Visualizzazioni totali

mercoledì 4 febbraio 2015

Dalla cella "esce" una lettera di Bossetti: la vecchia promessa fatta alla moglie...

Massimo Bossetti, la lettera dal carcere: "Per il 2015 rivoglio solo la mia libertà"





Massimo Bossetti, il 44enne accusato di aver ucciso Yara Gambirasio quel maledetto 26 novembre del 2010 , scrive una lettera dal carcere. Si tratta di un foglio scritto a mano, una lettera poi mostrata dal suo legale, l’avvocato Claudio Salvagni, durante la puntata del programma La Vita in diretta. Bossetti nella lettera lancia il suo appello e ribadisce la sua innocenza: "Questo chiedo a Dio di regalo per il 2015 e nient’altro di più, la mia libertà rivoglio, perché Dio ha visto e sa come sono andate le cose, sa che io non c’entro in questo caso". E ancora: ''E allora, se veramente esiste - dice riferendosi sempre a Dio - perché non aiuta gli inquirenti a capire? La promessa che ho fatto a mia moglie prima di sposarmi è quella di stare insieme per tutta la vita accanto a lei e non quella di farla finita in un maledetto carcere''. Nel suo scritto, che potete vedere nella foto, lo stesso Bossetti inoltre sottolinea la frase e il concetto che più gli sta a cuore: "Per il 2015 rivoglio solo la mia libertà".

Maurizio Crozza umiliato: così Maria Elena Boschi lo ha distrutto in studio. E Giovanni Floris va in crisi: che è successo...

Maurizio Crozza umiliato da Maria Elena Boschi: non le scappa neppure una risata





Una strepitosa performance, quella di Maurizio Crozza, nella copertina di Dimartedì del 3 gennaio. Si parte dall'imitazione di Matteo Renzi e si prosegue con la nuova imitazione, quella del neo-presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E in studio è presente niente meno che Maria Elena Boschi: bellissima ed elegantissima, in calze nere e tacco alto. Crozza parte imitando il premier, al quale mette in bocca frasi quali: "Cari italiani, se ho fottuto uno come Berlusconi, a voi gente semplice avete idea di come posso ridurvi?". E ancora: "Angelino, quando hai finito di pulire i vetri e gli specchi puoi andare". Insomma, Renzi viene massacrato per il suo giochino quirinale. Poi si passa all'imitazione - riuscitissima - di Mattarella. Strepitosa l'ultima battuta: "Rivolgo un pensiero a colui che con la mia elezione può abbandonare il suo gravoso compito: Enrico Mentana". Grasse risate. Ridono tutti. A parte una persona, proprio lei: il ministro Maria Elena Boschi. Ferma, ritta, impassibile. Nemmeno una smorfia. Mai. Le telecamere indugiano su di lei, ma niente, nulla da fare. Crozza, insomma, perde clamorosamente il confronto diretto: viene "umiliato" dalla Boschi e dalla sua imperturbabile compostezza. Tanto che Giovanni Floris prende a ridere sguaiatamente ad ogni battuta di Crozza. Il sospetto è legittimo: avrà mica voluto "disturbare" il silenzio della Boschi?

martedì 3 febbraio 2015

Berlusconi supershow al Colle Alla Bindi: "Rosi, tu sei un..."

Silvio Berlusconi dà dell'uomo a Rosi Bindi





Silvio Berlusconi è al Quirinale per la cerimonia di insediamento di Sergio Mattarella. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta gli porta Rosy Bindi per uno scambio di saluti. Il faccia a faccia sembra nascere sotto i migliori auspici con sorrisi reciproci. Poi il Cav esordisce: «Ho visto che ha versato lacrime di commozione, non ce lo aspettavamo da un uomo... pardon, da una donna, come Bindi, tante lacrime». La battuta non piace affatto all’esponente Pd presidente dell’Antimafia che replica piccata: "Mi aspettavo che lei fosse diventato un pò più galante, ma mi pare che non c’è niente da fare...». Berlusconi cerca di correre ai ripari per la gaffe, fa un baciamano alla Bindi "Signora, io sono sempre galante".

L'epico scontro - Non è la prima volta che i due si "beccano". Tutti ricordano quando, nello studio di Porta a Porta, era l'8 ottobre del 2009, Silvio Berlusconi e l'allora vicepresidente della Camera Rosi Bindi si confrontavano sul Lodo Alfano. Il Cavaliere, lasciò tutti a bocca aperta dicendole: "Sei sempre più bella che intelligente". Anche in quell'occasione la Bindi, rispose: "Presidente, io sono una donna che non è a sua disposizione e ritengo molto gravi le affermazioni che questa sera lei ha fatto contro la Corte Costituzionale e contro il presidente della Repubblica". E poi la controreplica di Berlusconi: "lei vedrà che gli italiani la pensano in maniera diversissima da lei". 

"Non sapevo di essere invitato..." Salvini al veleno e gli altri assenti

Matteo Salvini: "Non sapevo di essere invitato"





Un  Matteo Salvini polemicissimo. La sua assenza, nella sala dei Corazzieri del Quirinale ha fatto, come si dice, molto più rumore di una presenza. Quella di Beppe Grillo era annunciata, scontata. Ma quella del leader del Carroccio era invece inattesa. "Non sapevo di essere stato invitato e di avere un posto", così dai microfoni di Radio Padania il segretario  federale della Lega Nord ha spiegato la sua assenza al Quirinale per l’insediamento del Capo dello Stato. Per lui era stato riservato un posto accanto a Silvio Berlusconi, ma la sua sedia è rimasta vuota. 

Nessun  posto riservato, come abbiamo detto, per Beppe Grillo il quale ha detto che incontrerà poi il Presidente in forma privata. Tuttavia, Beppe ha fatto sentire la sua voce con un tweet: "Benvenuto presidente". E poi in un posto sul suo blog  ha scritto: "Mattarella è stato interrotto da 42 applausi in 30 minuti di discorso. I parlamentari che si spellavano le mani erano felici come dei bambini per essersi garantiti i posto (e lo stipendio) per un altro paio d’anni e aver evitato lo scioglimento delle Camere. Questo era l’unico loro vero obiettivo nel teatrino delle elezioni, di Mattarella non gli poteva fregare una cippa". E ancora: "Ricordavano questi parlamentari incostituzionali nel loro entusiasmo gli applausi registrati negli studi televisivi che appartenevano a persone morte da un pezzo. Gli applausi dei morti viventi - si legge ancora nel post - Vale più che mai il consiglio del fratello di Mattarella: "Sergio, guardati dai politicì. Più applaudono, più devi preoccuparti», conclude il post sul blog del leader 5 Stelle. 

Colle, scheletri nell'armadio: quelle indagini dimenticate sul fratello

Mattarella, il fratello e quelle indagini dimenticate

di Tommaso Montesano 



Con la schiena dritta». Eccola la formula più usata, dai sostenitori della sua candidatura al Quirinale, per descrivere Sergio Mattarella. «Un politico per bene», twittava il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un ex popolare con un rigore morale, a leggere i ritratti comparsi sui giornali, La Repubblica in primis, da fare invidia a Oscar Luigi Scalfaro. 

Nelle biografie ufficiali e non, Sergio Mattarella risulta avere un solo fratello: Pier Santi, l’ex presidente della Regione Sicilia assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. In realtà il neo presidente della  Repubblica  di fratello ne ha anche un altro. Si chiama Antonino ed è balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa. Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove.

Le cronache dell’epoca consentono di ricostruire la vicenda. Secondo l’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Andrea De Gasperis, citato dal Giornale di Sicilia del 18 ottobre 1999, Antonino Mattarella, insieme al commercialista trapanese «Giuseppe Ruggirello, avrebbe convogliato nella perla del Cadore (Cortina d’Ampezzo, ndr) un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi».  Tra gli indagati ci furono anche Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana, Riccardo Lo Faro, legale rappresentante della «Cortina Sport», proprietaria di una delle strutture acquisite (l’hotel Mirage), e un imprenditore di Frosinone, Mario Chiappisi. Indagine chiusa per mancanza di prove sulla presunta provenienza illecita del denaro.

