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sabato 18 febbraio 2017

La vergogna italiana sugli immigrati: quanti euro paga lo Stato per ognuno

Cinquecento euro a immigrato per tenere buoni i sindaci


di Tommaso Montesano



Non bastavano i 35 euro per gli adulti e i 45 euro per i minori versati agli enti gestori dei centri di accoglienza. Per rendere ancora più appetibile l'ingresso nel «sistema migranti», arriva anche nel 2017 il bonus offerto ai Comuni che decideranno di ospitare gli aspiranti profughi: 500 euro per ogni straniero accolto. Soldi che gli Enti locali potranno spendere «liberamente», visto che la nota esplicativa del ministero dell' Interno non prevede «vincoli di destinazione delle somme», come ricorda l'Anci, l'associazione che raggruppa i Comuni italiani, nella lettera inviata tre giorni fa ai municipi.

La Lega chiama i suoi sindaci alla resistenza. «Così è un ricatto. Il governo prima taglia servizi e risorse ai Comuni, poi gli fa scrivere dall' Anci promettendo un aiuto se accolgono i migranti. I primi cittadini leghisti non aderiranno mai», annuncia Paolo Grimoldi, deputato del Carroccio e segretario della Lega lombarda. «Piuttosto saremo noi a pulire le strade e tagliare gli alberi. L'Anci si è ridotta a fare lo zerbino del governo».

La circolare degli uffici regionali dell' Anci ai Comuni è del 14 febbraio. Nella missiva, l'associazione ricorda ai sindaci che il bonus, una volta finito in cassa, potrà essere impegnato per «progetti di miglioramento dei servizi o delle infrastrutture utili e attesi da tutta la comunità locale». Si tratta di una «misura solidaristica dello Stato nei confronti degli Enti comunali che, nel corso degli anni, hanno accolto richiedenti protezione internazionale».

Una precisazione, leghisti a parte, destinata a non passare insosservata sui tavoli dei primi cittadini, visto che il finanziamento arriverà in primavera, in coincidenza con le elezioni amministrative. «Il presidente di Anci Lombardia è Roberto Scanagatti, sindaco di Monza (Pd, ndr), che punta al rinnovo», ricorda non a caso Grimoldi.

La lettera di tre giorni fa segue quella inviata lo scorso 26 gennaio dall' Anci nazionale e firmata dal suo presidente, Antonio Decaro, sindaco di Bari (Pd anche lui). Una comunicazione inoltrata per sensibilizzare i sindaci in vista della «prima scadenza utilie per presentare i progetti di adesione alla rete Sprar nell'anno 2017». Sprar sta per Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ovvero il circuito assistenziale nel quale sono inseriti i profughi. Un meccanismo gestito direttamente dai Comuni.

Che però, rispetto ai 174.779 migranti attualmente presenti sul territorio nazionale, ne assorbe appena 23.717, come denunciato ieri dalla fondazione Migrantes. Da qui la necessità, visti anche i continui sbarchi sulle nostre coste (9.448 arrivi nel 2017), di riequilibrare il bacino dell' accoglienza coinvolgendo di più i Comuni. Su poco meno di 8mila amministrazioni, infatti, sono circa 1.000 i municipi coinvolti nella rete Sprar. E quale leva è migliore dei soldi per invertire la tendenza?

A gennaio, l'Anci aveva avvertito i municipi: «Il fenomeno migranti è presente e sarà stabile nel tempo». Sottinteso: meglio aderire al bando Sprar, visto che l'appartenenza alla rete dell' assistenza ai migranti, oltre al bonus, consente anche di avvalersi della «clausola di salvaguardia», che «rende esenti i Comuni dall'attivazione di ulteriori forma di accoglienza», magari superiori, nei numeri, a quelle previste dallo Sprar.

Il fondo dal quale attingere per erogare il contributo è stato istituito dal Viminale per «immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti». Per il 2016 sono stati messi a disposizione 100 milioni di euro. Ma la misura, come ha comunicato l'Anci, è destinata ad assumere «carattere strutturale» contribuendo a far lievitare ulteriormente le spese relative ai centri Sprar, che nel 2015 - ultimo dato disponibile - si sono attestate a 242,5 milioni di euro.

Complessivamente nel 2016, l'anno record sul fronte sbarchi (181.436 arrivi), la spesa per l'accoglienza dei migranti, inclusi gli esborsi per le strutture governative, ha toccato quota 1,7 miliardi di euro.

