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sabato 31 gennaio 2015

Pressing di Berlusconi su Alfano: "Angelino, non votare Mattarella"

Quirinale, pressing di Berlusconi su Alfano: 'Non votare Mattarella'





Silvio Berlusconi tentenna. È consapevole di essere finito in un cul de sac e vorrebbe trovare una scappatoia per uscire dall’impasse. La linea dura, decidendo di uscire dall’Aula domani al momento del quarto scrutinio, quello salvo sorprese definitivo, non è praticabile. Troppo alto il rischio di inimicarsì il nuovo presidente della Repubblica e portare tutto il partito a una posizione di estrema marginalità. Ma anche mantenere la linea della scheda bianca ha le sue insidie, prima fra tutte quella di veder eleggere al Colle Sergio Mattarella anche con i voti dei franchi tiratori azzurri e suggellare così la sconfitta su tutti i fronti, interni ed esterni.

Le telefonate - Il Cavaliere, viene spiegato, è combattuto sul da farsi, secondo alcuni fedelissimi, nel corso della giornata avrebbe anche preso in considerazione l’ipotesi di appoggiare Mattarella. Ma l’ala dura del partito, la stessa che ieri mattina a palazzo Grazioli lo ha convinto a non cedere all’aut aut di Renzi, insiste sul non cambiare di un millimetro le scelte fatte. E a poco è servito, se non a metterlo ancor di più di fronte a un bivio, il pressing di Angelino Alfano, dell’ala trattativista del partito, del pontiere Gianni Letta. Non posso, va ripetendo Berlusconi. Come faccio a tornare sui miei passi e accettare i diktat di Renzi? Ed è su questa linea che il Cav sta impostando la sua strategia. Secondo alcune indiscrezioni Berlusconi avrebbe chiamato più volte Angelino Alfano per convincerlo a non cedere alla tentazione di votare per Mattarella. Alfano doveva incontrare i parlamentari di Area Popolare questa sera alle 21. Ma proprio le telefonate del Cav lo hanno convinto a rinviare il vertice a domani mattina alle 8. Il Cav sarebbe in pressing su Alfano per evitare un "tradimento" da parte di Ncd. 

Quirinale, terzo scrutinio e terza fumata nera Le sorprese: chi cresce, chi scompare. Paura nel Pd

Quirinale, terzo scrutinio: fumata nera. Crescono Imposimato e Feltri. Scomparso Prodi





Nuova fumata nera alla terza votazione per il presidente della Repubblica. Lo spoglio di ieri ha dimostrato che è impossibile superare quota 673. Su Sergio Mattarella "auspico si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell'Italia". E' l'appello che Matteo Renzi rivolge ai partiti di maggioranza e opposizione sottolineando che "è una scelta che interpella tutti e non solo un partito". "Come deciso ieri con Silvio Berlusconi e approvato all'assemblea dei grandi elettori confermiamo che dalla quarta votazione Forza Italia voterà scheda bianca". E' quanto ribadiscono i capigruppo Fi Paolo Romani e Renato Brunetta. Intanto nel terzo scrutinio sono cresciuti i voti per Ferdinando Imposimato che va a quota 126. Crescono pure i consensi per Vittorio Feltri che va a quota 56. La Castellina invece va a quota 34, mentre Stefano Rodotà è a quota 23 al pari con Emma Bonino. Fuori dai giochi definitivamente Romano Prodi che non ha raccolto preferenze. Le schede bianche sono 514. 

venerdì 30 gennaio 2015

MOSCHEE, GELMINI: Legge regionale garanzia di sicurezza, bando del comune da riscrivere

MOSCHEE, GELMINI: Legge regionale garanzia di sicurezza, bando del comune da riscrivere 


di Gaetano Daniele 




"La legge sui luoghi di culto approvata in Regione fa tirare un sospiro di sollievo ai milanesi giustamente preoccupati per le ricadute del bando del Comune sulla sicurezza e sul decoro urbano. Così la Coordinatrice di Forza Italia, Maria Stella Gelmini al nostro blog "il Notiziario"

E nota: Del resto il bando della Giunta Pisapia era stato contestato pubblicamente anche dai Consiglieri di sinistra della Zona 8, che non vogliono una mega-moschea nel loro quartiere, così come dalle stesse associazioni islamiche che pur essendo sempre state coccolate da Pisapia non hanno esitato a criticare le decisioni del Comune. 

Magagne - Insomma la legge regionale fa emergere tutte le magagne del bando di Palazzo Marino, prima fra tutte la sua essenza ideologica e quindi ancora una volta la lontananza della Giunta arancione dalla realtà vissuta dai cittadini. La Giunta non ha mostrato di voler modificare questo bando neppure all'indomani della strage di Parigi, quando tutto il mondo si interrogava sulla necessità di rendere più stringenti le misure antiterrorismo e da più parti veniva il monito alla prudenza. Nei giorni seguenti l'attentato di Parigi - continua Gelmini - il ministro Alfano ha addirittura espulso due persone di religione islamica residenti nel Milanese, tra cui un frequentatore della moschea di viale Jenner. Ma niente: Pisapia ha detto chiaro e tondo che il bando non si tocca. 

Conclude - Forza Italia difende la libertà di culto ed in prima linea contro ogni comportamento razzista e contrario ai diritti sanciti dalla Costituzione. Detto questo non abbiamo paura di dire le cose come stanno: questo bando è assurdo e va riscritto, con criteri meno ideologici e più rispettosi del diritto alla sicurezza di chi vive a Milano."

Forza Italia, scatta la rivolta "Silvio, Renzi ti ha fregato e tu..."

Forza Italia, Silvio Berlusconi sotto processo per il Nazareno, attacchi da Fitto e Meloni





Silvio Berlusconi è furioso. La mossa di Matteo Renzi di imporrre un candidato come Sergio Mattarella ha spiazzato Forza Italia e soprattutto il Cavaliere. "Il patto del Nazareno non c'è più", ha detto Berlusconi incontrando i grandi elettori azzurri. L'ira del Cav ha dato fiato ai ribelli azzurri che con Fitto hanno attaccato il patto del Nazareno e le scelte di Berlusconi. Fitto va giù duro sul suo blog: "ri. “Se vogliamo fare una commedia, possiamo dire che va tutto bene in Forza Italia. Se invece vogliamo fare una cosa seria, occorre l’azzeramento totale nel partito e nei gruppi parlamentari”. La delusione tra i forzisti si fa sentire. E il Cav secondo alcune indiscrezioni avrrebbe detto: "Abbiamo ceduto su tutto – ripete l’ex premier - su legge elettorale, riforme, tutto o ora non incassiamo niente?". Anche Denis Verdini sarebbe rimasto colpito dalla mossa di Renzi.Una fonte di palazzo Grazioli, come racconta l'Huffingtonpost, spiega così la cruda verità: “Il Nazareno prevedeva al Colle uno scelto anche da Berlusconi. Ora Renzi lo mette lui. E con questa mossa Renzi dice a Berlusconi. Io ti tengo per le p…e, sono io che decido sulla salva Silvio e su quello che ti riguarda, quindi se vuoi il patto lo fai con me, non con uno al Colle. Altrimenti arrangiati”. 

Le critiche - E ad attaccare le scelte del Nazareno è anche Giorgia Meloni: "Berlusconi è stato sedotto ed abbandonato", ironizza la leader di Fdi. Poi la Meloni ha confessato che "ci spiace che Renzi lo abbia tradito nel momento più importante, dopo avergli svaligiato la cassaforte.Ora - dice ancora la presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale - sia lui che Forza Italia dovrebbero prendere atto di avere sbagliato tutto e ascoltare di più voci libere, come quella di Fratelli d’Italia e di qualcuno dei suoi.Noicontinuiamo all’opposizione di questo governo di incapaci e ci auguriamo di avere nuovi alleati nel farlo".