A macchiare l’immagine di Sergio, invece, c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire - sotto forma di buoni benzina - dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra.  Il padre di Pier Santi e Sergio, Bernardo, è stato pure lui in politica. Deputato per cinque legislature, oltre che uno dei leader della Dc siciliana nel Dopoguerra. Un ruolo di primo piano, alla guida della corrente morotea dell’isola, che emerge anche dalla relazione di minoranza che nel 1976 depositò in Parlamento l’allora deputato comunista Pio La Torre, assassinato a Palermo il 30 aprile 1982 per mano di Cosa Nostra.

Dal nonno al nipote. Il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, docente di Diritto amministrativo (all’università di Siena e alla Luiss di Roma), è capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pubblica amministrazione guidato da Marianna Madia. Quella Madia che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, il figlio dell’ex presidente Giorgio. Forse è anche in nome di questi legami che ieri Napolitano senior ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell’Aula di Montecitorio nella nuova veste di senatore a vita. L’ex capo dello Stato non ha nascosto di tifare per l’elezione di Mattarella: "È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale". Un endorsement in piena regola che testimonia l’attivismo di Napolitano per l’ascesa del giudice costituzionale - nominato alla Consulta dal Parlamento proprio sotto la sua presidenza - al Colle. «Io lo conosco bene, da quando era deputato», ripete il presidente emerito in Transatlantico prima di lasciare il Parlamento.

Mattarellum? Mai... Ecco cosa fece il presidente per farsi eleggere

Mattarellum? Mai per Mattarella, che per sé scelse il salvagente del Porcellum





C’è un solo uomo politico che corse in tutte e tre le competizioni elettorali che in Italia si sono tenute con il Mattarellum, e tutte e tre le volte peferì essere candidato con la stessa tecnica e logica del Porcellum. Quel politico si chiama Sergio Mattarella, l’uomo che scrisse quella legge maggioritaria di cui mai provò l’ebrezza. Si candidò infatti sia nel 1994, che nel 1996 e nel 2001, ma non osò chiedere agli elettori di votarlo in competizione con altri. In tutti e tre i casi fu paracadutato dal leader del suo partito in quella quota proporzionale in circoscrizioni dove la sua elezione sarebbe stata garantita. Accadde in Sicilia 1 nel 1994 e nel 1996, e in Trentino nel 2001 dove Mattarella fu paracadutato fra mille proteste dei dirigenti locali del suo partito, scandalizzati per l’imposizione da Roma di un candidato siciliano nel profondo Nord Est. In pratica il nuovo presidente della Repubblica non ha mai provato la sua legge, ed è stato eletto sempre con la logica del Porcellum (il leader del tuo partito ti catapulta in un posto dove vieni eletto automaticamente senza essere scelto dai tuoi cittadini). Dribblate le insidie del Mattarellum, Mattarella ha provato poi direttamente il Porcellum, con cui è stato eletto anche nel 2006 nominato in lista e imposto agli elettori dai dirigenti della Margherita. Certo che la riconoscenza non è di questo mondo. Dopo averne aprofittato ben 4 elezioni, ed essere stato in Parlamento da “nominato” per ben 14 anni, una volta arrivato alla Consulta lo stesso Mattarella ha bocciato la filosofia dei “nominati”, spalancando la porta all’Italicum di Matteo Renzi che li nomina di nuovo

Polizze online, occhio alle fregature: attenzione a questi quattro "dettagli"

Assicurazioni online, occhio alle fregature: i quattro consigli per risparmiare senza rischi





Polizze online, ci sarà più trasparenza. L'Ivass, l'Autorità per le assicurazioni, ha infatti "bacchettato" alcuni siti che propongono confronti tra polizze (Comprameglio.it, Facile.it, Segugio.it, 6Sicuro.it e Supermoney.it) dandogli tempo fino al 31 gennaio per eliminare quelle che vengono considerate "falle", informazioni che andavano a scapito dei consumatori. Avremo quindi maggiore chiarezza e completezza di informazioni. Sul quotidiano La Stampa, una serie di consigli per utilizzare al meglio questi siti per evitare di avere poi brutte sorprese.

Franchigie - La prima cosa a cui stare attenti è quella delle franchigie che non sono dichiarate esplicitamente: in pratica alcune compagnie, non tutte, hanno introdotto delle franchigie (per esempio sull'assistenza stradale) che consentono di tagliare il prezzo finale della polizza. Il consumatore, quindi, sarà portato a scegliere quel prodotto perché meno caro con il rischio però di ritrovarsi con una copertura solo parziale.

Assistenza stradale - Molte compagnie assicurative offrono gratuitamente questo servizio. E' un servizio che di sicuro attira più clienti solo che non sempre viene detto loro chiaramente che c'è una franchigia e che il prezzo della polizza sale. 

La rivalsa - La polizza è  meno cara se il proprietario dell'auto permette alla compagnia aerea di rivalersi su di lui in determinati casi (per esempio giuda in stato di ebbrezza o incidente causato da minori alla guida la compagnia anticiperà i costi dei danni ma poi chiederà indietro i soldi e l'assicurato dovrà pagare). Se  non viene prevista la rivalsa, la polizza costerà ovviamente molto meno.

Morte o invalidità - Un altro elemento da considerare è quello che riguarda le somme spettanti in caso di morte o di invalidità permanente dell'assicurato. Questa somma si può innalzare pagando un po' di più: ma questa scelta fa salire il premio finale e quindi può fare scendere l'appeal della compagnia da un punto di vista economico. Sono tutte informazioni che il consumatore, nella scelta della polizza via web, deve considerare. Per eviatare di trovarsi poi "scoperto" in caso di incidente.  

lunedì 2 febbraio 2015

Ncd esplode, ecco chi lo lascia Renzi sfotte: "Leccatevi le ferite" Intanto la profezia di Salvini su Alfano si sta avverando....

Ncd, Barbara Saltamartini lascia, critiche ad Alfano. E Matteo Renzi sfotte Angelino: "Leccati le ferite"





"Oggi, dopo aver incontrato il presidente di Ncd, Angelino Alfano, ho deciso di lasciare il partito". Il Nuovo centrodestra perde i pezzi: dopo le dimissioni da capogruppo di Maurizio Sacconi e mezzo partito in rivolta con il segretario per il pasticcio sul voto per il Quirinale, arriva l'addio anche di Barbara Saltamartini. "Una scelta difficile e sofferta, ma coerente con gli obiettivi che mi ero posta quando ho contribuito alla fondazione del Nuovo Centrodestra. Una scelta - prosegue Saltamartini - maturata dopo l'ennesimo strappo compiuto dal premier Renzi che, sia chiaro non sulla scelta del nome del Presidente Mattarella, ma nel metodo ha imposto agli alleati una decisione presa solo con il Partito Democratico e che Ncd ha avvallato alla quarta votazione, chiudendo così il dialogo aperto con altre forze di centrodestra". Era stato lo stesso Matteo Renzi, in mattinata, a ironizzare sul travaglio di Ncd dopo l'elezione del presidente Sergio Mattarella: "Io penso che oggi ci sia da rimettersi a lavorare con calma. Chi deve leccarsi le ferite lo faccia", aveva spiegato il premier. 

Fuga verso Forza Italia e Lega - Più che leccare le ferite, Alfano è chiamato ora a un durissimo lavoro di ricucitura, perché come detto il partito è spaccato: in difficoltà sul fronte sondaggi, incerto politicamente nella linea da tenere dentro al Parlamento (fuori o dentro il governo?) e soprattutto su cosa fare fuori, nelle piazze e forse alle urne. Con Forza Italia? Con Forza Italia e la Lega Nord? Da soli? E se qualcuno sussurra che Sacconi potrebbe tornare all'ovile forzista o nel progetto che verrà, sulla Saltamartini è girata voce di un possibile approdo alla Lega, magari in ottica centro-sud. "Con Alfano - racconta la stessa deputata - ci siamo confrontati sul piano politico su quanto fatto dalla nascita del nostro progetto, e dunque sulle successive sfide che il partito intende portare avanti. Restano inalterati i buoni rapporti personali, ma oggi la linea politica espressa dal presidente Alfano non rispecchia più il progetto che avevamo presentato agli italiani". Secondo la Saltamartini, l'obiettivo mancato era "costruire una aggregazione di centrodestra in grado di poter rappresentare i milioni di elettori che non votarono il Pdl alle ultime elezioni politiche del 2013 e garantire, con il governo Letta, la stabilità necessaria per poter superare la grave crisi economica che l'Italia stava attraversando, sono stati i presupposti per la nascita del nuovo partito nei quali mi sono ritrovata. Con l'avvento di Matteo Renzi - sottolinea - tutto è cambiato". 

