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martedì 3 giugno 2014

Canone più basso e spot solo su un canale. Ecco la rivoluzione Rai dei saggi di Renzi

Canone più basso e spot solo su un canale. Ecco la rivoluzione Rai dei saggi di Renzi



Una sola rete che raccolga la pubblicità; il servizio pubblico finanziato dal canone (ridimensionato), dagli spot e da un contributo dello stato; un ridimensionamento del Sic, il paniere delle risorse dei media. Questo in estrema sintesi il piano per rivoluzionare la Rai messo a punto da nove esperti chiamati da Renzi (gratuitamente) a preparare per il governo un documento che verrà reso pubblico entro l'estatee poi sottoposto al dibattito.

I nove saggi, che da tempo si riuniscono in gran segreto nell'ufficio del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, si sono dati come obiettivo di cambiare la legge Gasparri sulla tv e a cascata i destini di Viale Mazzini ed ora sembra che un primo documento, anticipato nei suoi contenuti da Repubblica, sia pronto. Il gruppo - formato dal giurista Fabio Bassan, da Antonio Sassano (ingegnere, docente a Tor Vergata); da Matteo Maggiore (ex Bbc, ora all'Ocse), Francesco Siliato (Sole24ore); gli ex consiglieri Rai Stefano Balassone e Carlo Rognoni; Stefano Cuppi consulente per il digitale terrestre; un dirigente dell'Agcom, un giornalista di Rai International - immaginano una svolta che avvicini l'Italia alla Francia, all'Inghilterra, alla Spagna. Premono perché nessuna rete pubblica ospiti spot con la sola eccezione di RaiUno. Oggi la legge Gasparri autorizza i canali statali a raccogliere inserzioni per il 12% di ogni ora. Nel nuovo regime RaiUno, secondo Repubblica, potrebbe spingersi al 18% proprio perché unica ad avere pubblicità.

Come farà la Rai a sopravvivere senza spot? I saggi sostengono che basterà il canone, che il governo Renzi si appresta a modificare collegandolo alla spesa delle famiglie, all'evasione che sarà così ridimensionata, e da un contributo che lo Stato garantirà ogni anno alla sua televisione, un contributo diretto alle attività di servizio pubblico come quello che si è imposto in Europa.

Passera: "Renzi ha comprato i voti. Rifaccio il centrodestra"

Passera: "Renzi ha comprato i voti. Rifaccio il centrodestra"




Corrado Passera, 59 anni, sta parlando con Libero quando arriva il «conto» dei primi mesi del governo Renzi: la Commissione europea chiede altri «sforzi» che non sembrano escludere ulteriori manovre già per l’anno in corso. L’ex numero uno di Banca Intesa, ex ministro di Mario Monti oggi impegnato nel lancio del movimento «Italia unica», non mostra stupore: «Tutto sommato l’Europa ci ha trattato bene, visto che abbiamo mandato a Bruxelles un Def dove continuano ad aumentare le spese correnti dello Stato, dove gli investimenti continuano a diminuire e dove le riforme strutturali si annunciano soltanto. Gli otto richiami sono comunque un monito forte».


Passo indietro. Il colloquio con Passera partiva dal dibattito lanciato da questo quotidiano sulla condizione del centrodestra italiano, bastonato dal voto delle Europee. Del futuro politico dell’ex ad di Poste (nominato dal governo Prodi con Ciampi al Tesoro) si ragiona da quando ruppe, alla fine dell’esecutivo Monti, col Professore. Si parte da lì per capire i passi che intende muovere e si arriva a parlare del successo elettorale di Renzi: "È stata una campagna elettorale di acquisto voti: gli 80 euro - che non sono 80 - hanno sicuramente convinto molti a votare Renzi. Ma la ragione principale del successo è stata un’altra: Renzi ha sostanzialmente giocato a porta vuota per mesi. E questo spiega perché metà degli italiani non ha votato, o ha votato scheda bianca o nulla. Non si ritrovano nelle offerte politiche disponibili. Il 40% del Pd va letto come il 20% degli elettori: in valore assoluto, un milione di voti in meno di quando Veltroni raggiunse il record del 33%», dice Passera.

