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venerdì 17 febbraio 2017

"Saviano uno schizofrenico che delira" Ecco il poliziotto che lo massacra / Foto

Maccari del Consip: "Quelli di Roberto Saviano sono deliri da schizofrenico"



Roberto Saviano si è espresso su Repubblica sul caso di Lavagna, dove un 16enne si è suicidato dopo essere stato scoperto dalla Guardia di Finanza con alcuni grammi di hashish in casa, Finanza che è stata chiamata dalla madre. Nel suo commento, l'autore di Gomorra si scaglia contro il proibizionismo, sostenendo che se la cannabis fosse legale il ragazzo non si sarebbe ammazzato. Un articolo che ha scatenato la rabbia di Franco Maccari, segretario generale del Coisp, il sindacato indipendente di polizia: "La decisa presa di posizione di Saviano in favore della legalizzazione della droga - attacca -, nonostante la sua schizofrenica parte recitata di quello che si batte contro il traffico di stupefacenti, è cosa ben nota e non ci sorprende più".

E ancora. "Abbiamo già più volte letto e contestato anche le deboli motivazioni formali su cui lui la basa. Ma certamente sconcerta, adesso, il suo intervento tutto politico in cui si spinge a strumentalizzare addirittura morti e suicidi per promuoverla. Secondo l'erudita analisi di Saviano - continua Maccari - il giovane di Lavagna si è ucciso a causa del fatto di essere stato trovato in possesso di droga, non è giusto, allora legalizziamola! Purtroppo ci sono ragazzi che si suicidano per tanti altri motivi. C'è chi si uccide a causa dei brutti voti, allora meglio abolire la scuola. C'è chi si uccide a causa di cose che accadono in Rete e lo coinvolgono, allora meglio abolire Internet. E potremmo continuare a lungo. Un delirio". Parole pesantissime, quelle del poliziotto.

TINTINNIO DI MANETTE Ora Fini teme la galera: quando era vicepremier...

Fini, i sospetti nelle carte del Gip: "Leggi pro Corallo in cambio di soldi"



Dopo l'ordinanza della procura di Roma che ha sequestrato milioni di euro in contanti e case alla famiglia Tulliani, appare ben più chiara quale fosse la strategia di Gianfranco Fini dietro quell'automortificazione di alcune settimane fa, quando l'ex presidente della Camera si era definito un "coglione" per non essersi accorto degli affari poco trasparenti che avvenivano intorno a lui. L'auto-proclamata "semi-infermità mentale" però potrebbe non reggere fino in fondo, perché i magistrati si stanno sempre più concentrando sulla figura di Fini, ritenendola molto più strategica negli affari dei Tulliani, molto di più di quanto si voglia far credere.

A rinsaldare il legame tra Fini, il capo del colosso del gioco Atlantis, Francesco Corallo, e la famiglia Tulliani sarebbe stato lo stesso ex segretario di An. Un rapporto solido sin dalla vacanza che Fini si è concesso sull'isola di Saint Marteen, ospite proprio di Corallo, nel 2004. Sempre lui l'anno dopo si è speso più volte per agevolare i rapporti tra la Atlantis e i monopoli, come confermato dall'interrogatorio dell'ex parlamentare Amedeo Laboccetta. Ed è stato sempre Fini nel 2007 a infilare il cognato Giancarlo in una trattativa immobiliare con Corallo. Una roba talmente torbida che non piace neanche a Laboccetta. Senza dimenticare, riporta Il Giornale, l'invito da Fini a Corallo nella foresteria di Montecitorio a dicembre 2008, in occasione del primo compleanno della piccola Carolina, figlia di Gianfranco ed Elisabetta.

Dalla procura il sospetto diventa di giorno in giorno sempre più convinzione su quanto Fini e le cariche da lui ricoperte, da vicepremier a presidente della Camera, siano state la calamita che ha attratto Corallo ai Tulliani. Il gip lo mette nero su bianco "che l'obiettivo di Corallo fosse altro dai Tulliani, si desume per tabulas: Corallo è il titolare di un'impresa colossale, i Tulliani una famiglia della piccolissima borghesia romana". Intanto Fini era "una figura istituzionale di elevato rilievo". L'incrocio di questi tre fili non può che innescare interessi di "estrema delicatezza", considerando anche che le tracce di dazioni di denaro vengono lasciate "in occasione dell'adozione di provvedimenti di legge di estremo favore per Corallo". Sulle carte ne compaiono almeno due: il 39 del 2009 e il 78 del 2009.

