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venerdì 19 giugno 2015

Per salvare l'Italia non basta Draghi L'analisi: si allunga l'ombra del crac

Grexit, l'analisi: perché il bazooka di Mario Draghi ha sparato a salve (e perché ora l'Italia rischia grosso)


di Leonardo Grilli 


Anche Mario Draghi è stato travolto dalla crisi greca. Il quantitative easing della Bce, il piano di acquisti di titoli pubblici dei Paesi membri, aveva lo scopo di abbattere il costo del denaro e di rendere più agevole la concessione di prestiti, mutui e finanziamenti dalle banche. Far ripartire l’economia insomma, dare quella spinta decisiva per far uscire l’Europa dalla crisi economica. Ma così, se non in parte, non è stato. Secondo un’analisi de Il Sole 24 ore, da quando è partita l'iniezione di liquidità, il 9 marzo scorso, ad oggi, i rendimenti dei Btp tra i 2 e i 30 anni sono saliti tutti, indiscriminatamente. Il che vuol dire che dopo un crollo iniziale, il costo del denaro è tornato a salire. Non decisivo, ma certo rilevante, è stato il “Grexit”, ovvero l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro e, stando a quanto dichiarato ieri dalla stessa Banca centrale ellenica, anche dalla Ue. Eppure che il futuro potesse riservare questo scenario si sapeva, a voler proprio essere di manica stretta, già dall’anno scorso (lo spettro del default di Atene, infatti, si allunga da anni sul Vecchio Continente). E insomma, tornando alla manovra orchestrata da Draghi, il secondo scopo del Qe era proprio quello di annullare il rischio-Paese e il rischio-contagio. Altro fallimento. E dopo la Grecia il paese con il rapporto più alto fra debito e Pil è l'Italia. Avremmo potuto vivere per qualche anno un secondo Risorgimento, ma molto probabilmente non sarà così. Anzi.

Tanti soldi non bastano - La mossa di Draghi già a novembre scorso era stata definita da molti analisti come l’ultima spiaggia per evitare una crisi ancora più grave e un possibile effetto a catena che, con discrete probabilità, avrebbe portato a un disgregarsi dell’economia europea e dell’Europa stessa. Fin’ora la Bce ha acquistato circa 170 miliardi di titoli pubblici, principalmente titoli di Stato. Considerando che è partito da tre mesi, non sono certo spiccioli. Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ha inoltre ricordato che fino a settembre 2016 “gli acquisti Bce di titoli di stato italiani saranno dell’ordine di 150 miliardi, oltre 130 dei quali effettuati dalla Banca d’Italia, il resto dalla Bce”. Numeri altissimi anche per quanto riguarda il nostro Paese, ma il fatto resta lo stesso. Il Qe è appena iniziato e gli effetti dovrebbero quindi essere molto visibili: eppure i rendimenti e il costo del denaro stanno salendo invece di calare. Ma allora quali sono i motivi di questo tracollo?

Il perché del fallimento - Le cause sono molteplici e spesso strutturali. Alla base, già quando Draghi il 22 gennaio 2015 annunciò i dettagli del Qe, si sapeva che sarebbe andato incontro a dei problemi che risiedono alla radice della Comunità europea. Primo fra tutti una unione monetaria senza unione fiscale e politica, che porta spesso a delle strategie economiche profondamente diverse sa Paese a Paese, con tutte le conseguenze del caso. A questo c’è da aggiungerci la mancata mutualizzazione del debito, ovvero la condivisione del debito pubblico di diverse nazioni in modo da condividerne il rischio e abbassare la media dei rendimenti. I cosiddetti Eurobond, mai realizzati. Infine il Qe europeo è molto più rigido rispetto a quello, ad esempio, della Federal Reserve o della Bank of England. A tutto questo ci va aggiunta la crisi Greca. Anche in questo caso si sapeva che un paese in via di sviluppo dentro un’unione di Stati economicamente avanzati avrebbe creato problemi. Ma probabilmente c’era la speranza che si riuscisse a trovare un compromesso fra Governo ellenico e autorità europee. E così il Grexit, che ora sembra sempre più probabile, ha dato il colpo di grazia. Il Quantitative easing, insomma, ha solo diluito la crisi e il rischio di un contagio. Per quanto tempo, però, nessuno può prevederlo.