La Commissione Ue boccia l'Italia: "Servono misure aggiuntive"

La Commissione Ue boccia l'Italia: "Servono misure aggiuntive"




Arrivano le pagelle dell'Unione europea, l'attesissima lettera all'Italia. Bastone e carota. Ma soprattutto bastone. "L'Italia deve fare di più". Ossia l'Italia deve pagare. Ossia, manovra in vista, anche perché - come si spiega nel resto dell'articolo - al pari di "Slovenia e Croazia" siamo osservati speciali. Partiamo però dalla buona notizia, ossia la possibilità di avere più tempo per raggiungere il pareggio strutturale dei conti pubblici in vista di una riduzione del debito pubblico. Scongiurato il "no" di Bruxelles, dunque. Dalla bozza delle raccomandazioni per Roma, approvate dal Collegio dei commissari, è stata levata durante la trattativa notturna la frase con cui si chiudeva alla richiesta italiana di una deviazione del percorso concordato per l'aggiustamento dei conti pubblici. Dunque, il pareggio strutturale è stato rimandato di un anno, al 2016.

Manovra in vista - A fronte di questa apertura, però, ecco il bastone, che picchia giù duro, ossia la richiesta di "misure aggiuntive" per rispettare gli impegni. Italia, in buona sostanza, rimandata a settembre, o meglio all'autunno, quando verranno definiti in profondità gli obiettivi per i conti pubblici. Scrive la Commissione Ue: "In base alla valutazione del programma e delle previsioni della Commissione, il Consiglio è dell'opinione che servono sforzi aggiuntivi, anche nel 2014, per rispettare i requisiti del Patto di stabilità". E quando si parla di "misure aggiuntive", come detto, il timore è che l'Europa, come da indiscrezioni di stampa delle ultime ore, ci imponga una nuova manovra. Una pagella, in definitiva, piena di ombre per il Belpaese e per il governo Renzi.

Quei 9 miliardi... - La richiesta di rinforzare le misure di bilancio per il 2014 arriva alla luce del gap che è emerso "nei confronti degli obiettivi di riduzione del debito". Nel dettaglio, per la Commissione, vanno corretti gli obiettivi di equilibrio, ossia 0,6 punti di Pil, pari a 9 miliardi di euro: una cifra sinistramente simile a quella impiegata da Renzi per i suoi "mitici 80 euro". In estrema sintesi, per le autorità continentali, l'Italia è lontana dai traguardi, e deve correggere la rotta. Resta il fatto che l'Italia deve raggiungere il pareggio di bilancio: in altre parole il deficit strutturale - al netto di congiuntura e una tantum - non deve superare lo 0,5% del Pil. La commissione, però stima che il Belpaese sia oltre l'1%, e che la frenata debba essere dello 0,7% del Pil, al posto dello 0,1% previsto a Roma (da cui, con un semplice calcolo, si arriva a quello 0,6% che equivale a 9 miliardi). Il tutto deve avvenire mantenendo il deficit sotto il 3% del Pil, obiettivo raggiungibile: per Bruxelles nel 2014 saremo al 2,6 per cento. Lo 0,4% che balla, in questo caso, potrebbe essere utilizzato per trattare ulteriori spese pro-cescita.

Barroso avverte... - Presentando il rapporto europeo, il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha spiegato: "Le nostre priorità sono crescita e la creazione di posti di lavoro. E' questo - ha aggiunto - che i cittadini si aspettano da noi, è questa la sfida che ci attende l'anno prossimo". Barroso ha poi specificato che non bisogna tuttavia vanificare gli sforzi sul consolidamento fiscale, poiché "occorrerà un ulteriore sforzo per far uscire definitivamente l'Europa dalla crisi". Tra le raccomandazioni scritte nella lettera, si legge che l'Italia deve "trasferire ulteriormente il carico fiscale dai fattori produttivi ai consumi, ai beni immobili e all'ambiente, nel rispetto degli obiettivi di bilancio". Quindi il vicepresidente dell'Ue, Olli Rehn, ha lanciato un ulteriore avviso, spiegando che per ora non verrà aperta una procedura per debito eccessivo nei confronti del Belpaese. Ma l'Italia, insieme a Slovenia e Croazia, è stata individuata tra i Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi. Dunque Roma verrà strettamente monitorata sull'attenzione delle riforme avviate e di quelle raccomandate dalla Commissione.