Ecco il "maxi-sconto" sui debiti fiscali: come pagare l'87% in meno a Equitalia

Equitalia, cartella esattoriale da 87 mila euro: il giudice applica la legge e la riduce a 11

di Francesco De Dominicis 



È la rottamazione degli studi di settore? Forse. Quegli odiosi meccanismi che, specie negli ultimi anni di crisi, hanno creato più di un problema alle partite Iva oltre che alle piccole e medie imprese, potrebbero finire in soffitta. A dare una spallata, ieri, allo strumento creato per accertare e determinare i redditi di imprese, lavoratori autonomi e professionisti è stata Rossella Orlandi: se un imprenditore ha motivi seri, certi e documentabili per non adeguarsi allo studio di settore non deve adeguarsi. Quello che ha detto il direttore dell’agenzia delle Entrate per certi versi non è una novità clamorosa: tuttavia se a parlare in questi termini è il numero uno del fisco italiano il quadro cambia drasticamente. Il messaggio «politico» è forte.

Addio studi di settore - Nel dettaglio, Orlandi ha spiegato che gli studi di settore «non sono uno strumento catastale, ma uno strumento di accertamento e nessuno è obbligato a pagare per reddito che non ha. Se siete convinti che i vostri dati siano corretti non adeguatevi». Più che un chiarimento (del quale non ci sarebbe bisogno), quello di «lady fisco» pare un invito: verificate bene i vostri conti e lasciate stare gli studi di settore. Se ci sarà una profonda riforma è presto per dirlo. In ogni caso, è evidente il tentativo di Orlandi di «umanizzare» l’amministrazione tributaria cercando di migliorare il dialogo tra Stato e cittadini. Obiettivo evidente anche quando il numero uno del fisco ha parlato della nuova dichiarazione dei redditi precompilata: «l’agenzia delle Entrate non ha mai fatto campagne terroristiche» sul nuovo 730. «Mi auguro che questa importante riforma - ha aggiunto- venga portata a fondo», ma «bisogna evitare contrapposizioni che non servono a questo Paese. Vorrei chiedere a tutti uno sforzo grande per provare a fare ognuno il massimo». Staremo a vedere.

La storia - Frattanto, altre buone notizie per i contribuenti sono arrivate da un tribunale, quello di Busto Arsizio in provincia di Varese. I magistrati lombardi, grazie all’azione dell’avvocato Pasquale Lacalandra, hanno dato semaforo verde a uno dei primi casi in Italia di «piani del consumatore» abbattendo un debito fiscale di una impiegata in cassa integrazione dell’87%, da 86mila euro a 11mila euro. La questione ruota attorno a una legge approvata nel 2012 sulla «composizione della crisi da indebitamento». Si tratta di norme poco conosciute che hanno di fatto introdotto nel nostro ordinamento il «fallimento» delle persone fisiche e dei piccoli imprenditori, vale a dire l’accertamento di situazioni di bilanci «familiari» in rosso, tecnicamente si parla di «squilibrio economico tra i pagamenti da effettuare e il patrimonio del debitore». Un po’ quel che accade quando un’azienda alza bandiera bianca e si avvia una procedura concorsuale.  Come funziona? «Le procedure - spiega l’avvocato Lacalandra - riguardano i debitori non soggetti al fallimento (piccoli imprenditori, professionisti, privati in genere, ecc.)». E quali sono i vantaggi? «Il procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento - dice l’avvocato - permette di rivolgersi al tribunale con una proposta che, se accolta, diventerà vincolante per i creditori, anche se non si prevede il pagamento integrale di tutti i debiti». Nel caso deciso dalle toghe di Busto Arsizio è stata data una sforbiciata a una cartella esattoriale di Equitalia. Con un taglio dell’87% che è quasi da incorniciare.

giovedì 29 gennaio 2015

Renzi vuole chiudere con Mattarella ma sul Colle è gelo col Cav

Quirinale, le condizioni di Berlusconi a Renzi





Dopo l'incontro con Matteo Renzi a palazzo Chigi, Silvio Berlusconi ha incontrato i grandi elettori di Forza Italia per fare il punto sull'elezione del Capo dello Stato. Il Cav parlando davanti agli azzurri ha affermato: "Con Renzi non abbiamo ancora individuato un nome, ma andiamo avanti nel confronto. Abbiamo avuto la sfortuna di avere sempre presidenti della Repubblica a noi contrari e che hanno ostacolato la nostra azione politica e la nostra rivoluzione liberale...". Silvio Berlusconi parla ai ’grandi elettorì di Fi in vista della partita del Colle, subito dopo l’incontro con Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Il Cav torna a lamentarsi del fatto che gli ultimi tre Capi di Stato sono stati di sinistra, lanciando un nuovo avvertimento al premier, alla vigilia del primo scrutinio per scegliere il successore di Giorgio Napolitano. Il leader azzurro, raccontano alcuni presenti, avrebbe sottolineato che il presidente della Repubblica può incidere in decisioni della Cassazione e "io ne so qualcosa...".

La mossa - Poi il Cav parla anche di una probabile candidatura da parte del Pd di Sergio Mattarella: "Hanno sempre nominato giudici costituzionali di sinistra che abrogavano le nostre leggi. Gli ultimi tre Capi di Stato sono stati a noi ostili". Silvio Berlusconi poi difende la scelta di votare a favore delle modifiche all’Italicum, premio di maggioranza alla lista compreso, ricordando e rivendicando di averlo voluto sin dal 1994, anno della sua discesa in campo. E aggiunge: "Sarebbe una follia, con questa nuova legge elettorale, presentarsi divisi e frazionati in tante sigle alle elezioni. Dobbiamo presentarci con una lista unica".

Quirinale, l'ultima carta di Renzi: far tradire ancora Alfano...

Quirinale, l'ultima carta di Renzi far tradire ancora Alfano





La trattativa per il Colle entra nel vivo. Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sono alla partita decisiva. L'incontro di oggi, come avrebbe detto il Cav ai suoi grandi elettori l'intesa sul nome non c'è. Di fatto Renzi avrebbe proposto a Berlusconi il nome di Sergio Mattarella, ma su questo candidato Berlusconi non potrebbe convergere con i voti di Forza Italia. Il Cav è stato chiaro: ""Hanno sempre nominato giudici costituzionali di sinistra che abrogavano le nostre leggi. Gli ultimi tre Capi di Stato sono stati a noi ostili". E Mattarella è proprio uno di quei giudici costituzionali che Silvio preferirebbe evitare in questa corsa al Colle. Così in questo momento l'opzione Mattarella non potrebbe passare perché mancherebbero i voti del Cav. Ed è in questo scenario che arrivano alcune indiscrezioni che parlano di contatti costanti tra Renzi e Alfano (l'ago della bilancia) per convincere il leader di Ncd a portare in odte al Pd i suoi voti proprio sul nome di Mattarella. 

Il tradimento - Ma in questo caso Alfano verrebbe meno al patto siglato col Cav qualche giorno fa che vedeva un'intesa tra Ncd e Forza Italia sulla scelta di un candidato che potesse rappresentare i moderati. Insomma se Alfano accettasse l'offerta di Renzi presterebbe il fianco ad un altro tradimento nei confronti del Cav. Una mossa che potrebbe inasprire i rapporti tra Silvio e Angelino proprio adesso che è cominciata la fase del disgelo. I giochi si apriranno domani con la prima votazione. Può succedere di tutto e non sono esclusi colpi di scena...

"Feltri al Colle". Matteo Salvini lo candida Ma Vittorio lo bastona: "Vuol dire che..."