giovedì 18 giugno 2015

Nasce il "mini-patto" del Nazareno: l'ultima furbata di Silvio e Verdini

Forza Italia, tregua tra Silvio Berlusconi e Denis Verdini: libertà di coscienza in aula, ma no al voto di fiducia a Matteo Renzi




Tanto tuonò che scoppiò la pace tra Silvio Berlusconi e Denis Verdini. Più precisamente una tregua, sancita dopo un lungo e intenso faccia a faccia partito a cena e finito a notte fonda con al tavolo anche i mediatori Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Da più parti pronosticavano una nuova scissione da Forza Italia, ma a differenza del caso Fitto, quello del senatore toscano ha saputo mantenere agli occhi di Berlusconi una sua legittimità ripagata con un parziale perdono. Come racconta Paolo Emilio Russo su Libero, nel corso della serata i toni si sono anche alzati, che i due si fossero sempre detti schiettamente le cose in faccia non è una novità. Ed è proprio questo dettaglio che probabilmente ha tenuto integro il legame e scampato la rottura. Verdini ha cercato di evitare polemiche pubbliche che "fanno il male del partito", è stato il mantra di Berlusconi davanti alle convention dei Ricostruttori fittiani.

La trattativa - Verdini ha usato tutte le carte che poteva giocarsi per far capire a Berlusconi che stavolta faceva sul serio. Ha minacciato la formazione di gruppi autonomi alla Camera e al Senato, ammettendo però di non voler proseguire quella strada intenzionato come è a guadagnare spazio di manovra. Così ha ottenuto una sorta di "libertà di coscienza" su determinati temi che potranno portare parlamentari azzurri a votare provvedimenti del governo di Matteo Renzi. Se questi gesti non "danneggeranno l'immagine del partito", Berlusconi non avrà nessuna intenzione di intervenire. Con un solo limite: "Certo - ha chiarito - la situazione cambierebbe se qualcuno dovesse votare la fiducia; non ci saranno nuovi Patti del Nazareno".

Caivano (Na): Prime grane per Monopoli, l'Avv. Acerra, fondatore di "Noi Insieme con Monopoli": No alla logica del manuale Cencelli

Caivano (Na): Prime grane per Monopoli, l'Avv. Acerra,  fondatore di "Noi Insieme con Monopoli": No alla logica del manuale Cencelli 


di Francesco Celiento 


Avv. Domenico Acerra
Fondatore Lista "Noi Insieme con Monopoli"


CAIVANO – Stamattina 18 giugno secondo giorno di lavoro per il neo sindaco Simone Monopoli, mentre il commissario Contarino idealmente ha lasciato la stanza e consegnato le chiavi al suo successore. Dalla prime indiscrezioni sulla giunta comunale, già problemi per il primo cittadino, che, in un’anticipazione di un’intervista a Caivano Press che uscirà il 27 giugno, esclude una giunta tecnica di alto profilo. E guardacaso, stamane sul profilo Facebook del suo candidato, avvocato Acerra, è comparsa un post molto polemico verso le voci che lui sente arrivare dal palazzo.