Sistema bancario - Tra le indicazioni della Commissione, quella di "garantire una migliore gestione dei fondi Ue con un’azione risoluta di miglioramento della capacità di amministrazione, della trasparenza, della valutazione e del controllo di qualità a livello regionale specialmente nelle Regioni del Mezzogiorno". Il rapporto continua invitando a rafforzare il sistema bancario, "garantendone di gestire e liquidare le attività deteriorate per rinvigorire l'erogazione di prestiti all'economia reale; promuovere l'accesso delle imprese, soprattutto di quelle di piccole e medie dimensioni, ai finanziamenti non bancari; continuare a promuovere e monitorare pratiche efficienti di governo societario in tutto il settore bancario, con particolare attenzione alle grandi banche cooperative (banche popolari) e alle fondazioni, al fine di migliorare l'efficacia dall'intermediazione finanziaria".

Crediti, imprese, evasione- Infine Bruxelles torna a puntare il dito sulla trasparenza del mercato creditizio, sulla necessità di riequilibrare il carico fiscale sul lavoro (avviata), sul gravoso problema occupazionale da contenere (con il cosiddetto Jobs Act), sull'apertura incompleta dei mercati dei servizi (in particolar modo della pubblica amministrazione). Richiami poi sulla giustizia civile, ancora lenta e in grado di scoraggiare gli investimenti, sulla lotta all'evasione ancora insufficiente, sul sistema scolastico che richiede una cura maggiore, sulle reti da sviluppare e sull'autorità dei Trasporti, che deve essere realmente promossa. Una serie di osservazioni, dunque, che ricalcano quelle dello scorso anno.

Giovanni Toti: "No alle primarie, servono ai vecchi potentati"

Giovanni Toti: "No alle primarie, servono ai vecchi potentati"



Nella Forza Italia delle polemiche dice la sua Giovanni Toti, il consigliere politico, considerato l'uomo di assoluta fiducia del leader, di Silvio Berlusconi. Proprio come Raffaele Fitto sabato, dice la sua in un'intervista al Corriere della Sera. Al centro della discussione le primarie, chieste a gran voce dall'ex governatore pugliese e respinte dal Cavaliere. Toti premette: "Non devono venire a dire a me se serve o no il cambiamento in Forza Italia. Io ho lasciato il mio lavoro e mi sono messo in gioco perché credevo nella necessità di fare entrare aria nuova nel partito". Aria nuova, dunque, ma non con le primarie, che sono "una scelta sbagliata, non servono a far emergere il nuovo ma a scongelare il vecchio facendolo passare per nuovo". Secondo l'ex direttore di Studio Aperto e del Tg4, "farle oggi significherebbe aprire un braccio di ferro tra macchine organizzative di vecchi potentati e dirigenti, amministratori, nuovi volti che pur avendo grandi capacità, in questo quadro verrebbero spiazzati e marginalizzati". Frasi, quelle di Toti, che lo identificano sempre più come il "rivale" di Fitto, un'etichetta che però il consigliere politico respinge.

