioni in classifica

domenica 15 febbraio 2015

L'orrida profezia dell'uomo che ci ha portato nell'euro Prodi senza vergogna: "Cosa succederà all'Italia..."

Romano Prodi al quotidiano tedesco Bild: "La Grecia non pagherà mai i debiti e può uscire dall'euro"





La Grecia non pagherà i suoi debiti e se rimarrà nell'euro solo il tempo potrà dirlo. A dirlo è l'uomo che ha trascinato l'Italia nell'euro e si è bevuto i conti farlocchi della Grecia. Ora il bronzeo professor Romano Prodi ci regala preziose lezioni su quanto il continente stia inguaiato in un'intervista al quotidiano tedesco Bild.

Eurofregati - La mazzata beffarda arriva già alla seconda risposta, quando il giornale tedesco chiede se in cambio di denaro fresco per la Grecia ci devono essere condizionalità? "Le condizionalità devono mantenersi in un quadro realistico - risponde l'ex presidente della Commissione Ue - Tutti sanno che la Grecia non pagherà mai i suoi debiti". La via da seguire per il Professore è fare come per la Germania dopo la Seconda guerra mondiale: "Non si può certo paragonare direttamente la Germania e la Grecia - chiarisce - Fu però molto saggio dal punto di vista politico tagtliare gran parte del debito della Germania nella conferenza di Londr del 1953. Grazie a questo la Germania ha otenuto la possibilità di crescere". Prodi quindi immagina si possa trovare un compomesso tra i creditori internazionali e la Grecia per esempio prorogando le scadenze o abbassando i tassi di interesse. Ma lui stesso crede che questa soluzione sia solo "un certotto" e quindi ci vuole "una decisione definitiva".

Senza rimorsi - Non ammette errori l'allora capo della commissione europea, la colpa era del sistema che non prevedeva controlli sui bilanci, né prima né dopo l'ingresso nella moneta unica. Tutta colpa, dice Prodi: "Di Italia, Germania e Francia". Ed è sempre colpa della Germania secondo Prodi se l'eurozona è stata travolta dalla crisi del 2010: per motivi elettorali, i tedeschi della Cdu non hanno permesso di "adottare misure che sarebbero costate solo tra 30 e 40 miliardi di euro".

Fuori la Grecia - Quel che deciderà di fare Alexis Tsipras nei confronti dell'eurogruppo rimane un'incognita: "Tutto si può immaginare - si sbilancia Prodi - Ma se la Grecia uscisse, il mondo avrebbe davanti ai suoi occhi la certezza che l'euro potrebbe fallire in ogni momento".

"I parlamentari M5s si dimettano tutti": la follia di Grillo per far cadere Renzi

M5s, Beppe Grillo: "Dimissioni di massa per far cadere il governo di Matteo Renzi"





L'ultimo delirio pentastellato. Certo, il fine è pur nobile - bloccare le confuse riforme costituzionali di Matteo Renzi portate avanti a colpi di maggioranza - ma la strada proposta dal grande leader Beppe Grillo è quasi comica. Sul blog spiega: "Se anche in uno solo dei due rami del Parlamento (ad esempi al Senato) si raggiungesse la metà più uno dei dimissionari (tenendo conto solo di quelli elettivi e non dei senatori a vita) sarebbe pressoché automatico lo scioglimento di quella Camera e, a ricaduta, dell'altra". Dunque Grillo minaccia le dimissioni di massa come extrema-ratio per far cadere il governo Renzi, invocando prima e sempre sul suo blog un intervento del presidente Sergio Mattarella.

Scetticismi - Nemmeno i grillini mostrano di credere all'intemerata del leader Beppe. A parlare è Roberto Fico, membro del direttorio pentastellato, che spiega: "Noi siamo sempre pronti a dimetterci se possiamo far cadere un Parlamento che non rappresenta più nessuno, ma questi sono più sogni che realtà". E ancora: "In questo Paese è fuorviante parlare di opposizione, poiché dopo quasi due anni di Parlamento abbiamo constatato che oggettivamente l'unica opposizione vera è quella del M5s". Comunque, anche tra i pentastellati, c'è chi crede a Beppe. Per esempio il deputato Alfonso Bonafede, che rilancia l'appello alle altre opposizioni: "Noi siamo pronti a dimetterci. Certo, questo ha un senso se tutte le opposizioni lo fanno. Quindi chiedo alle altre forze di opposizione di seguirci".