Alfano in discussione - Saltamartini rappresenta quella parte di Ncd, minoritaria, che contesta la linea scelta da Alfano. Per ora, però, di processi al segretario nonché ministro degli Interni non se ne fanno. Alfano "non mi sembra che sia assolutamente in discussione. Noi dobbiamo continuare ancora a essere più forti e più chiari sul ruolo che l'area popolare vuole e deve assumere nei prossimi giorni e mesi", ha commentato Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture. Non è un caso, però, che i più tranquilli dentro Ncd siano quelli che hanno un posto nel governo. Tra gli altri, all'opposto, cresce l'insofferenza. E la voglia di ritrovare un posto al sole in qualche altro schieramento. E in vista delle prossime elezioni regionali, Campania in testa, c'è chi come Nunzia De Girolamo chiede alleanze chiare e un confronto immediato con Renzi: "Non possiamo fare gli alleati a comando".


La profezia di Salvini su Alfano

No alle alleanze con il Ncd alle elezioni regionali. E' l'aut aut dichiarato dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che il partito guidato da Angelino Alfano non lo vuole proprio sentire nominare. "Penso che Ncd sparirà di qui a breve - ha detto al  GrRai - perché ha preferito le poltrone alla coerenza. Per quanto riguarda Forza Italia quando avranno finito di litigare e di fare da stampella a Renzi ne riparleremo". Anche sull'eventuale adesione alla Lega di esponenti fuoriusciti del Nuovo centro destra, Salvini non è per niente accomodante: "Non siamo un tram per garantire poltrone ai riciclati. Valuteremo caso per caso", taglia corto il leader leghista.

Silvio Berlusconi ritorna libero dall'otto marzo Mediaset, il giudice: "Si è comportato bene..."

Silvio Berlusconi, concesso lo sconto di 45 giorni





Il giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano Beatrice Crosti ha concesso la liberazione anticipata, di 45 giorni, a Silvio Berlusconi nell’ambito dell’affidamento in prova ai servizi sociali di un anno che sta scontando per la condanna definitiva per il caso Mediaset. Nei giorni scorsi, la Procura aveva espresso parere contrario alla liberazione anticipata. L'ex premier, quindi, terminerà l'affidamento in prova ai servizi sociali che sta svolgendo presso la struttura "Sacra Famiglia" di Cesano Boscone, l’8 marzo prossimo. Lo riferiscono fonti legali. Berlusconi chiude così il capitolo giudiziario relativo al processo Mediaset che si era concluso con una condanna definitiva per frode fiscale a 4 anni di carcere, di cui 3 indultati.  Una decisione che arriva il giorno dopo la telefonata che il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto a Silvio Berlusconi e che molti commentatori hanno letto come un modo per ricominciare a ricostruire quel Patto del Nazareno che la scelta per il Colle aveva fatto traballare. Certo è che domani Berlusconi sarà al Colle per il giuramento del nuovo Presidente della Repubblica. 

La motivazione -  Silvio Berlusconi si è comportato in modo corretto dopo le dichiarazioni contro i giudici pronunciate al processo napoletano in cui è imputato Valter Lavitola. È questa in sostanza la motivazione alla base del provvedimento firmato dal giudice di Sorveglianza Beatrice Crosti.

Cosa cambia - Berlusconi recupererà tutti i suoi diritti - fatta eccezione dell’eleggibilità, impedita dalla legge Severino - già a marzo: in particolare, l’ex premier potrebbe tornare a spostarsi liberamente su tutto il territorio nazionale e senza limiti di orario. Ma la battaglia di Berlusconi non è finita: resta la pronuncia della Corte Europea sui suoi due ricorsi presentati contro la legge Severino. Una pronuncia da cui l’ex premier vuol riottenere in toto l’agibilità politica visto che, secondo quanto sostenuto dai suoi avvocati nel ricorso, nel suo caso sarebbe stato violato il principio giuridico della non retroattività. Se il ricorso a Straburgo non dovesse dare gli esiti sperati, resterebbe la carta della riabilitazione che l’ex premier potrebbe chiedere tre anni dopo aver finito di scontare la pena (teoricamente nella primavera del 2018.

Il commento - "La liberazione anticipata di Berlusconi dai servizi sociali sulla ingiusta sentenza Mediaset, è la seconda buona notizia della giornata dopo l’invito del Presidente Mattarella alla cerimonia di insediamento al Quirinale". Così Michaela Biancofiore, parlamentare di FI, in una nota pubblicata pochi minuti dopo la notizia della liberazione anticipata del Cav, commenta la decisione del giudice di Milano . "In attesa del pronunciamento della CEDU che lo riabiliterà giuridicamente decretando la sua completa e conosciuta innocenza, il Presidente Berlusconi ora riparta dalle regole e dalla democrazia per scegliere la squadra che lo accompagnerà nel recupero del consenso degli italiani che è a portata di mano. Anticipazione del congresso al 2015 e stop a nominati che non sono mai stati eletti da nessuno, non conoscono quanti sacrifici costi il consenso e dunque che non hanno legittimazione né popolare né all’interno del partito e dei gruppi parlamentari. Non è un caso che Renzi e Salvini siano emersi rispettivamente dalle primarie e da un congresso. Noi il leader lo abbiamo ora serve una squadra di gente affamata di cambiamento che lo supporti".

Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia senza filtri: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."

Claudio Martelli: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."





Durissimo il giudizio di Claudio Martelli sul nuovo presidente della Repubblica. Martelli era ministro della giustizia nel governo Andreotti. "Mattarella non è tra i morti che hanno combattuto la mafia a viso aperto e non può essere paragonato a chi è caduto mentre era in guerra con le cosche". Un comportamento "intollerabile, chi lo manifesta non è degno di ricoprire l' ufficio di ministro della Giustizia", fu la replica della vedova Mattarella. Una polemica vecchia, su cui in un'intervista al Fatto Quotidiano interviene Martelli: "Intervenni dopo a pochi giorni dall' omicidio Lima, perché nella Dc si stava facendo spazio questa sorta di accostamento poco giudizioso tra la morte di Salvo Lima e le altre vittime della mafia. Non vi fu nessuna aggressione alla memoria di Piersanti né alla famiglia. Mi concentrai su una distinzione netta tra Piersanti Mattarella e La Torre. Il primo aveva combattuto la mafia contrastando il sistema di potere all' interno del suo partito, Lima, Gioia, Ciancimino, e per questo forse fu ucciso. La Torre, no, la sua fu una battaglia dura, netta, contro Cosa nostra e i suoi legami politici". Il giornalista del Fatto  ricorda come Martelli "tirò in ballo la figura di Mattarella padre, Bernardo, definendolo il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal separatismo, alla Dc, e Sergio Mattarella definitì il suo livello come miserabile".

Il giudizio critico - La replica di Martelli è immediata: "Non mi sono mai inventato accuse nei confronti di Bernardo Mattarella. Le cose che dissi all' epoca le presi dalla relazione di minoranza presentata dal Pci in Antimafia e firmata da Pio La Torre". Ma il giudizio dell'ex ministro della Giustizia su Mattarella, è ancora dopo tanti anni tranchant: " È un uomo che merita rispetto. Quella foto del 6 gennaio 1980 è l' immagine di un dolore indicibile, instancabile, che non passa mai. È una sorta di battesimo, una vocazione originaria. Ma la santificazione no, non mi piace. Aspettiamo. Sergio Mattarella è stato un uomo di partito, di corrente, di polemiche aspre. È stato l' uomo che all' indomani del ribaltone che defenestra Romano Prodi diventa il vicepresidente del Consiglio con D' Alema. E anche quelle dimissioni dal governo sulla legge Mammì, aspetterei a leggerle come una scelta ideale, diciamo che furono ordini di corrente ai quali Mattarella e altri ministri ubbidirono.

