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martedì 18 ottobre 2016

Mercato Farmaceutico, Aziende: ARIAD Italy si trasforma e diventa Incyte Biosciences Italy

Mercato Farmaceutico - Aziende: ARIAD Italy si trasforma e diventa Incyte Biosciences Italy


di Martina Bossi



Incyte Corporation ha annunciato nei giorni scorsi la costituzione di Incyte Biosciences Italy Srl, che precedentemente si chiamava ARIAD Italy. Nel maggio 2016, Incyte Corporation ha acquisito la società ARIAD Pharmaceuticals in Europa, ampliando la sua presenza a livello globale con una struttura integrata di ricerca, sviluppo e commercializzazione. Inoltre, l’azienda ha sottoscritto un accordo di licenza esclusiva per lo sviluppo e la commercializzazione di ponatinib in Europa. “Il team europeo si è sviluppato in modo eccellente negli anni, fornendo il proprio contributo scientifico e rafforzando la propria presenza commerciale, oltre a ottenere un know-how approfondito su come soddisfare al meglio le esigenze di pazienti e azionisti in Italia e in altri mercati europei in cui siamo presenti – ha detto Hervé Hoppenot, CEO di Incyte - Il nostro team europeo con Incyte Biosciences Italy in prima linea, collaborerà con i colleghi americani per assicurare all’azienda e ai suoi prodotti una crescita solida negli anni futuri”. L’attività di ricerca farmacologica di Incyte ha avuto inizio nel 2002, guidata dal convincimento che gli investimenti nell’innovazione avrebbero migliorato la vita dei pazienti, potuto fare la differenza nelle cure mediche e prodotto sostenibilità. La base del continuo successo dell’azienda è il personale dedicato alla ricerca, il cui obiettivo è la scoperta e lo sviluppo di farmaci innovativi e di eccellenza.

“Incyte Italy è orgogliosa di mettere a disposizione dei colleghi statunitensi ed europei esperienza, risorse ed elevati standard operativi, al fine di accelerare la crescita aziendale per i nostri azionisti e offrire nuovi farmaci a pazienti e classe medica” ha affermato Giancarlo Parisi, Direttore Generale di Incyte Biosciences Italy. I prodotti commercializzati da Incyte includono ruxolitinib, un inibitore di JAK1/JAK2 che rimane l'unica terapia approvata dalla Food & Drug Administration per la mielofibrosi intermedia o ad alto rischio e la policitemia vera incontrollata, due tipologie di tumori del sangue; e in Europa un potente inibitore del BCR-ABL approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) e della leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo (LLA Ph+) in pazienti adulti resistenti o intolleranti a specifici inibitori della tirosin-chinasi (TKI) di seconda generazione, oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I.

L'ampio portafoglio di prodotti Incyte include lo sviluppo di 14 molecole attive su 11 diversi bersagli molecolari: da un lato alcune terapie immunologiche che mirano a potenziare l’azione del sistema immunitario del paziente e a combattere il tumore, e dall’altro terapie a bersaglio molecolare che mirano a bloccare, direttamente o indirettamente, gli effetti delle mutazioni che provocano il tumore. Il portafoglio di Incyte include anche lo sviluppo di farmaci che potrebbero dimostrare un'utilità terapeutica al di fuori del settore oncologico. Incyte intende sviluppare il proprio portafoglio prodotti sia in monoterapia che in associazione, in modo da fornire i migliori risultati possibili ai pazienti

Mentana, un sondaggio-sentenza: "Ecco chi deciderà il voto" / I dati

Il sondaggio sul referendum: i No stravincono anche se i Sì recuperano qualcosina, "ecco cosa deciderà il voto"



Ormai appare chiaro: tra Sì e No sarà una volata che si deciderà nelle ultime ore del 4 dicembre. Secondo il sondaggio di Emg Acqua per il TgLa7 di Enrico Mentana, diminuisce la forbice del referendum costituzionale: i favorevoli alla riforma sono al 33,8% (+1,5), mentre i contrari restano davanti con il 37% e crescono, ma in misura minore, dello 0,7. Si assottiglia sempre più la fetta degli indecisi, al 29,2% (-2,2). È lì che si deciderà la sfida, e secondo il direttore generale di Emg Fabrizio Masia non è da sottovalutare l'apporto del voto degli italiani all'estero. Proprio in questo senso sono da considerare i tour internazionali della ministra delle Riforme Maria Elena Boschi per il Sì e del grillino Luigi Di Maio per il No.

