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lunedì 13 luglio 2015

ADESSO TOCCA ALL'ITALIA Ci tratteranno come Atene: perché rischiamo il default

Grecia umiliata in Europa, monito per l'Italia: perché rischiamo di essere la prossima Atene




La parola fine all'intricato caso-Grecia sembra non arrivare mai. Di sicuro, oggi, con l'intesa raggiunta a Bruxelles, si è arrivati a un importante punto di svolta: ora, la ratifica dell'accordo-capestro, spetta al Parlamento ellenico. Il "sì", se arriverà, sarà sofferto. Il punto è che dopo il referendum e nonostante il referendum voluto da Alexis Tsipras in cui ha vinto il "no" all'Europa, nelle sedi continentali è stato siglato un accordo che, nei fatti, ricalca quasi in toto le richieste dei creditori. Un accordo durissimo, per la Grecia, chiamata ad approvare riforme epocali nell'arco di tre giorni, costretta a (ri)accettare il commissariamento della Troika (che tornerà a muovere le leve del comando ad Atene) e costretta soprattutto a "vendere" beni per 50 miliardi di euro, cifre iperboliche, con le quali, nei fatti, il Paese viene ipotecato. La Grecia, dunque (e forse), resta nell'euro. Ma a che prezzo? A un prezzo elevatissimo. Al prezzo di lacrime e sangue. Al prezzo - con assoluta probabilità - della testa del premier Tsipras, pronto alle dimissioni (indotte?) e pronto ad essere espulso dall'Europa come un corpo estraneo. Come detto, la parola fine all'intera vicenda deve ancora essere scritta, ma alcune considerazioni, partendo proprio da come è stata punita e umiliata la Grecia, si possono fare.

E in Italia? - E queste considerazioni, va da sé, riguardano l'Italia, riguardano il nostro orticello. Si dice da tempo, da anni, che la prossima Grecia potrebbe essere l'Italia, oppure la Spagna. L'una vale l'altra, circa. E se così fosse, da oggi abbiamo ben chiaro a cosa andremmo incontro, roba che il massacro sociale firmato dalla "premiata ditta" Mario Monti ed Elsa Fornero sembrerebbe un po' di solletico sotto ai piedi. Il punto è che non possiamo dormire sonni tranquilli. Abbiamo un premier, Matteo Renzi, che promette mille riforme e ne conduce in porto cinque, per giunta pasticciate (o irricevibili). L'obiettivo deve essere scongiurare la possibilità che in prima linea contro la speculazione ci possa finire il Belpaese. Ma il rischio non e stato ancora scongiurato, affatto. E ora più che mai è il momento di tirare fuori l'Italia dalle secche di una crescita economica che procede col ritmo della lumaca (e sul fatto che da queste secche possa condurci fuori proprio Renzi è più che lecito nutrire dei dubbi).

Draghi e spread - Il fatto che l'Italia abbia davanti a sé un solo anno di protezione sicura - si parla del Quantitative easing della Bce di Mario Draghi - complica ulteriormente il quadro e riduce i tempi per dare la scossa al Paese. Quando Draghi non potrà più sparare col suo bazooka, quando non potrà più comprare titoli di Stato per calmierare lo spread, potrebbero essere guai. Grossi guai. Si pensi soltanto a cosa è successo negli ultimi giorni, con lo spread delle nostre cedole tornato a schizzare verso l'alto non appena l'accordo sulla Grecia sembrava naufragare. Non si tratta di una coincidenza, ma del consueto - e sinistro - messaggio: l'Italia non gode della fiducia dei mercati e, ad oggi, da sola non può farcela (a contenere i rialzi del differenziale è stata, ancora una volta, soltanto la manina di Draghi, senza la quale ci troveremmo già oggi a pagare parecchi miliardi in più sugli interessi dei titoli di Stato).