Il pronostico - Quando il giornalista Enrico Fierro gli chiede che cosa succederà con Mattarella Presidente della Repubblica, lui risponde: "Leggo tante cose, c' è chi lo vuole capace di resistere a Renzi, chi invece lo vede legatissimo al premier. Renzi è stato abile, si è coperto a sinistra con Vendola e ha costruito una maggioranza preventiva sul nome di Mattarella stringendo Alfano in un angolo. C' è una forte tendenza al partito unico, un grande partito di centro che assorbe la sinistra, ne contiene un' ala. Così si chiude la strada ad ogni alternativa e si costringe la destra ad estremizzarsi"

La cupa profezia di Pansa su Renzi: così Mattarella riuscirà a fregarlo...

Giampaolo Pansa: Sergio Mattarella? Tenace, insistente, lungimirante: stupirà tutti, anche Renzi

di Giampaolo Pansa 



Ho conosciuto Sergio Mattarella in un momento cruciale per la Democrazia cristiana e per l’area di Ciriaco De Mita, la sua corrente. I demitiani erano la tribù bianca che poteva vantare una quantità di tipi umani che non tutti i clan della Balena avevano. De Mita svettava sull’intera parrocchia. E ti catturava come pochi sapevano fare. Mi diceva sempre: «Pansa, tu non capisci i miei ragionamenti. Ma se non mi comprendi, come puoi pretendere di intervistarmi?». Clemente Mastella, il suo addetto stampa, m’incoraggiava: «Ciriaco fa così perché ti stima». Riccardo Misasi, il capo della segreteria, amava De Mita e lo riteneva il nuovo Giulio Cesare della politica italiana. Quanto a Mattarella era tutta un’altra storia.

Il mio ricordo ha una data precisa: l’inizio del febbraio 1989. Il giorno 17, a Roma, si sarebbe aperto il diciottesimo congresso nazionale della Dc e tutti davano per conclusa l’era di De Mita, durata sette anni. La fine veniva annunciata da una tempesta di voci. Ciriaco è cotto. È fritto. È finito. Deve sloggiare da piazza del Gesù. Lui e i suoi. Gli avellinesi e anche gli altri: i colonnelli, i capitani, i furieri. Che grandinate sulle tende demitiane! Roba da far saltare i nervi a un rinoceronte di marmo. Però i nervi non saltavano. Non a tutti, perlomeno. A Sergio Mattarella certamente no.

Andai a trovarlo a Palazzo Chigi, dove ancora sedeva De Mita, nel suo ufficio di ministro per i rapporti con il Parlamento. In quel momento aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Un signore pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. Il politico sul quale De Mita aveva investito di più, ma che non si era annullato in Ciriaco. Un suo amico mi aveva detto. «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade».

Gli chiesi se gli piacesse l’immagine della goccia. Lui sorrise: «Non so dirle se sono così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l’importanza dei piccoli passi. Elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore».

Se rileggo gli appunti che presi nel nostro lungo colloquio, rimango ancora stupito dalla schiettezza di Mattarella nel descrivermi i partiti e la Casta politica di allora. Eravamo nell’Ottantanove e mancavano appena tre anni all’inizio del ciclone di Mani pulite. Ma i guai tremendi del partitismo, a cominciare da quello democristiano, erano ben chiari nell'esperienza di Sergio e lui non arretrò nel ricordarmeli.

Esordì: «Bisogna cominciare dallo stato del tesseramento. È molto gonfiato e questo rende dubbia la legittimità della rappresentanza nel partito, il Chi rappresenta Chi e in virtù di che cosa. E c’è di peggio. I tanti padroni delle tessere in sede locale paralizzano la vita della Dc. I leader nazionali sono prigionieri di questi concessionari del marchio democristiano. Ne nasce un rapporto inverso a quello normale: non comandano i vertici del partito, bensì i gruppi periferici che sono i veri padroni dei vertici nazionali».

«C’è poi un secondo male» continuò Mattarella. «Non è soltanto della Dc, anche se noi democristiani ce ne stiamo accorgendo prima di altri. Il reclutamento dei dirigenti in periferia avviene per linee sempre più interne. I partiti pescano i loro quadri soltanto fra i professionisti della politica già all’opera nelle correnti, nelle sub-correnti o nelle istituzioni. Questo rende i partiti asfittici e sempre più distanti dal loro retroterra sociale. Infine i quadri selezionati in questo modo risultano mediocri».

Conclusione? Sergio Mattarella, seguitando a parlare senza enfasi, si dimostrò profetico: «Anche la Dc si trova in questa trappola molto rischiosa. Dobbiamo riuscire a rompere il sistema che le ho descritto, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dentro la società civile. Oppure i partiti moriranno. Non abbia il timore di attribuirmi questa previsione nera».

Proposi a Mattarella di spiegarmi meglio quello che intendeva. La Goccia che cade non esitò: «In pochissimi anni i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del partito. La nostra area avverte sino in fondo questo pericolo. E De Mita sì è impegnato molto per renderlo evidente e combatterlo».

«Il nodo del congresso che sta per aprirsi sta proprio qui: è la continuità rispetto a questo impegno. Se invece il nuovo assetto della Dc risulterà soltanto il frutto di un equilibrio fra le correnti, ci sarà meno sensibilità per questi problemi. E si farà prepotente la tentazione di ritornare al partito malato che nel 1981 sembrava in coma irreversibile e che De Mita ereditò l’anno successivo».

Domandai alla Goccia che cade degli errori compiuti da De Mita nell’incarico di segretario. Lui non si sottrasse alla domanda: «Forse l’errore primario fu il tentativo, riuscito soltanto in parte, di governare la Dc nelle grandi città con i commissari, nominati dalla segreteria politica. In realtà erano dei coordinatori con funzioni di stimoli per il futuro. L’intuizione era giusta. Poi l’affanno quotidiano ha un po’ impacciato le soluzioni. È il vizio illuministico dei gesti forti. L’esperienza ci ha insegnato che è meglio la semina lenta, il lavoro che sembra fatto di niente, per usare l’immagine di Moro».

A quel punto Mattarella mi offrì un'altra previsione: «In tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazione nell'interesse generale. Se la politica non è in grado di essere questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa».

Così parlava Sergio Mattarella nell’Ottantanove. Dimostrava di sapere con certezza che un’epoca stava finendo. E talvolta attraverso eccessi più grotteschi che tragici. Ne incontrai un campione mentre stavo uscendo da Palazzo Chigi. Era l’ombra imponente del socialista Gianni De Michelis, ancora per poco vicepresidente del Consiglio nel governo De Mita. Mi regalò un salutone cordiale, poi cominciò a sparare a raffica contro Ciriaco, Bettino Craxi, i sottocapi del Psi e la loro debolezza nei confronti del leader del Garofano.

Ce l’aveva soprattutto con Giuliano Amato: «Voi di Repubblica non capite un cazzo. Siete bambini ignoranti e pompate tanto Giuliano. È uno di quelli che dicono sempre di sì a Bettino. Nel vertice del Psi c'è uno solo ad avere il temperamento giusto per tenere testa a Craxi. E sai chi è?».

Gli risposi: «Scommetto che sei tu, Gianni». E quel meraviglioso peso massimo, sempre pieno di femmine audaci e chiamato Avanzo di balera per la sua passione di frequentare i night, scuotendo vezzoso la chioma strillò con un sogghigno: «Come hai fatto a indovinarlo?».

Qualche settimana dopo, De Mita perse la segreteria della Dc e in maggio si dimise da capo del governo. Rimasero vive, ancorché nascoste, le gocce che cadono senza mai fermarsi. Ventisei anni dopo una di queste entra al Quirinale.

Pensioni, gettoni e vitalizi: tutti gli "stipendi" di Mattarella

Mattarella, i triplici incassi: la pensione, il gettone e il vitalizio, ecco quanto ha guadagnato





Quando spuntò il suo nome per il Quirinale, una delle critiche più feroci che subito vennero mosse a  Giuliano Amato, riguardava il cumulo degli stipendi. Cumulo che in realtà non c’è più, visto che una volta entrato a fare parte della Corte Costituzionale, si è autosospeso la pensione. Sergio Mattarella  mensilmente passa all'incasso ben tre volte: la prima per la pensione, la seconda per il vitalizio da ex parlamentare e, la terza per incassare l’emolumento quale giudice costituzionale. 