Sul fronte dei partiti, guadagna terreno il Pd al 31,5% (+0,8) mentre cala il Movimento 5 Stelle al 29,6% (-0,6). Nel centrodestra scendono Lega Nord (al 12,3%, -0,5) e Fratelli d'Italia (4,1%, -0,1) mentre sale dello 0,5 Forza Italia, ora all'11,3 per cento. Fuori dai tre blocchi, Sinistra italiana guadagna lo 0,2 (al 4%) ed è stabile Ncd al 3,4 per cento. Secondo Masia, a trainare l'avanzata dei democratici "potrebbe essere stata la massiccia presenza in tv di Matteo Renzi", che da qui al voto sarà spesso nelle case degli italiani.

Cosa si è ridotta a fare Federica Guidi Smascherata: "Mi fareste lavorare...?

Guidi, la lettera all'Antitrust per lavorare nella sua azienda



Nessuno ci aveva pensato ma per l'ex ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, è stato un problema rientrare nelle aziende di famiglia dopo le dimissioni a cui l'ha costretta una inchiesta giudiziaria sul suo compagno, Gianluca Gemelli.

Secondo la legge sul conflitto di interessi un ministro non può nell'anno successivo al suo incarico pubblico essere nominato in alcuna azienda privata o pubblica che abbia avuto a che fare con la sua attività precedente. E la Ducati energia di cui la Guidi era ad prima della nomina ministeriale, ha a che fare con il ministero dello Sviluppo Economico. Per risolvere l'impasse la Guidi ha scritto una lettera all'autorità Antitrust. Che le ha dato il via libera al ritorno in azienda arrampicandosi un po' sui muri.

«L'Autorità», scrive l'Antitrust, «ha ritenuto che la relativa fattispecie non rilevasse ai fini della valutazione della incompatibilità post carica, trattandosi della mera riattivazione di un rapporto di lavoro subordinato pre-esistente, con una società presso la quale l'interessata svolgeva la propria attività prima di assumere l'incarico di governo».

Insomma, per potere tornare nell'azienda di proprietà della sua famiglia la Guidi si è dovuta fare assumere come un qualsiasi altro impiegato...

Marchionne, il piano sconvolgente. La Ferrari stravolta: (già nel 2023...)

Ferrari, piano sconvolgente, svolta green: motori ibridi nel 2023. E si pensa al bolide elettrico



La Ferrari di Sergio Marchionne, che il 21 ottobre compirà un anno a Wall Street, pensa al futuro. E le indiscrezioni sulle scelte di Maranello sono piuttosto clamorose: la nuova sfida, quella della futura di generazione di supercar che arriveranno dal 2023 in poi, sarebbe quella "green". Il punto è che con le crescenti normative sulle emissioni e con la maggiori difficoltà delle auto con motori "tradizionali" a circolare nelle città, i costruttori si devono reinventare. È in questo contesto, dunque, che gli ingegneri Ferrari, come rivela Il Giornale, stanno lavorando su un ibrido. Nonostante le indiscrezioni, però, fonti da Maranello escludono che ci sia un progetto per un bolide elettrico, così come sta invece facendo Porsche.

Il progetto elettrico, in verità, ci sarebbe ma resterebbe chiuso nel cassetto, un cassetto da aprire solo nel caso si renda necessario il piano in una futura generazione. Di sicuro, ora, Ferrari sta lavorando a un aggressivo piano in chiave green. La sfida è tostissima: non perdere le caratteristiche ferrari, suono e prestazioni, ma ridurre al minimo l'impatto ambientale della vettura. Per la svolta-green, inoltre, Ferrari potrebbe anche ricorrere a una partnership con cui dividere i costi di una rivoluzione così profonda. Una rivoluzione che in Fca, al contrario, pare già iniziata: Marchionne, per curare ibrido ed elettrico, ha deciso di trasferire da Maranello a Mirafiori Ervino Riccobon, ex McKinsey ed esperto di automotive.

La bomba: "Centomila euro in 3 anni" Occhio: agguato (grillino) a Di Maio

Di Maio, la bomba grillina: "Quanto ha speso in tre anni"



Centomila euro spesi in tre anni. Un numero che potrebbe segnare l'inizio del tramonto di Luigi Di Maio tra gli stessi grillini. Mentre Beppe Grillo e Davide Casaleggio cercano di blindarlo dalle manovre della fronda dei duri e puri guidati da Roberto Fico, il vicepresidente della Camera nonché candidato premier in pectore del Movimento 5 Stelle è finito al centro di una polemica nata sul sito del "libro a puntate" Supernova di Marco Canestrari e Nicola Biondo. 

Come ricorda Repubblica, quei 100mila euro in tre anni sono quelli investiti in eventi sul territorio dal 2013 a oggi. Lui fa di conto e ricorda: "Sono meno di tremila euro al mese, è normale per un parlamentare spendere per attività sul territorio". Le cifre però fanno riflettere. Di Maio a maggio 2016 ha restituito 1.686 euro su 4.945 euro di indennità fissa, ma dei 7.193 euro di rimborsi forfettari che si sommano alla indennità ha restituito "appena" 460 euro (molti suoi colleghi in realtà restituiscono ancora meno). 