Borsa e banche - Come poi sottolinea Paolo Panerai su Milano Finanza, vi è un altro grave campanello d'allarme: ciò che è accaduto in Borsa alle banche italiane nei due lunedì che hanno preceduto oggi, 13 luglio. I nostri istituti, a causa della crisi ellenica, in due sessioni hanno perso fino al 7% della loro capitalizzazione. Un vero e proprio crollo, che non ha escluso neppure Intesa Sanpaolo, quella che con oltre 15 miliardi di eccesso di capitale è considerata la banca più solida d'Europa. Queste oscillazioni rendono chiara la minaccia: non appena ci sono turbamenti sui mercati, la speculazione vede nell'Italia un obiettivo abbordabile, abbattibile e succulento (tutti ricordano cosa accadde nel 2011). Ed è alla luce di tutto ciò, e soprattutto alla luce del prezzo che l'Europa sta imponendo di pagare alla Grecia, che l'Italia, ora, deve muoversi. Una volta finito il Qe made in Draghi, se non sarà stato fatto un serio intervento sul debito, l'Italia potrebbe davvero trasformarsi una nuova Grecia. Quanto accaduto ad Atene deve essere un monito, per l'Italia. Un monito da ascoltare e trasformare in opportunità. E il tempo sta scadendo.

DISSE: "IMPICCATE I DUE MARÒ" Per il comunista finisce malissimo

Marò, si dimette il segretario di Rifondazione comunista che disse: "Perché non li impicchiamo?"




"Ho detto una colossale scemenza, rimetto il mio incarico". Inizia così il comunicato in cui il segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, ha rimesso l'incarico a disposizione della Federazione. Un gesto dovuto, dopo la sua frase della vergogna postata su Facebook: "Non è ora che impicchino i due marò?". Ora, l'uomo, travolto da una vera e propria bufera e da durissime critiche, spiega: "L'ho detto nei giorni scorsi alla stampa locale, lo ripeto oggi: il mio post sui marò è stato una colossale scemenza, di cui mi scuso con tutte le persone che ho urtato, ferito ed infastidito".

"Una battuta" - Pantaleoni prosegue: "La mia voleva essere una battuta a fronte dei tanti politici che usano parole violente contro i profughi e gli stranieri, ma, ribadisco, è stata una battuta sbagliata e altrettanto violenta: una violenza verbale che è esattamente ciò in cui non credo. Perciò sono doppiamente mortificato". E ancora: "Mi scuso anche con il mio partito, Rifondazione Comunista, con la comunità politica di donne e di uomini di cui faccio parte: ciò che ho scritto - sottolinea - è distante anni luce da ciò che pensa e pratica il Prc. Mi scuso sapendo che in questi giorni siamo impegnati a fianco del popolo greco e invece Rifondazione andrà sui giornali per questa mia scemenza. Convinto di tutto questo, rimetto il mio incarico a disposizione della Federazione di Rimini".

Le reazioni - Come detto, le parole pronunciate dal comunista avevano sollevato un polverone. A rispondergli ci aveva pensato anche Massimiliano Latorre, il marò che si trova in Italia per ragioni di salute e il cui permesso per restare in Patria è stato prolungato oggi di sei mesi: "Spero che queste parole siano uscite dalla testa e non dal cuore, ma lo dicesse ai nostri figli. Qui mi blocco - aveva aggiungo - e non voglio far polemica. Quando saprà che siamo innocenti avrà ancora il coraggio di scherzare. A tutto c'è un limite, anche alla sopportazione", aveva concluso. Duro anche il commento di Maurizio Gasparri, che ha dato a Pantaleoni del "cerebroleso". Per Laura Comi "la responsabilità di affermazioni così offensive e macabre non può passare sotto voce e mi auguro pertanto che il partito prenda provvedimenti". Infine Matteo Salvini, che tranchant aveva commentato: "Questo signore ha dei problemi, va aiutato".