Il golpe di Renzi nel cuore della notte Riforme approvate nella Camera deserta

Riforme, nella notte passa il testo





Sono andati avanti con l'aula mezza vuota fino alle 2.45 del mattino. Finchè nel cuore della notte l'aula della Camera ha ultimato  l’esame degli emendamenti al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione, approvando gli articoli del provvedimento. Il voto finale al testo è previsto a inizio marzo.

"Grazie alla tenacia dei deputati", ha scritto il premier Matteo Renzi su Twitter. "Un abbraccio a #gufi e #sorciverdi". Una replica, da bullo, al capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, Renato Brunetta, che ieri aveva appunto minacciato il premier di fargli vedere "i sorci verdi" quando tutte le opposizioni avevano abbandonato l'aula. Giovanni Toti, di Forza Italia: «Abbiamo lasciato l'Aula tutti, anche quelli che avevano disertato l'ultima riunione dei gruppi. Chi diceva, dentro e fuori FI, che la nostra era una sterile opposizione, è stato smentito dai fatti». Aggiungendo: «Io spero davvero che cessi questo sterile dibattito, questo continuo controcanto. Bisogna smettere di delegittimare il partito».

Alcoltest, così lo potete annullare: migliaia di multe verso la cancellazione

Alcoltest, potete annullare la sanzione se non è presente un avvocato

di Matteo Mion



La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale di non poco conto, con sentenza n.5396 del 5 febbraio 2015 stabilisce il principio per cui l’alcoltest senza avviso all’automobilista della possibilità di farsi assistere da un avvocato è illegittimo. Effetto immediato di questa decisione è l’annullabilità di migliaia e migliaia di verbali che sanzionano automobilisti in stato d’ebbrezza, laddove i verbalizzanti non riescano a fornire prova dell’avviso predetto. La multa non è automaticamente nulla, ma l’interessato può eccepire tale circostanza al giudice sino alla sentenza di primo grado a pena di decadenza.

Nel caso di specie, un 26enne trevigiano era stato multato in località Vittorio Veneto per l’appunto per guida in stato di ebbrezza. Il tribunale di Treviso aveva riconosciuto le ragioni della difesa del giovane che chiedeva la nullità dell’accertamento, e lo aveva assolto dall’accusa. La Procura generale di Venezia aveva però impugnato la decisione innanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il ragazzo avrebbe dovuto sollevare l’eccezione relativa al mancato avviso di farsi assistere dall’avvocato o prima dell’effettuazione dell’etilometro oppure nei momenti immediatamente successivi. La quarta Sezione Penale, non essendo univoco l’orientamento della Suprema Corte sul punto, in data 31.10.2014 ha rimesso la questione alle Sezione Unite per ottenere un’interpretazione autentica.

La pronuncia delle Sezioni Unite, avente valore sostanziale di legge, ha dunque riconosciuto le ragioni del guidatore trevigiano e del suo avvocato: «L’automobilista non poteva sapere di aver diritto all’assistenza legale contro l’alcoltest, che rientra tra gli accertamenti urgenti e irripetibili su luoghi, cose e persone. L’indagato o imputato - continua la Suprema Corte - non ha o si presume che non abbia le conoscenze tecniche legali per apprezzare che l’atto o il mancato atto non sia rispettoso delle regole processuali e, per di più, che egli debba attivarsi per eccepire ciò entro determinati termini a pena decadenza». In altre parole, il guidatore in stato di ebbrezza è equiparato sin dal primo momento a un indagato qualsiasi, e ha diritto immediatamente alla difesa tecnica.