È sulle spese per gli eventi che si nota la differenza in particolare con gli altri grillini. Di Maio ha speso 108.752 euro (le spese dei suoi trasporti sono a carico della Camera), contro i 31.600 euro del presidente della Vigilanza Rai Fico, i 28.484 euro del senatore Carlo Martelli, i 25mila euro di Carla Ruocco e i 22mila euro di Barbara Lezzi. L'amico-rivale Alessandro Di Battista è addirittura sedicesimo, avendo speso appena 16mila euro, (anche se i dati sono precedenti al suo Costituzione coast to coast). La polemica, di per sé, potrebbe essere di poco conto ma non se si parla di grillini, il cui zoccolo duro elettorale fa di rendiconto, trasparenza delle spese, "onestà" e rigore contro la "Casta pappona" più che slogan, ragioni di vita.

PRIMA DELL'ADDIO L'ultima mossa del ministro Ecco chi molla Renzi

Pier Carlo Padoan, dopo la manovra l'addio al governo Renzi?


di Marco Gorra



La seggiola più alta di Palazzo Chigi, qualora al referendum vincesse il no e si rendesse necessaria l'installazione del famoso governo di scopo per fare la legge elettorale (sicuramente) e un'altra manovra (quasi sicuramente); il posto di segretario generale dell' Ocse, il cui attuale occupante (il messicano Angel Gurria) va a scadenza tra qualche mese e di cui è già stato numero due per sette anni; una poltronissima europea o para-europea (difficile solo la pista che porta direttamente alla Commissione, con la quota italiana bloccata da Federica Mogherini alla Pesc, ma per il resto le vie di Bruxelles sono infinite). Ormai, raccontano, è solo questione di scegliere l'obiettivo e concentrarsi su come raggiungerlo. Per il resto, Pier Carlo Padoan la decisione l' ha presa: è ora di spiccare il volo oltre gli angusti confini del renzismo.

Il che aiuta a capire come mai il clima tra ministro dell'Economia e presidente del Consiglio - già non esattamente mite in partenza - sia andato vistosamente peggiorando nell'ultimo periodo, arrivando in questi giorni vicinissimo allo zero (secondo alcuni, da qualche tempo i due avrebbero persino smesso di rivolgersi la parola). A far precipitare definitivamente le cose sono state le ultime settimane di stretta finale sulla manovra: qui sono emerse tutte le divergenze - politiche e non solo - tra i due.

Inizio difficile - Due che, si diceva, avevano iniziato a prendersi poco fin dall'inizio. E non avrebbe potuto essere altrimenti. Febbraio 2014, in corso le trattative per l'organigramma del governo che prenderà il posto di quello guidato dall'appena defenestrato Enrico Letta. A condurre le trattative sono il quasi premier Matteo Renzi e l'ancora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Se le altre caselle vanno a posto con relativa facilità, è sul ministero dell' Economia che si va al braccio di ferro. Da una parte Renzi che non molla sul rinnovamento (ma soprattutto che vuole scongiurare il rischio della diarchia) e spinge per il fedelissimo Graziano Delrio; dall'altra Napolitano, che di quel governo è pur sempre il garante agli occhi del mondo e che si trova nella necessità almeno di dotarsi di un ministro dell' Economia che non risulti, al pari dei colleghi, sconosciuto alle famose cancellerie internazionali. A spuntarla sarà il capo dello Stato, che dopo non essere riuscito a piazzare Padoan a Bersani prima e a Letta poi, vincerà finalmente le non poche resistenze di Renzi ed imporrà per via XX settembre il nome del suo pupillo.

Per capire il perché delle riserve del giovane segretario del Pd, è sufficiente scorrere il curriculum del ministro designato. E prendere atto che no, non esiste in esso una singola voce che non paia messa lì apposta per incarnare un qualche fantasma agli occhi di Renzi. Tanto per cominciare, è dalemiano: consulente economico ai tempi di Palazzo Chigi, in seguito era andato a dirigere il pensatoio dell' ex premier Italianieuropei. Biglietto da visita non ottimale se c' è da andare d' accordo con uno che ha costruito la propria carriera sull' idea stessa di rimozione di D' Alema.

Ma ben più dell' ascendente coi baffi, a turbare i sonni del premier è il resto del curriculum di Padoan: Banca Mondiale, Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, la citata Ocse, l'Istat di cui è presidente al momento della nomina. Una specie di hit parade dell'altissima burocrazia che rende il neoministro l' incarnazione di quel tecno-apparato la cui rottamazione è al primo punto dell' agenda del premier fiorentino. Si aggiunga una certa idiosincrasia caratteriale di fondo e la frittata è fatta: altro che diarchia, qui c'è la guerra fredda prima ancora di cominciare.