E in più ci sarebbero "gravissime interferenze" sui Monopoli, oltre che "inverosimili sottrazioni" alle casse dello Stato, senza trascurare le norme che avrebbero favorito in particolare Atlantis "sintomatiche di condizionamento della vita parlamentare in ragione di flulssi di denaro di grande consistenza". Quel che è emerso fin ora potrebbe essere solo la punta dell'iceberg, secondo i sospetti dei magistrati, riservando sviluppi "piuttosto tumultuosi". Tanto che, sempre Il Giornale, scrive chiaro e tondo che "ora Fini teme le manette".

"Non capiscono un cazzo. E lui..." Delrio, fuorionda rovinoso su Renzi

Scissione Pd, il fuorionda di Graziano Delrio: "Non capiscono un cazzo, da Matteo Renzi neppure una telefonata"



Un clamoroso fuorionda agita ulteriormente le acque di un Pd nel caos. Siamo nella sede democratica a Roma, dove si tiene un forum sul trasporto pubblico. Al banco dei relatori, come poi si è appreso nella clip pubblicata da Repubblica, ci sono Graziano Delrio e il presidente della Commissione trasporti della Camera, Michele Meta. Poco prima dell'inizio del convegno, i due parlottano proprio della scissione del Pd, che pare sempre più vicina. "Barano o fanno sul serio?", chiede Meta. E Delrio: "Una parte ha già deciso".

Poi, però, la pazzesca bordata contro Matteo Renzi e i suoi. Il ministro spiega che i renziani, con la scissione, pensano che "diminuiscono i posti da distribuire" ma "non capiscono un cazzo" perché la frattura "sarà come la rottura della diga in California, c'è una crepa, e l'acqua dopo non la governi più". Parole drastiche, alle quali aggiunge che "Matteo non ha fatto nemmeno una telefonata per evitare la scissione". Tutto il contrario rispetto a quanto affermato proprio in mattinata in un'intervista al Corriere della Sera. Un colpo devastante per l'immagine e la credibilità dell'ex premier, sputtanato da un (ex?) fedelissimo.

Legge sul testamento biologico "L'ultima parola spetta ai malati"

Legge sul testamento biologico "L'ultima parola spetta ai malati"


di Matilde Scuderi



Fare in modo che siano i malati ad avere l'ultima parola. Questo è l'obiettivo di quanti, tra medici pazienti e familiari, richiedono con urgenza l'approvazione di una legge sul testamento biologico. Un primo testo base sulle disposizioni anticipate di trattamento per il testamento biologico è stato presentato alla Camera e discusso nell'ambito di una conferenza organizzata dall'l’Associazione 'Luca Coscioni' che propone tre modifiche al testo che esplicitino concetti di particolare importanza: il primo punto è la prevalenza del volere del malato; secondo principio irrinunciabile è che il soggetto deve poter esprimere la sua volontà di rinunciare a qualunque misura terapeutica senza eccezione, tutti i trattamenti sono rinunciabili; terza richiesta è che nel disegno di legge sia inclusa esplicitamente la possibilità di accedere alla sedazione palliativa profonda, cui è ricorso il malato di Sla deceduto nei giorni scorsi a Treviso. Si tratta di cambiamenti da approvare prima che la legge approdi alle Camere.

Perché sono necessarie le disposizioni anticipate. Perché sarebbe necessario specificare la possibilità di esprimere in modo anticipato le proprie volontà sul fine vita? Può essere capitato a chiunque di discutere con il proprio medico delle proprie idee sulla sofferenza o sull’accanimento terapeutico, in caso di malattie incurabili. E sarà capitato pure, anche se meno spesso, che quando il paziente diviene incapace di intendere e di volere il suo medico non se la senta di rispettare quelle volontà espresse solo oralmente. Delle disposizioni anticipate scritte del testamento biologico eviterebbero una situazione di questo tipo. “Il testo attualmente in esame alla XII Commissione - ha spiegato Mario Riccio, anestesista rianimatore dell’ospedale di Cremona e medico di Piergiorgio Welby - pur essendo molto attento all’autodeterminazione del paziente, cosa che non accadeva nelle precedenti proposte, presenta diversi punti ambigui. È esplicitato che le decisioni devono essere condivise da medico e paziente. Ma se ad un certo punto non c’è più questa condivisione da parte del medico, che fine fa la volontà espressa dal malato? E ancora, l’articolo 3 al comma 3, permette al medico di non rispettare la decisione del paziente se dimostra che lo stesso, quando ha fatto la sua scelta, non conosceva l'esistenza di alcune cure successivamente scoperte”.