Vittorio Feltri: "Io al Quirinale? La politica sta raschiando il fondo del barile"





La Lega Nord, per il Quirinale, ha fatto il nome di Vittorio Feltri. Un'ipotesi rilanciata anche dal leader, Matteo Salvini. Il fondatore di Libero, intervistato da Il Tempo, dice la sua sull'ipotesi quirinalizia. A modo suo, senza peli sulla lingua: "Vede, fa piacere essere citato, scelto da qualcuno, anche per il Quirinale. E' sempre meglio che farsi dare della testa di cazzo pubblicamente...". Dunque si chiede a Feltri se, per caso, non avrà da ridire anche su se stesso. Il direttore risponde: "Non si tratta di questo bensì di una constatazione diversa. Ed abbastanza evidente. Il fatto che sia uscito il mio nome dimostra a che punto siamo arrivati nel decadimento della nostra classe politica. Se mi rottamo da solo? Macché. Voglio dire che ormai si è arrivati a raschiare il fondo del barile".

In Lombardia sì alla legge anti moschee Gad Lerner sbrocca: "Leghisti trogloditi"

La Lombardia approva la legge anti moschee e Gad Lerner sbrocca: "Trogloditi"





La Regione Lombardia ha approvato la legge anti-moschee dando così uno schiaffo al sindaco di Milano Giuliano Pisapia che aveva indetto un bando per l'assegnazione di spazi in città, che avrebbe portato alla costruzione di almeno due moschee. Dopo una lunga giornata di discussioni e di cambiamenti dell'ultimo minuto, la normativa è passata coi voti favorevoli della maggioranza e con quelli contrari del Pd e dei Cinquestelle. In sostanza, con questa nuova legge si irrigidiscono le regole e i requisiti per costituire luoghi di culto. 

Ma questa norma ha già scatenato la polemica sui social network. Alessandro Gilioli, nel suo blog su l'Espresso dice che la Lombardia va contro la Costituzione e su Twitter scrive: "Meravigliosa la Lega che nella legge regionale anti-moschee impone il rispetto per il paesaggio lombardo", mentre Gad Lerner cinguetta: "Con l'approvazione della legge anti-moschee la regione Lombardia conferma di essere governata da trogloditi".

Corona bastonato: in cella 4 anni in più L'ex re dei paparazzi punito dalle toghe

Fabrizio Corona, la Cassazione: "No allo sconto di pena"





Niente sconto di pena per Fabrizio Corona. Viene revocata la decisione del gip del tribunale di Milano presa lo scorso 10 gennaio, quando applicando la "continuazione" dei reati per i quali l'ex fotografo era stato condannato il cumulo della pena totale era sceso da 13 anni e due mesi a 9 anni. La decisione è della Cassazione, che ha rinviato a un nuovo esame, davanti al gip del tribunale di Milano, il calcolo della pena totale che Corona deve scontare. Corona è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali.

La decisione - Nel dettaglio i giudici della Prima sezione penale hanno accolto in buona parte il ricorso del pm del tribunale di Milano contro lo sconto di pena applicato dal gip lo scorso febbraio. "Si annulla l'ordinanza impugnata - si legge nel dispositivo depositato in cancelleria - limitatamente al riconoscimento della continuazione tra i reati di estorsione e i restanti reati oggetto delle sentenze dell'8 marzo 2010 del gip del tribunale di Milano e del 7 giugno 2012 della Corte d'Appello di Milano, e si rinvia per nuovo esame al gip del tribunale di Milano. Si rigetta il ricorso di Corona Fabrizio che si condanna al pagamento delle spese processuali".

La richiesta - Corona, ad oggi, è recluso nel carcere milanese di opera da circa due anni. Nei giorni scorsi l'ex re dei paparazzi aveva chiesto al tribunale di Milano di poter scontare il resto della pena ai domiciliari o in una comunità quale quella di Don Mazzi. "Sto male, soffro di attacchi di panico", aveva detto Corona ai giudici, che hanno deciso di disporre una perizia psichiatrica per verificare lo stato di salute mentale del carcerato.

Renzi, la Boldrini e...la nipote: un favore che costa 40mila euro

Matteo Renzi paga 40mila euro per far contenta Laura Boldrini

di Franco Bechis



Per la presidentessa della Camera, Laura Boldrini, era diventata quasi una fissa: il linguaggio di genere. Lei non sopporta di essere declinata al maschile, e ritiene che insegnare i giusti modi declinando al femminile anche termini da sempre utilizzati al maschile sia esigenza di civiltà. A forza di insistere Matteo Renzi l’ha accontentata. E ha puntato sul sogno della Boldrini la bellezza di 40 mila euro. Anzi, per la precisione 39.900 euro non si sa se Iva compresa o meno. A stanziare la somma è stato il dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, guidato grazie a una delega data dallo stesso Renzi nell’autunno scorso, dalla parlamentare del Pd, Giovanna Martelli. Il 17 dicembre scorso ha destinato quella somma non piccola per una “ricerca relativa al linguaggio di genere, con l’obiettivo di approfondire la riflessione sulle relazioni reciproche fra cambiamento socio-culturale e l’evoluzione degli usi linguistici, quale efficace strumento della lotta alle diseguaglianze basate sul genere”.

Niente trattativa - Una ricerca per 40 mila euro è davvero pagata profumatamente. Se Palazzo Chigi avesse fatto una gara, probabilmente ci sarebbe stata la fila per vedersela assegnare. Ma gara non c’è stata, e a trattativa diretta è stata scelta per compilare il libro dei sogni della Boldrini la dottoressa Chiara Meta. Classe 1978, ex insegnante di liceo, ricercatrice di scienze dell’educazione all’Università di Roma Tre, la brava prof non è proprio uno di quei nomi indiscutibili del mondo accademico italiano. Ha pubblicato numerosi saggi su Antonio Gramsci (che con la parità di genere linguistica ci azzecca assai poco) e per Aracne editrice ha dato alle stampe un lavoro che si avvicina un pizzico di più alla materia: “Neofemminismo e legislazione del lavoro negli anni Settanta”. Poco conosciuta nel mondo accademico, la fortunata Meta che ha fatto bingo con quella commessa da 40 mila euro, è invece meglio conosciuta nel vasto mondo del Partito democratico. Anche grazie alla parentela con uno dei leader del Pd laziale: Michele Pompeo Meta, presidente della commissione trasporti della Camera.

mercoledì 28 gennaio 2015

Non aprite quella mail di "Equitalia" La truffa sul pc: così fregano i soldi

Equitalia, allarme false mail. L'agenzia: cestinatele





Occhio alle false mail di Equitalia. La truffa è dietro l'angolo. Messaggi con oggetto 'messaggio equitalia' o simili che circolano in queste ore e che richiedono ai possessori di carte di credito e carte di debito di "attualizzare i propri dati, preannunciando una possibile multa a chi non si adegua". Così arriva dall'agenzia di riscossione l'allarme per l'ultima truffa on line che, secondo le segnalazioni degli utenti, sta spopolando nelle ultime ore. 

La mail - Una truffa che segue lo schema classico del phishing, e cioè quel tipo di frode effettuata su internet attraverso cui si cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali (dati finanziari o codici di accesso) in modo fraudolento, spesso spacciandosi per banche o istituti finanziari, in modo da poterli poi usare per sottrarre denaro alle vittime. "equitalia è assolutamente estranea a questi messaggi potenzialmente pericolosi e invita i destinatari a non tenere conto della mail ricevuta", recita la nota diffusa dall'agenzia per avvertire gli utenti.

Fuoriusciti 5 stelle inseguiti e insultati dagli attivisti: "Venduti"

I fuoriusciti 5 stelle aggrediti e insultati: "Venduti, ridateci i nostri voti"





Sono stati scortati dalla polizia i parlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno lasciato il partito di grillo. I dieci fuoriusciti stavano raggiungendo la sede del Pd in Largo del Nazareno per partecipare alle consultazioni con Matteo Renzi in vista delle'elezione del nuovo capo dello Stato. Un gruppo di attivisti grillini li ha contestati duramente, al grido di "venduti", "ridateci i voti", "Siete senza l'anima". Ci sono stati spintoni e le forze dell'ordine hanno evitato il corpo a corpo. Particolarmente preso di mira Walter Rizzetto. Gli attivisti sono arrivati quasi alle mani col deputato accusandolo per la sua scelta di lasciare il Movimento, insieme ad altri nove parlamentari, alla vigilia del voto per il Colle. Rizzetto è stato costretto a rinunciare all'incontro e a tornare sui suoi passi, inseguito per diversi minuti dagli attivisti che hanno continuato a insultarlo e contestarlo.