Trump? Occhio, è già tutto deciso: le 7 mosse con cui lo faranno fuori

Donald Trump, le sette mosse con cui lo faranno fuori



Vogliono estromettere Trump per via diversa dalle elezioni. In America si chiama impeachment. In Italia si chiama, a seconda delle epoche, Oscar Luigi Scalfaro o Giorgio Napolitano. Ci hanno provato con Berlusconi. Ce l'hanno fatta due volte, mandandolo a gambe all' aria nel 1994 e nel 2011. Berlusconi però risorge ogni volta, ed è qui. Ma se capita a Trump, non ci sarebbe un'altra possibilità. Intendiamoci, Silvio e Donald sono diversi. Analizziamo la cosa.

Il Cavaliere punta, con risultati alterni, a farsi amare da tutti, soprattutto dagli avversari. Il Tycoon a farsi detestare dall'universo di chi non gli garba. L'approccio verso le istituzioni e relative personalità dominanti è diversissimo: Silvio si inchina seduttivo, meditando su come fotterle con cravatte e mazzi di fiori; Trump le sfida a cazzotti verbali e le martella con decreti senza il velluto della diplomazia.

Pure l'estetica conta. Donald non c'entra con Berlusconi, tutta un'altra capigliatura. Berlusconi anche per questo non apprezza l'accostamento a Trump. Del resto sull'Olimpo ci sta un solo Zeus, e si chiama, com'è noto, Silvio. Sono da marcare però due punti forti che hanno in comune.

1) I cittadini che li hanno votati al momento della discesa in campo, pur con passaporto diverso, parlano la stessa lingua politica: liberarsi dal giogo delle burocrazie soffocanti e delle mitologie di sinistra.

2) La volontà dei nemici di annientarli e il metodo usato per riuscirci sono identici.

È possibile disinnescare i nemici se però si smonta il loro libretto di guerra, e si spiega ai cittadini di cui al punto numero 1 la tecnica dell' avversario, mostrando che non ce l' hanno solo con il loro leader ma con le loro famiglie e il loro Paese.

Il Cavaliere sono ventitré anni che battaglia. Cade e si rialza. Oggi sta lì, in piedi, a rompere le scatole agli eterni avversari. Trump deve provare a tener duro per 4+4 anni. Proviamo ad analizzare le similitudini degli attacchi e dei temi di denigrazione prediletti. In ordine non di importanza ma di cronologia.

1) Intellettuali e artisti. Non era ancora stato scelto come candidato dai Repubblicani e già Trump doveva far fronte a chi si diceva pronto a emigrare per disprezzo verso di lui. Robert De Niro sosteneva di volerlo stendere a pugni, come il Jack La Motta di Toro Scatenato. Meryl Streep gli ha dedicato un discorso ufficiale di sfregio.

Hollywood compattamente lo biasima tuttora. Il portavoce dei cineasti americani, Michael Moore, scommette che Donald nel giro di un anno sarà costretto ad andarsene. Berlusconi ha dovuto fare i conti con Umberto Eco e altri letterati che hanno giurato di filarsela in esilio qualora fosse stato eletto. Sono rimasti. Film e opere teatrali hanno evocato l'omicidio di Silvio Berlusconi, e Trump farà bene a prepararsi.

2) Giornali e tivù. I quotidiani più prestigiosi tipo New York Times e Washington Post hanno riempito le loro pagine di dossier per scardinare l'immagine pubblica di credibilità di Trump. Roba falsa, fornita da manine e manone dei servizi segreti. Lo stesso accadde quando esordì in politica Berlusconi. E la cosa crebbe esponenzialmente di tono.

3) I poteri forti. Berlusconi si trovò immediatamente in conflitto con la Chiesa, non certo con Giovanni Paolo II o con Ruini, ma con la maggioranza dei vescovi italiani che lo avevano in uggia e spinsero prima a favore dei popolari di Martinazzoli e della Bindi, poi più decisamente per l'Ulivo e Prodi. Berlusconi ha saputo riguadagnare consenso, opponendosi in Italia e in Europa ad eutanasia e matrimoni gay, fino al definitivo anatema morale per il bunga bunga. Anche sindacati, Confindustria e la Fiat non gradirono troppo la sua ascesa, vedi l' atteggiamento aggressivo di Corriere e Stampa contro di lui, e il bacio invece riservato a Prodi quando inventò la rottamazione delle auto per il finanziamento della Fiat. Per vincere nel 2011 e nel 2008, Berlusconi trovò appoggio nelle piccole imprese e nelle partite IVA, ma anche negli operai. Idem Trump.