Gli automobilisti devono essere grati alla Corte romana che afferma un principio sacrosanto, visto che talvolta gli agenti sono liberi di verbalizzare e maramaldeggiare sul malcapitato alticcio e indifeso. Altro principio sacrosanto strettamente collegato sarebbe che l’Autorità verbalizzante paghi le spese processuali in caso di soccombenza giudiziale, altrimenti l’automobilista spende in parcelle quello che risparmia in sanzioni pecuniarie. Otterremmo, infatti, un importante risultato: un uso parsimonioso, oculato e non indiscriminato - perché impunito - di alcoltest, autovelox e contravvenzioni varie. Attenzione però a chi telefonate, perché non vi succeda quanto accaduto nel dicembre scorso a Cosenza, quando gli agenti di polizia ritirarono la patente a un tizio in stato di ebbrezza: pochi minuti dopo arrivò al posto di blocco il suo avvocato, simulando un’arringa ma anch’egli tra i fumi alcolici. Sono finiti entrambi senza patente e sotto processo: cin cin!

Divorzio, la rivoluzione dell'assegno: cosa cambia su mantenimento e alimenti

Corte Costituzionale, l'assegno all'ex coniuge non deve garantire lo stesso tenore di vita

di Chiara Giannini 



Era sempre stato una sorta di luogo comune: dopo il divorzio, al coniuge economicamente più debole va garantito lo stesso tenore di vita con cui si era vissuti surante il matrimonio. No, non è così. O perlomeno non è l’unico fattore per quantificare l'assegno di mantenimento. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, che ha così consentito che la legge sul divorzio passasse l’esame al grado più alto.

In sostanza, è stata dichiarata erronea l’interpretazione che alla norma aveva dato il Tribunale di Firenze, il quale per l’appunto sosteneva la versione del mantenimento dello stesso tenore di vita dopo il divorzio. No: la Consulta ha chiarito che l’importo dell’assegno va valutato caso per caso tenendo anche conto di altri fattori essenziali, quali quelli legati alle variazioni di reddito successive della parte che sborsa i soldi, il contributo personale e anche economico che ciascuno dei due ha inserito per formare il patrimonio comune, ma anche la durata del matrimonio stesso e le ragioni che hanno portato alla separazione. «Tali criteri - scrivono i giudici - agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono valere anche ad azzerarla». Senza contare che la Costituzione stabilisce di tener conto di criteri di ragionevolezza e solidarietà. Come dire: se è dimostrato che il coniuge non ce la fa, a corrispondere quei soldi, non è tenuto a farlo. Una svolta per i tanti padri e mariti separati che, proprio causa delle spese di manenimento, sono letteralmente finiti sul lastrico.

«E dunque - spiega un avvocato divorzista - se da sposati si viveva all’interno di una bolla dorata, godendo appieno del patrimonio del coniuge, oggi non si dovrà avere per forza un assegno da capogiro, ma ogni caso dovrà essere valutato singolarmente dal giudice. E se un tempo si versavano cifre anche altissime per il mantenimento del coniuge, oggi ogni singolo caso potrà essere adattato ai parametri di cui si deve tener conto».

Una decisione che riguarda davero tante persone: i padri separati in Italia, secondo un recente studio, sono più di 4 milioni. Di questi, 800mila vivono sotto la soglia di povertà, proprio perché, oltre che a provvedere al mantenimento dei figli, devono anche occuparsi del sostentamento dell’ex coniuge con cifre che spesso non sono in grado di sostenere. E li costringono a recarsi alla Caritas o altre associazioni di assistenza per chiedere aiuto. La media dell’assegno versato è di poco meno di 500 euro, anche là dove ci siano stipendi che non arrivano al doppio della cifra. Intendiamoci, il pronunciamento della Consulta vale anche per le exmogli che devono mantenere l’ex marito. Ma, in effetti, sono casi molto meno frequenti.

La questione è sorta in seguito ai fatti riguardanti una coppia toscana senza figli. Lui proprietario di due appartamenti a Capo Verde, dove trascorrevano assieme lunghi periodi a spese sue, con un reddito di 56mila euro provenienti da immobili di proprietà; lei dentista con sette dipendenti e due collaboratrici esterne e proprietaria di altri immobili. Il 7 novembre 2012 arriva la sentenza definitiva di separazione giudiziale, con liquidazione di un assegno mensile di 750 euro rivalutabile annualmente da pagare da parte dell’uomo all’ex moglie. Lui si appella al Tribunale di Firenze, in quanto la moglie può cavarsela da sola. Ma lei pretende 5mila euro al mese proprio «per mantenere lo stesso tenore di vita» e invoca l’articolo 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (Fortuna-Baslini), modificato dall'articolo 10 della legge n. 74/1987. «In pratica - prosegue l’avvocato divorzista - ci si è posti il dubbio della legittimità costituzionale di quest’articolo». E la Consulta l’ha per l’appunto giudicato incostituzionale.