“Così si corre il rischio che il medico non rispetti le volontà del malato”. Insomma, secondo i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni, intervenuti alla camera dei Deputati, durante una conferenza stampa organizzata per discutere della questione, ci sarebbero diversi punti che, se non chiariti, farebbero vacillare le volontà del malato. “Nel testo - ha continuato Mario Riccio - è stato inserito anche il termine tutela della vita. Il medico è chiamato a tutelare la vita. Non è un’affermazione contraddittoria se lo stesso dottore deve interrompere i trattamenti salvavita, qualora un paziente lo volesse?”. Ma il medico di Piergiorgio Welby solleva anche un’altra questione: “non ho trovato - ha specificato - nessun riferimento alla sedazione profonda palliativa continua. Si fa riferimento ad un’altra legge che, pur parlando di cure palliative non fa riferimento alcuno alla sedazione profonda continua”.

Una legge lunga vent’anni. Per risolvere ogni questione non servirebbe altro che seguire l’esempio di altri Paesi che già hanno legiferato, con precisione, in materia. “Arriviamo oggi a discutere di un argomento simile con estremo ritardo – ha detto Carlo Alberto Defanti, primario emerito dell’ospedale Niguarda di Milano e medico di Eluana Englaro - in California hanno una legge di questo tipo dal’ 76”. L’Italia è partita tardi e, come se non bastasse, ha pure allungato i tempi dell’iter burocratico per oltre vent’anni: “nel ’92 - ha continuato Defanti - era stata redatta la carta dell’autodeterminazione e nel ’96 venne depositato il primo disegno di legge su questo argomento. È assurdo dopo più di due decenni siamo ancora a questo punto. Ho seguito il caso Englaro in prima persona e pensavo che questa vicenda potesse accelerare l’iter legislativo, invece, così non è stato. Anzi, pare che la vicenda provocò addirittura una battuta d’arresto”.

Quali sono i dolori a cui si può porre fine. Michele Gallucci, direttore della Scuola italiana di medicina e cure palliative, invece, sottolinea l’importanza della definizione di dolore: “la sedazione - ha aggiunto Gallucci - è l’interruzione intenzionale della percezione della sofferenza del malato. La sofferenza non è solo data dal dolore fisico, ma può essere anche di tipo esistenziale”. Ma a questo punto si pone un altro interrogativo: chi ha un malessere di natura esistenziale può essere ritenuto in grado di prendere decisioni così delicate sul fine vita, in modo lucido?

Consenso informato e capacità di scelta. È Fabrizio Starace, direttore del dipartimento di salute mentale di Modena e presidente della Società epidemiologica psichiatrica a fare chiarezza. “I principi del governo inglese, in materia di consenso o dissenso, dovrebbero essere i punti cardine da cui partire per orientarsi. Può prendere una decisione di questo tipo chiunque sia in grado di valutarne i pro, i contro e le conseguenze. Una condizione depressiva, ad esempio, secondo le linee guida inglesi è ritenuta compatibile con una scelta di questo tipo. In altri contesti legislativi, invece, la presenza di una sindrome depressiva dev’essere esclusa da uno specialista competente. Ma se dovessimo mettere in discussione la capacità di giudizio in base alla comparsa di uno stato depressivo, allora dovremmo mettere in discussione il giudizio di almeno il 10-15 per cento della popolazione, in alcuni momenti della propria vita. Se una decisione così importante è reiterata e mantenuta nel tempo, allora l’accanimento affinché si cambi idea è sbagliato”.

I nuovi emendamenti del testo sul testamento biologico. Intanto alcuni parlamentari dell’intergruppo eutanasia – testamento biologico ed esponenti dell’associazione Luca Coscioni, fanno sapere che nonostante l’ostruzionismo evidente, fatto attraverso gli oltre 3 mila emendamenti presentati, entro martedì prossimo il testo approderà alla Camera. Dopo arriverà l’altro scoglio da superare: il Senato. Ma chi ha vissuto in prima persona le pene di una morte che si avvicina e le sofferenze di una malattia che non lascia via d’uscita, si augura che ognuna di queste proposte diventi presto parte di una vera legge dello Stato. “Spero - ha concluso Pina Welby - che dopo 10 anni dalla morte di Piergiorgio arrivi finalmente una legge che possa rassicurare tutti noi. Specialmente chi come me sta andando verso la fine della propria vita”