I conti in tasca - Il curriculum del neo-presidente è lungo e prestigioso. Nonostante ciò, Mattarella ama conservare abitudini e tenore di vita umili, cominciare dal trilocale di 50 metri a due passi dal Quirinale. Niente sfarzi nemmeno al volante, con la sua ormai proverbiale Panda grigia. Eppure qualche soldo in tasca il Capo dello Stato se lo ritrova. A giudicare dai calcoli del Fatto quotidiano, per esempio, i 25 anni in Parlamento (dal 1983 all'aprile 2008) gli hanno fruttato una "liquidazione" da 234mila euro, con vitalizio da 9.363 euro al mese percepito dal 2008 all'ottobre 2011, quando Mattarella è stato eletto alla Corte Costituzionale: in tutto, 400mila euro. In più ci sono i compensi da membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Csm del Tar, carica presieduta dall'aprile 2009 all'ottobre 2011: 65mila euro l'anno più benefit. Dal 2011, infine, Mattarella come detto è stato giudice costituzionale. Il suo stipendio si calcola in base al compenso del primo giudice della Cassazione aumentato del 50%, più una "indennità giornaliera di presenza pari a un trentesimo della retribuzione mensile spettante ai giudici ordinari". Fino allo scorso giugno erano circa 470mila euro all'anno. Poi è scattato il tetto di 240mila euro per i giudici che ha di fatto abbassato lo stipendio anche ai membri della Consulta a circa 400mila euro. In tutto, secondo il Fatto, Mattarella guadagnerebbe all'anno circa un milione e mezzo di euro, cui si deve aggiungere la pensione da professore universitario (assistente e poi docente di diritto parlamentare a Palermo dal 1965 al 1983): circa 80mila euro l'anno. Calcolo complessivo, 2,8 milioni di euro dal 2008 ad oggi.

Ora Renzi schiera la Boschi per riconquistare Berlusconi

Fisco, Maria Elena Boschi: "Non blocchiamo il decreto solo perché c'è di mezzo Berlusconi". Le due "sfide" a Matterella





Le prove di pace tra Renzi e Cav arrivano dal Fisco. E' Maria Elena Boschi a tendere la mano a Silvio Berlusconi sull'ormai famigerato decreto "salva-Silvio", approvato dal CdM alla vigilia di Natale poi congelato a inizio 2015 a causa delle polemiche. "Non credo che possiamo fare o non fare una norma, che riguarda 60 milioni di italiani, perché c'entra o meno Berlusconi. Così si resta fermi agli ultimi 20 anni...", ha commentato la Boschi ospite de L'Arena di Massimo Giletti su Rai Uno. Parole chiare che riaprono una questione accantonata in attesa dell'intesa sul Quirinale. Intesa che non è arrivata, facendo tremare Patto del Nazareno e Forza Italia stessa. Chi pensava, infatti, che Renzi avesse promesso un'accordo sul Quirinale in cambio del decreto fiscale (che potrebbe riaprire le porte della candidabilità all'ex premier) è rimasto deluso, perché su Mattarella Matteo ha fatto uno sgambetto bello e buono. Ma ora su riforme e Fisco il governo potrebbe tornare a trattare con il Cav. 

Le due "sfide" a Mattarella - Tra l'altro, proprio il decreto fiscale sarà uno dei primi banchi di prova per il neo-presidente della Repubblica. L'altro è la legge elettorale, a rischio di costituzionalità per la questione dei listini bloccati, ammesso che l'Italicum così com'è oggi passi anche alla Camera, dove la pattuglia di Forza Italia, delusa dalla battaglia per il Capo dello Stato, attende di nuovo il testo al varco. "La legge elettorale non la facciamo nell'interesse di Renzi o del Pd, è una legge che garantisce la certezza di chi vince", ha spiegato ancora la Boschi. Alla domanda su quando verrà utilizzata, il ministro ha replicato: "Solo il Presidente della Repubblica ha il potere di scioglimento delle Camere. Oggi c'è l'impegno del governo che arriviamo al 2018. Non vogliamo lasciare il lavoro a metà". "Forza Italia ha dato un contributo importante e serio per le riforme e credo continuerà a lavorare per quelle costituzionali - ha concluso il ministro -. Ma non sono fondamentali, perché i numeri ci sono comunque e non siamo persone che mollano. I numeri ci sono e andremo avanti, ma mi auguro che Forza Italia continui a lavorare con noi".

Feltri: "Perché Silvio ha sbagliato tutto. Se avessero eletto me al Quirinale..."

Feltri: "Quei voti della Lega e Fratelli d'Italia per me..."





Vittorio Feltri, candidato della Lega Nord e Fratelli d’Italia, ha ricevuto 47 preferenze nell’elezione a presidente della Repubblica. E, per la prima volta, da quando era stato indicato come possibile inquilino del Colle dal Carroccio, parla di vicende quirinalizie. Lo fa in un articolo su Il Giornale in cui spiega come gli italiani in fondo siano poco interessati al voto per il semplice motivo che la scelta non dipende da loro. Feltri comunque non ha dubbi: Silvio Berlusconi ha preso una “cantonata ed è rimasto con il cerino in manoJ”. Secondo il fondatore di Libero il Cavaliere avrebbe dovuto digerire il diktat di Renzi anche perché semplicemente non aveva i numeri per “per far prevalere la propria volontà”.

Il ragionamento - Avrebbe insomma potuto far proprio il candidato e avrebbe ottenuto un pareggio. Scrive: “Gli argomenti per accettare il siculo non mancavano. Mattarella non è un ex comunista, ma un democristiano (sia pure di sinistra) da anni ai margini della politica politicante. È un personaggio grigio e, si sa, il grigio va su tutto: sul rosso, sull' azzurro e anche sul viola”. Feltri sostiene che il centrodestra non “ha azzeccato una mossa che non fosse tesa all' autodistruzione. Se Berlusconi continuerà a essere fedele al Nazareno, sarà criticato così: prima litiga col Rottamatore, poi va a Canossa perché non sa che altro fare. Se romperà il patto, i medesimi critici lo accuseranno di aver trasformato una débâcle politica in fatto personale, sacrificando per vendetta il bene comune, nazionale. In pratica egli si è messo da solo in un angolo da cui non gli sarà facile uscire indenne”.

La battuta - Precisa che non è arrabbiato col Cav perché questi non ha dato ai suoi indicazione di votarlo, ma fa un ragionamento politico molto chiaro: “Se si dovesse tornare a votare nella presente congiuntura, avremmo una Lega di Matteo Salvini al 15-16 per cento ovvero leggermente sopra Forza Italia. Se agli ex nordisti (ora lepeniani convinti) rimarranno agganciati gli alleati di Fratelli d' Italia (Meloni e La Russa), saremmo di fronte a una coalizione del 20 per cento circa. Non robetta da sottovalutare”. Per Feltri la risalita di Berlusconi è difficile anche se “l’uomo non è privo di risorse”. Poi una battuta su Salvini e Meloni: “Hanno il vento in poppa, soprattutto perché non hanno me come presidente della Repubblica: si avvalgono semplicemente della loro coerenza.”. 

"Vuoi lavorare con noi? Qua la mano" L'azienda che ti spara il chip sotto-pelle

L'azienda dove per lavorare devi farti installare un chip sotto alla pelle





Vuoi lavorare con noi? Bene, dacci la mano e ti impiantiamo un microchip sottopelle. No, non si tratta di un consueto delirio dei grillini, ma della trovata della Epicenter, una ditta di Stoccolma. Si tratta dell'ultima frontiera della tecnologia indossabile, che promette di eliminare badge, chiavi e condici di sicurezza. Grazie al chip, infatti, i dipendenti entrano nei loro uffici. Il trasmettitore è grande come un chicco di riso e viene iniettato nella mano: poi basta portare la mano vicino ai lettori sparsi qua e là e le porte si spalancano. E non solo: grazie al chip è possibile azionare la fotocopiatrice e pagare il caffè al bar. Rory Cellan-Jones, un reporter della Bbc, ha provato l'esperienza in prima persona, andando alla Epicenter e facendosi impiantare il chip: un intervento di pochi minuti e, assicura, quasi indolore, simile alla puntura di una siringa. Il chip, spiega il reporter, può sbloccare ogni tipo di dispositivo: dal computer, allo smartphone e fino alla bici. "Oggi è tutto un po’ caotico, abbiamo bisogno di Pin e password, non sarebbe più facile toccare tutto semplicemente con una mano", ha spiegato Hannes Sjoblad, a capo della società svedese BioNyfiken, che ha impiantato i chip ai dipendenti dell’Epicenter. E poi aggiunge: "Vogliamo comprendere a fondo questa tecnologia prima che grandi aziende e governi vengano da noi e ci dicano che tutti dovrebbero essere chippati, il chip dell’ufficio delle imposte, il chip di Google e il chip di Facebook". Come è ovvio, però, non tutte le persone all’interno dell’Epicenter sono entusiaste all’idea di farsi impiantare il microchip.