Bechis: veleni e dossier sul Quirinale: così i candidati si fanno fuori a vicenda

Toto-Colle, il retroscena di Bechis: veleni e dossier nella corsa al Quirinale

di Franco Bechis 



A forza di fare circolare nomi di possibili «quirinabili», qualcuno dei favoriti deve essersi perso per strada. Forse non è tornato più a casa, e i familiari disperati lo stanno cercando. Deve essere per aiutarli che ieri intorno a Montecitorio è improvvisamente apparsa una troupe televisiva del celebre programma “Chi l’ha visto?”, condotto da Federica Sciarelli: «Giriamo un servizio per la puntata di venerdì», assicuravano i cameramen. Chi sia il candidato scomparso, non si sa. Ma nelle redazioni dei principali media una certa preoccupazione si nota: avendo raggiunto ormai quota 50 la lista dei «papabili», il vero rischio è che il prescelto sia il numero 51, un po’ come capitò al conclave quando nessuno o quasi nei borsini della vigilia aveva incluso il nome di Jorge Mario Bergoglio. Per non rischiare una figuraccia, probabilmente appariranno alla rinfusa nuovi nomi nei borsini dei prossimi giorni. A Palazzo a dire il vero non sono tanti quelli di cui si chiacchiera in queste ore. Non c’è timore di bruciare i nomi: ormai tutti o quasi sono stati fatti. Quel che si nota è invece il movimento di piccoli manipoli, quelli che un candidato del cuore ce l’hanno davvero, e fanno di tutto per farlo avanzare. Soprattutto cercano di bruciare gli avversari spargendo sale su ferite aperte da tempo. 

Il prescelto - Non pochi renziani vaticinano una scelta secca che il presidente del Consiglio Matteo Renzi farà sul nome del suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Non ci sono truppe però a fare campagna elettorale. I veri renziani aspettano solo un sospiro del Capo e poi diligentemente si adegueranno, spargendo tweet di miele e dichiarazioni colme di lodi per il prescelto. Padoan non ha tifosi, ma nemmeno troppi avversari. «Non può dirgli di no la minoranza Pd», spiegava ieri l’ex direttore de l’Unità, Giuseppe Caldarola, «perché lui era consulente di Massimo D’Alema nella Fondazione italiani-europei. E piace anche a chi guarda questa elezione dall’estero». Storceva la bocca invece Silvio Berlusconi, ma gli spifferi di palazzo dicono che avrebbe cambiato idea dopo che lo stesso Renzi gliene ha provato la fedeltà grazie al silenzio assoluto tenuto sulla vicenda del decreto fiscale del 24 dicembre scorso con quella normetta salva-Berlusconi che il ministro dell’Economia ha incassato con largo sorriso. 

Si stanno muovendo da giorni invece le truppe che portano i candidati ex democristiani: quelli che vorrebbero Sergio Mattarella, e quelli che tifano Pierluigi Castagnetti. Sono fra i più attivi nel contattare la stampa per il gioco del tiro al piattello: spargono notizie che sono proiettili pronti ad abbattere il candidato che in quel momento sembra in volo. Missili e scud sulla candidatura di Giuliano Amato, che ha non pochi estimatori in Forza Italia come dentro il Partito democratico (dove l’unico che storce veramente la bocca è proprio Matteo Renzi). 

Marco Travaglio è partito in tempo riunendo gli appunti di una vita professionale per «uccellare» il candidato. Bei colpi, che risvegliano i ricordi dell’opinione pubblica. Ma che a palazzo sembrano sortire l'effetto contrario. «Voterei Amato con gusto», confidava ieri il bersaniano Miguel Gotor un po’ scherzando, un po’ no, «solo per fare un dispetto al Fatto Quotidiano». Altri proiettili, questa volta pronti a puntare su Anna Finocchiaro, presidente della commissione affari costituzionali del Senato. Il suo nome appare spesso nelle rose ristrette di candidati: è una delle poche donne papabili, e si sa che sull’argomento il premier è assai sensibile. Con la gestione del pacchetto riforme, la Finocchiaro ha conquistato la simpatia e la stima del ministro Maria Elena Boschi, e anche questo argomento ha sicuramente presa su Renzi.  Ha tifosi di primo piano anche in Forza Italia: piace al capogruppo dei senatori, Paolo Romani che ha costruito in questi mesi un buon rapporto con lei, e ancora di più piace a Donato Bruno, che con lei ha fatto coppia istituzionale da molto tempo su alcuni dei provvedimenti più delicati e bipartisan. La Finocchiaro ha chance, dunque. E ecco spuntare immediatamente le noto foto di Chi con lei che usava la scorta per fare la spesa all’Ikea. Poco? Non basta? Ecco confezionato il dossier sui guai giudiziari del marito, Melchiorre Fidelbo: è a processo per truffa e abuso per un appalto di informatizzazione a Giarre, provincia di Catania. Atti giudiziari, deposizioni di testimoni piuttosto pesantine durante il processo, e foto di lui (che assomiglia a un Massimo D’Alema un pizzico più giovane) e lei sorridenti a corredo del dossier. E soprattutto: sentenza prevista per i primi di febbraio, proprio all’indomani della elezione del presidente della Repubblica.

Troppo riserbo - Tiro al piattello centrato. Ma truppe pro-Finocchiaro già ieri in azione, pronte a contattare giornalisti per fare filtrare notizie alternative. «Anna ha fatto un solo errore: il riserbo sulle sue vicende personali», confidava un amico ex parlamentare ieri, «e invece era meglio che si sapesse che lei e il marito sono separati di fatto da molto tempo. Lei non c’entra proprio nulla con gli affari che fa lui...». 

La Rai trema per le intercettazioni: da Baudo al complotto su Paragone

Rai, le intercettazioni che fanno tremare Viale Mazzini





"Quel produttore lì non ne ha mai azzeccata una, è uno che lavorava per motivi strettamente politici". A parlare, intercettato, è Pippo Baudo. E l'imprenditore a cui lo showman si riferisce è Pietro Di Lorenzo, patron della società Ldm comunicazioni, che nel 2012 denunciò la Rai sostenendo di aver subito una sorta di boicottaggio dopo essersi opposto al pagamento di alcune tangenti richieste da funzionari di viale Mazzini. Dall'altra parte del telefono c'è Chiara Galvagni, una delle iniziali indagate, che si sfoga con Baudo: "Sono incazzata come un bufalo!", si legge nelle intercettazioni pubblicate dal Tempo. "Non ho niente da difendere, non ho accuse di nessun genere se non insinuazioni e falsità già provate, sono incazzata con un'azienda che non difende un patrimonio che paga quotidianamente per far bene il suo lavoro". Baudo da parte sua le consiglia di reagire attaccando: "La cultura del sospetto è tremenda. (...) Poi questi due personaggi di cui parliamo sono veramente squallidi. (...) Quel produttore lì è un produttore che non ne ha mai azzeccata una, cioè è uno che lavora per motivi strettamente politici non per merito. (...) A me la cosa che mi meraviglia è quell'altro, il lungagnone, Paglia. (...) Lui pretendeva di essere e... consigliere, vice direttore Generale. E non lo hanno fatto. E la colpa è la tua? No. Perché ormai non lo filano per niente, lui per loro è un combattente caduto". Spiega De Lorenzo al Tempo: "Le parole di Baudo sono dovute a vecchie ruggini: noi abbiamo portato la lirica su Rai Uno, mentre lui non c'è mai riuscito. Poi quando è venuto nel mio ufficio a chiedermi di fare un programma con Ldm, nel periodo in cui non lavorava più, non l'ho preso. Quanto ai presunti "sponsor" politici, tutti i miei programmi sono stati chiusi quando Mauro Mazza era direttore di Rai Uno". Guido Paglia, ex responsabile Relazioni esterne della Rai, risponde piccato al "Pippo nazionale": "Mi ricordo ancora quando Baudo mi regalava cravatte di Battistoni, forse con la speranza che intercedessi per lui con Del Noce".

