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lunedì 6 luglio 2015

Berlusconi sfida i magistrati "Ci vediamo in tribunale"

Processo escort, Berlusconi torna in tribunale




Silvio Berlusconi sarà presente a Bari venerdì 10 all’udienza del processo escort, in qualità di testimone ma, peraltro, potrà avvalersi della facoltà di non rispondere. Lo hanno fatto sapere i suoi avvocati ai giudici della Seconda sezione del Tribunale penale barese che hanno così revocato l’accompagnamento coatto.

Il provvedimento era stato adottato nell’ultima udienza del giungo scorso dopo che l’ex premier, citato da alcune delle parti, non si era presentato adducendo motivazioni diverse. Il processo, contro l’ex imprenditore sanitario barese Gianpaolo Tarantini ed altri sei imputati, riguarda diversi titoli di reato, dall’associazione a delinquere finalizzata a induzione e favoreggiamento della prostituzione, relativi alle numerose ragazze coinvolte nelle feste e nelle cene presso le residenze dell’ex premier, tra il 2008 e il 2009. Berlusconi, imputato in procedimento connesso - la vicenda Lavitola-Tarantini con una ipotesi di reato relativa ad induzione di un teste a mentire ai giudici - aveva già notificato ai giudici che si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere.

Grecia, il 20 luglio il terremoto: verso il default. La guida: come difendere i vostri risparmi

Grecia, il 20 luglio il terremoto: verso il default. La guida: come difendere i vostri risparmi




Forse non si può parlare a pieno titolo di "crisi di panico", ma quella vissuta dalle Borse europee all'indomani della vittoria del "no" nel referendum greco è una giornata di passione: pesanti  flessioni su tutti i listini, Milano tra i peggiori, tracollano i bancari, esposti verso Atene ed i suoi istituti. In parallelo, va da sé, torna a salire lo spread. Il punto, però, è che con assoluta probabilità il peggio deve ancora venire. Il referendum, certo, è uno spartiacque importante, il risultato dà una scossa all'Europa. Ma il vero "D-Day" è fissato per il 20 luglio, giorni in cui scadranno i titoli del debito greco per 3,5 miliardi di euro, ai quali si devono aggiungere 750 milioni di cedole. E' il debito contratto dalla Grecia con la Bce, e se non verrà saldato sarà tecnicamente default. Fino a quel giorno Atene, la Troika e i leader europei continueranno a trattare, una trattativa difficile, con pochi spiragli. Senza accordi, dopo il 20 luglio, sarà il "diluvio": default del Paese ellenico e progressivo addio all'euro.

Guida per la salvezza - Considerando ciò che già oggi, lunedì 6 luglio, sta accadendo sui mercati, è bene che si pensi a come affrontare la probabile e ben più drastica crisi. In breve, le dritte: ridurre con decisione le azioni in portafoglio, limitare titoli di Stato e le obbligazioni societarie in euro, investire il ricavato nelle valute estere (non soltanto il dollaro), in oro e nei titoli governativi a stelle e strisce. Sono questi, in sintesi, i migliori strumenti per difendere il nostro portafoglio. Gli esperti, però, avvertono: evitate scelte emotive, non fatevi prendere dal "panic selling", e a meno che abbiate una profonda esperienza di mercati e affini, prima di agire, consultate il vostro consulente finanziario.

Differenziare il portafogli - Per quel che concerne Piazza Affari - che si stima possa perdere da oggi fino al giorno del crac ufficiale di Atene anche più del 10% - la prima raccomandazione è di ridurre al minimo la quota di azioni, vendendo in primis i titoli della zona euro. Per quel che concerne invece la componente obbligazionaria del portafogli, è bene incrementare il peso dei fondi monetari e degli Etf in dollari Usa, in franchi svizzeri, in renminbi cinesi e in corone norvegesi. Inoltre potrebbe essere un'idea vincente investire una piccola porzione del portafogli in dollari australiani, dollari canadesi e sterline. Per rendere più solido la propria posizione, inoltre, è valida l'idea di riservare una quota pari al 5% a Etf in oro, e un altro 5% in Etf o fondi legati ai Treasury degli Stati Uniti.