“Sento voci, che spero siano infondate per sincero sentimento di bene verso le Istituzioni Democratiche e il Paese, secondo cui la prossima giunta comunale sarà oggetto di spartizione tra tutti i partiti che compongono la coalizione che sostiene il dottore Monopoli – dice il professionista -. Secondo tali indiscrezioni, a ogni Partito sarà ricnosciuto un assessore. A parte la scorrettezza democratica di tale procedura, con la quale si attribuisce ai Partiti un potere di nomina nella giunta comunale non previsto dalla legge, che al contrario riconosce tale potere esclusivamente al Sindaco, tutto questo in perfetta linea con la tanto deprecabile e mai abbastanza deprecata logica partitocratica e spartitoria contro cui credevo di avere combattuto e vinto la battaglia con la elezione a sindaco del dottore Monopoli. Ciò che comunque più colpisce a uno sguardo disinteressato è che il Sindaco, se fossero conferme tali voci, si sarebbe fatto irretire all’interno di una logica che tanti danni ha provocato al nostro sistema democratico fino a rendere ingovernabile il Paese. Il Paese deve essere liberato non solo dai vecchi Personaggi politici ma soprattutto dalle vecchie logiche politiche. Gli amministratori devono superare il vaglio dei meriti e delle capacità e non quello delle appartenenze ai partiti, degli equilibri politici e delle fedeltà personali”.

Borini: “Intervenire in tempo riduce il rischio dell’infertilità”

Borini: “Intervenire in tempo riduce il rischio dell’infertilità”


Intervista a cura di Andrea Sermonti 

Intervista con il professor Andrea Borini (nella foto),
 Presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina
della Riproduzione (SIFES-MR), sulle cause della riduzione della fertilità 

Quello dell’infertilità è iniziato a diventare un problema ‘pressante’ solo negli ultimi decenni, dopo millenni di donne che hanno partorito un numero elevato di figli. Fino a prima dell’ultima guerra. Poi, per motivi legati al cambiamento degli stili di vita e all’uguaglianza crescente tra i sessi, l’età della prima nascita è andata via via crescendo, riducendo il numero delle nascite nei paesi industrializzati fino ad un livello inferiore alla natalità in grado di garantire il ricambio generazionale. “La fertilità è uno degli argomenti che interessano di più le donne perché erroneamente viene ancora considerato un problema prevalentemente femminile, mentre recenti ricerche dimostrano che l’infertilità di una coppia può dipendere, nella stessa misura, dd entrambi i partner” conferma il professor Andrea Borini, Presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES-MR) intervistato a Roma in occasione del Fertility Forum - Living Innovation on Drugs and Beyond, l’appuntamento annuale di Merck Serono dedicato ai temi della riproduzione umana e alle nuove frontiere della ricerca nel trattamento dell’infertilità. I dati dell’ultima relazione del Ministero della Salute al Parlamento di cui si è parlato al Forum mostrano che in Italia le donne accedono alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) a 36,5 anni in media, con quasi due anni di ritardo rispetto a quanto accade negli altri Paesi europei (34,7 anni) e che, inoltre, si è registrato un aumento dell’età media per ciclo dei partner maschili, attestata a 40 anni.

Un problema nuovo, quindi, esploso negli ultimi anni?

Quello dell’infertilità è un problema sempre esistito, ma dal punto di vista sociale è andato crescendo da una ventina di anni perché è in aumento l'età media in cui si ricerca una gravidanza. E questo sappiamo che contrasta con quello che invece la biologia ci dice, ovvero che con il passare degli anni cala la fertilità. Un pò meno negli uomini – perché non si ‘azzera’ mai del tutto – e molto più nelle donne.

E qual è il ‘momento giusto’ per fare un figlio?

L'età ideale per avere un figlio, cercato e ottenuto in pochi mesi, è a vent'anni: ovviamente più andiamo avanti e ci avviciniamo a 38-39 anni, più la probabilità di avere una gravidanza diminuisce. E se diminuisce la probabilità di avere un figlio aumentano le problematiche.

Di quali problemi parla?