"Testa di c... co...", le carte sulla Panarello L'incubo del piccolo Lorys: cosa gli faceva

"Testa di cogl.." Furia Panarello. L'incubo del piccolo Lorys: cosa gli faceva



Sono emersi dettagli inquietanti nei confronti di Veronica Panarello, condannata per l'omicidio di suo figlio Lorys Stival, dalle 194 pagine che riportano le motivazioni della sentenza. Quel che accadeva in casa tra la Panarello e suo figlio in assenza del marito e del suocero è stato ricostruito attraverso le dichiarazioni di conoscenti e vicini. I genitori dei compagni di classe di Lorys, ad esempio, hanno raccontato particolari terribili riportati dai loro figli: "Ultimamente mio figlio mi ha riferito che Lorys gli ha confidato che non stava molto volentieri con la mamma - ha detto uno dei genitori - e che non vedeva l'ora che tornasse il papà, perché la mamma lo picchiava. Raccontava ai compagnetti che litigava spesso con la mamma e che gli mancava il papà". Ben peggiori sono le testimonianze dei vicini che in più occasioni hanno sentito la donna chiamare il bambino "testa di cazzo" e "coglione". Ogni giorni si sentivano "rumori di sedie e oggetti sbattere per terra".

Meningite, morta una donna a Milano Bimba di 7 mesi in condizioni disperate

Meningite, morta una donna. Una bimba di 7 mesi in condizioni disperate



Una 49enne di Truccazzano, nel Milanese, è morta per meningite mentre una bimba di sette mesi è ricoverata in condizioni critiche all’ospedale Buzzi. È quanto segnala l’assessorato lombardo al Welfare. "Purtroppo la notte scorsa si è verificato ancora un decesso per sepsi meningococcica - spiega l’assessore Giulio Gallera - Si tratta di una donna, residente a Truccazzano, che martedì scorso, 14 febbraio, era stata ricoverata presso il reparto di rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano già in gravi condizioni. Non abbiamo ancora notizia del ceppo di meningococco che ne ha causato la morte, gli esami sono ancora in corso. La donna - ha spiegato Gallera - di 49 anni, lavorava presso un’azienda della provincia di Monza e Brianza pertanto il personale del servizio di igiene pubblica di Ats Città Metropolitana di Milano sta mettendo in atto tutti gli interventi di profilassi necessari in stretta collaborazione con Ats Brianza. La profilassi antibiotica - ha proseguito - è già stata attivata nei confronti dei quattro famigliari e dei contatti stretti (dodici). In questo momento è in corso un incontro informativo presso la sede parrocchiale al termine del quale il personale sanitario di Ats distribuirà il farmaco per la profilassi ai minori (37) ed agli adulti (23), individuati come contatti stretti. Siamo in attesa degli esiti dell’indagine epidemiologica per procedere ad un eventuale ampliamento dei contatti da sottoporre a profilassi. Ats Città Metropolitana di Milano - ha sottolineato l’assessore - in accordo con il sindaco di Truccazzano, ha provveduto ad inviare una nota per la cittadinanza con informazioni sulla malattia e sugli interventi di profilassi previsti".

"Nella giornata di ieri, inoltre - ha spiegato ancora l’assessore Giulio Gallera - è stata ricoverata presso l’ospedale Buzzi di Milano anche una bambina di 7 mesi per la quale è stata, purtroppo, confermata una infezione meningococcica. Le sue condizioni cliniche sono attualmente ancora critiche. Ats Milano sta eseguendo, anche in questo caso, la profilassi dei contatti, limitati a famigliari e parenti dato che non frequentava comunità. La bambina non è iscritta al servizio sanitario regionale, non ha un pediatra di libera scelta, e non ha fatto nessuna vaccinazione. Si tratta di una famiglia romena che vive in un appartamento, nella quale non sono emerse evidenti situazioni di trascuratezza, ma di fragilità sociale".

Diluvio di perizoma e donne nude: Boldrini, il suo passato oscuro / Foto

Laura Boldrini, quando viveva tra ragazze babà mezze nude


di Azzurra Noemi Barbuto



Per fortuna esiste Laura Boldrini. Eroica paladina delle donne, degli immigrati e delle desinenze femminili, il presidente della Camera, - pardon -, la presidentessa, è sempre pronta a schierarsi in difesa dei più deboli e degli emarginati, tra questi la sindaca più afflitta della storia, Virginia Raggi, accostata dal nostro giornale al tubero più amato al mondo: la patata.

