Visualizzazioni totali

lunedì 26 settembre 2016

Il documento sul golpe di Casaleggio jr Inchiodato: subito dopo la morte di papà...

Il golpe di Casaleggio jr subito dopo la morte di papà: il documento con cui fa fuori Beppe Grillo


di Brunella Balloli



È dedicato al «golpe di Davide» il secondo capitolo del libro che svela faide e segreti del Movimento Cinquestelle. Dopo il vaffa che Gianroberto Casaleggio avrebbe indirizzato al cofondatore Grillo, ora il testo si concentra sulla figura del figlio del guru scomparso. Gli autori, Nicola Biondo e Marco Canestrari, descrivono il giovane Casaleggio «metodico», abitudinario («a colazione sempre brioche e succo di pera»), uno che «all’occorrenza fa valere il suo status». Davide è l’uomo che dà l’ok alle comunicazioni che partono dallo «staff di Beppe Grillo». È lui a tenere i contatti con lo studio Montefusco, quello che spedisce le lettere di espulsione ai vari iscritti da cacciare. Se il padre era «autorevole», scrivono i due ex comunicatori (Biondo ha guidato l’ufficio stampa M5S alla Camera, Canestrari ha lavorato anni alla Casaleggio Associati), il figlio ha un motto chiaro: «Conta l’obiettivo».

Partendo da qui, le nuove rivelazioni di “Supernova - Come è stato ucciso il M5S” raccontano di come Casaleggio jr, alla morte del padre, avrebbe messo in atto «un piccolo golpe» ai danni di Grillo. Il presidente della Casaleggio Associati, cioè dell’azienda che gestisce il blog di Grillo, con uno scritto postumo del genitore, ha annunciato la nascita dell’Associazione Rousseau in cui ha inserito gli amici Max Bugani e David Borrelli. All’associazione faranno capo il portale Rousseau e le attività politiche. Grillo non ne fa parte. Per i due fuoriusciti, Rousseau confligge con la preesistente Associazione Movimento Cinquestelle che ha sede a Genova e ha come soci Grillo, suo nipote Enrico e il suo commercialista. Non solo. È Casaleggio con la sua azienda a controllare i dati personali dei parlamentari e non è vero, insistono Biondo e Canestrari, che tutto nel Movimento è trasparente. «Emerge una chiara direzione in Casaleggio», si legge nel pamphlet: «Socializzare le perdite dell’azienda conservando invece ciò che genera profitti. In questo modo il M5S potrebbe diventare presto una sorta di bad company della Casaleggio Associati. I grillini lo sanno?». Tra i parlamentari M5S nessuno commenta. La parola d’ordine è: indifferenza. E sul palco di Palermo tra Grillo e Casaleggio jr abbracci e affetto.

Lapo, soffiata sulla notte col trans: "Hanno usato 165 milioni di euro"

Lapo, soffiata sulla notte col trans: "Hanno usato 165 milioni"



Svela segreti e verità sulla famiglia Agnelli e sulle loro società l'ultimo volume di Gigi Moncalvo uscito su Amazon. Si parla dei Caracciolo, della rete di protezione e di silenzi di cui ha goduto l'impero torinese fin dai tempi di Giovanni Agnelli e di Dicembre la cassaforte delle casseforti da cui si controlla il gruppo (da 122 miliardi). Intervistato dal Fatto Quotidiano Moncalvo spiega che : "La Dicembre è stata costituita come società semplice, tipica società diffusa in Piemonte tra i coltivatori diretti, che non prevede l'obbligo di rendicontazione dei bilanci", dal "2004 al 2014 a guidarla era Alessandro Barberis, che prima era direttore generale Fiat. La Sec, l' autorità di Borsa americana, dovrebbe farsi delle domande sulla Dicembre, visto che controlla Fca che è quotata a New York". 

Tant'è, nella Dicembre ci sono Marella Caracciolo e John Elkann, i suoi due fratelli, Lapo e Ginevra, e gli altri cinque nipoti figli di Margherita, i De Pahlen. Lapo, rivela Moncalvo, "dopo la famosa notte brava (quella con il trans, ndr) è stato liquidato con 165 milioni di euro. Briciole. E sicuramente i fratelli di John non erediteranno da nonna Marella alcuna quota della Dicembre, dato che lei ha preferito John. Poi lo statuto impedisce a soci esterni di essere ammessi; John non potrebbe nemmeno far entrare sua moglie o i tre figli". 