Una soffiata non per tutti -  Infine, una dritta per gli investitori più esperti, che muove da una premessa: nei giorni di Grexit, i fondamentali macroeconomici europei, statunitensi e asiatici non sono mutati. Di conseguenza, le ragioni che hanno spinto ad inizio anno a preferire le Borse della zona euro restano solide. In ottica speculativa, dunque, più gli indici delle piazze di Eurolandia scenderanno, più ci saranno occasioni di acquisto da sfruttare e a prezzi scontati (i capitali non fuggono, ma si spostano). Non a caso, parecchie case d'investimento internazionali - da Barclys a Ubs, da Russell Investmetns a SocGen - spiegano che restano valide almeno per i prossimi 6-12 mesi le ragioni per favorire l'azionariato euro. Chi riuscirà a comprare sui minimi - ai quali si arriverà nei prossimi giorni, e in particolare nei giorni adiacenti al 21 luglio - potrebbe strappare rendimenti del 10-15 per cento.

REFERENDUM PURE DA NOI Fronte Meloni-Salvini-Grillo Attacco alla moneta unica

Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Beppe Grillo: "Ora referendum sull'euro anche in Italia"




Vince il "no" in Grecia, e la "voglia di referendum" invade l'Italia. Almeno una (grande) parte d'Italia. Matteo Renzi aveva derubricato (improvvidamente) la consultazione ellenica a "minor pericolo rispetto all'Isis", ergo per il premier questo voto è soltanto una barzelletta. Ma per le opposizioni il referendum di Atene è qualcosa di storico, di importante, di decisivo. Apre le danze Giorgia Meloni, che intervista da Il Tempo attacca: "Il voto greco dice basta all'Ue degli strozzini, dei creditori, degli egoismi nazionali di pochi che piegano la sovranità di molti. Riprendiamoci la nostra sovranità e diciamo no agli interessi di pochi capi di Stato". Insomma: "Referendum anche in Italia". Al coro si unisce, subito, anche Matteo Salvini, che da tempo insiste per una consultazione: "A prescindere dal risultato, l'Europa deve cambiare trattati e moneta. La vittoria del no è uno schiaffone agli europirla che ci hanno portato alla fame". Infine Beppe Grillo, il leader di quel M5s che del referendum sull'euro ha fatto uno dei suoi capisaldi. In diretta da Atene, ai microfoni de La7, ha tuonato: "Nessuno ci ha chiesto se volevamo entrare nell'euro. Noi vogliamo chiedere ai cittadini se ci vogliono restare". Il fronte italiano del referendum cresce, si allarga. Meloni, Salvini e Grillo: un trio che se trovasse compattezza e unità politica sul punto (in attesa di un segnale anche dalla Forza Italia di Silvio Berlusconi) potrebbe puntare in alto, molto in alto.

L'indiscrezione sul super-partito: Meloni-Grillo-Salvini tutti insieme?

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Beppe Grillo: la pazza idea del partito contro l'Europa che potrebbe sbancare alle politiche




Così lontani, così vicini. Vicini idealmente, e fisicamente. Beppe Grillo nel giorno del referendum sarà in piazza ad Atene, forse anche Giorgia Meloni. Matteo Salvini invece no, ha detto che preferisce passare un giorno con sua figlia, ma idealmente sarà al fianco di Beppe e Giorgia nella lotta anti-euro che ha sposato in toto. Giorgia, Matteo e Beppe, dunque. Un tris d'assi in grado di sbancare: messi insieme, con buona probabilità, in caso di elezioni potrebbero trionfare (e senza Forza Italia). Un tris d'assi, con parecchie divergenze ma forse con ancor più punti di contatto politico, che un giorno, si dice, si pensa, potrebbe trasformarsi in una vera coalizione elettorale. La strada è lunga, tortuosa, forse impraticabile (soprattutto in considerazione delle resistenze dei grillini ad ogni tipo di apparentamento). Eppure, questo raduno nella piazza greca, sembra in un qualche modo certificare la nascita del fronte anti-europeista italiano. Un fronte che, carta alla mano, potrebbe fare incetta di voti (il M5s viene accreditato di un abbondante 20%, la Lega veleggia intorno al 15%, Meloni e Fratelli d'Italia poco sotto al 4%). Un fronte, insomma, che potrebbe vincere. Anzi, stra-vincere.