Già in campagna elettorale si è trovato davanti a un'affermazione di un male informato papa Francesco che lo definiva «non cristiano», cosa cui ha fatto seguito una campagna dei media di ispirazione cattolica tuttora ostile. Le multinazionali americane del web lo attaccano ogni giorno. Vogliono un mondo e popoli a taglia unica per schiavizzarli meglio. Trump li contrasta con i Tweet che sono di proprietà dei suoi avversari. Paradosso vincente. E appoggia l'industria meccanica e gli operai. Senza risparmiare colpi.

4) I giudici. Contro Berlusconi non c'è Procura italiana che si sia astenuta dalla lotta. Per non fargli mancare niente si è mosso a suo tempo anche il giudice Garzòn in Spagna. Berlusconi dopo una sessantina di processi alla sua persona, e dopo numerose sentenze della Corte costituzionali a lui avverse, è tuttora sotto attacco a Milano per Ruby tre o quater, ma non è escluso il quinquies. Trump appena ha aperto bocca, anzi - siccome è un uomo pratico - emesso un decreto per trasformare le promesse elettorali in scelte operative, si è trovato contro un giudice federale di Seattle, cui la corte d'appello ha confermato la bocciatura del provvedimento che blocca i visti da sette Paesi islamici.

5) Razzismo. Berlusconi fu accusato di razzismo allorché evocò la superiorità della civiltà cristiana occidentale su quella islamica in materia di libertà. Su Trump l'accusa è ricorrente.

6) Sessismo. Su Silvio e il bunga bunga, usato come arma di distruzione della sua persona, con la collaborazione di tutte le forze possibili e immaginabili, dello Stato e non, sappiamo. Ora lo stesso accade a Trump. Si usa una sua conversazione di dieci anni fa per trasformarla in un discredito di massa, persino tra i ragazzini. Lo raccontava ieri sul Corriere uno scrittore israeliano anti Trump e anti Netanyahu. Il figlioletto Lev vuole partecipare a una sfilata di Carnevale e ha deciso di vestirsi da Trump. Trascrivo: «"È il costume ideale: divertente e per di più spaventoso", è stato l'argomento vincente del ragazzino, lasciandoci con gli aspetti pratici della faccenda. "Ti metteremo una cravatta rossa attorno al collo e qualcosa di giallo in testa", ha suggerito mia moglie Shira. "E io mi arrabbierò in continuazione e agiterò i pugni in aria", ha aggiunto Lev, gongolante. "Possiamo metterti una spilla sul risvolto della giacca, con il suo slogan della campagna elettorale", ho suggerito io, sforzandomi di partecipare. "Sì!" si è entusiasmato Lev: "Grab 'em by the pussy!" (Afferale dalla figa, ndt)». Un mostro, aggiunge lo scrittore, perché lui, Donald, davvero afferra tutti così, dalla figa o dai coglioni, popoli e persone.

7) E siamo all'arma decisiva, che fa già gongolare in Italia Repubblica. Impeachment per la vicenda del generale Michael Flynn, 58 anni, il consigliere per la sicurezza nazionale che ha parlato al telefono con l' ambasciatore russo di sanzioni da togliere e di alleanze possibili prima di essere ancora formalmente in carica, e avrebbe poi negato la circostanza. Trump ha reagito facendolo dimettere, di corsa. Ma anche dicendo la nuda verità. Flynn è stato un cretino, ma chi ha registrato le sue telefonate sono stati i servizi segreti, i quali invece di parlarne a Trump hanno passato la «roba» ai giornali. «L'intelligence mente e continua a fornire informazioni alla stampa, che danneggia l'America». Lo scopo di questa fuga di notizie è chiaro, e qui citiamo il Corriere: «Un caso che, alimentato dalle indagini dei servizi segreti e dell' Fbi e dalle indiscrezioni pubblicate anche ieri dalla stampa Usa, potrebbe sfociare in inchieste parlamentari o di authority indipendenti: un clima che comincia a ricordare quello nel quale, negli anni Settanta, sprofondò il presidente Nixon dopo lo scandalo Watergate». Somiglianze raccapriccianti con il Berlusconi del 2010-2011. Allora a passare le telefonate ai giornali non furono i servizi segreti ma qualche altro organo dello Stato. Premesse di quello che Berlusconi ha definito il «terzo golpe».

