Grexit, l'analisi: perché il bazooka di Mario Draghi ha sparato a salve (e perché ora l'Italia rischia grosso)
di Leonardo Grilli
Anche Mario Draghi è stato travolto dalla crisi greca. Il quantitative easing della Bce, il piano di acquisti di titoli pubblici dei Paesi membri, aveva lo scopo di abbattere il costo del denaro e di rendere più agevole la concessione di prestiti, mutui e finanziamenti dalle banche. Far ripartire l’economia insomma, dare quella spinta decisiva per far uscire l’Europa dalla crisi economica. Ma così, se non in parte, non è stato. Secondo un’analisi de Il Sole 24 ore, da quando è partita l'iniezione di liquidità, il 9 marzo scorso, ad oggi, i rendimenti dei Btp tra i 2 e i 30 anni sono saliti tutti, indiscriminatamente. Il che vuol dire che dopo un crollo iniziale, il costo del denaro è tornato a salire. Non decisivo, ma certo rilevante, è stato il “Grexit”, ovvero l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro e, stando a quanto dichiarato ieri dalla stessa Banca centrale ellenica, anche dalla Ue. Eppure che il futuro potesse riservare questo scenario si sapeva, a voler proprio essere di manica stretta, già dall’anno scorso (lo spettro del default di Atene, infatti, si allunga da anni sul Vecchio Continente). E insomma, tornando alla manovra orchestrata da Draghi, il secondo scopo del Qe era proprio quello di annullare il rischio-Paese e il rischio-contagio. Altro fallimento. E dopo la Grecia il paese con il rapporto più alto fra debito e Pil è l'Italia. Avremmo potuto vivere per qualche anno un secondo Risorgimento, ma molto probabilmente non sarà così. Anzi.
Tanti soldi non bastano - La mossa di Draghi già a novembre scorso era stata definita da molti analisti come l’ultima spiaggia per evitare una crisi ancora più grave e un possibile effetto a catena che, con discrete probabilità, avrebbe portato a un disgregarsi dell’economia europea e dell’Europa stessa. Fin’ora la Bce ha acquistato circa 170 miliardi di titoli pubblici, principalmente titoli di Stato. Considerando che è partito da tre mesi, non sono certo spiccioli. Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ha inoltre ricordato che fino a settembre 2016 “gli acquisti Bce di titoli di stato italiani saranno dell’ordine di 150 miliardi, oltre 130 dei quali effettuati dalla Banca d’Italia, il resto dalla Bce”. Numeri altissimi anche per quanto riguarda il nostro Paese, ma il fatto resta lo stesso. Il Qe è appena iniziato e gli effetti dovrebbero quindi essere molto visibili: eppure i rendimenti e il costo del denaro stanno salendo invece di calare. Ma allora quali sono i motivi di questo tracollo?
Il perché del fallimento - Le cause sono molteplici e spesso strutturali. Alla base, già quando Draghi il 22 gennaio 2015 annunciò i dettagli del Qe, si sapeva che sarebbe andato incontro a dei problemi che risiedono alla radice della Comunità europea. Primo fra tutti una unione monetaria senza unione fiscale e politica, che porta spesso a delle strategie economiche profondamente diverse sa Paese a Paese, con tutte le conseguenze del caso. A questo c’è da aggiungerci la mancata mutualizzazione del debito, ovvero la condivisione del debito pubblico di diverse nazioni in modo da condividerne il rischio e abbassare la media dei rendimenti. I cosiddetti Eurobond, mai realizzati. Infine il Qe europeo è molto più rigido rispetto a quello, ad esempio, della Federal Reserve o della Bank of England. A tutto questo ci va aggiunta la crisi Greca. Anche in questo caso si sapeva che un paese in via di sviluppo dentro un’unione di Stati economicamente avanzati avrebbe creato problemi. Ma probabilmente c’era la speranza che si riuscisse a trovare un compromesso fra Governo ellenico e autorità europee. E così il Grexit, che ora sembra sempre più probabile, ha dato il colpo di grazia. Il Quantitative easing, insomma, ha solo diluito la crisi e il rischio di un contagio. Per quanto tempo, però, nessuno può prevederlo.
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