OCCHIO ALLA CANCELLIERA Colpirne uno, educarne 100 Merkel, la minaccia all'Italia

Referendum greco, il principio di Angela Merkel: colpirne uno per educarne cento (e soprattutto l'Italia)




Nella tragedia greca, dopo qualche iniziale e pallido entusiasmo per Alexis Tsipras, Matteo Renzi si è schierato senza indugi al fianco di Angela Merkel e a sostegno del fronte rigorista, uscito sconfitto dal referendum in cui ha trionfato il "no". Certo, pur essendo doveroso stigmatizzare i comportamenti della Grecia - un paese che non onora i suoi debiti -, schierarsi così apertamente al franto della Cancelliera è un'operazione improvvida. In primis perché è un comportamento acritico nei confronti di una Ue che in queste drammatiche settimane ha dimostrato di non essere un insieme omogeneo di stati, ma una sorta di mega-Stato governato dalla cancelleria di Berlino. Inoltre perché, così facendo, Renzi non ha fatto altro che confermare il fatto che l'Italia altro non sia che una colonia dei tedeschi. Inoltre il premier, che sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua carriera politica, inchinandosi a Frau Merkel ha pensato alla possibilità di ottenere l'appoggio di Berlino per poter restare così presidente del Consiglio, il più a lungo possibile.

Il principio - Peccato però che alla Merkel, di Renzi, poco interessi. Certo, può essere un discreto argine contro il crescente fronte anti-europeista italiano capeggiato da Matteo Salvini, ma la verità è che in caso di difficoltà, la cancelliera, non ci penserebbe più di un secondo prima di schiacciarci sotto al suo tacco, così come sta facendo con la Grecia. E questo, Renzi, non lo ha capito: nel momento storico della Ue in cui più che in ogni altra occasione avrebbe dovuto "martellare" per sottrarsi ai diktat tedeschi, altro non ha fatto che allinearsi a quegli stessi diktat. La crisi greca, insomma, non è stata sfruttata per ridisegnare le politiche europee. L'unico risultato dei disastri di Atene, nonostante il referendum, è stato quello di rendere ancor più potente la Germania. E anche questo, Renzi, stenta a comprenderlo. Come stenta a comprendere il fatto che la Grecia, per la Merkel e il fronte rigorista, debba fungere da monito per chi, un giorno, potrebbe fare la stessa fine di Atene (prima Spagna, poi Italia). La Merkel, in buona sostanza, ci sta facendo vedere come, un giorno, lascerebbe morire l'Italia travolta da un ipotetico default. Lo sta facendo con la Grecia: colpirne uno per educarne cento. Renzi, però, finge di non comprenderlo (o forse non lo ha compreso veramente). E non ha fatto nulla, zero, nisba, per cambiare quello che potrebbe essere il funesto destino del nostro Paese.

COSA SUCCEDE ORA IN GRECIA Verso il default: le conseguenze

Grecia, cosa succede con la vittoria del "no": Alexis Tsipras vuole trattare, ma lo scenario più probabile è quello del default




In Grecia vince il "no", il popolo ellenico boccia le misure di austerità proposte dalla Commissione europea per rispettare gli impegni con i creditori. E adesso, che succede? Partiamo dal nostro orticello, dall'Italia: di sicuro domani, lunedì 6 luglio, sarà una giornata di passione in Borsa e di passione anche per lo spread. Il timore è che la giornata si trasformi poi in settimane, o peggio in mesi di terrore (uno scenario che accomuna tutte le economie di Eurolandia, ma quelle di Italia e Spagna su tutte, poiché si tratta dei Paesi più esposti alla possibile ondata speculativa). Però, al di là di quelle scontate e macroscopiche, le conseguenze per il nostro "orticello" sono ancora tutte da vedere, poiché come ha detto mister Bce, Mario Draghi, con la vittoria del "no" in Grecia si entra in un territorio inesplorato.