Idee e alleanze - Toti snocciola poi la sua ricetta: serve "un percorso in più tappe, graduale, equilibrato, che non preveda l'accetta, e tantomeno la gazzarra che sta venendo fuori". Secondo Toti "anche i congressi, da soli e con vecchie logiche, non servirebbero. Ma se accompagnati da assemblee aperte sul territorio, da luoghi dove chi vale possa esprimersi e mettersi in luce, da momenti di incontro e crescita, possono contribuire a creare quel rinnovamento di cui abbiamo bisogno". A Fitto, poi riserva una stoccata: "Certo ricordo che si oppose alle primarie quando Alfano le chiedeva, fu lui a chiedere che Berlusconi prendesse nelle sue mani tutti i poteri, fu lui a pretendere gli organi statuari...". E quando a Toti viene chiesto se il problema di Forza Italia sia proprio il Cavaliere, risponde secco: "Tenderei decisamente a escluderlo... Berlusconi non è un tappo ai contributi che vengono dal basso. E' lui che chiede di rinnovare, è lui che vuole puntare sul nuovo". Infine una battuta sulle alleanze, dopo le nuove aperture arrivate da Angelino Alfano, che però - come ha spiegato al direttore di Libero, Maurizio Belpietro - non ha intenzione di uscire dal governo Renzi. "Chiaro che per noi - spiega Toti - è più semplice e diretto stabilire un rapporto con Lega e Fratelli d'Italia che sono all'opposizione, ma con l'Ncd si può procedere anche a piccoli passi".

Il Latitante Matacena scrive alla moglie in carcere: "So che non mi hai tradito, ma resto a Dubai"

Il Latitante Matacena scrive alla moglie in carcere: "So che non mi hai tradito, ma resto a Dubai"



Non ha nessuna intenzione di tornare in Italia. Resta latitante a Dubai Amedeo Matacena e da lì scrive un'appassionata lettera d'amore a Chiara Rizzo sua moglie chiusa dal 20 maggio nel carcere di Reggio Calabria. Raggiunto al telefono da Fabrizio Caccia l'ex deputato di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dice chiaramente al Corriere di non credere alle storie sul tradimento della moglie uscite in questi giorni: "So che non mi ha mai tradito, né con Scajola né con Bellavista Caltagirone né con altri". "Le ho scritto che lei è una donna magnifica e sebbene provi rancore nei miei confronti e per questo ha chiesto il divorzio, perché all’improvviso un anno fa la lasciai sola con i nostri due figli per rifugiarmi a Dubai, io prego ogni giorno che cessi la sua sofferenza patita per colpa mia e non cambi mai la sua anima, così testuale le ho scritto, perché questo no, non me lo potrei mai perdonare", spiega Matacena. Che ribatte anche colpo su colpo a tutte le accuse che sono piovute addosso alla sua famiglia. "Io vicino alla 'ndrangheta? Allora mi dovete spiegare perché fino a quando avevo 20 anni la mia famiglia pagava 68 milioni di lire al mese più Iva per stipendiare quattro guardie del corpo armate, due per me e due per mio fratello, al fine di scongiurare il rischio sequestri a Reggio Calabria. E nel ‘95, non l’ho mai rivelato finora, anche Chiara sfuggì per un soffio a un tentativo di rapimento: fu ritrovata sul letto, chiusa con le mani legate dentro a un sacco di juta: i carabinieri scrissero nel verbale che lei si era legata e chiusa nel sacco da sola. Questa è la verità".

Matacena sa che tutta la sua famiglia ce l'ha con lui per via della latitanza: "Mi consegnerò alla giustizia italiana solo se la Cassazione eppoi la Corte Europea di Strasburgo dovessero respingere in via definitiva i miei ricorsi contro la condanna passata in giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa. Allora sì, mi arrenderò e accetterò il carcere, ma solo perché l’ho promesso a mia moglie, perché spero così di poter riunire un giorno la mia famiglia".

Alitalia, fregatura dagli Emiri. Con Ethiad addio ai voli low cost. Nuove tratte, e Malpensa... Ecco tutte le novità in arrivo

Alitalia, come cambiano le tratte e le tariffe con l'ingresso di Etihad



Gli effetti dell'ingresso della compagnia araba Etihad nel capitale di Alitalia saranno rivoluzionari. Un totale cambio di paradigma per il traffico aereo, soprattutto per quello intercontinentale. Fiumicino diventerà lo snodo principale per i voli verso Stati Uniti e Sud America. Inoltre si concentreranno su Roma passeggeri provenienti dall'hub di Abu Dabi oltre che quelli delle compagnie partecipate (Air Berlin, Darwin, Air Serbia, Aer Lingus). Secondo quanto anticipa Repubblica aumenteranno i viaggi a lungo raggio dagli attuali 85 a ben oltre i 100 a settimana.