La lezione di Silvio è già stata afferrata da Trump con i denti e rovesciata contro i nemici. Sicuro che lo fa: cambierà i capi di CIA, NSA e FBI. Auguri Trump, lo sai già, ma te lo ripetiamo: ribalta il tavolo. Se mandi fiori ai nemici, ti restituiscono crisantemi.

Occhio Renzi, ha trovato un lavoro Contratto già firmato: dove scappa

Pd, la nuova vita di Renzi: insegnerà in un'Università Usa a Firenze



Nelle scorse settimane, anche per rispondere agli attacchi interni e esterni al partito, aveva già annunciato l’intenzione di voler coltivare altri interessi, al di là della politica, "dalle startup all’università" ha spiegato ieri al Corriere. E visto che domenica rassegnerà formalmente le dimissioni da segretario Dem per rilanciare la sua corsa alla leadership, la vita di Matteo Renzi cambierà anche in questo. Più tempo a disposizione fuori dal Palazzo e dalle polemiche.

L’ex premier, riferisce chi gli ha parlato in questi giorni, ha confidato di aver chiuso un contratto con un’Università americana con sede a Firenze, per tenere un corso agli studenti. Nel capoluogo toscano hanno sede alcune delle più prestigiose Università americane, come la Georgetown, la Harvard, la Stanford. L’accordo, secondo le stesse fonti, dovrebbe essere proprio con quest’ultima, per una serie di lezioni ai ragazzi iscritti all'università privata la cui sede principale è situata in California, nella Contea di Santa Clara, a circa 60 chilometri a sud di San Francisco, nel cuore della Silicon Valley. Studiosi di Stanford o alcuni suoi ex alunni hanno creato compagnie come Apple, Google e Yahoo! Quella di Firenze è la più longeva sede distaccata al mondo. Il segretario dem in questi anni a palazzo Chigi ha sottolineato la necessità di rendere gli atenei italiani sempre più simili al modello statunitense.

Il premier è stato ospite di John Hennessy, il rettore del prestigioso campus sulle colline a sud di San Francisco, ma nella sua visita negli Usa nell’aprile del 2015 l’allora presidente del Consiglio tenne anche un discorso agli studenti della Georgetown University e l’anno dopo si recò ad Harvard. "Sto coltivando i progetti che ho sempre avuto nel cuore", ha affermato al Corriere in un’intervista in cui ha rilanciato l’appello alla minoranza a non andare via dal partito. Io - continua a dire l’ex premier ai suoi - non voglio la scissione. Sono amareggiato, vorrei evitarla, ma sono loro a non voler trattare".

venerdì 17 febbraio 2017

Il 16enne suicida per l'hashish Crolla il finanziere: cosa ha rivelato

"Se potessi non rifarei la perquisizione", il pentimento del Generale della Finanza



Potesse tornare indietro, il comandante della Guardia di finanza di Genova, il generale Renzo Nisi, non ordinerebbe di nuovo quel tragico blitz a casa di Giovanni Bianchi, il 16enne di Lavagna che si è lanciato dalla finestra di casa durante un controllo antidroga. Il ragazzo aveva con sé solo pochi grammi di hashish quando è stato fermato fuori da scuola. A chiamare i finanzieri era stata sua madre, anche lei pentita per quella decisione: "Conoscendo l'esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo - ha detto il generale a Il Giorno -. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni".

Da militare però Nisi è sicuro di aver fatto il proprio dovere: "Se un cittadino ci chiede aiuto, dobbiamo aiutarlo nel miglior modo possibile. Nel caso del ragazzino - ricorda - siamo intervenuti con tutte le cautele del caso, predisponendo una squadra speciale per l'occasione, composta da padri di famiglia che sapessero bene come approcciare il giovane". Le polemiche però non sono mancate, a cominciare dal procuratore dei minori della Liguria, Cristina Maggia, che se contattata avrebbe sconsigliato la perquisizione: "Le decisioni vanno prese nell'arco di un attimo - si è difeso il generale - e ci appelliamo alla professionalità. Se si giudica in base al risultato, anche la vita di ognuno di noi è da rivedere".

A convincere il comandante Nisi che quell'intervento andava fatto è stata soprattutto la visita in caserma della madre adottiva, Antonella Riccardi, preoccupatissima che il figlio avesse "problemi nella vita di tutti i giorni. Lei temeva facesse uso di stupefacenti. Aveva cattive frequentazioni e andava male a scuola, mentre prima era uno dei migliori della classe ed era molto ben inserito nel tessuto sociale tra paese e calcio. Questo è stato il grido di disperazione della madre".

