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lunedì 27 giugno 2016

L'intervista - Di Battista svela il piano segreto M5s "Così ci libereremo di Renzi ed euro"

Di Battista svela il piano segreto M5s: "Così ci libereremo di Renzi ed euro"


intervista di Pietro Senaldi



«Non mettetemi per favore la solita foto con la sigaretta in bocca». Così Di Battista nell'intervista che rilascia a Pietro Senaldi pubblicata su Libero. 

Cambio di strategia comunicativa?

«No, è che ho smesso da due anni e mezzo».

Cambio di strategia politica in vista del governo alllora?

«Al governo ci andiamo, è il messaggio che viene dalle elezioni, il passaggio di M5S da voto di protesta a voto per farci governare l’hanno sottolineato perfino gli analisti. Noi siamo una forza di governo, lo stiamo dimostrando e continueremo a farlo amministrando le città ».

Con Di Maio premier?

«Di Maio lo stimo tantissimo, ci frequentiamo anche fuori dal lavoro. Ma parlare del candidato premier è prematuro. Sceglieranno i nostri iscritti».

Si candiderà anche lei?

«È prematuro parlarne».

Ma chi comanda ora in Cinquestelle, non si è mai capito bene?

«I sindaci sono autonomi, basta che rispettino il regolamento del Movimento. Adesso hanno al loro fianco anche un gruppo di coordindamento di cui fa parte come responsabile degli Enti Locali anche Di Maio, ma questo non intacca la loro autonomia. Gli europarlamentari viaggiano da soli e qui in Parlamento c’è il famoso direttorio a cinque, di cui faccio parte anch’io, che non è altro che un organo di coordinamento del lavoro di tutti».

Un modello di leadership diffusa, In antitesi al personalismo di Renzi e Berlusconi?

«Per noi arrivano prima i programmi. Il leaderismo è uno dei problemi dell’Italia, ed è uno dei motivi per cui il M5S è nato. Partite dai cittadini significa coinvolgere tutti, cosa che non hanno fatto né destra né sinistra».

Grillo ha fatto il passo indietro?

«Lui è sempre stato solo il nostro garante, visto che non può candidarsi, non si occupa della macchina del Movimento. Io stesso la prima volta l’ho incontrato solo tre anni fa sul palco di San Giovanni a fine campagna elettorale. Di fatto sono diventato parlamentare senza conoscerlo».

C’è chi dice che siete cresciuti come classe dirigente dopo la scomparsa di Casaleggio…

«Lui è uno degli uomini che ho più stimato in vita mia. Aveva la visione, è stato l’ideologo, ma la classe dirigente non si è formata negli ultimi due mesi. Raggi e Appendino sono al secondo mandato, hanno fatto la gavetta».

Però avete questa maledizione del secondo mandato oltre il quale non potete più candidarvi…

«Questa benedizione, vorrà dire. Mi creda, dieci anni non sono pochi, bastano per lasciare il segno e in più ti consentono di restare consapevole che la tua esperienza è a termine. Siamo qui a tempo per lavorare per i cittadini, non per inciuciare allo scopo di perpetuare al massimo la nostra permanenza in Parlamento».

Lei cosa farà dopo?

«È presto per chiederselo. Se sarò rieletto, ho ancora sette anni davanti in Parlamento. E poi non c’è bisogno di essere nelle istituzioni per continuare a fare politica. Mi piace scrivere, nel 2012 ho scritto un libro, “Sicari a 5 euro, vita e morte in America Latina”; in Guatemala, dove ho lavorato un anno come cooperante,era il prezzo per assoldare un killer».

Quanto guadagnava prima di essere eletto?

«Da cooperante, 1.450 euro».

Era preoccupato per il futuro?

«Preoccupatissimo, come quasi tutti quelli della mia generazione».

Per questo ha fatto politica?

«Faccio politica per togliere questo Paese dalle mani di chi l’ha distrutto facendo i propri interessi».

E adesso quanto guadagna?