Come nei casi più classici, più ci si detesta privatamente e più in pubblico ci si affanna a dimostrare il contrario. Così, durante le prime settimane di vita del governo, ogni occasione pubblica dove i due compaiono insieme viene invariabilmente salutata dalla scenetta di prammatica, col premier che, mentre il ministro sorride lievemente imbarazzato, solitamente senza proferire parola, sfodera i trentadue denti e proclama che lui e Padoan vanno d' amore e d'accordo a parte quando si parla di pallone perché lui è della Fiorentina e l' altro della Roma. Non bastasse la palese falsità della cosa, a fare giustizia dell' impostura soccorrono poi gli astri, che di lì a poco apparecchiano un incrocio luciferino di sorteggi in forza del quale nel giro di due settimane la Viola fa fuori i giallorossi dall' Europa league e dalla Coppa Italia. Da allora, il simpatico siparietto pallonaro verrà inspiegabilmente mandato in soffitta.

Nel frattempo, però, i nostri hanno trovato da bisticciare per questioni più serie. Meglio, si sono andati delineando i contorni del "Grande Contrasto Permanente": di qua Renzi che ingaggia la titanomachia contro la burocrazia e l' idolatria degli zerovirgola, di là Padoan che se ne erge a paladino. Il punto è che la distanza tra i due è proprio filosofica: la battaglia rodomontesca di Renzi in nome del primato della politica contro la difesa operata da Padoan della prevalenza dei tecnici, (in special modo quelli in servizio al ministero dell' Economia, spesso e volentieri oggetto degli strali del premier e sempre difesi dal ministro); gli assalti del presidente del Consiglio alla dittatura finanziaria europea tutta lacci e vincoli contro l' argine del titolare di via XX settembre in difesa dell' austerità e dell' ortodossia; le suggestioni anti-tasse del capo del governo contro la barriera rigorista del Tesoro. Difficilmente passa una settimana senza che che sui giornali esca un retroscena che ruota intorno alle stesse, immutabili parole di Padoan: «Matteo, questo non si può fare».

Gli equilibrismi - Una cosa che non si può fare dopo l'altra, e passano i mesi. Col tempo, il contrappeso esercitato nei confronti di Renzi cessa di essere puramente tecnico ed inizia a presentare anche coloriture politiche. Che si vedono meglio a Bruxelles - dove il ministro si muove come un pesce nell' acqua e dove nessuno, specie in Commissione, fa mistero di preferire nettamente l' integrato Padoan all' apocalittico Renzi quando c' è da discutere di cose italiane - ma che a sorpresa vengono fuori anche a Roma: quando, nei giorni convulsi del dopo-dimissioni di Napolitano e della relativa corsa al Colle, nel toto-quirinale spunta il nome di Padoan (e nemmeno tanto come boutade: reggerà per giorni), dalle parti di Palazzo Chigi suona il campanello d' allarme.

Il resto è storia recente, che arriva fino all' altro ieri ed alla manovra da ventisei miliardi e mezzo licenziata dopo settimane di equilibrismi da parte di Padoan tra ragion di Stato (e di governo, dato che sulla finanziaria si gioca un bel pezzo della campagna elettorale per il referendum) e rispetto dell' impianto imposto da Bruxelles (che il 5 dicembre dovrà pur sempre dare luce verde). Sintesi trovata nonostante le difficoltà e manovra portata a casa. Manovra che però rischia di essere l' ultima firmata dal tandem Matteo-Piercarlo. Se poi sia destinata ad essere l' ultima su cui Padoan avrà (magari da oltreconfine) voce in capitolo, è tutto un altro discorso.

lunedì 17 ottobre 2016

Ha ucciso lei il figlio Lorys Stangata Veronica Panarello

Omicidio Lorys Stival, Panarello condannata a 30 anni



Veronica Panarello è stata condannata a 30 anni di reclusione per aver ucciso il figlio Lorys, trovato morto a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, il 29 novembre del 2014, all’età di otto anni. La decisione del gup di Ragusa è arrivata dopo che la Procura aveva chiesto 30 anni.  Il giudice ha anche disposto un risarcimento di 250mila euro per il marito Davide e di altre 10 mila per l'altro figlio.

L’avvocato del nonno di Loris Andrea Stival ha spiegato che "è stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura per il reato di calunnia nei confronti del mio assistito. Abbiamo messo un punto a questa brutta vicenda". L'uomo è stato chiamato in causa dalla stessa Panarello nel corso degli interrogatori e indicato come l'esecutore materiale della morte del bambino.

"È una tragedia. Nessuno può dire ’abbiamo vinto'. La tesi che abbiamo sposato da subito è stata oggi confermata. Da qui pensare di aver vinto non possiamo dirlo". Così Daniele Scrofani, l’avvocato di Davide Stival, padre del piccolo Loris, dopo la lettura della sentenza di condanna.