Quei 14 preservativi carichi di cocaina... Ora in Vaticano scatta l'allarme droga

Vaticano, scatta l'allarme droga





La piaga del traffico di droga non ha risparmiato nemmeno il Vaticano. «Tentativi isolati» all’ombra del Cupolone che sono stati "neutralizzati sul nascere". Lo ha denunciato l’avvocato Gian Piero Milano, il pg del Vaticano, aprendo l’Anno giudiziario presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Il pg vaticano ha spiegato che la fruttuosa collaborazione tra le forze di polizia del Vaticano con i corpi di polizia di altri Stati ha aiutato "nella repressione di gravi reati, come quello del traffico internazionale delle sostanze stupefacenti che, purtroppo, non ha lasciato indenne il nostro piccolo Stato, teatro di isolati tentativi - neutralizzati sul nascere - posti in essere, con modalità insolite, da trafficanti senza scrupoli".

Droga - Nel dettaglio, il pg Milano ha ricordato l’ apprezzato impegno della Gendarmeria nel 2014 relativo al monitoraggio del traffico di droga da Stati esteri verso lo Stato vaticano, in particolare tre spedizioni. In un caso specifico è stata effettuata una consegna controllata della sostanza stupefacente, che transitava attraverso uno stato comunitario. L’improvvida divulgazione della notizia da parte di un quotidiano straniero ha reso vana l’operazione congiunta tra forze di polizia di diverse nazionalità, non essendosi presentato alcuno per il ritiro del plico contenente la sostanza stupefacente". Il riferimento è a quei 14 profilattici pieni di cocaina liquida intercettati lo scorso marzo a Lipsia provenienti dal Sudamerica e destinati alla Santa Sede. 

Quirinale, Alfano si confessa: "Renzi mi ha messo spalle al muro"

Colle, Angelino Alfano: "Ecco come sono andate le cose con Matteo Renzi"





In un'intervista a Repubblica Angelino Alfano consegna tutto il travaglio e il tormento per la scelta di Mattarella. Smentisce di essere stato ricattato da Renzi, ma ricostruisce la sua versione. Dice che lui e Renzi si sono incontrati per caso, lui entrava alla Camera da via della Missione. Dice: "Ammetto che la discussione è stata molto forte, ma non su quella cavolata delle dimissioni, no. Abbiamo ripercorso i fatti delle ultime settimane. Gli ho rinfacciato di aver lavorato esclusivamente per costruire l' unità del Pd, ma lasciando in piedi fino all' ultimo, ripeto fino all' ultimo, le candidature di Amato e Casini senza aver sollevato obiezioni". Alfano spiega che Amato era il candidato di Berlusconi e Casini il suo. Ma con l'ex alleato aveva un accordo: si sarebbero aiutati a vicenda. Ma poi Renzi ha spiazzato tutti perché ha proposto Mattarella. Alfano spiega che Renzi gli diceva: "Ma come facciamo io e te, che siamo al governo insieme, a spiegare che votiamo in maniera diversa sul presidente della Repubblica?".

Il colloquio con Napolitano - Alfano spiega di aver incontrato anche Napolitano e nei minuti immediatamente precedenti all'appello di Renzi a votare Mattarella. Il prezzo che ha pagato è stata la spaccatura del partito. Dentro Ncd il dibattito è stato di fuoco e ha portato alle dimissioni di Maurizio Sacconi e di Barbara Saltamartini. Adesso i suoi fedelissimi vogliono chiarimenti e c'è anche chi chiede di uscire dal governo minacciando dimissioni. Insomma, la scelta di sostenere Mattarella ha creato moltissimi problemi ad Alfano e al suo partito. 

Il futuro - Alfano spiega: "Per quanto ci riguarda le riforme andranno avanti, ma il patto del Nazareno esiste ancora? Non lo so, la risposta non la dobbiamo dare noi". Alfano rassicura che il partito resterà nella maggioranza, tuttavia "non intendiamo stare zitti sulle cose che non ci piacciono, come il decreto sulle Banche popolari. Con la vicenda Quirinale abbiamo ottenuto il risultato di far capire a Renzi che il governo non è un monocolore Pd". Per quanto riguarda invece il rapporto con Berlusconi, Alfano dice: "Siamo arrivati a questa partita così importante con soli due incontri alle spalle e poi non mi sembra che Berlusconi abbia fatto alcun rimprovero a Mattarella: gli ha pure mandato un telegramma! Nelle prossime settimane penso che ci possa essere un riavvicinamento.Noi comunque lo vogliamo portare avanti».

Dai giudici brutto colpo per Gianfranco Fini: suo cognato Tulliani lavorava in Rai grazie a lui

Dai giudici brutto colpo per Gianfranco Fini: suo cognato Tulliani lavorava in Rai grazie a lui


di Giacomo Amadori 






A Giancarlo Tulliani in questo periodo non ne va dritta una. Infatti l'illustre cognato dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini oltre a non aver ancora realizzato una favolosa plusvalenza sulla "casa di Montecarlo" per colpa dei cronisti impiccioni di "Oggi", ha anche dovuto rinunciare ai 5 milioni di euro che aveva provato a scucire alla Mondadori come risarcimento per una presunta diffamazione da parte di "Panorama". Tre giorni fa è stata depositata la sentenza del giudice del tribunale civile di Roma Daniela Bianchini che ha rigettato "la domanda volta al riconoscimento del contenuto diffamatorio dell'articolo" e ha condannato Tulliani a pagare 8 mila euro di spese processuali. Ma uno che sul web si fa chiamare "Juan Trillioni" non si farà certo impensierire dall'esborso di questi spiccioli; a rattristarlo maggiormente sarà il contenuto della decisione. In cui vengono chiaramente respinte le sue doglianze. Un dispiacere che si aggiunge a quello per l'appartamento monegasco che ha sempre negato di possedere. Infatti il settimanale "Oggi" ha recentemente scoperto che quella casa acquistata per 300 mila euro è stata rimessa in vendita per 1,6 milioni di euro. E per "Oggi" dietro alla cessione ci sarebbe proprio Tulliani. Lui non ha smentito la notizia e dopo l'uscita dello scoop l'inserzione è sparita dal web. 

Invece Panorama nel 2011 aveva appuntato la sua attenzione sullo "sbarco dei Tulliani nei palinsesti della Rai". Un filone inaugurato proprio su Libero da un'intervista all'ex capo della comunicazione Rai Guido Paglia. "La scalata inizia nel 2008" si legge sul settimanale. "Fini sponsorizza il cognato in prima persona (…). Nel 2009 scende in campo la suocera del presidente della Camera Francesca Frau (casalinga senza alcuna esperienza nel settore). In agosto i Tulliani ottengono un appalto da circa 1,5 milioni di euro per realizzare su Rai 1 la rubrica "Per capirti" (un confronto genitori-figli): incassano 8.120 euro per ciascuna di 183 puntate". Panorama scrive anche che "il know-how per aiutare cognato e suocera di Fini a realizzare il progetto" viene fornito dal produttore Geppino Afeltra, uomo vicino ad Alleanza nazionale. "Per qualcuno Afeltra diventa addirittura il socio di Giancarlo". La difesa di Tulliani respinge questa ricostruzione e afferma che il proprio cliente "non è titolare di alcuna società di produzione televisiva, né direttamente né indirettamente, né con la Rai né con qualsiasi altra emittente televisiva". In tribunale tali affermazioni vengono contraddette. Gli avvocati di Panorama, Antonello Martinez e Alberto Merlo, depositano il file dell'intervista ad Afeltra che ammette che "il Tulliani gli aveva chiesto una consulenza nell'ambito della produzione televisiva". Il testimone Marco Durante, presidente dell'agenzia di stampa "LaPresse", dichiara: "Tulliani non sapeva niente di televisione: mi era stato presentato dal signor Afeltra per essere introdotto nel mondo della Rai. Posso ricordare che Tulliani in presenza di Afeltra si rivolse a me presentandosi come il cognato di Fini e che pertanto avrebbe lavorato in Rai". Il giudice Bianchini parafrasa anche la versione di Paglia: "L'onorevole Gianfranco Fini disse al dottor Paglia che a Tulliani avrebbe dovuto essere riconosciuto un minimo garantito sulla fiction, sull'intrattenimento e sull'acquisto e distribuzione dei film (…) il dottor Paglia manifestò notevoli perplessità in quanto per lavorare in Rai occorreva essere inseriti nell'elenco dei fornitori, presentare dei piccoli progetti e sapere che esisteva un'enorme concorrenza". Inoltre, l'ex dirigente televisivo ha consegnato l'elenco dei passi relativi ai numerosi ingressi di Tulliani negli uffici della Rai. Tra gli atti sono finite pure le visure camerali che smentiscono Tulliani a proposito della sua presunta estraneità al mondo della produzione televisiva. Il giudice nella sentenza ha sottolineato anche "l'interesse pubblico" di quanto riportato da Panorama, visto che la notizia aveva "ad oggetto vicende legate a Tulliani in quanto cognato di un noto politico, il quale all'epoca dei fatti ricopriva la carica di Presidente della Camera e, a sua volta, era stato oggetto d'attenzione da parte dei media in relazione alla nota questione della "casa di Montecarlo"". 