Poi c'è la questione del presunto patrimonio estero dell'Avvocato, oggetto del contenzioso tra Margherita Agnelli e Marella Caracciolo: "Sono finora stati scoperti tre conti in Svizzera con 411 milioni di euro più un deposito da un miliardo nella sede di Zurigo della Morgan Stanley, ma quando i Pm italiani Fusco e Ruta nel 2009 hanno inoltrato le rogatorie alla Svizzera, Berna le ha negate. La banca, dopo aver bonificato alle due eredi Marella e Margherita i 108 milioni a testa del testamento, ha risposto alla figlia che chiedeva da quale conto venissero quei soldi, che il titolare, Giovanni Agnelli, dava disposizioni di non dare ulteriori informazioni".

Per Rutelli la svolta arriva a 62 anni: "Per papà" (e spunta un'altra poltrona)

Rutelli, la svolta a 62 anni: "Lo voleva papà"



Prima la laurea, poi una nuova poltrona. Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma e candidato premier del centrosinistra nel 2001, cambia vita a 62 anni: nel 1977, aveva dato il suo ultimo esame all'Università d'Architettura. Ora ci riprova: Pianificazione e Progettazione del Paesaggio dell'Ambiente, 8 vecchi esami convalidati, altri 10 già sostenuti. Per un ex ministro dei Beni culturali dovrebbe essere una passeggiata. "Volevo tornare a studiare a livello scientifico materie di cui mi sono occupato politicamente - spiega Rutelli al Corriere della Sera -. La politica è stata un impegno totalizzante per più di 30 anni. Non ho mai avuto tempo di prendere fiato, né di rimpiangere un mestiere che ho scelto di non fare. Ora, continuare a studiare, imparare cose nuove, è meraviglioso". C'entrano anche questioni familiari: suo padre era architetto e questa laurea "è anche un po' nel suo nome. Il giorno prima della sua morte lo andai a trovare con la fotocopia della delibera che assegnava il nuovo Auditorium a Renzo Piano". Forse, però, la laurea servirà anche per fare curriculum visto che in molti suggeriscono il nome proprio di Rutelli tra i favoriti per la guida dell'Unesco: "Non c'entra nulla, ho iniziato questo percorso a fine 2014. Ho studiato durante le vacanze, nei fine settimana, di notte, pagato la ricongiunzione degli esami. Nei prossimi giorni vedrò i docenti per un'ipotesi di laurea. Ho ancora due esami".

L'economista guru amico del Pd: "Renzi ha due possibilità"

Luigi Zingales: "L'Italia così non regge, o vera unione fiscale o addio Euro"



"O introduciamo una politica fiscale comune che aiuti i paesi in difficoltà o dobbiamo recuperare la nostra flessibilità di cambio". Tradotto: o unione monetaria e fiscale vera dentro l'Unione europea, o addio euro. A dirlo è Luigi Zingales, autorevole economista della University of Chicago, storico commentatore per il gruppo Espresso e soprattutto vicino alle posizioni riformiste della sinistra italiana. La tesi di Zingales è chiara: Matteo Renzi sta sbagliando obiettivo, perché "il problema non è qualche punto decimale di flessibilità, ma la vera struttura dell'unione monetaria".

"Unione vera o addio euro" - "Senza una politica fiscale comune l'euro non è sostenibile - spiega intervistato da Repubblica - o si accetta questo principio o tanto vale sedersi intorno a un tavolo e dire: bene, cominciamo le pratiche di divorzio. Consensuale, per carità, perché unilaterale costerebbe troppo, soprattutto a noi". Dopo la Brexit, dunque, anche l'uscita dell'Italia dalla moneta unica non dev'essere più un tabù. 

