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mercoledì 28 ottobre 2015

Clamorosa retromarcia di Obama Truppe di terra in Siria e in Iraq

Stati Uniti pronti a mandare truppe di terra in Siria e Iraq




La decisione avrebbe del clamoroso, perchè significherebbe un passo indietro rispetto a tutta la politica di ritiro delle truppe che l'amministrazione Obama ha perseguito negli ultimi sette anni. E per il presidente premio Nobel per la pace vorrebbe dire seguire le orme del suo predecessore George W. Bush. Rivelano i media americani che il presidente starebbe per decidere l'impiego di truppe di terra statunitensi sia in Siria sia in Iraq contro la minaccia rappresentata dal califfato islamico. Ma anche per riequilibrare le forze messe in campo proprio in Siria dalla russia, che ha piazzato sul terreno soldati e carri armati. Fino qui, in Siria gli americani erano intervenuti limitandosi ai raid aerei. La decisione, riporta il Washington Post, potrebbe essere presa da Obama già questa settimana ma non è ancora chiaro di quanti uomini si parlerebbe.

L'arma finale di Obama contro Putin Super-bombardiere da 700 milioni / Foto

Obama prepara un super-bombardiere da 700 milioni di dollari


di Claudio Antonelli



Per Lockheed Martin e Boeing potrebbe essere in arrivo una sostanziale novità. Il Pentagono recentemente ha fatto sapere di essere «molto vicino» ad annunciare la società che si è aggiudicata il nuovo progetto del futuro bombardiere strategico a lungo raggio, che progressivamente andrà a sostituire i B2-Spirit (dal costo di 2 miliardi a esemplare) , i B-1 e i vecchi (ma ancora efficaci) B-52. Mai come in questo momento il rafforzamento della strategia di controllo dei cieli, assieme al rafforzamento dei pattugliamenti nell' area del mar cinese, impone agli Stati Uniti nuovi investimenti sul lungo termine. Da un lato c' è infatti il velivolo di quinta generazione F-35 e dall' altro bombardieri in grado di volare due giorni e attraversare i continenti. Diventeranno due lati della stessa medaglia.

A contendersi quest' ultimo programma da poco meno di 80 miliardi di dollari sono Northrop Grumman e il duo formato da Boeing e Lockheed Martin. La competizione lanciata a luglio del 2014 si sarebbe dovuta concludere la scorsa primavera ma la Us Air Force ha rinviato l' annuncio. «Sul nuovo bombardiere strategico», si legge in un' agenzia Agi, «saranno usati componenti già impiegati in altri programmi segreti e sarà facilmente aggiornabile». Si parla di costi che dovrebbero viaggiare tra i 600 e i 700 milioni di dollari per velivolo. Una manna per i bilanci delle società vincitrici.

Lockheed e Boeing arrivano all' evento con due trimestrali positive. L' azienda di Bethesda chiude il terzo trimestre con un utile netto di 865 milioni di dollari, in calo rispetto agli 888 milioni di dollari dello stesso del 2014. L' aumento delle vendite degli F-35 ha però consentito un aumento dei ricavi pari al 3,2%, per un giro d' affari complessivo di 11,46 miliardi di dollari. Dal canto suo, Boeing nel terzo trimestre piazza un segno più e rivede al rialzo le stime per il 2015. I ricavi nel terzo trimestre 2015 ammontano a 25,849 miliardi di dollari, in salita di circa il 9% rispetto ai 23,784 miliardi di dollari registrati nello stesso periodo dello scorso anno e del 14,63% rispetto al consensus di Bloomberg di 24,675 miliardi. L' utile per azione è passato a 2,47 dollari rispetto agli 1,86 dollari del medesimo trimestre 2014. C' è da scommettere che, in caso di vittoria della gara, anche i titoli in Borsa dei due colossi gioirebbero.

La classifica delle migliori città italiane: le quindici dove si vive meglio

Legambiente, ecco le 15 città dove si vive meglio in Italia



Verbania 

Legambiente ha stilato una classifica che parla chiaro: le città più piccole sono quelle che inquinano meno. La migliore di tutte? Verbania. La cittadina del Lago Maggiore è seguita da Trento e Belluno già conosciute per la loro buona organizzazione in fatto di mezzi pubblici, raccolta dei rifiuti e lotta all'inquinamento. Seguono Bolzano e Macerata, altri buoni esempi di città sulla via dell'ecologia, e non deludono neanche Oristano, Sondrio, Venezia e Mantova. Il dossier è stato elaborato prendendo in esame i dati dei 104 capoluoghi di provincia del Paese rispetto a qualità dell’aria, gestione delle acque e dei rifiuti, energia, mobilità e trasporto pubblico.

Nord e Sud - Se si sposta lo sguardo nella parte più bassa della classifica, salta all'occhio il divario tra Nord e Sud. Fra le ultime cinque città, quattro sono siciliane. Le peggiori sono: Vibo Valentia e Catania, Palermo, Agrigento e Messina che è maglia nera. Tra le grandi città i risultati non sono rincuoranti: Firenze è 43esima, Milano 51esima e Roma precipita alla posizione numero 83.