Ma se certe cause vengono intentate è anche per colpa di quei soloni ben retribuiti che liquidano come "macchina del fango" il giornalismo d'inchiesta realizzato da organi di stampa non intruppati o conformisti, certamente fuori dal cosiddetto circuito mainstream. In questo caso, senza farsi condizionare da tali pregiudizi, il giudice Bianchini riconosce che "l'inchiesta giornalistica risulta essere stata condotta con doveroso scrupolo attraverso l'acquisizione di documenti e testimonianze poi confluiti nel presente giudizio". Chissà se ora Tulliani, visto il mancato incasso, affretterà la vendita del mezzanino monegasco. Non varrà cinque milioni, ma è pur meglio di niente.

domenica 1 febbraio 2015

Salvini e Meloni vanno da Berlusconi: ecco il loro piano contro Matteo Renzi

Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo l'elezione di Sergio Mattarella





Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, si fa il punto, si fanno ragionamenti, soprattutto dentro il cenntrodestra. Nei prossimi minuti dopo la proclamazione di Sergio Mattarella, Matteo Salvini ha detto: “Non è il mio presidente, oggi il centrodestra è morto”. In un’intervista al Giornale il leader leghista ribadisce il suo pensiero. “Mi sembra di tornare a Scalfaro. Il classico democristiano di sinistra, che ha governato con De Mita, Andreotti, Amato, D' Alema, un fondatore dell' Ulivo. Quanto di più lontano da una cultura moderna, liberale, europea, di centrodestra. Il vecchio”. Ricorda che Mattarella ha “appena affossato il referendum sulla legge Fornero” e domanda: “Mi dica come può rappresentare i milioni di lavoratori fregati dalla Fornero. Mi spiace per gli italiani, però adesso c' è un enorme spazio vuoto da riempire di contenuti”. Poi una riflessione su Forza Italia: “Peggio di così il centrodestra non poteva uscirne. Però dalle grandi sconfitte nascono le grandi vittorie. Noi abbiamo un appuntamento di piazza già fissato, quello di sabato 28 febbraio a Roma che a questo punto diventa un momento di raccolta per tutti coloro che non vogliono morire renziani”. Durissimo con Alfano: “Non classificbile. È il peggior ministro dell' Interno della storia”. Poi un pensiero su Berlusconi: ”Glielo dicevamo: attento, Renzi è un avvoltoio, non ti lascia manco le briciole. Mi dispiace che Forza Italia si sia prestata. Hanno votato una legge elettorale che è una schifezza immonda, e una riforma della Costituzione che è una doppia schifezza immonda, per portare a casa che cosa? Un cattocomunista al Quirinale»”. Per quanto riguarda le regionali Salvini non ha dubbi su Alfano: “Ha scelto la Bindi. Con Forza Italia vediamo. Non c' è niente di deciso. Abbiamo candidati forti in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria. Non aspettiamo nessuno”. L’obiettivo di Salvini è ricostruire il centrodestra.

In un'intervista a Tommaso Montesano, Meloni dice: “Il centrodesrtra è finito. Chi vuole un’alternativa deve unirsi, Mi rivolgo al Carroccio ma anche ai dissidenti di Fi, Ncd e M5S”. Anche lei ha un giudizio tranchant su Alfano: “Non lo considero neanche di centrodestra, con il suo mvoto a Matterella, Ncd ha spento ogni minimo barlume di autonomia confermandosi ostaggio di Renzi.

Chi è la donna ministra che unisce i figli di Mattarella e Napolitano

Quirinale, una donna unisce i figli di Napolitano e Mattarella: è Marianna Madia





Cosa, anzi chi unisce i figli dei due ultimi presidenti della Repubblica? Una donna ministro: Marianna Madia. Singolari coincidenze all'ombra del Quirinale, la titolare della Pubblica amministrazione ha avuto un legame sentimentale con Giulio Napolitano, erede di Giorgio, e ora è il datore di lavoro di Bernardo Giorgio Mattarella, primogenito di Sergio. Il 47enne docente di Diritto amministrativo, infatti, è oggi capo dell'ufficio legislativo del ministro Madia, con uno stipendio da 125mila euro lordi all'anno. Mattarella Junior, come scriveva il Giornale, è oggi ordinario amministrativista all'Università di Siena e condirettore del Master in management della Pa alla Luiss di Roma, ma è entrato al Ministero della Funzione pubblica già nel 1993, a 25 anni. Pupillo di Sabino Cassese, vi è tornato in pianta stabile con Renato Brunetta ed è stato confermato sotto i governi Monti e Renzi, mentre Letta lo aveva mandato all'Università per affiancare l'allora ministro Maria Chiara Carrozza. Ora, come detto, l'esperienza a fianco della Madia. 

La relazione con Napolitano Junior - Il ministro Pd con l'abitudine di cambiare casacca politica molto spesso (al Nazareno si è infilata praticamente in tutte le correnti, da D'Alema a Veltroni, da Letta a Renzi) torna accostata al Quirinale, dunque, sia pure in via del tutto laterale. Era stata lei, qualche mese fa, a confermare in una intervista a Vanity Fair la sua relazione giovanile con il figlio del predecessore di Mattarella sul Colle, Giorgio Napolitano. Il legame con Giulio è "durato qualche mese. Ci siamo conosciuti quando, dopo essermi laureata alla Sapienza in Scienze politiche con indirizzo Politica economica, collaboravo all'Arel, il centro studi fondato da Andreatta - spiegava la Madia -. L'elezione di suo padre al Quirinale nel 2006, quando avevo seguito Enrico Letta che era diventato sottosegretario di Prodi al governo, ci sorprese tutti e penso abbia inciso sulla fine della nostra storia, che fino ad allora era stata vissuta con spontaneità". E' l'amaro risvolto della medaglia della vita da burocrati di Stato.

Ha detto "no" sulle pensioni, mazzata agli italiani Ora ringraziamo Mattarella mandandolo sul Colle

Sergio Mattarella, il no al referendum anti-Fornero: lo ringraziamo mandandolo al Quirinale





Sergio Mattarella, il nuovo presidente della Repubblica. Come da previsione eletto al quarto spoglio, senza grossi patemi: la manovra di Matteo Renzi è andata a buon fine. Il Pd ritrova compattezza, Forza Italia ne esce con le ossa rotte e l'Ncd di Angelino Alfano è costretto a leccarsi profonde ferite. Su Mattarella negli ultimi giorni sono state spese le parole più mielose che potevano essere concepite, dai "ritrattoni" di elogio vergati su Repubblica fino agli interventi di Renzi stesso, che ha glorificato in tutti i modi possibili il "presidente Sergio". Eppure in pochi hanno voluto ricordare una particolare coincidenza. Soltanto il 20 gennaio, dunque 11 giorni prima della sua elezione a Presidente della Repubblica, il nuovo inquilino del Colle, Sergio Mattarella, ci ha "rubato" le pensioni. Già, perché l'ex dicci, prima dell'ascensione quirinalizia, faceva parte della stessa Corte Costituzionale che ha respinto la proposta referendaria di Matteo Salvini per abrogare la riforma Fornero e restituire la pensione a chi, di punto in bianco, se l'era vista scippata. Insomma, in brutale sintesi, lui ci ha fregato le pensioni e noi lo ringraziamo spedendolo al Quirinale.