«Un parlamentare porta a casa 12-13mila euro netti al mese, non lo so neanche. Io ne tengo per me 3100. In questi tre anni ho restituito allo Stato oltre 170mila euro. Avrei potuto comprarmi una casa, invece vivo in affitto. È la prova che non faccio politica per interesse».

Siete dei moralisti…

«Siamo persone che sanno quello che conta per i normali cittadini. Guadagnare quanto loro, anche se in verità guadagno ben più della media, mi fa pensare come loro e mi mantiene in contatto con la realtà. Non è moralismo. La gente vuole fatti, la nostra rinuncia economica è un fatto e, per restare in tema, paga».

Per le casse dello Stato 170mila euro sono una goccia nel deserto. Non è un sacrificio inutile?

«No. È quello che mi consente di far politica a testa alta e guardare la gente negli occhi. Noi di M5S siamo credibili, perché siamo gli unici che fanno quel che dicono. Se sei un politico, devi essere il primo a sacrificarti».

Il segreto del vostro successo?
«Che di colpo abbiamo fatto sembrare vecchi tutti gli altri. Renzi anagraficamente è giovane ma fa politica come Martinazzoli. Non c’è differenza tra lui e il suo rottamato D’Alema».

In che senso? 

«Promette, fa storytelling ma alla prova dei fatti pensa solo al potere. Sotto elezioni promette una pizza in più, lo zainetto, ti fa telefonare dalla Boschi che si finge centralinista. Ma qualcuno ha mai visto la Boschi telefonare a un truffato di Banca Etruria?».

Gli 80 euro però erano veri…

«Infatti promettendoli ci ha vinto le elezioni Europee nel 2014. Poi però gli italiani hanno scoperto che gli 80 euro in tasca non c’erano, perché evidentemente Renzi li ha dati con la mano sinistra e subito se li è ripresi con la destra. E allora non lo votano più».

Il nemico è il Pd?

«Assolutamente sì».

Perché vi odiano così tanto?

«Perché hanno capito che li mandiamo a casa. Abbiamo iniziato a Torino e Roma, l’anno prossimo arriverranno altre città. E il governo».

Cos’avete che loro non hanno?

«Serietà e coerenza. Il Pd è un partito di ipocriti. Vent’anni a far la lotta a Berlusconi e poi il Nazareno, e quando questo fallisce governa coi voti di Alfano e Verdini. Fa politica con gli inciuci, da professionista del Palazzo».

Voi invece…

«Facciamo, e bene, quello che il Pd dice ma non fa. Siamo coerenti con le nostre idee e la nostra identità e non veniamo a compromessi per governare, ci presentiamo soli».

Però i ballottaggi li vincete sempre con i voti del centrodestra...

«Io combatto i partiti, non i loro elettori. Certo che mi fa piacere se riesco a convincere un elettore di centrodestra a votare M5S, ma non parliamo con i segretari di partito».

Peggio Renzi o Berlusconi per un elettore di Cinquestelle?

«Sbagliato paragonarli. Renzi è più ipocrita, finge di essere Berlinguer e poi fa macelleria sociale, non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Berlusconi pensava ai suoi interessi ma non fingeva di essere qualcosa di diveso. Infine Renzi, a differenza di Berlusconi, ha una boria infinita».

Lei però ha votato a sinistra?

«Il primo voto è stato ai Verdi, poi il Pd. Ma prima di conoscerlo».

Avrà fallito se...?

«Se non riesco a mantenermi diverso dai mestieranti della politica».

Cosa le piace del suo lavoro?

«Andare in mezzo alla gente e riceverne il sostegno».

La notorietà?

«Non ha valore per me. Mi ha fatto effetto all’inizio ma ora mi interessa solo il contatto, mi inorgogliscono gli incoraggiamenti ad andare avanti. Questo fine settimana l’ho passato facendo comizi a Matera e Taranto. Città dove non si vota. Noi ci siamo anche e quando non c’è da incassare».

Andrete al governo se...?

«Se resteremo fedeli a noi stessi e agli elettori. E se andrà bene Roma, quella è la partita decisiva, sarebbe un biglietto da visita vincente davanti all’opinione pubblica mondiale».