Ci sono studi sociologici importanti che analizzano questo fenomeno da tutti i punti di vista: banalmente potrebbe essere che le donne ritardino il momento della gravidanza perché devono trovare un lavoro, perché fanno una professione che non consente loro uno ‘stop’ di qualche mese, perché cercano il successo più della maternità. Ovviamente non è ‘solo’ per queste ragioni: la maggior parte delle donne non ha il ‘problema’ del successo, quindi evidentemente esiste anche un altro ‘blocco’ dipendente dalla crisi sociale ed economica, del fatto che molto spesso fintanto che non ci si sente sicuri dal punto di vista economico è difficile prendere la decisione di mettere in cantiere una famiglia.

Un ostacolo legato al successo personale e alla mancanza di soldi, quindi…

In gran parte, ma non solo. Esiste un altro elemento: i giovani di oggi, a differenza di quello che avveniva negli anni ’60, vogliono avere più libertà di godersi la vita e sono meno disposti ad affrontare subito i sacrifici che una nascita comporta. Mio padre mi ricordava sempre che suo padre gli diceva: “dove si mangia in 3 si mangia in 4 e forse in 5, e si è contenti e felici anche in 6”. E' evidente che oggi non è così, oggi ci sono altre priorità irrinunciabili: il telefonino lo devono avere tutti, la televisione deve essere in ogni stanza, bisogna uscire per l’happy hour e andare in vacanza senza ostacoli…

Una volta una ragazza per uscire di casa aveva due possibilità: o si sposava o usciva accompagnata da un parente. E allora ci si sposava a 20 anni

E’ vero, ma non basta. C’è un altro elemento non sempre a tutti evidente: non è cosi matematico che una donna che vuole avere un bambino trovi subito un uomo disposto ad assecondarla perché animato dalla stessa pulsione. Perché per farlo bisogna essere in due! Insomma, dal punto di vista sociologico esistono oggi molte più difficoltà nelle coppie, ed è evidente che per migliorare queste dinamiche non ci sono ‘bacchette magiche’: uno degli strumenti – forse ‘lo’ strumento – è quello di ‘fare cultura’, iniziando sin dalle scuole elementari.

Per dire cosa ai giovani?

Bisogna cercare di far capire ai ragazzi, in generale, che quello dei  comportamenti ‘virtuosi’ – non sto parlando dal punto di vista etico ma in termini di preservazione della propria fertilità, come ad esempio usare il preservativo – non è un problema solo delle donne. I rapporti promiscui con molti partner aumentano le possibilità di infiammazioni dell'apparato urogenitale e quindi di diminuire la fertilità. Un dato, questo, che dovrebbero sapere e che forse non tutti sanno. Certo non è ‘comodo’ fare i figli da giovani, ma il problema è che se non fai il figlio da giovane più avanti negli anni può essere più difficile e si potrebbe essere costretti a rinunciare a questa possibilità. La maggior parte delle notizie sulla procreazione che si leggono sulle riviste femminili parlano di soubrette, di attrici che fanno figli a 50 anni grazie all’ovulo-donazione: per carità, niente di cosi problematico – anzi del tutto normale dal mio punto di vista – però va detto chiaramente che non è che un giorno chiunque decida di avere un figlio a 50 anni lo possa fare. Non è un gioco da ragazzi e questo va detto con chiarezza: io faccio parte del tavolo che il Ministro della Salute ha voluto per la ‘cultura della fertilità’ e questi sono temi che abbiamo cercato di mettere in campo e che speriamo vengano presto messi in pratica realmente e concretamente.

Dal punto di vista medico scientifico che cosa è cambiato ultimamente per aiutare le donne a risolvere questo tipo di problema?

Fondamentalmente due cose. La prima è che oggi si possono congelare gli ovociti, cosa che vent'anni fa non si poteva fare (o quasi), e quindi anche le donne come gli uomini possono ‘conservare’ la propria fertilità. La seconda è che oggi la tecnologia con la fecondazione assistita aumenta e migliora le possibilità di avere gravidanze in tutti quei casi in cui meccanicamente è impossibile, però non riesce a sopperire al problema dell'età troppo avanzata della donna: tant'è vero che se una donna fa una fecondazione assistita a 40 anni avrà 15 possibilità su 100 di successo, mentre se la fa a 30 ne ha 45. Questo ‘status’ andrebbe ancor meglio definito e portato a conoscenza di tutti, perché troppo spesso quando uno apprende queste cose vuol dire che ha già avuto il problema ed è già andato dal medico della riproduzione. E quindi non è più in grado di decidere liberamente del proprio futuro.