Il salasso d'estate solo l'ombrellone Il top in Liguria. E dove si spende meno

Spiaggia, il salasso d'estate sotto l'ombrellone




C'è la crisi, ma non in psiaggia: perchè quaando il maare chiama, chiama. Gli itaaliani corrono e i bagni ne approfittano. Il quotidiano "Il Tempo" ha condotto una indagine sui prezzi di ingresso, ombrellone e lettino lunga tutto lo stivale, scoprendo che la medaglia d'oro in tema lidi high cost va ad Alassio in Liguria. Per un ombrellone, un lettino e un ingresso la spesa varia da 10 a 24 euro. Secondo posto al litorale romano con Ostia: da 8 a 22 euro. Quasi come a Santa Teresa di Gallura in Sardegna, Capo d' Orlando in Sicilia e altre mete ancora più gettonate come Taormina. In Toscana, a Viareggio, si spendono dai da 9 a 22 euro. A Rimini, dove l' ingresso in spiaggia è gratis ovunque, per ombrellone, lettino e servizi si pagano dai 10 a 18 euro, più o meno come a Lignano Sabbiadoro. Dai 10 ai 16 euro a Praia a Mare (in linea con Bibione), dai 12 ai 15 a Civitanova Marche, fino ad un massimo di 15 euro ad Acciaroli nel Cilento, dai 14 ai 16 a Pescara. La palma del low cost va al Salento, a Gallipoli: per le stesse attrezzature si va da 6 euro a massimo 15 euro.

Coltellata della fedelissima Così ha smascherato Renzi "Perché non leverà l'Imu"

La balla di Renzi sull'Imu: ecco perchè non potrà toglierla a settembre




Certo, alle amministrative del 2016, che vedranno andare al voto città-chiave come Milano, Torino, Genova, Bologna e Napoli, mancano ancora dieci mesi. Ma la "sconfitta" subita alle ultime regionali, a Matteo Renzi, brucia ancora. Aver perso una regione a trazione rossa come la Liguria, e per mano del consulente politico di Berlusconi, gli ha fatto male. E anche in Campania e in Umbria ce l'ha fatta per un soffio.

Quindi, non c'è tempo da perdere. A gennaio, in pratica, parte la campagna elettorale e per allora bisogna farsi trovare pronti. Ecco perchè ieri il premier ha annunciato che per il prossimo autunno intende abolire l'Imu, l'odiata tassa sulla casa. Una mossa che fa pensare agli 80 euro che spinsero il Pd al 41% alle Europee 2014. E che Renzi intende completare per tempo, per non ritrovarsi nelle condizioni delle ultime amministrative, quando misure tipo il Jobs Act e la decontribuzione per le imprese sui nuovi assunti sono state approvate troppo tardi per produrre un effetto "elettorale".

Ma anche l'Imu, come altre, rischia di rimanere una promessa urlata al vento. A scriverlo, oggi, è sul Corriere della Sera Maria Teresa Meli, notista politica peraltro di note simpatie renziane. "Gli elettori faticano ancora a vedere la luce fuori dal tunnel. E allora ci vuole un'idea, una mossa che spiazzi e che attragga" scrive la Meli. "Per questa ragione il premier ha messo al lavoro i suoi esperti a Palazzo chigi. Ma l'Europa non ci farà mai cancellare l'Imu". La tassa, infatti, è considerata a Bruxelles tra quelle "riforme" che sono alla base della fiducia concessaci dall'Europa dal 2012, quando Monti reintrodusse l'odiata gabella sulla casa.

domenica 12 luglio 2015

Perché mezzo Parlamento deve tremare: Cav condannato, la soffiata di Belpietro

Compravendita senatori, Maurizio Belpietro: "Pur di condannare Silvio Berlusconi i pm riscrivono la storia"


di Maurizio Belpietro
@Belpietro Twitter


La sentenza con cui il Tribunale di Napoli ha condannato Silvio Berlusconi a 3 anni di carcere per aver corrotto il senatore Sergio De Gregorio e provocato la caduta del governo Prodi, prima che un errore giudiziario, rappresenta un falso storico. Il governo dell’Ulivo infatti non cadde per il voto contrario di Sergio De Gregorio: l’esecutivo alla mortadella finì affettato dalle inchieste giudiziarie che colpirono il partito famigliare di Clemente Mastella, oltre che per il voltafaccia di alcuni alleati di estrema sinistra e dei liberaldemocratici di Lamberto Dini. A Prodi non mancò il voto di De Gregorio, che non avrebbe fatto la differenza, ne mancarono sei e infatti cadde con 156 sì contro 161 no.