Paragone "epurato" - Nell'inchiesta per la quale la procura ha chiesto l'archiviazione spiegando al gip che "l'estrema omertà e la vischiosità che si respira in seno a tutti coloro che lavorano o hanno lavorato per il sistema radiotelevisivo, con speranza di farvi rientro, non ha consentito di trasformare questi meri sospetti in concreti elementi di prova", si trova anche il motivo per cui "fu epurato Gianluigi Paragone". Stando a quanto emerge dagli atti pubblicati dal Tempo, il giornalista sarebbe stato messo alle strette. In particolare, su richiesta di un vice direttore, avrebbe dovuto scrivere un programma musicale in appena tre giorni. Infatti, si legge nel verbale, "giova evidenziare che Gigi Paragone precisa all'agente (Lucio Presta) di aver avuto dei chiarimenti con (...) in merito al programma musicale che lui si è rifiutato di scrivere tenuto conto del poco tempo rimastogli, e quindi, ora teme delle ritorsioni da parte dell'azienda".

Il Senato approva l'italicum-bis La minoranza del Pd non vota

Il Senato approva l'italicum-bis





L’Aula del Senato ha approvato la nuova legge elettorale, l’Italicum-seconda versione: i senatori hanno votato con 184 sì, 66 contrari e 2 astenuti. Ora la legge elettorale torna alla Camera per il sì definitivo, che non dovrebbe incontrare grossi ostacoli considerata l’ampia maggioranza su cui può contare il governo a Montecitorio. Esultanza dei fedelissimi del premier: "Le Riforme avanzano. Italicum adesso alla Camera. Grazie @SenatoriPD #lavoltabuona" ha twittato Luca Lotti. E Maria Elena Boschi: "Sembrava impossibile qualche mese fa, eppure la legge elettorale è ok anche al Senato. È proprio #lavoltabuona". La minoranza dem non ha partecipato al voto, comportandosi di fatto come una forza politica a sè e fuori dalla maggioranza che sostiene il governo.

martedì 27 gennaio 2015

Silvio non incontrerà Renzi: le ragioni del colpo di scena

Quirinale, colpo di scena al Nazareno: Silvio Berlusconi non andrà alla consultazione con Matteo Renzi





Colpo di scena al Nazareno: Silvio Berlusconi non guiderà questa sera alle 19 la delegazione di Forza Italia che incontrerà nella sede romana del Pd il premier Matteo Renzi, in occasione delle consultazioni per il Quirinale. Lo riferiscono fonti azzurre, secondo cui il Cav avrebbe preso questa scelta dopo il vertice a palazzo Grazioli con i fedelissimi.

Le ragioni del no - Il Cavaliere, viene ancora spiegato, ha preferito non partecipare all'incontro di oggi perché si tratta di un primo incontro tra delegazioni per l'individuazione del candidato successore di Napolitano e, quindi, andranno i due capigruppo, Paolo Romani e Renato Brunetta, accompagnati da Giovanni Toti, Debora Bergamini e Mariastella Gelmini. Dietro la scelta, viene sottolineato, non vi è altra motivazione, anche se qualche indiscrezione maliziosa suggerisce che l'ex premier preferirebbe vedere Renzi da solo, per poter "fare il nome" del candidato al Colle senza sentirsi vincolato dai suoi. Fonti azzurre non escludono, infatti, che possa esserci un nuovo faccia a faccia tra Renzi e Berlusconi, anche se al momento non è stato fissato in agenda. Così come non è fissato in agenda l'incontro tra l'ex premier e Angelino Alfano, che comunque dovrebbe tenersi tra domani e venerdì. L'unico appuntamento certo per il Cavaliere, al momento, è l'assemblea dei "grandi elettori" di Forza Italia, in programma domani alle 16 a Montecitorio.

Ufficiale: anche Diego Della Valle scende in politica

Diego Della Valle in politica, c'è il simbolo del suo partito





"Marchionne vuole dare lezioni a noi italiani...". "Noi italiani non dobbiamo permettere a questi furbetti...". "Vanno a pagare le tasse in Inghilterra e vorrebbero dare a noi italiani...". E ancora: "La Costituzione appartiene a noi italiani"... "Il garante di noi italiani ...". Ora, se non è detto che tanti indizi facciano una prova, quando la prova spunta si pensa inevitabilmente ai tanti indizi. Chi li ha disseminati come pollicino negli ultimi mesi è Diego Della Valle, imprenditore della scarpa al quale ormai da anni piace intervenire attivamente nel dibattito politico. Tanto che, in un momento di particolare slancio, alcune settimane fa arrivò a dire di volersi presentare a napolitano con una lista di ministri per porre fine all'era Renzi. Lo scorso novembre, con una situazione politica in parte ormai stabilizzata, l’imprenditore si augurava: «Altri due anni così, e il Paese muore. Bisogna votare il prima possibile».

La cosa, poi, è morta lì. Almeno per ora. Ma il settimanale L'Espresso ha scovato all'Ufficio brevetti del ministero economico il simbolo del partito col quale Della Valle scenderebbe in politica: uno tondo giallo sgargiante (come certi suoi floulard, con bordino tricolore e al centro la scrritta grande, in blu, "Noi italiani"). Vedremo se lo "scarparo" fiorentino, fatta la nuova legge elettorale, deciderà davvero di scendere nell'agone politico la prossima volta che si voterà per le politiche, o farà come il suo amico Montezemolo, che tanto ha abbaiato decidendo poi di non mordere. Ma intanto, il simbolo ce l'ha.

Civati scrive a Renzi: "Candidiamo Prodi"

Civati scrive a Renzi: "Candidiamo Prodi"





Un salto temporale indietro di quasi due anni. Una macchina del tempo. Pippo Civati, ex amico di Matteo Renzi e oggi esponente-chiave della sinistra Pd, pare già aver assunto uno dei tratti fondamentali dei vecchi comunisti: la nostalgia per i tempi andati. Così, in una lettera al Pd a tre giorni dall'inizio delle votazioni per il nuovo capo dello Stato, rilancia la candidatura al Colle di Romano Prodi. "Partiamo da dove ci siamo fermati nel 2013, candidiamo Prodi" propone l’esponente della minoranza dem. Dovremo attenderci, nel caso, pure un bis dei "centouno"?

La Grecia dice addio all'Euro? Paghiamo noi: quanto ci costerebbe

Elezioni in Grecia, quanto è esposta l'Italia sul debito di Atene





Dopo la vittoria di Tsipras, occhi puntati sulla Grecia e le prossime mosse di Atene con Bruxelles e la Troika. A far tremare le cancellerie europee sono le richieste di rinegoziazione del debito avanzate da Tsipras in campagna elettorale e ribadite subito dopo la vittoria con un secco: "Diciamo addio alla Troika". Ma se Atene dovesse scegliere la via di un raccio di ferro con l'Europa chi ci perderebbe di più? L'Italia è esposta verso la Grecia per circa 40 miliardi di euro, se si considerano i prestiti bilaterali e le quote di partecipazione nel fondo salva-stati Esm, nella Bce e nell'Fmi. Lo calcola Bloomberg secondo cui, davanti al nostro Paese ci sono solo Germania (60 miliardi) e Francia (46 miliardi). I 322 miliardi di debiti della Grecia, secondo i dati del Ministero delle Finanze greco resi pubblici alla fine del terzo trimestre 2014, sono solo per il 17% in capo a soggetti privati. 