Sanremo il trionfo del baby trio: vincono i mini-tenori de "Il Volo"

Festival di Sanremo, vince "Il Volo" con "Grande amore"





Cala il sipario sul Festival e Sanremo e spicca...Il Volo. Sono infatti i tre mini-tenori a trionfare alla kermesse con il brano Grande amore. Un successo previsto, conquistato serata dopo serata, consenso dopo consenso. La vittoria dunque, va al giovanissimo trio composto da Piero Barone (classe '93), Ignazio Boschetto (classe '94) e Gianluca Ginoble (classe 1995). Il Volo si impone nella finalissima a tre, conclusa dopo l'1 di notte, e batte la concorrenza di Nek con Fatti avanti amore e Malyka Ayane con Adesso e qui (nostalgico e presente), classificati rispettivamente al secondo e al terzo posto dal combinato del televoto e del giudizio della giuria. Si conclude così l'edizione dei record del Sanremo targato Carlo Conti che ha battuto ogni più rosea previsione in termini di share, il Festival più di Arisa che della polemica Emma e della bellissima ma impalpabile Rocio Morales. Nell'ultima serata della kermesse, tra gli ospiti, Giorgio Panariello, che nel suo monologo ha pizzicato l'ex ministro Cancellieri, e quindi la comparsata di Will Smith, protagonista di un rap in coppia con Conti. Dopo una settimana di passione si spengono i riflettori sull'Ariston. Ora è il tempo dei bilanci, di sicuro positivi per una Rai che incassa il massimo profitto con il minimo sforzo. Arrivederci al prossimo Sanremo, dove ritroveremo sul palco a condurre l'eroe a sorpresa di questa edizione, il conduttore, mister Carlo Conti.

sabato 14 febbraio 2015

Jihad a Copenaghen, altro attentato: 1 morto e 3 feriti in nome dell'islam

Copenaghen, attacco islamico in un bar: un morto e due feriti. L'obiettivo era un vignettista





Una nuova pioggia di piombo. Un nuovo attacco islamico. L'attentato si è consumato a Copenaghen, dove era in corso un dibattito su Islam e libertà di parola. Il primissimo bilancio è di un morto civile e tre agenti di polizia feriti. Secondo le prime ricostruzioni rilanciate dalla tv danese Tv2 gli agenti sono stati portate via in barella. Nel corso della sparatoria sono stati esplosi più di 40 colpi. I media locali riferiscono che l'incontro era stato organizzato dall'artista svedese Lars Vilks, già finito nel mirino degli estremisti islamici a causa di una caricatura del profeta Maometto pubblicata nel 2007. Le motivazioni che potrebbero aver spinto a sparare i probabili attentatori islamici, dunque, ricalcherebbero in toto quelle degli stragisti nel Charlie Hebdo. All'incontro era presente anche l'ambasciatore di Francia, Francois Zimeray, che dopo la sparatoria ha scritto su twitter: "Sono ancora vivo". Anche Vilks, che sarebbe stato l'obiettivo primario, è illeso. Ora è iniziata la caccia a due sospetti, che sarebbero fuggiti a bordo di un'auto nera. Di seguito, il tweet dell'ambasciatore francese.

Frankrigs ambassadør        ✔ @francedk

Still alive in the room
16:00 - 14 Feb 2015

I precedenti - Il dibattito - che si svolgeva nel caffè Krudttoenden, noto in città per i concerti jazz - si discuteva su come conciliare la libertà d'espressione e il rispetto delle religioni all'indomani della strage di Parigi nel Charlie Hebdo, avvenuta lo scorso 7 gennaio, quando vennero massacrate 12 persone, tra i quali il direttore e tre vignettisti. Come detto, nel mirino dei terroristi anche in quest'occasione c'era il vignettista Lars Vilks, 68 anni, che già negli scorsi anni aveva subito attentati. Lo scorso anno, in Pennsylvania, una donna è stata condannata a 10 anni di carcere poiché coinvolta in un complotto per ucciderlo. E ancora, nel 2010, due fratelli cercarono di bruciare la sua casa nel sud della Svezia. I due sono poi stati incarcerati per tentato incendio doloso.