Corona lascia la comunità di Don Mazzi La decisione del giudice: torna a casa

"Fabrizio Corona è un uomo nuovo": clamoroso, l'ex paparazzo torna a casa




"Fabrizio Corona è un uomo nuovo". I giudici, che non hanno mai gradito l'ex paparazzo, hanno cambiato idea. Corona da stasera potrà lasciare la comunità Exodus di Don Mazzi e tornare a casa.  Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Milano. Ai giudici, nel corso dell'udienza della scorsa settimana, l'ex marito di Nina Moric ha promesso: "Fidatevi, sono un uomo nuovo".

Lo scorso giugno, dopo circa due anni e mezzo di detenzione, Corona era uscito dal carcere ottenendo l'affidamento in prova nella comunità Exodus di don Mazzi a Lonate Pozzolo, in provincia di Varese. Il giudice, in quell'occasione, aveva concesso l'affidamento per una serie di ragioni, tra cui l'assenza di pericolosità sociale e il passato di tossicodipendenza dell'ex agente fotografico. Giovedì scorso davanti a un collegio di giudici della Sorveglianza, Corona ha ribadito più volte di essere cambiato.

In tarda serata la decisione. Stando ai legali, i giudici hanno confermato l'affidamento, permettendo che si svolga "sul territorio". Corona dunque non dovrà più stare nella comunità, ma potrà tornare a casa, anche se dovrà attenersi a una serie di disposizioni relative all'affidamento in prova. 

Dite addio a otto Regioni: cancellate Ecco i nuovi confini: quali spariscono

Addio a otto Regioni: il piano del governo. Il progetto che piace anche alla Boschi




Quando il senatore Pd Raffaele Ranucci ne aveva cominciato a parlare, tra i corridoi di palazzo Madama sembrava il solito progetto, neanche il più strampalato, per cambiare la geografia dell'Italia, riformare i confini delle regioni, creandone delle nuove e abolendo le esistenti. Poi l'8 ottobre al Senato si è discusso della riforma Costituzionale, Ranucci ha presentato un ordine del giorno proprio sull'accorpamento delle Regioni. Colpo di scena: il governo lo ha fatto suo, così l'emendamento di Ranucci viene ritirato, perché di fatto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, scrive l'Unità, avrebbe in mentre un progetto più organico, anche basato sulla proposta del senatore. L'approvazione è sostanzialmente in agenda, se ne discuterà non appena il governo incasserà l'approvazione della riforma costituzionale: la nuova geografia italiana sarà quindi una costola che arriverà in seguito e nelle speranze del governo, avrà lo stesso esito.

I dettagli - Il progetto prevede la cancellazione delle piccole regioni, andando a formare 12 macro-aree. Spariscono il Piemonte, la Liguria e la Val d'Aosta, per formare la regione Alpina. La Lombardia rimane autonoma. Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige saranno accorpate nel Triveneto. Resiste l'Emilia-Romagna almeno nel nome, con l'annessione della provincia di Pesaro-Urbino dalle Marche. Il resto del territorio che oggi fa capo ad Ancona, la Toscana, la provincia di Viterbo, l'Umbria, l'Abruzzo e il Molise farebbero nascere la regione Adriatica. Addio al Lazio, per far posto a un enorme distretto di Roma Capitale. Fuori da quel territorio le province di Frosinone e Latina che con la Campania faranno nascere la regione Tirrenica. Puglia e provincia di Matera si fonderebbero per far nascere la regione Levante. La provincia di Potenza con la Calabria creerebbero la regione di Ponente. Invariate invece le posizioni di Sicilia e Sardegna.

QUATTRO BANCHE IN CRAC Rischiano il fallimento in pericolo i nostri soldi Allarme corsa agli sportelli

Quattro banche sull'orlo del crac: a rischio i soldi dei correntisti


di Francesco De Dominicis



È una corsa contro il tempo e non è detto che si arrivi al traguardo sani e salvi. Perché in mezzo c’è un passaggio a Bruxelles che potrebbe far saltare tutto, con effetti a catena pericolosissimi. Sta di fatto che sono quattro e non più tre (ma la lista nera potrebbe crescere a stretto giro) le banche italiane sull’orlo del crac. Si rischia la “corsa agli sportelli” e la “fuga dai depositi” con i banchieri stanno correndo ai ripari per evitare un botto che avrebbe dimensioni pazzesche, cioè 12,5 miliardi di euro. Una catastrofe che avrebbe effetti a catena su tutto il sistema bancario italiano. Ragion per cui i grandi gruppi del Paese – a cominciare da Intesa e Unicredit – sono pronti a investire 2 miliardi per ricapitalizzare Banca Marche, Banca Etruria e Cassa di risparmio di Ferrara. E poi la Cassa di risparmio di Chieti, ultima entrata nell’elenco delle emergenze. A lanciare l’allarme è stato, oggi pomeriggio alla Camera dei deputati, il presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, Salvatore Macccarone. Nel corso di un’audizione a Montecitorio sul bail in (il nuovo meccanismo europeo sui salvataggi bancari che prevede in caso di fallimento di un istituto una tosata ad azionisti, obbligazioni e conti correnti oltre 100mila euro), Maccarone ha evocato esplicitamente la “corsa agli sportelli” e di “fuga dai depositi”. E ha pure spiegato che il “fallimento di quattro banche sarebbe un danno per tutto il sistema”. Secondo il banchiere “se viene meno la fiducia ci sarebbe uno s ci sarebbe ragionevolmente uno scenario grave anche perché abbiamo altre banche in difficoltà tenue”. Tradotto: altri istituti sono vicini ad alzare bandiera bianca.