È lo stesso militare a far vacillare la sua prima analisi, visto che il ragazzo non sembrava proprio isolato dal mondo: "Al funerale ho visto l'enorme partecipazione per l'addio. Quel ragazzo era inserito ovunque, aveva amici, conoscenti, compagni di squadra. Non si spiega, è imponderabile".

"Non parlare della Raggi, vai a lavorare" Chi è la 5 Stelle brutalizzata da Grillo

Stadio della Roma, la Lombardi attacca ancora la Raggi ma Grillo la censura



Roberta Lombardi stronca il progetto dello stadio della Roma. La deputata Cinquestelle attacca, con un post su Facebook, il progetto capitolino dell’impianto bollandolo come «speculazione immobiliare». Ma il Blog di Grillo interviene a stretto giro, e avverte: «per le questioni inerenti le amministrazioni guidate dal MoVimento 5 Stelle gli unici titolati a parlare, in nome e per conto del M5S, sono gli eletti. Chiunque altro si esprime solo a titolo personale e come tale devono essere prese le sue dichiarazioni. Sullo stadio della Roma - sottolinea il blog di Grillo - decidono la giunta e i consiglieri. I parlamentari pensino al loro lavoro».

La Lombardi, in sostanza, chiede di «annullare subito la delibera che stabilisce la pubblica utilità». «Un milione di metri cubi e uno stadio, un solo stadio. Grattacieli, business park, l’equivalente di oltre 200 palazzi in una zona disabitata da secoli. Sapete perchè? - scrive Lombardi - Perchè è a fortissimo rischio idrogeologico. Se non è questa una grande colata di cemento, allora cos’è?».

L’esponente Cinquestelle lo dice «senza mezzi termini: questo non è un progetto per la realizzazione di uno stadio, questo è un piano di speculazione immobiliare che una società statunitense vuole portare avanti ad ogni costo in deroga al nostro piano regolatore, nell’esclusivo interesse di fare profitto sulle nostre spalle. E noi non possiamo permetterlo». «Per anni i costruttori a Roma hanno fatto così: compravano terreni e poi si accomodavano le destinazioni, rendendole edificabili, grazie alla compiacenza della politica. Ebbene, il M5S questo non può permetterlo. Siamo arrivati al governo della Capitale garantendo che avremmo segnato un punto di discontinuità con il passato. Questo progetto, approvato dall’ex giunta Marino, non è realizzabile. Lo dico da romanista convinta, come sanno molti di voi, ma qui dobbiamo fare tutti uno sforzo in più e capire che si sta parlando della nostra città. Dove siamo cresciuti, dove continueremo a crescere e dove cresceremo i nostri figli. Questa è Roma e io non ci sto a vederla martoriata per soddisfare la volontà di qualche imprenditore. Bisogna annullare subito la delibera che stabilisce la pubblica utilità. Mi auguro che l’amministrazione capitolina faccia la scelta giusta e chieda al proponente di avanzare dunque un nuovo progetto che rispetti la legge e la Capitale», conclude Lombardi.

Toh, il cognatino Giancarlo Tulliani Clamoroso: "Dove si trova adesso"

Giancarlo Tulliani "in fuga" negli Emirati Arabi Uniti



oh, Giancarlo Tulliani. Il fratello di Elisabetta, moglie di Gianfranco Fini, è in grossi guai nell'ambito della stessa inchiesta che vede l'ex presidente della Camera indagato per riciclaggio. Per lui sono guai che si aggiungono ai guai: fu infatti colpito da un decreto di sequestro a inizio anno, quando aveva provato a trasferire un gruzzolo dal suo conto in Mps alla banca a Dubai. Quei soldi non sono mai arrivati, ma lui, invece, a Dubai ci è arrivato eccome. Già, perché Giancarlo Tulliani, residente monegasco, si è trasferito negli Emirati Arabi Uniti, dove risulta residente e dove si dedica all'attività di famiglia finita nel mirino dell'inchiesta romana che vede in Francesco Corallo, il re delle slot machines, il suo protagonista principale. Tulliani "in fuga", dunque. Notizie che emergono a poche ore da quelle relative alla "pulizia" della casa, dove i finanzieri hanno rinvenuto un grande sacco della spazzatura pieno zeppo di striscioline di carta. Documenti triturati e cancellati. Documenti sospetti. Così come, alla luce di ciò che sta accadendo, desta sospetti il suo trasferimento negli Emirati.