"Il problema non è la flessibilità" - Probabilmente, avverte Zingales, qualcosa Palazzo Chigi riuscirà a strappare all'austero duo Merkel-Schaeuble, perché con le elezioni in Germania vicine i due falchi tedeschi del rigore hanno tutto l'interesse a non far saltare il banco, a innescare la "bomba italiana" che potrebbe travolgere anche loro insieme a Bruxelles. "Ma il vero problema - ribadisce l'economista - non è la flessibilità, bensì la struttura incompleta dell'unione monetaria". Renzi dovrebbe "smetterla di elemosinare decimali da spendere a scopi elettorali rendendosi poco credibile. Dovrebbe invece iniziare una battaglia politica a livello europeo. Dire chiaramente che alle condizioni attuali l'euro è insostenibile. Il nostro Paese non cresce da vent'anni. Quanto ancora possiamo andare avanti?". 

"Di cos'ha paura Berlino" - La battaglia in Europa sarà dura, "tremendamente difficile", perché mentre tutto il mondo si avvia versa una politica espansiva (dagli Usa, sia con Trump sia con la Clinton, fino a Gran Bretagna e Giappone) la Germania che detta le regole europee teme di dover pagare il conto delle spese altrui e, in fondo, "le conviene che questa situazione continui all'infinito". 

Sanità, come cambiano i ticket: gli interventi che dovremo pagare

Sanità, così cambiano i ticket: gli interventi che pagheremo



Cataratta, artroscopia, tunnel carpale. E ancora: ernia inguinale, ombelicale e femorale con o senza protesi, calcoli renali, dita a martello, ricostruzione della palpebra: sono tutte le operazioni che rischiamo di pagare con l'introduzione dei nuovi ticket, in quanto declassate a interventi ambulatoriali (le prime sono esentate, sulle seconde si paga appunto il ticket). È il risultato dei Lea, i nuovi Livelli essenziali di assistenza decisi dal Ministero della Salute che si traducono in un taglio al Servizio sanitario nazionale. 

Quanto pagheremo - Secondo la Cgil Funzione pubblica, il costo delle nuove prestazioni a pagamento sarà di 60 milioni di euro. Come ricorda Il Giornale, l'elenco degli interventi sopra citati, contenuto nel decreto, non esclude automaticamente queste prestazioni dal day hospital. Tocca alle Regioni decidere, ma su "suggerimento" del governo.

Stipendi giù per colpa dell'euro Quanto abbiamo perso in tre mesi

Quanto ci ha tagliato di stipendio l'euro



Sempre più giù. Gli stipendi italiani hanno conosciuto un' altra contrazione, dello 0,5%, secondo le recenti rilevazioni Eurostat. Il dato è riferito al secondo trimestre 2016 in paragone all'analogo periodo dell' anno precedente, e chiude un anno solare drammatico per le nostre paghe.

Non un solo trimestre tra gli ultimi due del 2015 e i primi due dell'anno corrente ha fatto registrare il segno positivo: pareggio assoluto nel terzo trimestre 2015, poi -0,2%, -0,5% e appunto -0,5% (sempre misurati rispetto allo stesso periodo dell' anno precedente).

L'ultimo report dell'istituto di statistica comunitario inquadra, come sempre, l'andamento del costo del lavoro nominale, composto da salari e altri fattori (essenzialmente di natura fiscale e contributiva) che normalmente si muovono più o meno assieme: complessivamente l' Europa ha registrato un +1,4% del costo del lavoro nel secondo trimestre, cui corrisponde un +1,3% nei salari; stringendo la lente sull' eurozona, la crescita è minore: +1%, coi salari che salgono dello 0,9%. L' Italia ha visto in questo quadro scendere il costo del lavoro dell' 1,1%, con i salari che come detto sono calati dello 0,5%. In tutto il continente solo Lussemburgo e Finlandia (rispettivamente -0,5 e -2,3%) hanno come noi il segno meno davanti all' andamento delle paghe nei mesi di aprile, maggio e giugno 2016 raffrontati allo stesso trimestre 2015. Tra i paesi con la moneta unica, quelli di fresca introduzione (Lituania, Lettonia, Estonia) vedono un balzo dei salari anche superiore al 4%; gli altri Stati in cui le buste nominali si ingrossano di più sono fuori dall' euro (Romania +12%, Ungheria +3,6%, Regno Unito +2,7%, Polonia +2,5%). Fa eccezione il Portogallo, che però rimbalza da una situazione pesantissima e fa registrare un +2,7%.

