Dai giudici brutto colpo per Gianfranco Fini: suo cognato Tulliani lavorava in Rai grazie a lui
di Giacomo Amadori
A Giancarlo Tulliani in questo periodo non ne va dritta una. Infatti l'illustre cognato dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini oltre a non aver ancora realizzato una favolosa plusvalenza sulla "casa di Montecarlo" per colpa dei cronisti impiccioni di "Oggi", ha anche dovuto rinunciare ai 5 milioni di euro che aveva provato a scucire alla Mondadori come risarcimento per una presunta diffamazione da parte di "Panorama". Tre giorni fa è stata depositata la sentenza del giudice del tribunale civile di Roma Daniela Bianchini che ha rigettato "la domanda volta al riconoscimento del contenuto diffamatorio dell'articolo" e ha condannato Tulliani a pagare 8 mila euro di spese processuali. Ma uno che sul web si fa chiamare "Juan Trillioni" non si farà certo impensierire dall'esborso di questi spiccioli; a rattristarlo maggiormente sarà il contenuto della decisione. In cui vengono chiaramente respinte le sue doglianze. Un dispiacere che si aggiunge a quello per l'appartamento monegasco che ha sempre negato di possedere. Infatti il settimanale "Oggi" ha recentemente scoperto che quella casa acquistata per 300 mila euro è stata rimessa in vendita per 1,6 milioni di euro. E per "Oggi" dietro alla cessione ci sarebbe proprio Tulliani. Lui non ha smentito la notizia e dopo l'uscita dello scoop l'inserzione è sparita dal web.
Invece Panorama nel 2011 aveva appuntato la sua attenzione sullo "sbarco dei Tulliani nei palinsesti della Rai". Un filone inaugurato proprio su Libero da un'intervista all'ex capo della comunicazione Rai Guido Paglia. "La scalata inizia nel 2008" si legge sul settimanale. "Fini sponsorizza il cognato in prima persona (…). Nel 2009 scende in campo la suocera del presidente della Camera Francesca Frau (casalinga senza alcuna esperienza nel settore). In agosto i Tulliani ottengono un appalto da circa 1,5 milioni di euro per realizzare su Rai 1 la rubrica "Per capirti" (un confronto genitori-figli): incassano 8.120 euro per ciascuna di 183 puntate". Panorama scrive anche che "il know-how per aiutare cognato e suocera di Fini a realizzare il progetto" viene fornito dal produttore Geppino Afeltra, uomo vicino ad Alleanza nazionale. "Per qualcuno Afeltra diventa addirittura il socio di Giancarlo". La difesa di Tulliani respinge questa ricostruzione e afferma che il proprio cliente "non è titolare di alcuna società di produzione televisiva, né direttamente né indirettamente, né con la Rai né con qualsiasi altra emittente televisiva". In tribunale tali affermazioni vengono contraddette. Gli avvocati di Panorama, Antonello Martinez e Alberto Merlo, depositano il file dell'intervista ad Afeltra che ammette che "il Tulliani gli aveva chiesto una consulenza nell'ambito della produzione televisiva". Il testimone Marco Durante, presidente dell'agenzia di stampa "LaPresse", dichiara: "Tulliani non sapeva niente di televisione: mi era stato presentato dal signor Afeltra per essere introdotto nel mondo della Rai. Posso ricordare che Tulliani in presenza di Afeltra si rivolse a me presentandosi come il cognato di Fini e che pertanto avrebbe lavorato in Rai". Il giudice Bianchini parafrasa anche la versione di Paglia: "L'onorevole Gianfranco Fini disse al dottor Paglia che a Tulliani avrebbe dovuto essere riconosciuto un minimo garantito sulla fiction, sull'intrattenimento e sull'acquisto e distribuzione dei film (…) il dottor Paglia manifestò notevoli perplessità in quanto per lavorare in Rai occorreva essere inseriti nell'elenco dei fornitori, presentare dei piccoli progetti e sapere che esisteva un'enorme concorrenza". Inoltre, l'ex dirigente televisivo ha consegnato l'elenco dei passi relativi ai numerosi ingressi di Tulliani negli uffici della Rai. Tra gli atti sono finite pure le visure camerali che smentiscono Tulliani a proposito della sua presunta estraneità al mondo della produzione televisiva. Il giudice nella sentenza ha sottolineato anche "l'interesse pubblico" di quanto riportato da Panorama, visto che la notizia aveva "ad oggetto vicende legate a Tulliani in quanto cognato di un noto politico, il quale all'epoca dei fatti ricopriva la carica di Presidente della Camera e, a sua volta, era stato oggetto d'attenzione da parte dei media in relazione alla nota questione della "casa di Montecarlo"".
Ma se certe cause vengono intentate è anche per colpa di quei soloni ben retribuiti che liquidano come "macchina del fango" il giornalismo d'inchiesta realizzato da organi di stampa non intruppati o conformisti, certamente fuori dal cosiddetto circuito mainstream. In questo caso, senza farsi condizionare da tali pregiudizi, il giudice Bianchini riconosce che "l'inchiesta giornalistica risulta essere stata condotta con doveroso scrupolo attraverso l'acquisizione di documenti e testimonianze poi confluiti nel presente giudizio". Chissà se ora Tulliani, visto il mancato incasso, affretterà la vendita del mezzanino monegasco. Non varrà cinque milioni, ma è pur meglio di niente.