Feltri profetico: "Finirà malissimo" Ecco il carrello dei bolliti di sinistra

Vittorio Feltri profetico sulla scissione Pd: "Andrà a finir male"


di Vittorio Feltri



A noi di Libero della probabile scissione del Pd non importa nulla. In Italia nascono più partiti che bambini, uno più uno meno per i cittadini non cambia nulla. Comunque sono pochi coloro che vanno a votare e pochissimi coloro che hanno una incrollabile fede politica. Le notizie infauste provenienti dal Nazareno seminano indifferenza. Renzi si arrabatta per rimanere al vertice dei democratici (ex diessini, ex o post comunisti è sempre la stessa gente riciclata e impegnata a non crepare) e forse ce la farà. Vedremo. I suoi avversari lo contrastano come possono e minacciano di andarsene allo scopo di fondare un’altra sinistra più di sinistra. Insomma nel Pd si litiga per mantenere o conquistare il potere, cioè le poltrone, le idee contano molto meno dei posti e degli stipendi. E questo non è qualunquismo ma semplice realismo. Bisogna prenderne atto e valutare ciò che accadrà in futuro qualora la spaccatura avvenga davvero, cosa a nostro giudizio disinteressato che provocherà solo disastri per motivi ovvi. La sinistra non è nuova a rotture clamorose, tutte finite male specialmente per gli scissionisti. Che, dopo aver abbandonato la casa madre, hanno resistito qualche tempo ai margini dello scacchiere, poi, immancabilmente hanno avuto un crollo di consensi e sono defunti suicidi.

Limitiamoci a considerare la storia recente. Quando Occhetto seppellì il Pci, l’indomani dello spappolamento dell’Impero sovietico, i comunisti residuali si riunirono in una nuova (vecchissima) formazione denominata Rifondazione. Pensavano di fare incetta di nostalgici della bandiera rossa e invece ebbero una durata breve quanto un sospiro. Bertinotti ebbe un periodo di gloria e divenne addirittura presidente della Camera. Il canto del cigno. Poi Rifondazione cadde come corpo morto cade. E fu sotterrata nell’oblio. Oggi il prode Fausto frequenta salotti minori in quel di Roma e vive di pensione; rompe la noia pronunciando prediche di ispirazione mistica. La politica non è più pane per i suoi denti.

Le uscite dal Pd per incompatibilità ideologica sono state numerose: Fabio Mussi era un leader e non è più nulla, Sergio Cofferati era il padrone della Cgil ed ora è solo un reduce. In epoca recente ha mollato l’osso vermiglio anche Pippo Civati ed è stato scaraventato giù dalla ribalta. Idem Stefano Fassina che in tre giorni è passato da protagonista a (s)comparsa. L’esperienza dovrebbe insegnare che chi rompe paga e, invece, c’è chi presuntuosamente è convinto di aver facoltà di scendere dal carro in corsa senza spezzarsi il collo, e immancabilmente se lo spezza.

Attualmente nel Pd crescono gli insofferenti alla linea di Renzi. Avranno le loro buone ragioni. Ma se meditano di salutare il partitone per dare vita a un partitino fanno lo stesso errore commesso dai sopra citati transfughi, e rischiano l’irrilevanza, che è l’anticamera del decesso politico. La scissione danneggerebbe sia chi se ne va insalutato ospite, sia chi resta a bordo della navicella alleggerita. Infatti due miserie non fanno una ricchezza, ma una grande miseria. Renzi non sopporta chi discute la sua leadership e se ne vuole sbarazzare, però non calcola che in un partito meno sono peggio stanno, dato che la quantità dei voti è decisiva per vincere le elezioni. Pertanto alla maggioranza e alla opposizione dem conviene andare d’accordo o almeno fingere di convivere felicemente. Altrimenti saranno schiacciate entrambe dai pentastellati che piacciono anche quando sbagliano, nel senso che pur essendo dei pasticcioni non perdono l’appoggio dei loro sostenitori ciechi e biechi. E calano poco rispetto alle scemenze che combinano. Matteo si tenga quindi stretti i suoi barbagianni, di sicuro meno peggio dei corvi di Grillo.

Quanto al centrodestra, potrebbe risalire la china, in questo momento di sbando generale, ma sarebbe necessario che il centrodestra ci fosse, viceversa non c’è e se c’è, dorme.