«Piena solidarietà alla sindaca di Roma per l’inaccettabile volgarità sessista rivoltale dal quotidiano Libero», ha tuonato su Facebook la presidentessa, parlando anche di «becero maschilismo», di lesa «dignità delle donne». Insomma, Boldrini è stata bollente.

Ormai il termine «sessismo» è in voga più che mai, un po’ come la patata, che non passa mai di moda. Se oggi per la presidentessa della Camera il termine «patata» è degradante, un vilipendio alla dignità della donna, per la stessa era accettabile che le donne venissero esposte seminude in tv, in perizoma e reggiseno, e chiamate «spogliatelle» o «babà».

Era la bollente estate del 1988, Laura Boldrini aveva 27 anni, neo-laureata in giurisprudenza con tesserino da giornalista pubblicista, era entrata in Rai con un contratto a tempo determinato come assistente di produzione e lavorava all’interno di uno scanzonato programma in onda su Raidue il venerdì in prima serata, «Cocco», condotto da Gabriella Carlucci, regia di Pier Francesco Pingitore, noto regista de Il bagaglino.

Il programma, un Drive in dei poveri, quintessenza della scollacciata tv berlusconiana anni ’80, si apriva con la divertente sigla: «Cocco, cocco, io ti voglio, io ti ho nel pensiero, io ti voglio per me» e dall’inizio alla fine era un tripudio di corpi femminili che si dimenavano a ritmo di musica dance ed in abiti succinti più che mai, interrotti da giochi demenziali e dalle esibizioni della Cocco band, incorniciate dalle «spogliatelle» e dalle «babà», le modelle scosciate che facevano parte del cast del programma.

Insomma, il trattamento degradante qui lo ha subito solo la «patata», tubero osceno e volgare. Mentre «babà» e «sfogliatelle» sono termini ammessi per definire delle donne.

Oggi Boldrini si dice scandalizzata dai concorsi di bellezza e dalla presenza in tv di due modelli femminili dominanti: «La casalinga e la donna-oggetto, possibilmente muta e semi-nuda. Da lì alla violenza il passo è breve», ha dichiarato.

Eppure non si può non ricordare che lei stessa proviene da quegli ambienti a suo giudizio indecorosi e che le «spogliatelle» e le «babà» si esibivano davanti ai suoi occhi compiaciuti. È questo l’ambito in cui la presidentessa dalla brillante morale ha intrapreso la sua carriera lavorativa.

Ma a queste ipocrisie siamo ormai abituati. Boldrini manifesta due volti: uno bacchettone e l’altro libertino. Abbiamo raccolto lo sfogo di Marina Brasiello, presidente dell’associazione «Io no», la quale ci ha raccontato il suo incontro con la presidentessa della Camera avvenuto l’8 marzo del 2015. In occasione della festa delle donne, i membri dell’associazione di Brasiello si sono riuniti davanti a palazzo Chigi, per onorare, con una manifestazione pacifica e di piccole dimensioni, la memoria di tutte quelle madri, sorelle, mogli, figlie, vittime di omicidio.

Boldrini, come ci ha raccontato Brasiello, quel giorno ha riservato alle donne che l’aspettavano per ricevere un segno di vicinanza, un trattamento più adeguato a dei criminali che a delle vittime.

«Quando è arrivata Boldrini, ci hanno ordinato di stare zitti. Io mi sono avvicinata a lei e le ho detto che quelle donne erano lì per ricevere una parola di conforto, pregandola di concederla loro», racconta Brasiello.

La presidentessa della Camera ha risposto a questa richiesta ordinando alla polizia di allontanare Marina. Nessuna parola. Nessun gesto. Solo tanta indifferenza e alterigia.

«Ci ha trattate come se fossimo nessuno e questo ha amplificato la nostra sofferenza», continua Marina.

Per fortuna, al grido disperato di dolore di queste donne, ha risposto Giorgia Meloni, «che non solo è venuta in mezzo a noi, ma ha anche ascoltato una ad una le nostre storie. Non cambia molto, ma almeno Meloni ha donato un gesto d’amore a coloro che piangono i loro morti», conclude Brasiello.

E questo era tutto ciò che quelle donne avrebbero voluto: semplicemente essere ascoltate.

Forse si dovrebbero fare meno battaglie sull’uso della vocale «a» al posto della sessista «o» e schierarsi in difesa delle donne che hanno davvero bisogno di solidarietà. E che non sono Virginia Raggi.