"Cerchio magico" di Mattarella: ecco tutti gli uomini del presidente

Dc siciliani e sindacalisti: il cerchio magico di Sergio Mattarella





L'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale spalanca le porte ad un ritorno della Dc nella politica romana. Il neo-presidente della Repubblica ha un background politico che si plasma nella Sicilia degli anni Settanta. Cresciuto all'ombra del fratello Piersanti trucidato dalla mafia, Sergio ha avuto rapporti con tutta la Dc siciliana degli anni 70 e 80. Fra quelli che frequentavano casa Mattarella c'era un giovane Leoluca Orlando che dopo aver mollato la Dc ha fondato la Rete. Poi tra i nomi vicini a Mattarella c’è Vito Riggio, democristiano, prima fedele sostenitore di Donat Cattin e poi di Ciriaco De Mita, da cui nel 1987 venne candidato alle politiche. Oggi a capo dell’Enac, l’Ente nazionale di assistenza al volo. 

Cerchio magico - E tra gli uomini più vicini a Sergio Mattarella c'è Sergio D’Antoni, per anni segretario della Cisl. Dei filo-Mattarella fa parte anche Carlo Vizzini, docente di diritto finanziario, tra i leader del Psdi palermitano, nonché senatore azzurro ora però tornato nell'area socialista. L'Ora racconta anche che talvolta a casa Mattarella faceva capolino Giovanni Fiandaca, docente di diritto penale, ma anche Enrico La Loggia, figlio di un ex presidente della Regione e poi, dal ’94 approdato a Forza Italia.

Gli ex Dc - Questi sono gli uomini del ”cerchio magico” di Mattarella, gli amici del giovane giurista, che sarebbero diventati “qualcuno” nella politica siciliana e nazionale e che ancora oggi mantengono con il giudice della Corte costituzionale un rapporto amicizia. E tra gli amici storici di Sergio Mattarella, uomo riservatissimo che ha sempre rifuggito le occasioni mondane, c’è l’avvocato Francesco Crescimanno, che lo ha assistito penalmente nel processo Tangentopoli. Fra gli amici di Sergio Mattarella c’è infine anche Salvatore Butera. Consigliere economico di Piersanti, già docente dell’istituto Pedro Arrupe di Palermo, Butera è stato presidente della Fondazione Banco di Sicilia, dal ’99 al dicembre del 2005. Insomma tra gli ex Dc siciliani si fa festa. Con Mattarella al Colle per Orlando e D'Antoni c'è l'occasione forse di un altro giro di giostra in politica. 

sabato 31 gennaio 2015

Pressing di Berlusconi su Alfano: "Angelino, non votare Mattarella"

Quirinale, pressing di Berlusconi su Alfano: 'Non votare Mattarella'





Silvio Berlusconi tentenna. È consapevole di essere finito in un cul de sac e vorrebbe trovare una scappatoia per uscire dall’impasse. La linea dura, decidendo di uscire dall’Aula domani al momento del quarto scrutinio, quello salvo sorprese definitivo, non è praticabile. Troppo alto il rischio di inimicarsì il nuovo presidente della Repubblica e portare tutto il partito a una posizione di estrema marginalità. Ma anche mantenere la linea della scheda bianca ha le sue insidie, prima fra tutte quella di veder eleggere al Colle Sergio Mattarella anche con i voti dei franchi tiratori azzurri e suggellare così la sconfitta su tutti i fronti, interni ed esterni.

Le telefonate - Il Cavaliere, viene spiegato, è combattuto sul da farsi, secondo alcuni fedelissimi, nel corso della giornata avrebbe anche preso in considerazione l’ipotesi di appoggiare Mattarella. Ma l’ala dura del partito, la stessa che ieri mattina a palazzo Grazioli lo ha convinto a non cedere all’aut aut di Renzi, insiste sul non cambiare di un millimetro le scelte fatte. E a poco è servito, se non a metterlo ancor di più di fronte a un bivio, il pressing di Angelino Alfano, dell’ala trattativista del partito, del pontiere Gianni Letta. Non posso, va ripetendo Berlusconi. Come faccio a tornare sui miei passi e accettare i diktat di Renzi? Ed è su questa linea che il Cav sta impostando la sua strategia. Secondo alcune indiscrezioni Berlusconi avrebbe chiamato più volte Angelino Alfano per convincerlo a non cedere alla tentazione di votare per Mattarella. Alfano doveva incontrare i parlamentari di Area Popolare questa sera alle 21. Ma proprio le telefonate del Cav lo hanno convinto a rinviare il vertice a domani mattina alle 8. Il Cav sarebbe in pressing su Alfano per evitare un "tradimento" da parte di Ncd. 

Quirinale, terzo scrutinio e terza fumata nera Le sorprese: chi cresce, chi scompare. Paura nel Pd

Quirinale, terzo scrutinio: fumata nera. Crescono Imposimato e Feltri. Scomparso Prodi





Nuova fumata nera alla terza votazione per il presidente della Repubblica. Lo spoglio di ieri ha dimostrato che è impossibile superare quota 673. Su Sergio Mattarella "auspico si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell'Italia". E' l'appello che Matteo Renzi rivolge ai partiti di maggioranza e opposizione sottolineando che "è una scelta che interpella tutti e non solo un partito". "Come deciso ieri con Silvio Berlusconi e approvato all'assemblea dei grandi elettori confermiamo che dalla quarta votazione Forza Italia voterà scheda bianca". E' quanto ribadiscono i capigruppo Fi Paolo Romani e Renato Brunetta. Intanto nel terzo scrutinio sono cresciuti i voti per Ferdinando Imposimato che va a quota 126. Crescono pure i consensi per Vittorio Feltri che va a quota 56. La Castellina invece va a quota 34, mentre Stefano Rodotà è a quota 23 al pari con Emma Bonino. Fuori dai giochi definitivamente Romano Prodi che non ha raccolto preferenze. Le schede bianche sono 514. 

venerdì 30 gennaio 2015

MOSCHEE, GELMINI: Legge regionale garanzia di sicurezza, bando del comune da riscrivere

MOSCHEE, GELMINI: Legge regionale garanzia di sicurezza, bando del comune da riscrivere 


di Gaetano Daniele 




"La legge sui luoghi di culto approvata in Regione fa tirare un sospiro di sollievo ai milanesi giustamente preoccupati per le ricadute del bando del Comune sulla sicurezza e sul decoro urbano. Così la Coordinatrice di Forza Italia, Maria Stella Gelmini al nostro blog "il Notiziario"

E nota: Del resto il bando della Giunta Pisapia era stato contestato pubblicamente anche dai Consiglieri di sinistra della Zona 8, che non vogliono una mega-moschea nel loro quartiere, così come dalle stesse associazioni islamiche che pur essendo sempre state coccolate da Pisapia non hanno esitato a criticare le decisioni del Comune. 

Magagne - Insomma la legge regionale fa emergere tutte le magagne del bando di Palazzo Marino, prima fra tutte la sua essenza ideologica e quindi ancora una volta la lontananza della Giunta arancione dalla realtà vissuta dai cittadini. La Giunta non ha mostrato di voler modificare questo bando neppure all'indomani della strage di Parigi, quando tutto il mondo si interrogava sulla necessità di rendere più stringenti le misure antiterrorismo e da più parti veniva il monito alla prudenza. Nei giorni seguenti l'attentato di Parigi - continua Gelmini - il ministro Alfano ha addirittura espulso due persone di religione islamica residenti nel Milanese, tra cui un frequentatore della moschea di viale Jenner. Ma niente: Pisapia ha detto chiaro e tondo che il bando non si tocca. 

Conclude - Forza Italia difende la libertà di culto ed in prima linea contro ogni comportamento razzista e contrario ai diritti sanciti dalla Costituzione. Detto questo non abbiamo paura di dire le cose come stanno: questo bando è assurdo e va riscritto, con criteri meno ideologici e più rispettosi del diritto alla sicurezza di chi vive a Milano."