Bastano la moralità e l’anticasta per governare bene?

«Non bastano ma sono un buon inizio. Il sindaco di Pomezia ha preso il Comune in rosso e l’ha risanato in due anni. Quando gli ho chiesto come ha fatto, mi ha risposto solo che non aveva rubato».

Io però non vi voto…

«E perché?»

Con questa ossessione dei tagli in qualche modo finirebbe tagliato pure il mio stipendio. E questo ragionamento lo fanno in molti.

«Perché mi scusi, lei è un dipendente pubblico? Noi siamo solo contro gli stipendi pubblici da centinaia di migliaia di euro per occupare poltrone lottizzate, contro i vitalizi non coperti dai contributi, contro le posizioni di rendita. Cinquestelle non è contro la ricchezza».

E la decrescita felice?

«Noi siamo per il taglio dell’Irap: i 170mila euro a cui ho rinunciato sono andati alle imprese».

Mi dica un merito di M5S?

«Merito nostro se e in Italia non ci sono state ancora derive estremiste».

Non le pare un po’ grossa? 

«No, incanaliamo l’odio sociale dando una risposta di speranza».

Ma vede allora che siete il partito di chi non ha nulla da perdere?

«Ci sono molti imprenditori con noi. I nuovi sindaci sono quasi tutti professionisti. La stampa anti-M5S vedo che riesce a suggestionare pure i professionisti dell’informazione».

E questa storia del reddito minimo? Siete dei pauperisti…

«Le statistiche dicono che per una vita dignitosa oggi occorrono minimo 780 euro. Noi vogliamo portare le pensioni minime a quella cifra e darla a chi cerca o perde lavoro, sempre che segua dei corsi di riqualificazione».

E dove trovate i soldi?

«L’operazione costa 17 miliardi. Gli 80 euro, dati a gente con già un lavoro, costano 10, il Jobs Act, che non ha sconfitto la disoccupazione, ne è costato 12 e 1,5 lo spendiamo per garanzia giovani, che è un flop. I soldi ci sono, è questione di scelte».

La vostra partita di governo si gioca nel convincere i moderati: per molti non siete rassicuranti…

«La Gruber mi ha detto che siamo andati bene alle elezioni perché ci siamo normalizzati. A me sembra che da sempre gli unici normali siamo noi. Credo che tutti ambiscano a vivere in un’Italia con una maggiore giustizia sociale, anche i ricchi».

Il Pd vuole cambiare la legge elettorale perché hanno capito che così vincete voi. Gioco sporco?

«Lo faccia. Essere soli è la nostra forza. Abbiamo conquistato Comuni in cui contro di noi si presentavano sessanta liste. I colpi bassi ci fortificano, guardi Roma».

Cos’è successo?

«Il Pd ha montato la storia delle consulenze della Raggi 48 ore prima del voto. Che autogol: gli elettori hanno pensato che se la attaccavano così pretestuosamente significava che faceva molta paura, e così si sono ribellati. Involontariamente ha dato una motivazione in più per andare alle urne e votare contro Giachetti».

È felice della Brexit?

«Sono ammirato della democrazia inglese, che ha concesso agli elettori un referendum per decidere se stare dentro o fuori dall’Europa».

Volete stare dentro o fuori, ultimamente c’è stata confusione?

«Noi vogliamo che decidano gli elettori, è democrazia dal basso».

Ma un’idea personale dell’Europa ce l’avrà?

«L’Europa è un’opportunità importantissima che è stata rovinata da burocrati e banche. Un’Europa dei popoli sarebbe una risorsa preziosa per tutti, questa di oggi non lo è; va cambiata e lo faremo da dentro le istituzioni».

«Libero» sta facendo una raccolta di firme per poter votare anche in Italia un referendum per uscire dall’Europa. Ci dà la sua?

«Il nostro obiettivo è un referendum sull’euro. Un referendum sull’uscita dalla Ue non è mai stata una nostra proposta. Se però dovesse esserci in Italia, in ogni caso sarebbe un’espressione di democrazia».

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