Terremoto su Sanremo, c'è già il nome del vincitore. "Nessun dubbio, a trionfare sarà..."

Festival di Sanremo, la soffiata: c'è già il nome del vincitore





Una autorevole soffiata sul Festival di Sanremo. C'è già un vincitore. Almeno per i bookmakers, le agenzie di scommesse, che dopo le prime tre serate tracciano un primo bilancio. E diffondono le quote aggiornate. E così si scopre che in cima alla lista dei papabili vincitori c'è il trio Il Volo, quotato 1.55. Una quotazione bassissima, dunque: secondo i bookmakers, insomma, ci sono pochi dubbi su chi vincerà. Al secondo posto, e in ascesa, c'è il vincitore di X-Factor, Lorenzo Fragola, dato a 7, mentre al terzo posto - e in netta ascesa - ecco Malika Ayane, quotata a 8. La canzone che è meno piaciuta, invece, è quella della coppia Biggio-Mandelli, la cui quotazione è disastrosa: a 81. A fargli compagnia in fondo alla classifica anche Gianluca Grignani, anche lui quotato a 81.

Maxxi premio per Giovanna Melandri Conti in tasca: quanti soldi ha preso

Maxxi, premio di 24 mila euro per Giovanna Melandri





Giovanna Melandri ha incassato 24 mila euro di bonus per il 2013 come presidente della Fondazione Maxxi. Riporta il Fatto quotidiano che nella delibera del 6 novembre 2013 del cda presieduto dalla Melandri stessa - che poi si è astenuta - si prevede oltre al compenso fisso di 91mila euro lordi l'anno un "ulteriore ammontare variabile (premio) da determinarsi in misura fissa come sintetizzato" nella tabella allegata. Il premio è al netto delle tasse ed è in funzione "dell'incremento rispetto al precedente esercizio della somma delle voci di proventi quali: biglietteria, contributi di gestione, sponsorizzazioni, altri ricavi e proventi". In sostanza, se l'incremento va dal 5 al 15% il premio è di 12mila euro netti, se del 15-20% di 18 mila euro, se tra il 25 e il 30% il presidente prende 24mila euro. Proprio quanto ha incassato la Melandri. Che però a vedere il bilancio, scrive ancora il Fatto, non sarebbe giustificato se non per l'aumento di "altri ricavi" (inferiore comunque al 10%). 

Replica - La Melandri spiega: "Il premio approvato dal cda è collegato unicamente agli incrementi di risorse private che siamo stati capaci di raccogliere, quali sponsorizzazioni, cena di Fund raising, il programma di Individual and corporate friends". Ma alla fine, ci si chiede, quanto guadagna l'ex ministro? La Melandri dovrebbe avere un netto di 45mila euro. Nel 2013 ha dichiarato un reddito imponibile di 75mila euro lordi e pagava un'imposta lorda di 25mila euro per un netto di 50mila. Ma il lordo di 91mila euro dovrebbe portarle in tasca più dei 45mila dichiarati.

Claudio Lotito, la telefonata col dg dell'Ischia: "In Lega ho i voti, Beretti conta zera"/Video

Claudio Lotito, la telefonata col dg dell'Ischia: "In Lega ho i voti, Beretti conta zera"





Claudio Lotito è il vero capo della Figc. Decide incarichi,  orientamenti degli organi federali e si sbilancia su chi vuole e non vuole in Serie A. O almeno è quello che vuol far capire lui stando all'audio della telefonata del 28 gennaio scorso finito nelle mani di Repubblica tra il presidente della Lazio e della Salernitana e il Pino Iodice, direttore generale del'Ischia Isolaverde, società in Lega Pro. E una volta sputtanato, nel corso della riunione di Lega Calcio ribadisce senza indietreggìare di un solo passo.