Libero monopolio - Più voli e più scelta, di solito, si traducono in più concorrenza e quindi prezzi dei biglietti più bassi. O almeno così è stato grazie alle compagnie low cost come Easyjet e Ryanair, soprattutto a Milano con Malpensa e a Bergamo con Orio al Serio. Le tariffe, per i voli che sfruttano questi scali sono rimaste calmierate negli ultimi anni. Ma ora la musica potrebbe cambiare. Infatti gli emiri tra le condizioni poste avrebbero avanzato quella di una limitazione del libero mercato, e hanno chiesto al governo italiano un intervento per limitare la concorrenza delle low cost, per esempio riducendo l'avvio di nuove tratte. L'obiettivo (non dichiarato) è quello di permettere così da Linate - base scelta da Etihad - di alzare a proprio piacimento i prezzi per voli domestici ed europei da parte delle compagnie della galassia araba (tra cui, appunto, Alitalia).

La crisi - A questa situazione va aggiunta la crisi nera delle compagnie a basso costo italiane: Meridiana fatica a volare, Windjet è fallita da tempo, Air Dolomiti fa da spalla a Lufthansa per i collegamenti con la Germania. A Etihad, dunque, non mancheranno anche gli "aiutini" di stato, camuffati da rifinanziamento del fondo volo per garantire ammortizzatori sociali ai nuovi esuberi del baraccone Alitalia.

I dubbi - Il rischio, dunque, è che Etihad con la complicità dello Stato riesca a monopolizzare le tratte a medio raggio per l'Europa (proprio quelle più sfruttate dalle compagnie low-cost). Il medesimo rischio lo corrono le tratte domestiche: già in passato erano stati imposti prezzi troppo elevati. L'antitrust, dunque, vigilerà (ammesso che il governo non garantisca alla compagnia di bandiera una moratoria simile e quella del 2008).

La rivoluzione - Rispetto ad Air France - l'altro vettore che era in corsa per l'ingresso in Alitalia - con Etihad cambiano radicalmente anche le nuove prospettive della compagnia di bandiera. I francesi puntavano su una trasformazione di Alitalia che scommettesse sul mercato Italiano e su Parigi ed Amsterdam (dagli questi due scali sarebbero partiti i voli intercontinentali della compagnia transalpina e di Klm). Ora, però, cambia tutto: gli emiri puntano sul rafforzamento della flotta di Alitalia con parte dei 140 jet a lungo raggio ordinati a Boeing ed Airbus, per una spesa complessiva di quasi 100 miliardi. Dunque, con gli emiri, l'Italia e Alitalia scommetteranno sul mercato internazionale.

Rischio Malpensa - Lo snodo principale, come detto, dovrebbe essere Fiumicino, dal quale decolleranno i voli per Nord e Sud America E' poi previsto un aumento delle destinazioni a lungo raggio, da 85 a oltre 100 alla settimana. Per contrappasso, un altro punto critico è quello che riguarderà Malpensa, l'aeroporto milanese per il quale 15 anni fa per l'ammodernamento è stato speso 1 miliardo di soldi pubblici. Etihad punterà su Linate, ed il rischio è quello di marginalizzare Malpensa, dove stando alle previsioni i voli intercontinentali passeranno da 11 a 25 alla settimana, cargo compresi.

lunedì 2 giugno 2014

Ospedale di Caserta - Non sanno vivere un giorno senza vergogna: ora lucrano anche sulle razioni alimentari dei pazienti. Ridotte le calorie, perequati i pasti nei vari reparti. Inaccettabile e pericoloso