I calcoli - Il 62% è in capo ai governi dell'Eurozona, il 10% all'Fmi e l'8% alla Bce mentre il restante 3% è custodito nella Banca centrale greca. I governi dell'Eurozona, tra prestiti bilaterali concessi in occasione del primo salvataggio nel 2010 e fondi elargiti attraverso l'Esm, sono esposti complessivamente per 195 miliardi di euro. Inoltre hanno sostenuto la Grecia, in proporzione alle loro quote di partecipazione, anche attraverso la Bce, di cui l'Italia detiene il 12,3% del capitale e l'Fmi, di cui il nostro Paese è “socio” con il 3,2%. Alla fine, leggendo in trasparenza gli impegni, risulta che l'esposizione dell'Italia ammonta a circa 40 miliardi. Dietro il nostro Paese si colloca la Spagna con circa 26 miliardi, seguita dall'Olanda con circa 12 miliardi.

Il pm insulta Schettino: "E' un idiota" Per una volta la vittima è il capitano

Francesco Schettino, al processo Concordia il pm lo chiama "idiota": per una volta la vittima è Capitan Codardo

di Pietro Senaldi 



Esiste il reato di idiozia? No, altrimenti in Italia altro che affollamento carcerario. E allora perché il pm, nel chiedere 26 anni di carcere per Francesco Schettino, gli ha dato dell'idiota, ancorché incauto? Un insulto gratuito, che certo soddisfa la pancia dell'opinione pubblica ma che è del tutto irrilevante ai fini dell'accusa - anzi, al massimo è una scusante - e quindi resta una volgarità e basta. Un sopruso che rivela un'arroganza consueta, compiuto facendosi forti della condizione di inferiorità dell'imputato, che ha altro di cui preoccuparsi e non reagirà, anche perché la notte della Concordia ha dimostrato che non si distingue per il coraggio. Eppure, con un po' di dignità, il comandante forse potrebbe perfino querelare. Dopo tutte le cialtronate che Schettino ha detto per salvarsi la ghirba, ci mancava solo questa requisitoria rubata agli spaghetti western, che non si imbarazza a evocare Bud Spencer e Terence Hill quando afferma che forse Dio perdonerà Schettino ma la giustizia non può.

Renzi tra "Vietnam" e "sfiducia": cosa succederà dopo il Quirinale

Matteo Renzi tra Italicum, Quirinale e Nazareno. Cosa succede dopo l'elezione del presidente: lo scenario

di Claudio Brigliadori 



Sabato mattina, con ogni probabilità, il Parlamento eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. Lo pensano in tanti, e lo auspicano altrettanti. Matteo Renzi ha già annunciato che le prime tre votazioni saranno interlocutorie, con gli onorevoli del Pd che presenteranno scheda bianca. Altrettanto faranno quelli di Forza Italia, parola di Giovanni Toti. O almeno questi sono gli ordini di scuderia, per depotenziare eventuali imboscate dei "franchi tiratori" presenti sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. 

"Salta il Nazareno? Vietnam" - L'intenzione di Renzi è quella di trovare un nome che piaccia a tutto il Pd, o che comunque metta in condizione i "dissidenti" di non poter dire no. Il guaio è che non è così sicuro che quel nome vada bene anche a Silvio Berlusconi. Il Cav vuole blindare il patto del Nazareno, che sulla questione Quirinale prevederebbe un accordo su "un solo nome forte e credibile", che resterà coperto fino all'ultimo momento utile per non bruciarlo. Unico paletto posto ad Arcore: va bene anche un presidente di sinistra, "Basta che non ci sia ostile". Di più forse si saprà martedì sera, quando Berlusconi, forse Toti e i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani si recheranno al vertice con il premier Renzi per le consultazioni di rito. E "se dovesse saltare il Nazareno, il Parlamento si trasformerà in un Vietnam e Renzi andrà contro un muro", è il messaggio servito dagli azzurri. La partita è sfaccettata e complessa: c'è il Colle, sì, ma prima ancora c'è la legge elettorale il cui sì definitivo è atteso per martedì pomeriggio al Senato. Su questi temi Forza Italia appoggia Renzi, ma è pronta a fare ostruzionismo durissimo su tutto il resto nel caso ci scappi la (brutta) sorpresa sull'elezione del presidente. Se per ipotesi (inverosimile, per il momento) a determinare il nuovo presidente sarà una convergenza tra Pd e M5S, per esempio, gli azzurri lasceranno il Pd in balìa dei grillini. Effetto domino: anche Ncd, a quel punto, mollerebbe il governo e risulterebbe molto, molto complicato per Renzi restare a Palazzo Chigi, anche con eventuale rimpasto o nell'ipotesi di un Renzi-bis.  

Il Pd: rischio di sfiducia - Una parte del Pd, invece, il problema di una crisi di maggioranza lo porrà già da domani sera. Perché come detto al Senato arriverà il via libera definitivo all'Italicum e dopo settimane di violenti scontri interni e minacce di scissione, sembra altamente improbabile che i dem si ricompattino votando il testo del governo sulla riforma elettorale. Se come probabile i dissidenti voteranno l'emendamento Gotor entrando di fatto nell'opposizione insieme a M5S, Lega Nord, Sel e parte di Forza Italia, Renzi si troverà nella paradossale di essere sostenuto da una maggioranza trasversale e diversa da quella che gli ha votato la fiducia nel gennaio 2014. E a metterlo in guardia da questa ipotesi è stato Davide Zoggia, deputato del Pd: "Se l'Italicum al Senato passerà con una maggioranza diversa da quella del governo, garantita solo dai voti di Forza Italia perché una discreta parte dei senatori Pd non l'avrà votata, sarà necessario un passaggio parlamentare per verificare la maggioranza di governo". Verifica, dunque, con la possibilità di una sfiducia. Altro pane per i franchi tiratori di ogni colore.

Salerno, De Luca come De Magistris: condannato, sospeso, fa il sindaco

Salerno, De Luca come De Magistris: condannato, sospeso, fa ricorso al Tar e vince





Gigi De Magistris ha fatto scuola. Oggi anche Vincenzo De Luca, condannato e dunque sospeso dalla carica di sindaco di Salerno per via della legge Severino, ha presentato ricorso al Tar contro il provvedimento di sospensione dopo la condanna per abuso di ufficio nel processo per la costruzione di un termovalorizzatore che doveva sorgere nella periferia di Salerno. E i giudici amministrativi, come hanno fatto per De Magistris, hanno annullato la sospensione reintegrandolo sullo scranno più alto del Comune: De Luca è di nuovo sindaco di Salerno. 

La legge Severino - Nel ricorso, appunto, è stata sollevata una eccezione di incostituzionalità della legge Severino, chiedendo l’emanazione di un decreto monocratico nelle more dell udienza collegiale. I legali di De Luca puntano ad ottenere fra una decina di giorni la sospensione della disposizione della legge Severino. A firmare il decreto di sospensione di De Luca dalla carica di sindaco era stato nei giorni scorsi il vice prefetto di Salerno, Giovanni Cirillo, dopo la condanna a un anno di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici, con pena sospesa, emessa dal Tribunale di Salerno per abuso di ufficio.

Il tweet - "Il tar ha accolto il mio ricorso. Continuerò ad essere sindaco". È il post messo su facebook dal sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, non appena reintegrato nelle sue funzioni.