Tsipras vuole trattare - Anche per gli ellenici, va da sè, il territorio è inesplorato. Restano però alcune certezze in più. Ora Alexis Tsipras, che ha vinto la sua battaglia per il "no", non si dimetterà (come invece con assoluta probabilità avrebbe fatto con il "sì"). Ora la sua posizione è un poco più forte: ha la legittimità del popolo, anche se l'investitura popolare, davanti al fronte rigorista europeo capeggiato da Angela Merkel (sconfitta, per ora), potrebbe servire a poco. Tsipras ora tenterà di riprendere i negoziati con i creditori per ottenere un nuovo accordo, da una posizione, appunto, "rafforzata" dal mandato degli elettori. Lo ha confermato subito, appena la vittoria del "no" era chiara, chiedendo contestualmente nuova liquidità alla Bce. Il territorio in cui si dovrà muovere il premier ellenico, però, è assai ostile: Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, ha detto che in caso di vittoria del "no" la Grecia dovrà emettere una divisa parallela (ma la Grecia ha subito affermato che non è sua intenzione farlo).

Verso il default - Bruxelles, insomma, potrebbe non riaprire le trattative, spingendo de facto la Grecia fuori dall'euro (con buona pace della Merkel, che disse che Atene fuori dalla moneta unica equivale alla "sconfitta dell'euro", una frase alla quale, forse, non crede neppure lei). Lo scenario più probabile, in definitiva, è quello del default greco nei confronti della Bce, cui deve 3,49 miliardi in scadenza il 20 luglio. Di fronte all'insolvenza di Atene, l'Eurotower sarà costretta a interrompere i finanziamenti di emergenza che fino ad oggi hanno tenuto in piedi le banche (in totale, fanno 89 miliardi di aiuti dall'agosto scorso). Per la Grecia, dunque, il rischio è un collasso del sistema bancario e una profonda, forse insostenibile, crisi di liquidità.

Euro addio? - L'uscita dall'euro, comunque, non è automatica in caso di vittoria del "no". Quest'ultima, come detto, è adesso l'ipotesi più probabile: anche nel caso (improbabile) in cui riprendessero i negoziati (in un clima ancor più avvelenato rispetto a una settimana fa), è difficile immaginare che si possano raggiungere dei risultati, anche perché di risultati, negli ultimi 5 mesi, non ne sono stati raggiunti. Dunque, in caso di default, il governo greco per sopravvivere e per fronteggiare la crisi di liquidità, sarebbe costretto ad emettere una divisa parallela: solo a questo punto, anche a lato pratico, Atene inizierebbe l'irreversibile processo che la condurrebbe fuori dalla moneta unica e a riabbracciare la dracma. Un territorio, quest'ultimo, ancor più inesplorato del "territorio inesplorato" a cui ha fatto riferimento Draghi.

domenica 5 luglio 2015

IN GRECIA TRIONFA IL "NO" La rivolta degli schiavi contro la Ue, umiliata Angela Merkel: ecco le cifre

Referendum greco, vince il "no": incerto il futuro del Paese, dell'euro e dell'Unione europea




La rivolta degli schiavi. Al referendum greco si delinea un trionfo del "no": il popolo, umiliato per anni dall'Europa, boccia la proposta dei creditori dell'Unione Europea. Alexis Tsipras vince la sua personalissima sfida, anche se da oggi il futuro del Paese pare più precario che mai, a partire dalla permanenza nella moneta unica. Dopo le indiscrezioni del Financial Times e gli exit poll delle tv di Stato, il risultato pare netto: con oltre il 35% delle schede scrutinate, spiega il ministero dell'Interno, il "no" è in vantaggio con il 61% dei voti, mentre il "sì" è inchiodato al 39 per cento. Nella sede di Syriza, partito del premier ellenico, è già iniziata la festa (mentre Tsipras sarebbe pronto a partire alla volta di Bruxelles). Non altissima l'affluenza della consultazione, al 65%, percentuale pari a quella delle elezioni dello scorso febbraio. Ora, come ha detto Mario Draghi qualche giorno fa, si entra in un territorio inesplorato. Con assoluta probabilità, prima del definitivo default e dell'addio alla moneta unica (che la Grecia, ha fatto sapere il portavoce del governo, vorrebbe evitare), si tenterà un'ultima trattativa, al quale la Grecia arriverà rafforzata dal voto del popolo. Tsipras ha subito confermato di voler trovare un nuovo accordo, chiedendo contestualmente alla Bce nuova liquidità. Di sicuro, per ora, c'è che Angela Merkel ha perso la sua sfida: aveva scommesso tutto sul "sì", ma la scommessa è stata persa. La paura, ad Atene, è che la "vittoria" al referendum, però, sia destinata a restare soltanto una vittoria simbolica.