Insomma, cosa bisogna fare per evitare questo tipo di problemi? Quali sono i  comportamenti errati che rischiano di ‘inquinare’ il sistema riproduttivo?

La prima cosa da fare è evitare le patologie sessualmente trasmesse: questo perché danneggiano il nostro sistema riproduttivo e quindi riducono le possibilità di avere gravidanze spontanee. Tutti dovrebbero sapere che la fertilità diminuisce con il passare degli anni e che quindi più si rimanda nel tempo e più difficile è avere una gravidanza. E ancora che se il figlio non arriva dopo un anno, un anno e mezzo, massimo due che lo si cerca… beh, è ora di andare a parlarne con un medico della riproduzione perché è evidente che c'è qualcosa che ritarda o riduce le probabilità di avere una gravidanza. 

Alleanza Nazionale, a volte ritornano: chi non la vuole (e quanti soldi vale)

Ritorno di An, il 17 luglio si decide. Contrari Gasparri e Meloni, tesoretto da 200 milioni




Anche i partiti hanno una data di scadenza. E nel caso di Alleanza Nazionale è il 17 luglio. In questa data, infatti, si terrà l’assemblea della Fondazione che stabilirà il destino dell’ente. Come riporta Il Tempo, le strade sono due. Rimanere ancorati ai vecchi fasti ormai passati e morire del dimenticatoio, oppure innovarsi e tornare ad essere un partito diverso e unito. Quelli ad avere voce in capitolo saranno i membri del Cda, in prima fila La Russa, Menia, Meloni e Gianni Alemanno.

Favorevoli - Proprio l’ex sindaco di Roma è fra i primi promotori di una réunion del vecchio partito, in cui tutti i dispersi possano tornare uniti sotto un’unica bandiera. E un unico simbolo, quello di An. Non a caso due anni fa Alemanno si impegnò per riportare il simbolo di Fiuggi in Fratelli d’Italia, ma l’operazione non ebbe il successo elettorale sperato. È quindi necessario fare u passo in più, le apparenze non portano più voti e serve la sostanza.

Questione di soldi - Altro nodo da risolvere, forse quello più grande in realtà, è quello sui 200 milioni di euro di proprietà della Fondazione. Fra immobili e liquidità questo patrimonio permetterebbe a qualsiasi partito di stare sereno e di poter condurre una campagna elettorale senza nessun problema. Consci di quanto la situazione sia a un bivio, molte associazioni di destra stanno puntando verso il raggruppamento, da Forum destra a Prima l’Italia, dalla Lista Musumeci ai Comitati tricolore.

I contrari - Il ruolo di memoria storica della Fondazione, tuttavia, per alcuni veterani del partito deve essere mantenuto. Ad esempio per Maurizio Gasparri e Altero Matteoli, ora iscritti a Forza Italia. Museo della destra, pubblicazioni e convegni, nient’altro. Anche Giorgia Meloni, tuttavia, in un’intervista a Il Tempo aveva sostenuto: “il piano della politica e quello della Fondazione devono restare ben distinti”. A rivelarsi decisivi potrebbero quindi essere i tanti “cani sciolti”, ma qualunque sarà l’esito finale, si trascinerà dietro una coda di polemiche e nodi legali.