Ospedale di Caserta -  Non sanno vivere un giorno senza vergogna: ora lucrano anche sulle razioni alimentari dei pazienti. Ridotte le calorie, perequati i pasti nei vari reparti. Inaccettabile e pericoloso


di Gianluigi Guarino 

Inchieste - CasertaCe c'è e indaga! il Notiziario sul web al fianco di CasertaCe.net

Nella foto da sinistra Antonietta Costantini
 e il Commissario straordinario Paolo Sarnelli

CASERTA – Sarebbe opportuno per una doverosa conoscenza di fatti che rivestono un’importanza fondamentale che i diversi papaveri che governano l’azienda ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, invece di distribuire moccoli contro CasertaCe,  sperando nel contempo, che la magistratura inquirente non abbia tutto il tempo per concentrarsi alla ricerca di riscontri su tutto quello che scriviamo da anni sulla gestione malsana del maggiore ospedale della provincia, si impegnassero a risponderci a tono, se, come dicono, loro non hanno nulla da nascondere.

Ad esempio, in questa storia, a nostro avviso di inaudita gravità, della mensa ospedaliera, cioè dell’alimentazione che viene propinata ai pazienti, molto più che opportuno sarebbe rendere pubblico e quindi rendere edotti anche i nostri occhi, molto avveduti e molto guardinghi, il contratto, con il quale, dopo che l’azienda aggiudicataria dell’appalto, cioè la EP è stata costretta da un tribunale a ridurre il suo introito dai 17 euro, che vi erano stati garantiti in un primo tempo, ai 12 euro di ora.

Quando CasertaCe si è interrogata, non senza irrorare un bel pò di costruttiva ironia, sul motivo per cui la EP aveva accettato senza batter ciglio la decurtazione, accontentandosi dei 12 euro, la stessa ditta, esprimendo un caso di scuola della proverbiale coda di paglia, si era affrettata a precisare che loro, poverini, sono costretti ad accettare lo stesso, nonostante la decurtazione, perchè se non lo facessero, perderebbero il requisito per partecipare ad altre gare simili in aziende pubbliche.

Noi che, nonostante tutto quello a cui assistiamo ogni giorno in questa terra, non cessiamo di essere fiduciosi nel genere umano, anche su quello che abita nel putrescente territorio che raccontiamo, c’eravamo anche bevuti questa giustificazione, salvo poi andare all’inseguimento delle nostre braccia cadute quando, dall’ospedale di Caserta, più di un autorevole voce ci ha fatto notare che molte cose sono cambiate, naturalmente in peggio, rispetto al servizio che la EP erogava negli anni scorsi, in vigenza del precedente contratto: si è abbassata  a quota media garantita di calorie, passando dalle 2mila e 400 precedenti alle 2mila e 100 attuali, evidentemente così come stabilisce il nuovo contratto, firmato, per l’ospedale, dall’onnipotente capo del provveditorato, Antonietta Costantini. E ancora: molto si è abbassato l’uso della diversificazione alimentare tra i vari reparti, come se un ammalato di tumore al colon potesse mangiare le stesse cose di un politraumatizzato. In diverse mattinate, il latte è arrivato scoperchiato, prima che questo problema, fortunatamente, fosse risolto.

Veniamo ai ticket pagati dal personale per l’utilizzo della mensa ospedaliera: si è passati dai 4 euro e 70 centesimi di prima ai 5 euro e 15 centesimi di adesso con un acconto secco di 45 centesimi. La bibita, che veniva data gratis dentro ai 4 euro e 70 ora costa da sola 1 euro e 20.

Tirate fuori il contratto perchè CasertaCe vuol farlo esaminare da un dietista ospedaliero indipendente, perchè anche questa volta le ragioni del vil danaro, le ragioni di rapporti sempre troppo opachi tra fornitori privati e burocrazie interne rischiano di prevalere sui diritti del malato, che, se non ci fossimo noi a Caserta, starebbero freschi con le associazioni dei consumatori e con quel loro ridicolo tribunale dei diritti, ormai silente da decenni.