Non c’è bisogno di fare particolari indagini per scoprirlo: basterebbe sfogliare i principali quotidiani del 24 gennaio di sette anni fa. Nella cronaca del Corriere della Sera, De Gregorio non è neppure citato fra coloro i quali votarono no a Prodi, perché il suo voto contrario era scontato da almeno un paio d’anni, cioè dal giorno dopo la sua elezione. De Gregorio dal 1994 era infatti contiguo al centrodestra, tanto da essere stato sin dalla fondazione di Forza Italia nell’entourage di Antonio Martusciello, ex Pubblitalia che con la discesa in campo del Cavaliere passò direttamente da Fininvest alla Camera. Nel 2005, dopo un periodo trascorso come assistente parlamentare a Bruxelles, De Gregorio fu sul punto di essere candidato alle regionali in Campania proprio per Forza Italia e solo per un soffio non ce la fece.

L’esclusione fu ricompensata con il ripescaggio, senza successo, nella lista di Gianfranco Rotondi, per il quale divenne in seguito vicepresidente nazionale della Democrazia cristiana per le autonomie. Il vero mistero è dunque come sia stato possibile che un tipo del genere, con quasi vent’anni di carriera nelle retrovie del centrodestra (fu anche promotore di una sfortunata edizione napoletana del quotidiano della famiglia Berlusconi tra il 1997 e il 1998), sia finito per essere eletto nelle liste dell’Italia dei Valori. Ciò che si dovrebbe chiarire non è dunque perché il 6 giugno del 2006 De Gregorio sia passato di fatto nelle file del centrodestra, ma perché nell’aprile del 2006, cioè pochi mesi prima, l’ex pm di Mani pulite avesse accettato di farlo eleggere nelle liste del suo movimento. Perché un tizio cresciuto fra socialisti e berlusconiani all’improvviso venne arruolato nelle truppe dell’Italia dei Valori?

Del resto che il voltafaccia due mesi dopo l’elezione a senatore fosse evidente lo dimostra ancora la raccolta dei principali quotidiani. Il 7 giugno, dopo che De Gregorio si era fatto eleggere presidente della Commissione difesa con i voti del centrodestra e all’insaputa della parte politica che lo aveva portato in Parlamento, la Repubblica riferì la reazione di Di Pietro al blitz che aveva affossato la candidata dell’Unione. «Così facendo, De Gregorio si colloca fuori dalla linea politica del nostro partito e dell’Unione». Dunque, vediamo di ricapitolare. Fino alla primavera del 2005 De Gregorio è nel centrodestra, poi nella primavera del 2006 finisce nel centrosinistra, ma già all’inizio di giugno del 2006 sta di nuovo con il centrodestra. Perciò, dove sta il problema? Di centrodestra era e di centrodestra è rimasto, a prescindere dai finanziamenti al partito personale che aveva fondato. Semmai non si capisce perché l’Idv lo abbia candidato, ma questo è un altro discorso.

Non è finita. Torniamo alle cronache del gennaio 2008, quando Prodi viene sfiduciato. Il Corriere fa i nomi di una serie di senatori assenti al momento del voto, tra i quali Andreotti, Pallaro e Pininfarina. Gli articoli riferiscono il voto contrario di Clemente Mastella e di Tommaso Barbato, due esponenti dell’Udeur, oltre che di Domenico Fisichella, già An poi passato alla Margherita, di Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. Dunque per il Corriere a Prodi mancarono i voti di 8 senatori: Mastella, Barbato, Fisichella, Dini, Scalera, Andreotti, Pallaro e Pininfarina.