La soluzione - Di qui la soluzione interna e di sistema che, tuttavia, si sovrappone all’esame della Commissione Ue sui decreti attuativi del nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi, con l’esito che non è scontato. Anzi. In ogni caso, le banche in salute sono pronte a versare al Fondo 2 miliardi (fino a poche settimane fa si parlava di 1,5 miliardi) per ripianare i buchi nei conti dei quattro istituti in crisi profonda.  "L'arco di tempo è molto ristretto – ha aggiunto Maccarone -  sarebbe una sconfitta se non riuscissimo a farlo avendone la possibilità". La faccenda va risolta entro dicembre: dal primo gennaio 2016, infatti, anche se l’Italia non avrà ancora formalmente recepito la direttiva Ue, le regole di Bruxelles si applicheranno anche dentro i nostri confini. Il numero uno del Fondo ha detto che la situazione è “vissuta con affanno anche delle autorità coinvolte”. Nessun riferimento esplicito alla Banca d’Italia, ma è chiaro che sono ore caldissime anche a via Nazionale.

Tremano i banchieri - Per l’industria bancaria del Paese è una prova di fuoco. Dalla riuscita dei salvataggi di Banca Marche, PopEtruria,  CariFerrara e CariChieti, dipende la tenuta del sistema e la stabilità delle finanze italiane. Del resto i numeri fanno paura: se quelle banche fanno il botto servono 12 miliardi e mezzo per rimborsare i correntisti. La direttiva europea sul bail in prevede un contributo di possessori di azioni e di obbligazioni, poi, in seconda istanza, anche una tosata ai conti correnti con saldo superiore a 100mila euro. Un nuovo rivoluzionario sistema su cui c’è ancora pochissima informazione. Tutto questo proprio mentre l’annuale sondaggio Ipsos-Acri segnala una ripresa della fiducia dei risparmiatori. I banchieri da una parte tremano e dall’altra aspettano la trattativa di palazzo Chigi con l’Unione europea. “Tutto è pronto però non siamo in grado di procedere per difficoltà' esterne che lo impediscono" ha spiegato alla Camera Maccarone sottolineando anche che c’è “qualche nervosismo da parte della Bce” per l’impasse in cui ci si trova. Il numero uno del FOndo ha comunque precisato che “tutti stanno lavorando per portare a casa questo risultato”, ma se anche il varo dei decreti delegati non fosse sufficiente a garantire necessariamente il via libera da parte di Bruxelles, è però certo il fatto che “senza i decreti delegati l’ok della Ue non c’è, non ci fanno fare il salvataggio”. Scenario da evitare a tutti i costi. In ogni caso “ci inventeremmo qualcosa perché non possiamo permetterci che quattro banche falliscano, non siamo pronti”. 

martedì 27 ottobre 2015

È ufficiale: Vittorio Sgarbi si candida Dove e con chi (c'entra Cruciani)

Vittorio Sgarbi: "Mi candido sindaco a Milano con Cruciani e Parenzo"




Potrebbe essere Vittorio Sgarbi a riempire il "vuoto" lasciato nel centrodestra dalla rinuncia di Paolo Del Debbio a correre come sindaco di Milano nel 2016. Il critico d'arte, già deputato e ministro, ha ufficialmente annunciato la sua discesa in campo su facebook, riportando come scrive il quotidiano "Il Tempo" oltre 12mila 'mi piace' in poche ore. Insomma, uno 'zoccolo duro' di sostenitori Sgarbi ce l'ha già anche come politico.

Resta da vedere se correrà per un qualche partito di centrodestra o per una formazione a se stante. Per il momento, dice che si candiderà per il PDR, ovvero il Partito della Rivoluzione. Che suona un po' castrista o cheguevariano, ma contento lui... L'idea, spiega a "Il Tempo", nasce "da un sondaggio per le comunali di Milano di un paio di giorni fa nel quale, tra quelli dei candidati, il mio nome neppure compare. Non capisco perchè, visto che già qualche mese fa avevo annunciato la mia discesa in campo, seppur in modo provocatorio...".

Il suo interlocutore, spiega "non sarà il centrodestra, "ma PDR è un nome provvisorio, potrà anche chiamarsi 'Lista per Sgarbi sindaco', vedremo. Ma la vera 'bomba' sarà la 'Lista della Zanzara' che lanceranno Cruciani e Parenzo per appoggiarmi. Loro non si candideranno di persona, ma sarà tagliata sullo spirito anarchico e provocatore del programma, per fare concorrenza ai 5 Stelle". L'elettore tipo? "Chiunque voglia avere un sindaco che sia privo di retorica, finzioni e malinconie come Pisapia".