Mediatore - Il 16 febbraio ci sarà l'assemblea delle società di Lega Pro. Ischia Isolaverde è tra le società che hanno sfiduciato il presidente della terza serie del calcio, Mario Macalli, che Lotito ha ancora interesse a tenere in piedi: "Ho un programma - dice Lotito a Iodice - in sei mesi incrementerò i ricavi, porterò uno sponsor al campionato e i soldi dello streaming. Ho parlato con quello che ha portato 1,2 miliardi alla Lega di A e 14 milioni in più di Rcs alla Figc (cioè Infront, ndr). Ti faccio un discorso: secondo te in Lega di A decide Maurizio Beretta? Sai cosa decide? Zero. E allora: il presidente (Macalli, ndr) fra un anno e mezzo va a casa da solo, l' accompagno io, e rappresenta zero".

Benefattore - Lotito racconta la sua strategia per prendere il controllo totale della Lega Pro: "Viene fatta una commissione strategica, tre presidenti, uno del Nord, uno del Centro, uno del Sud, e ogni 20 giorni vedono l' attuazione del programma. Il direttivo viene tolto, Pitrolo (il vice del presidente Macalli, ndr), quello, tutti. Chi viene eletto va lì a lavorare. E vi tranquillizzo, io non sono candidato a niente, non m' interessa, voglio salvare la Lega Pro. Se la Lega Pro nel giro di dieci giorni non trova un gruppo di maggioranza che io in questo momento ho su questo progetto che ti ho detto, ti spiego che succede.
Il 16 abbiamo l' assemblea, a me non cambia, ho preso 100mila euro, ma 4 milioni l' anno ci metto nella Salernitana. Se non si risolve 'sto problema, il 16 non arrivano i soldi, perché non ci sono".

Se li semo magnati - Quando si passa a parlare di denaro, Iodice ricorda a Lotito che la Federcalcio deve dare alla Lega Pro 5 milioni di euro di contributi, ma ormai gli ricorda l'altro: "Quei 5 milioni se li semo magnati. E i 5 della seconda tranche ci sono. La Figc dava 10 milioni alla Lega Pro, 9 alla B, che sta nelle stesse condizioni: m' ha chiamato Abodi, sta a piagne' , mi vuole vedere.
I 25 milioni che il Coni ha tagliato alla Figc sono stati tolti a Lega di B, Lega Pro, arbitri: hai visto quel testa di c... di Nicchi, sta a fare un casino".

Re Mida - Dai toni di Lotito è chiaro che il presidente della Lazio considera tutti i vertici della Federcalcio come una propria emanazione diretta. Dice ancora a Iodice: "Tu mi dici: cacciamo Macalli. Ma quand' è successa questa storia, la Federazione usciva con 3 milioni di perdita di bilancio, allora cacciamo Tavecchio? Macalli si è messo a piangere: non me lo potete fare, sono rovinato. Eravamo in tre in una stanza. Tavecchio gli ha detto: ' ma ndo c.. li prendo i soldi che non ci stanno? E allora ho pensato: facciamo un' anticipazione di cassa sui progetti della fondazione, che decido io, ho la maggioranza in Lega. Questa roba, però, se non si trova un accordo in Lega Pro il 16, non si farà mai, chi c... si espone? Se ci esponiamo io e Tavecchio... Oggi se sei senza soldi vai da un amico, no? L' amicizia ha un peso, il rapporto personale ha un peso, no?".

Serie A come l'Nba - L'idea di Lotito per riformare tutti i campionati dalla Serie A alla Lega Pro è chiara: La A deve dare data certa dei pagamenti. Dobbiamo sapere a quanto ammontano i ricavi delle società quando si fanno i budget. Io in tre mesi vi faccio tutto, la Lega diventa un orologio svizzero. Io in Lega di A ho 17-18 voti, perché la Fiorentina una volta si astiene, una volta vota a favore mio: ma li ho sui programmi, sui contenuti. Adesso mi sta chiamando Pozzo, che ho messo in consiglio federale. Qui il sistema salta, l' avete capito? Sta saltando il Parma, già è saltato...". No quindi alle piccole società e più soldi alla Serie A: "Ho detto ad Abodi: Andrea, dobbiamo cambiare. Se me porti su il Carpi... una può salì... se mi porti squadre che non valgono un c... noi fra due o tre anni non ci abbiamo più una lira. Perché io quando a vado a vendere i diritti televisivi - che abbiamo portato a 1,2 miliardi grazie alla mia bravura, sono riuscito a mettere d' accordo Sky e Mediaset, in dieci anni mai nessuno - fra tre anni se ci abbiamo Latina, Frosinone.. chi c... li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, Frosinone. Il Carpi... E questi non se lo pongono il problema!".