Il quotidiano di via Solferino si dimenticò di De Gregorio? O forse non lo conteggiò proprio perché da almeno due anni era considerato fuori dalla maggioranza? La risposta giusta è la seconda. Tanto è vero che la vittima del complottone, ossia Romano Prodi, nel discorso che fece a Palazzo Madama prima di essere mandato a casa non se la prese con Berlusconi e De Gregorio, ma si rivolse a quelle forze politiche della maggioranza che con il loro atteggiamento «avevano minato l’azione dell’esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili». Con chi ce l’aveva? Con Di Pietro, con Bertinotti e con Mastella, ossia con i galli che litigavano nel suo pollaio. Concetti che peraltro l’ex presidente del Consiglio ebbe modo di ribadire anche in seguito. Dunque, rileggendo la storia, si capisce che quella ricostruita in tribunale è una fiction, non la realtà dei fatti per come si svolsero. Ultima considerazione. Nel corso degli anni molti parlamentari hanno cambiato casacca e molti hanno beneficiato di nomine o di alti incarichi. Se fosse vera la tesi usata per condannare Berlusconi, ovvero che un onorevole che abbia ottenuto soldi o altri vantaggi sia da ritenere corrotto, mezzo Parlamento dovrebbe finire in galera. A cominciare da quegli onorevoli che, pur essendo stati eletti nelle file del centrodestra, sostennero il primo governo comunista della storia italiana, divenendo magari ministri o sottosegretari di Massimo D’Alema. Per loro non ci fu alcuna indagine sulle dazioni ambientali. Anzi, le denunce presentate da alcuni esponenti di centrodestra che avevano ricevuto e rifiutato la proposta indecente di sostenere l’ex segretario Ds furono archiviate in tutta fretta. Perché in Tribunale si emettono sentenze, mica si scrive la storia.

Capuozzo svela la vergogna italiana "Chi ha sacrificato i nostri due marò"

Marò, Toni Capuozzo: "Fregati dalla nostra Marina. Quante carriere sulla loro pelle"


Intervista a cura di Chiara Giannini 



«Sembra passato molto più tempo da allora. Era inverno, è venuta l’estate, poi un altro inverno, un’altra estate, un terzo inverno, un’estate, un inverno, e questa è la quarta estate. Era quasi un giorno qualunque, quel mercoledì 15 febbraio 2012, il giorno dopo San Valentino»: racconta così Toni Capuozzo, uno dei giornalisti italiani che più si è occupato del caso “marò”, il trascorrere quasi cadenzato delle stagioni che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria e internazionale più intricata di tutti i tempi. Lo racconta in un libro dal titolo “Il segreto dei marò” (Mursia, 16 euro), in uscita martedì 7 luglio in tutte le librerie italiane. È la storia di Massimiliano Latorre, che il giornalista conobbe in Afghanistan (era il suo capo scorta) tanti anni fa e Salvatore Girone, ma soprattutto la storia dell’assurdo intrigo che ha visto coinvolti leader internazionali, vertici delle forze armate, politici. Un segreto che si sintetizza in poche parole: i marò sono stati vittime di uno Stato che non ha avuto la volontà di risolvere subito la questione. E Toni, nel suo libro, non ci va leggero, facendo chiarezza sulla questione e raccontando connivenze e grandi carriere fulminee che, guarda caso, hanno interessato tutti coloro che si sono occupati, non portando nessun tipo di risultato, della vicenda dei due fucilieri di Marina.

Perché hai deciso di scrivere questa storia?

«Devo dire la verità, ho deciso di farlo con la speranza che fosse utile alla causa dei marò. Da subito si è capito che l’opinione pubblica non fosse abbastanza informata. C’è molta ignoranza sul caso, devo dire, forse, che spesso non è neanche voluta, ma occorreva far chiarezza. In un Paese in cui si sa tutto di Salvatore Parolisi, del caso di Cogne, di Meredith, mancava qualcuno che raccontasse la verità sull’odissea che stanno passando questi due militari. C’era un vuoto, insomma, e io ho cercato di colmarlo affinché molte cose non cadessero nell’oblio».

Nel tuo libro racconti per filo e per segno questa storia. Qual è uno dei punti che la caratterizza di più?