Nessun paese però ha fatto registrare performance così preoccupanti sul fronte dei salari come il nostro: è in primo luogo a causa di questa contrazione che anche il costo del lavoro è sceso costantemente negli ultimi 12 mesi. Siamo l' unico Paese d' Europa in cui il dato sulle paghe è negativo (sempre in rapporto allo stesso periodo dell' anno precedente) in tutti i trimestri da metà 2015 in poi: l' eurozona registra un tasso di crescita (1,4%, 1,5%; 1,8%; 0,9%) quasi sempre più basso rispetto all' Unione europea a 28 (2%; 2%; 1,7%; 1,3%), a ulteriore conferma che, al netto delle specificità di ogni Stato, la moneta unica appare sempre più come un fattore efficace di compressione salariale in momenti di fiacca dell' economia. A fronte di queste cifre, tuttavia, all' interno dell' eurozona l' Italia è maglia nera. Noi siamo sempre lì, col segno meno; i nostri "compagni" in territorio negativo nell' ultimo anno si alternano: Lussemburgo, Portogallo e Slovenia nel terzo trimestre 2015, Cipro e Lussemburgo nel quarto, Cipro nel primo trimestre 2016 e ancora Lussemburgo con la ex prodigiosa Finlandia nel secondo del 2016, come dice l' ultima fotografia scattata dall' Eurostat.

Come ovvio, è in primis l'elevato tasso di disoccupazione a contribuire, sia in mezza Europa sia in Italia, a questa dinamica: la carenza di lavoro spinge chi ne è a caccia ad accettare anche stipendi più bassi, portando di solito a un calo generale degli stipendi. Il circolo vizioso che genera la spirale deflattiva in cui ci dibattiamo da anni include pienamente questo andamento: la domanda interna depressa da tasse e tagli scoraggia assunzioni e paghe elevate, che a loro volta fanno ristagnare i consumi e la crescita. Quanto hanno influito le recenti riforme (il combinato disposto di sgravi e Jobs act che, più o meno, copre i trimestri presi in considerazione) su questo trend drammaticamente asfittico? Non c' è dubbio che il pacchetto di interventi sul lavoro abbia agito soprattutto sul lato dell' offerta, aumentando la flessibilità del mercato del lavoro. Provvedimento che in sé non è giudicabile negativamente, ma che in questo contesto economico ha sicuramente contribuito ad accentuare l' andamento negativo della curva dei salari.

Cinque stelle, adesso cadono le teste I big che non vedrete più (anche in tv)

M5S di nuovo a Grillo e Casaleggio: ecco i big fatti fuori dal Re



Grillo e Casaleggio: ancora loro, sempre loro. Il Movimento 5 Stelle torna al passato ed è lo stesso Beppe Grillo ad annunciarlo, in un tripudio di folla a Palermo. Italia a 5 Stelle chiude l'epoca, breve e travagliata, del direttorio. Di fatto, l'organo direttivo del M5S si riduce a due soli esponenti, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, con gli altri tre (Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia) praticamente spariti. Dal palco e dalla tv. E poi c'è Casaleggio, certo. Non più Gianroberto, ma il figlio Davide che ne prende idealmente l'eredità anche politica, in un misto di commozione, nostalgia e cinica razionalità: servono nervi saldi e mente fredda per ridare una direzione chiara ai 5 Stelle, persi nel caos romano. Non è un caso che, arrivato a Palermo, Casaleggio Jr. abbia incontrato persone, evitato giornalisti e, soprattutto, visto Grillo a cena in quella che è stata definita "la cena del nuovo ordine". 

L'editto di Grillo: fuori dalla tv - A dettare la linea, a riprendersi il Movimento, è però stato Grillo. E lo ha fatto con una cacciata, nemmeno troppo simbolica. "In tv ci va chiunque abbia qualcosa da dire sul programma. E basta". Insomma, deciderà lui chi sarà il volto dei 5 Stelle presso il grande pubblico. Largo a Di Maio e Di Battista, che ieri sono stati ospiti di Lucia Annunziata a In Mezz'ora, nessuno spazio per i "nemici interni", l'ala più critica in queste settimane complicate: Nicola Morra, Fico e Barbara Lezzi, (i più critici con Di Maio per la gestione del caso Raggi), ovviamente Paola Taverna (la grande avversaria della sindaca di Roma). "C'è casino nel Movimento? No, ma rivendico il diritto di criticare", risponde lei. Sì, ma non in tv.