Io trasparente - Approfitta dell'assemblea di Lega Calcio Lotito per mettere in chiaro le sue parole in libertà al telefono: "Vorrei un sistema trasparente, è impensabile non sapere chi siano gli acquirenti di un club. Fino a oggi nessuno sa quanti soldi prendere e quando. Lo streaming della Lega Pro produce zero. Io propongo di metterlo a pagamento, a poco, anche un euro a partita". E poi sulla sua avversione alle piccole squadre come il Carpi sempre più vicine a salire in Serie A, il presidente della Lazio non si rimangia niente e rincara: "Il sistema calcio, così com'è, sta per saltare, io voglio trasparenza: se il Parma oggi non paga le scadenze, lunedì salta. Questo è un sistema che non regge Carpi e Frosinone, a chi vendo i diritti con loro? Così facendo arriveranno in A certe squadre dai dilettanti. Lo dico pubblicamente: fra tre anni, come farà la Lega di A a vendere i diritti se ci sono squadre con al massimo 2 mila spettatori? Che ricavi arriverebbero? Il sistema incassa 100 e spende 150. Se il sistema continua così, salta. Il sistema richiede una riduzione a 18 squadre per ciascun campionato".

Iettarore - E Sul dg dell'Ischia che gli ha fatto il trappolone registrando la telefonata e dandola a Repubblica, ancora Lotito spara: "Il "Iodice? Andate a vedere chi è... Porterà pure sfiga... Nocerina fallita, Pro Patria fallita, Taranto fallito... Io non ho fini personali, voglio fare pulizia. Ditemi, che vantaggi ho? Mia moglie mi dice: chi te lo fa fare, ti sputano pure addosso! La vita è un set di un film. Lo vogliamo cambiare? Altrimenti si arriva al capolinea e si spegne la macchina. A me delle cariche non interessa, non faccio favori. Ho cercato di aiutare tutti con consigli e suggerimenti. Il sistema è alla deriva. Ora di finirla con sta gente che non mette i soldi e non conosce la materia. Le società devono essere gestite in maniera corretta".



Briatore furibondo per Swissleaks: "Querelo tutti". Ecco chi ha nel mirino...

Briatore furibondo per Swissleaks: "Querelo tutti, pure Crozza"





“E’ una cosa pazzesca, pazzesca…. Mi hanno affiancato a della gente che ha avuto problemi col fisco italiano…questa è la cosa che mi dispiace, non lo accetto. Querelo tutti dalla A alla Z, anche gli imitatori. E' un Flavio Briatore furibondo quello che si sfoga ai microfoni de La Zanzara su Radio 24 per essere finito (ancora) nel tritacarne di Swissleaks, lo scandalo dei conti correnti che migliaia di italiani hanno in Svizzera presso la banca Hsbc. “Questa cosa qui - si sfoga il fondatore del Billionaire - è partita nel 2010, non è una notizia, è un riciclo giornalistico. I giudici hanno avuto in mano la lista nel 2010, hanno sicuramente indagato qualcuno ma è una roba finita. Io non sono mai stato chiamato né indagato, nel modo più assoluto. Sono stato tirato dentro perché in Italia uno che ce la fa deve essere sputtanato. E’ solo cattiveria. E Falciani è un truffatore un furfante, uno che ha rubato i dati a una banca. Se tu lavori in una banca e rubi i dati e i tabulati della banca e poi li pubblichi sei un truffatore. Lo considero così”.

Adesso partiranno le querele per tutti: "Querelo tutti dalla A alla Z: giornali, giornalisti, imitatori. Falciani? No, lui non c’entra niente, con lui non ho alcun problema". Ma con Crozza sì. Lui è il suo unico imitatore in Italia. L'ultima imitazione, proprio sul caso Swissleaks, risale alla puntata di "DiMartedì" su La7 di tre giorni fa, dall'eloquonte titolo "I have an Iban".