«Certamente abbiamo detto più volte che i due marò hanno avuto un comportamento molto più che dignitoso, ma singolare, visto che dall’altra parte abbiamo avuto una classe politica che li ha totalmente abbandonati».

Insomma, ci sono stati intrighi, incompetenze. Contro chi si deve puntare il dito?

«Ricordiamoci come hanno operato 5 ministri degli Esteri e un ministro della Difesa, nello specifico l’ammiraglio Di Paola che, una volta che li aveva rispediti in India, si è guardato bene dal dare le dimissioni o dall’avviare l’arbitrato. L’Italia, secondo quanto scritto nella Costituzione, non invia nel Paese di appartenenza neanche gli stranieri accusati se in quella nazione vige la pena di morte. In India c’è e Di Paola ci ha spedito due militari italiani. L’ex ministro Giulio Terzi si è rifatto un po’ la verginità facendo del caso una bandiera, ma a mio avviso lo ha fatto in modo piuttosto ingenuo. E poi ci sono gli alti gradi della Marina Militare. Hanno fatto tutti carriera. Dallo stesso Di Paola che è andato a fare il consulente di Finmeccanica in America, a Binelli Mantelli che diventò Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ma c’è anche Staffan De Mistura, che ha successo a livello europeo e si occupa, se non sbaglio, di Siria».

Adesso si parla di arbitrato. Tu che ne pensi?

«Che resta l’accusa infamante: quella di aver sparato a degli innocenti, uccidendoli. Devo dire che l’arbitrato è stato un’impennata di orgoglio del governo italiano, visto che sappiamo che ogni tipo di trattativa portata avanti è fallita. Dobbiamo certo vedere come si muoverà l’India, che è una nazione finora rimasta ferma e immobile come un giocatore di poker al tavolo. Il primo ministro Modi, a sua volta, è sempre stato pilatesco, dicendo che della cosa si deve occupare la magistratura. Peraltro abbiamo un rinvio della data della prossima udienza della Corte Suprema al 14 luglio, giorno precedente all’ipotetico rientro in India di Massimiliano Latorre. Insomma, vorrei capire dove stiamo andando».

E adesso secondo te che succederà?

«Devo dire che siamo in un vicolo cieco e c’è peraltro la vicenda che assume sempre più l’aspetto della fragilità. Girone, per adesso, resta lì. Ed è da chiarire che questo è la cartina di tornasole per capire se dietro all’arbitrato c’è un accordo sottobosco, anche se la cosa certa è che occorreranno almeno tre mesi perché sia formata la giuria internazionale. Forse si tratterà di un arbitrato a senso unico, con l’India ancora ferma e l’Italia che chiede di far rientrare Girone. E, forse, Salvatore per Natale oppure l’anno prossimo potrà essere insieme a Massimiliano in qualche capitale europea di fronte agli arbitri. Ma sono tutte supposizioni. Non resta che rimanere fermi a vedere cosa accadrà. Intanto, per capirci qualcosa in più, leggete il mio libro».

sabato 11 luglio 2015

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene 


di Angela Bechis 


Problema furti - Caivano, una piazza difficile, sensibilissima, soprattutto alle rapine e al problema furti che, principalmente nel periodo estivo coinvolge numerose famiglie. Uno dei dilemmi più praticati insieme all'emergenza rifiuti. A mettere nero su bianco, questa volta, è stato il Movimento 5 Stelle locale che, dopo l'ennesima denuncia da parte di cittadini perbene, ha deciso di intervenire e interpellare il Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle), visto che a differenza dei partiti, il Movimento 5 Stelle, conta, per interventi prioritari, contatti diretti con Senatori ed Onorevoli. Difatti, dopo il coinvolgimento del Vicepresidente della Camera, Di Maio, il Movimento 5 Stelle locale, ha subito ricevuto buone, Di Maio ha aperto un'interrogazione parlamentare. Insomma, il Movimento 5 Stelle è presente e, dopo l'ottimo risultato ottenuto alle scorse amministrative, sta continuando a dare risultati e risposte ai tanti cittadini onesti, che sono la maggioranza, presenti sul territorio.