Le tappe della vicenda - Ecco le tappe della vicenda relativa alla sospensione del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, ora reintegrato nelle sue funzioni dal Tar. Il 21 gennaio erano stati i giudici del secondo collegio della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno a emettere a carico del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, la sentenza di condanna per abuso di ufficio a un anno di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici con pena sospesa. Il giorno dopo la cancelleria del Tribunale ha inviato il dispositivo di sentenza in prefettura per l’applicazione della legge Severino.  Il 23 gennaio il vice prefetto vicario, Giovanni Cirillo, ha firmato l’ordinanza che ha sospeso De Luca dalla carica di sindaco fino ad oggi, quando il Tar ha emesso un decreto monocratico che lo ha reintegrato nelle sue funzioni, in attesa di una udienza nel merito del ricorso, basato su presupposti di incostituzionalità della norma. Il processo in cui De Luca è stato condannato per abuso d’ufficio nasce da una vicenda del 2008, quando, da commissario delegato per la realizzazione di un impianto di trattamento finale dei rifiuti (decreto dell’allora premier Romano Prodi firmato il 16 gennaio di quell’anno), nomina project manager del progetto per il termovalorizzatore un componente del suo staff. Nomina irregolare per mancanza di requisiti, con una richiesta di rinvio a giudizio per il sindaco e altre due persone firmata ad aprile 2011 dall’allora procuratore di Salerno Franco Roberti, e prima udienza del processo l’8 novembre di quell’anno.

Bossetti, la voce dalla procura: clamoroso ribaltone su Yara e il Dna

Omicidio Yara Gambirasio, possibile svolta. Indiscrezione dalla Procura: "Il dna mitocondriale non è quello di Bossetti"





Possibile svolta nel caso di Yara Gambirasio: sul corpo della vittima non c'è traccia del Dna mitocondriale di Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso, con crudeltà, la 13enne di Brembate di Sopra. Emerge dalla relazione del consulente della procura in possesso dell'agenzia Adnkronos. Si è sempre parlato della traccia mista - Dna della vittima e di Ignoto 1 - trovata sugli slip di Yara come la prova regina contro il muratore 44enne, dopo che il corpo della ragazzina scomparsa il 26 novembre 2010 fu trovato in un campo di Chignolo d'Isola tre mesi dopo, ma la scienza sembra sconfessare se stessa. Pochi giorni fa era stato Claudio Salvagni, legale di Bossetti, a sostenere la stessa tesi in tv a Quarto grado. E ora l'avvocato torna alla carica: "Basta arrampicarsi sugli specchi: non c'è nessuna prova regina e Massimo Giuseppe Bossetti va scarcerato". Nei prossimi giorni l'avvocato presenterà una nuova istanza di scarcerazione.

"Il Dna non è quello di Bossetti" - Secondo la relazione in cui Carlo Previderè, ricercatore responsabile del laboratorio di genetica forense dell'Università di Pavia e chiamato dal pm di Bergamo Letizia Ruggeri ad analizzare la presenza di peli e capelli sul corpo della vittima, il Dna mitocondriale di Bossetti, estratto dal campione 31G20 della relazione del Ris (la traccia trovata sugli slip della vittima, ndr), non coinciderebbe con quello di "Ignoto 1". A Previderè spetta il compito di comparare i capelli e i peli trovati sul corpo della vittima con il Dna della vittima e con "Ignoto 1", il cui profilo del campione mitocondriale è reso disponibile dal Ris di Parma che a loro volta lo rilevano dalla relazione a firma del consulente Emiliano Giardina. 

La "svista" - Per risalire invece al profilo di Yara si chiede un campione di tessuto osseo dello spessore di circa due centimetri prelevato dal femore. Ma qui sorge la prima anomalia: il "semplice confronto di tali profili aplotipici consentì di realizzare immediatamente di essere in presenza di un unico profilo apolitico mitocondriale", scrive Previderè nella sua relazione e tale profilo "era certamente attribuibile alla vittima e non al soggetto definito Ignoto 1, come indicato nella relazione del consulente del pm, dottor Giardina". Un errore che vuol dire che il Dna di 532 persone, o meglio di 532 donne, non è stato confrontato con quello della persona sospettata di aver ucciso Yara ma con quello della vittima. Una svista, ma le anomalie non finiscono qui. 

Il giallo del Dna cellulare - La traccia trovata sugli slip della vittima mostra una traccia abbondante del Dna cellulare del4 4enne muratore, ma inspiegabilmente secondo i genetisti non contiene una quantità tale di Dna mitocondriale tanto che i Ris di Parma non sono stati in grado di dire, con certezza, se sul corpo della vittima ci fosse sangue, saliva o sperma di "Ignoto 1". Un risultato difficile da spiegare: il Dna cellulare, unico per ciascun individuo, contiene  al suo interno il Dna mitocondriale che caratterizza la "linea femminile" della discendenza. Non solo il Dna cellulare di Bossetti non coincide con quello mitocondriale, ma scientificamente risulta complicato giustificare una traccia abbondante di Dna cellulare e l'assenza di quello mitocondriale.

lunedì 26 gennaio 2015

Aereo greco si schianta su base Nato 10 morti in Spagna, coinvolti italiani

Spagna, F-16 greco si schianta contro base Nato: 10 morti e 13 feriti





Dieci persone sono morte e altre 13 sono rimaste ferite, tra cui 9 italiani, nello schianto di un caccia F-16 greco sulla base aerea della Nato a Los Llanos, nella Spagna centrale vicino ad Albacete. Lo ha reso noto il ministero della Difesa spagnolo, precisando che sette dei feriti sono in condizioni gravi. Il generale Francisco Javier García Arnáiz, capo di stato maggiore dell'aeronautica, si è subito recato alla base, sede di una scuola di addestramento della Nato. L'incidente sarebbe avvenuto in fase di decollo, quando durante una manovra di esercitazione l'aereo sarebbe andato fuori controllo schiantandosi sulla pista e colpendo alcuni velivoli parcheggiati. Fonti della Difesa hanno riferito che i piloti dell'F-16 sono fra i morti e che dei 13 feriti sette sono gravi, cinque sono in prognosi riservata e uno è stato dimesso. Nella zona sono intervenuti elicotteri di soccorso, ambulanze e vigili del fuoco.

Il naufragio, la fuga, i morti Per Schettino chiesti 26 anni

Per Schettino chiesti 26 anni di carcere





A conclusione della requisitoria durata ben tre giorni, ala procura della Repubblica di Grosseto ha chiesto 26 anni di carcere per il comandante della Costa Concordia, affondata all'isola del Giglio il 12 gennaio 2012. Nell'incidente, per il quale Schettino è l'unico imputato a processo, morirono 30 persone e altre decine rimasero ferite. Nove anni sono stati chiesti per il naufragio colposo, 14 per l'omicidio colposo e 3 per l'abbandono della nave. "Che Dio abbia pietà di Schettino perché noi non possiamo averne alcuna" aveva concluso la requisitoria il pm Stefano Pizza. I tre sostituti procuratori Maria Navarro, Alessandro Leopizzi e Stefano Pizza hanno parlato per 15 ore, hanno ricostruito le varie fasi del naufragio e le responsabilitá del comandante Francesco Schettino.

Quirinale, Renzi ha paura del Pd: "Scheda bianca per i primi tre voti"

Matteo Renzi: "Per il Colle il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni"





Matteo Renzi entra a gamba tesa sulla corsa al Colle. Il premier rompe il silenzio e fa sapere che il Pd "voterà scehda bianca ai primi tre scrutini". Di fatto Renzi vuole arrivare al quarto scrutinio quando basterà la maggioranza semplice per eleggere il Capo dello Stato. Una mossa quella del premier che di fatto forza i giochi e prova d imporre un suo candidato unico. Il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni. Lo ha annunciato il premier Matteo Renzi all’assemblea dei deputati alla Camera indicando il metodo per eleggere il Capo dello Stato. "Crediamo nel Pd, luogo di discussione", sono state le parole del segretario con cui ha aperto l’assemblea dei deputati . Chi non condivide il nome del candidato alla Presidenza della Repubblica "dovrà dirlo apertamente". I nomi dei candidati alla presidenza della Repubblica "non li facciamo perché poi decidano altri", ha precisato. Alle prime tre votazioni servono 672 voti su 1009. Mentre dalla quarta in poi ne serviranno solo 505: ovvero la maggioranza semplice.