Esame maturità, la gaffe del Ministero nella prova di italiano: "Minacce al fondamentalismo religioso"

Esame maturità, la gaffe del Ministero nella prova di italiano: "Minacce al fondamentalismo religioso"




La maturità quest'anno ha dato spettacolo. L'ansia degli studenti deve aver sicuramente contagiato anche il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca data la confusione che ha regnato nelle tracce della prima prova scritta di italiano. Dopo la svista per il tema artistico-letterario dove il quadro di Matisse è stato ri-soprannominato 'La lettrice in abito viola', anche il tema storico-politico è finito nell'occhio dell'uragano. Fra i documenti a disposizione degli alunni c'è un brano di Paolo Frascani, 'Il mare' che recita: "Le defaillances della politica e le minacce più o meno reali al fondamentalismo religioso fanno crescere la diffidenza verso la richiesta di integrazione avanzata da chi viene a lavorare dalla riva su del Mediterraneo...". Peccato che il testo originale sia un altro:"Le defaillances della politica e le minacce più o meno reali del fondamentalismo religioso fanno crescere la diffidenza verso la richiesta di integrazione avanzata da chi viene a lavorare dalla riva su del Mediterraneo". Il significato ne esce completamente stravolto e lo stesso autore ha provveduto a mandare una foto del testo originale a Radio 24, alla quale un ascoltatore aveva segnalato l'errore.

L'intraprendente - Il quotidiano on line nell'articolo di Gianluca Veneziani, riprende la svista del cambio di preposizione articolata 'al' con quella di luogo 'del'. Un errore sostanziale che cambia le parti in gioco. Secondo quest'ultima versione contorta, ad essere minacciato infatti è il fondamentalismo religioso che diventa la vittima, subendo le intimidazioni. Per Veneziani: "Dietro quell'errore grammaticale, dietro quell'uso improprio del linguaggio o più probabilmente dietro il pressappochismo sconcertante dei funzionari ministeriali, si cela tutto un orizzonte culturale e geopolitico". Nel passo di Frascani si evince che "la colpa di questa 'diffidenza' verso i migranti sia delle 'élite modernizzanti' d’Italia che non sono state capaci a eliminare del tutto il retaggio delle separazioni e delle paure che ci avevano allontanato dalle coste del nostro Paese; anzi hanno contribuito a creare l’immagine di un mare che, anziché unire, erige nuove barriere tra la nostra e le altre sponde". Secondo l’autore, le responsabilità di questa cesura e di questa contraddizione sarebbero, delle classi politiche italiane e, più in generale, occidentali, restie ad accogliere i disperati del sud del mondo e a farci mettere "in sintonia con le lotte per la decolonizzazione del mondo islamico". In conclusione per il Miur e per Frascani, è sparita la capacità di solidarizzare con il mondo islamico approdato in Europa, di comprendere le sue richieste e di non avere la forza di difendere le convinzioni religiose radicate.

Compagnie, sale vip, business class La Top 10 mondiale dei cieli

La classifica dei cieli: le migliori 10 compagnie del mondo




C'è Etihad, ma non Alitalia. Nella classifica realizzata ogni anno dalla società inglese Skytrax e presentata all'Airshow di Le Bourget a Parigi, la compagnia di bandiera italiana non compare tra le dieci migliori al mondo. Ma la sua alleata emiratina Etihad è al sesto posto. Davanti a tutti c'è un altro vettore del Golfo, la Qatar Airways, che prende il testimone da Cathay Pacific votata prima nel 2014 e slittata nel 2015 al terzo. Al secondo c'è Singapore Airlines mentre il lotto delle migliori 10 è completato da Turkish Airlines (4a), Emirates (5a), All Nippon Airways (7a), Garuda Indonesia (8a), Eva Air (9a) e Qantas Airways (10a). Tra le compagnie europee, per il quinto anno consecutivo, è stata eletta Turkish Airlines, premiata anche per la migliore business class lounge al mondo, quella di Istanbul. Emirates è stata premiata per il miglior sistema di intrattenimento a bordo, Garuda per il personale di cabina più efficiente ed elegante, Singapore Airlines per la migliore business class. Tra le low cost il titolo di "migliore al mondo" è andato per il settimo anni consecutivo alla malese Air Asia.