La mossa - Di fatto in questo modo Renzi vuole tagliare fuori i candidati di bandiera per evitare la conta alle prime tre votazioni ed evitare figuracce dentro il partito. Così sale la temperatura dentro il Pd. La mossa di Renzi prova a stanare i dissidenti e il loro candidato che fa riferimento alla minoranza dem. Indicando al partito di votare scheda bianca chi non sarà d'accordo dovrà comunque indicare il nome del candidato permettendo ai renziani di contare chi dentro al Nazareno rema contro il candidato del premier. Insomma di fatto il presidente verrà eletto alla quarta votazione. Ma Renzi non si fida più del suo stesso partito. E questo è forse il punto su cui dovrebbe riflettere di più il premier. 

Renzi fa fuori la civatiana Lanzetta Via dal governo, ecco dove la spedisce

Renzi licenzia la civatiana Lanzetta (furiosa), e la regala alla Calabria





Quando ha ricevuto la telefonata del presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, che le spiegava: “Ho parlato con Matteo Renzi e mi ha dato il via libera. Ti ho inserita nella lista degli assessori della mia giunta”, Maria Carmela Lanzetta ha immediatamente realizzato di essere stata licenziata dal posto che attualmente occupa, da ministro degli affari regionali. Pur furiosa con il presidente del Consiglio che manco le aveva fatto una telefonata, non si è ribellata, e non se l’è presa con il povero Oliverio che le darà la poltorna da assessore per le riforme, la cultura e l’istruzione della Regione Calabria. Ma ha chiesto un faccia a faccia a Renzi. Un po’ umiliata in effetti la ministra licenziata si sente. Lei, da sempre legata a Pippo Civati, fu tirata da Renzi dentro il suo governo un po’ per cercare di portare a miti consigli l’ex compagno di rottamazione, un po’ per sbeffeggiare Civati: “vedi che se voglio porto via con nulla i tuoi?”. Civati ci restò male, e ne fece all’epoca una questione di educazione: “Matteo poteva almeno farmi una telefonata”, disse. Chissà se questo confino deciso in fretta e furia della ministra in Calabria non abbia ancora una volta le stesse ragioni: una vendetta di Renzi per il Civati che amoreggia con Nichi Vendola, visto che la Lanzetta era rimasta nella sua area politica. Di certo il premier libera una poltrona in un momento in cui può servire a mille giochi. Perchè anche quella poltroncina può avere il suo peso nella complicata partita per il Quirinale

Ecco perchè da noi Silvio e Renzi tifano per Tsipras: lo scenario...

Ecco perchè Renzi e Berlusconi tifano Tsipras





Di là dall'adriatico la faccia sorridente del leader della sinistra greca Alexis Tsipras. Di qua i volti tirati e stanchi dei vari Bersani, Cuperlo, Civati, vendola. Il paragone tra le fotografie delle due sinistre lo fa "Il giorno", accompagnadolo con un editoriale nel quale Andrea Cangini sottolinea come la nascita di un partito di sinistra "alla Tsipras" anche in Italia sarebbe ben lungi dal preoccupare i due manovratori del momento, Renzi e Berlusconi. E, anzi, sarebbe il motore per la nascita di un nuovo bipolarismo. Da una parte ci sarebbero, appunto, i Vendola cui la sinistra del Pd magari tramite l'intervento decisivo di D'Alema, passerebbe una bella fetta di voti. Dall'altra, "finalmente", il partito della Nazione. Renzi e Berlusconi, infatti, di fronte al ri-sorgere di una sinistra vera e forte, avrebbero l'alibi definitvo per dare vita a quel partito di centro-destra che al primo (Renzi) consentirebbe, spiega Cangini, di mantenere le redini del comando in Parlamento e al secondo (berlusconi) di vivacchiare ancora un po'. Senza più fraintendimenti o "patti del Nazereno " da tenere più o meno segreti, ma con un unico partito alla luce del sole. Che poi si chiami davvero "Della Nazione" a quel punto sarebbe solo una questione secondaria.

"Sei mesi, poi diremo addio all'Euro" Così la Grecia spara su Bruxelles

Il consigliere di Tsipras: "Sei mesi di tempo o addio all'Euro"





La Grecia si è svegliata sotto la bandiera rossa di Syriza. La sinistra di Tsipras ha vinto le elezioni e ora si gioca una partita delicata per ottenere la maggioranza assoluta fissata a 151 seggi per poter governare da sola. Ma Tsipras non dovrà fare i conti solo con i probabili alleati per un governo di coalizione, dovrà fare i conti anche con l'Europa che da ieri sera è in stato d'allerta per la vittoria del partito antiausterity di Tsipras. Pochi minuti dopo la comunicazione dei risultati del voto, la Bundesbank ha subito avvertito il premier in pectore greco: "Gli impegni vanno rispettati, solo così la Grecia potrà ottenere gli aiuti della Troika". Un messaggio chiaro che ha fatto subito lievitare il livello dello scontro. Tsipras ha risposto che quello di ieri sera è stato un voto "contro l'austerità" e che "la Troika è alle spalle, rappresenta il passato". Il prossimo 28 febbraio però scade il programma di aiuti ad Atene da parte della Troika e dunque Tsipras dovrà avere le idee chiare su come impostare la sua partita con Bruxelles e Francoforte. 

L'avvertimento - Ma il borsino ellenico fa segnare in ascesa le quotazioni di una politica anti-euro da parte del nuovo governo. Così il consigliere di Tsipras, Costas Lapvistas non usa mezzi termini in un'intervista al Corriere della Sera: "I soldi in arrivo servono solo a pagare gli interessi. Non ce li vogliono dare? Bene noi abbiamo diversi modi per finanziarci fino a giugno-luglio. Poi se la situazione non dovrebbe risolversi andremo per la nostra strada e addio euro". Una frase che pesa come un macigno e che rischia di surriscaldare la temperatura già alle stelle nelle cancellerie europee. Insomma la Grecia è pronta a tutto e l'Euro questa volta rischia di saltare in aria. 

Sondaggio, Renzi in caduta libera Silvio col turbo blocca pure Salvini

Sondaggio Demos, Renzi fiducia sotto il 50%





L'ultimo sondaggio di Demos per l'Atlante Politico, pubblicato da Repubblica,  dà il Pd che ha perso qualcosa rispetto a un mese fa, sopra il 36%, Tutti gli altri seguono a grande distanza. Per primo, il M5s che non arriva al 20%. Forza Italia, dopo il declino degli ultimi mesi, è risalita di oltre due punti. Ora è vicina al 16% (15,8%). Ma, soprattutto, lascia indietro la Lega di Salvini ferma al 13%.Il Patto del Nazareno fa bene, molto bene, a Berlusconi in termini politici. Crea certamente più problemi di consensi al governo e al premier: secondo l' Atlante Politico di Demos, infatti, il gradimento del governo sarebbe sceso al 42% e la fiducia nei confronti di Matteo Renzi al 46%. Un calo di 4 punti in un mese. Ma di oltre 10, rispetto a settembre e di quasi 30% rispetto a giugno. La riforma del lavoro e l'approvazione dell'Italicum con i voti decisivi di Forza Italia non ha avuto l'effetto di far aumentare il grandimento per Renzi che è anche dilaniato dalle dissenso interno al Pd che mal sopporta, anzi non tollera, l'asse con il Cav. Il gradimento di Berlusconi fra gli elettori del Pd è, infatti, limitato al 12%. Fra gli altri leader - per grado di "sfiducia" - lo supera solo Grillo. "Semmai - si legge su Repubblica -  è interessante osservare come lo stesso Nichi Vendola disponga, nella base democratica, di un consenso ridotto: 23%. Simile a quello di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Anche se il leader di Sel è tra i riferimenti del nuovo soggetto politico di sinistra a cui guardano i parlamentari e i militanti del Pd in polemica e dissenso con Renzi - e il suo PD (R)". La sinistra del Pd ancora non attrae e non allarga il consenso.