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martedì 16 giugno 2015

Caivano (Na): Proclamato Sindaco Simone Monopoli

Caivano (Na): Proclamato Sindaco Simone Monopoli 



E' stato proclamato Sindaco di Caivano Simone Monopoli. A breve la formazione degli assessori. Si avvii subito il programma elettorale promesso agli elettori. Si parta dai giovani e dal reddito di cittadinanza, di seguito riportiamo alcuni punti fondamentali rilasciati dallo stesso Simone Monopoli in campagna elettorale al nostro blog il Notiziario sul web, in data 05/03/2015: Il sottoscritto Simone Monopoli, intende coinvolgere le organizzazioni di imprenditori presenti nel territorio caivanese, gli industriali del Consorzio ASI, (Eventualmente il Centro Commerciale Campania e l'Outlet La Reggia) e le organizzazioni sindacali di categoria al fine di predisporre appunto, il REDDITO DI CITTADINANZA CAIVANESE!. E nota: I beneficiari dell'iniziativa saranno i giovani (oltre i 30 anni) disoccupati, inoccupati ed i titolari di  un ISEE inferiore ai 7000 euro annui con familiari a carico ovvero in caso contrario fino a 3000 euro. L'obiettivo non è solo conferire un reddito a tali soggetti ma assicurare loro l'entrata nel mercato del lavoro. Il contributo sarà erogabile fino a 450 euro mensili a persona per un massimo di sei mesi per quattro ore di lavoro giornaliere. Il valore complessivo dell'iniziativa dipende dai margini di intervento sul bilancio comunale ma una prima stima del mio Staff prevede un possibile impegno di risorse finanziarie pari a 400 mila euro che garantirebbero la fruibilità dell'iniziativa a circa 150 persone. Infine: All'occorrenza aprirò uno sportello di consulenza dove ognuno potrà formulare ogni genere di domanda o richiesta. L'obiettivo politico della mia coalizione si sostanzia nel mettere le Istituzioni al servizio del cittadino. Nessuno mai ci aiuterà a superare la crisi se non noi stessi. Ogni centesimo speso dal Comune di Caivano dovrà creare servizi per il cittadino e dovrà rendere il nostro Paese più vivibile. Insomma, queste le priorità del Sindaco di Caivano, Simone Monopoli. Riuscirà a portare avanti almeno una delle sue promesse? Il punto tra 100 giorni.

La Francia frega Renzi: "Basta immigrati" Il premier sbotta: "Adesso fermo da soli"

Immigrazione, la Francia contro Matteo Renzi: "Vanno gestiti dall’Italia". E lui: "Se necessario faremo da soli"




Dopo che Matteo Renzi aveva paventato l’esistenza di un fantomatico “piano B” per far uscire i migranti dai confini italiani, è arrivata puntuale la risposta della Francia. A seguito della chiusura della frontiera a Ventimiglia, il premier aveva dichiarato di voler varare una serie di provvedimenti fra cui la concessione di un permesso temporaneo che possa consentire ai profughi di spostarsi per tutto il territorio europeo. Ma il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, è stato categorico: “Non devono passare, è l’Italia che deve farsene carico. Bisogna rispettare le regole di Schengen”. Messo al corrente del "no" francese, Renzi non ha esitato a controbattere a sua volta: "Se necessario faremo da soli".

Porte in faccia - Cazeneuve, durante un’intervista a radio Rmc e a BFM-Tv, ha infatti dichiarato: “abbiamo avuto circa 8.000 passaggi e abbiamo fatto riammettere in Italia circa 6.000 migranti dall’inizio dell’anno. E nel 2014 abbiamo proceduto a 15.000 riaccompagnamenti alla frontiera”. Numeri che non lasciano spazio a interpretazioni: è solo l’incremento del fenomeno che ha messo in evidenza la riapertura delle dogane, ma la Francia non vuole lasciar passare nessuno già da molto tempo. “Se vogliamo garantire che l’accoglienza dei rifugiati sia sostenibile - ha poi continuato il ministro - bisogna essere fermi nei confronti degli altri”.

Teneteveli voi - Cazeneuve ha fatto appello alle leggi europee e a quelle sul diritto di asilo, secondo cui “quando i migranti arrivano in Francia dopo essere passati per l’Italia ed essersi lì registrati, si applica la legge europea, e ciò significa che essi devono tornare in Italia. Non hanno il diritto di passare”. Sulla questione si è espressa anche la Commissione europea, tramite la portavoce del Commissario all’Immigrazione Natasha Bertaud: “siamo al corrente dei controlli alle frontiere di Francia, Austria e Svizzera e stiamo verificando. Ricordiamo che tutti devono rispettare Schengen e le regole del sistema di asilo europeo”.

La replica di Renzi - Al termine dell’incontro con il presidente messicano, Enrique Pena Nieto, Renzi ha poi replòicato alla chiusura egoistica del ministro francese: "L’Europa ha il dovere di affrontare il problema immigrati tutti insieme. Per noi questo è il piano A. L’atteggiamento muscolare che alcuni ministri di Paesi esteri stanno avendo va nella direzione opposta". Ha quindi poi definito le caratteristiche del suo "piano B": "L’Europa è a un bivio: se vuole essere comunità di persone come noi l’abbiamo sognata, immaginata e costruita deve farsi carico di risolvere tutti insieme il problema dell’immigrazione. Se così non sarà, faremo da soli: questo è il piano B. Siamo un grande Paese, con una forza e solidità che nessuno mette in discussione. Ma questa sarebbe una sconfitta per l’Europa".

Che cosa succede se si esce dall'euro Uno scenario tragico: verso la miseria

Grecia, cosa accade se esce dall'euro: bancomat chiusi, inflazione alle stelle, miseria e pioggia di tasse




La Grecia è sull'orlo del baratro. Ma cosa accadrà in caso di default e abbandono della moneta unica? Una risposta ha provato a darla Repubblica. Si parte dalla corsa agli sportelli bancomat e dal probabile blocco dei conti correnti e del movimento dei capitali, così come accadde a Cipro. Dunque si opererebbe la conversione dall'euro alla dracma di tutti i contati, i depositi, i crediti, i debiti e le pensioni. La dracma subirebbe una pesante svalutazione, stimata tra il 40 e il 70 per cento (così come si svaluterebbero i risparmi dei greci). Come conseguenza, l'export avrebbe un forte impulso, controbilanciato però dal pesantissimo (quasi insostenibile) aumento dei conti dell'import, una fattispecie che farebbe crollare la Grecia in una spirale di disperazione economica. Di conseguenza, schizzerebbe l'inflazione: si stima del 20 per cento. Per contrappasso, crollerebbe il potere d'acquisto delle famiglie, con conseguente recessione e disoccupazione. Atene, inoltre, non potrebbe accedere più a prestiti internazionali, se non a tassi altissimi, insostenibili. Per far cassa, dunque, il Tesoro sarebbe costretto a nuove tasse o a un nuovo impietoso piano di tagli della spesa pubblica. Sempre da un punto di vista bancario, gli istituti ellenici non avrebbero più accesso alla Bce. N deriverebbe una violenta crisi bancaria, con svalutazione degli attivi. In questo contesto, conclude Repubblica, non potrebbe essere esclusa una nazionalizzazione delle banche. Uno scenario da incubo, in tutto e per tutto.

Pc in tilt. Sicilia, mistero durante il voto: che cosa c'entrano Ingroia (e Crocetta)

Sicilia, server della Regione in tilt durante i ballottaggi: non pagavano la partecipata gestita da Antonio Ingroia




Un contenzioso fra la Regione Sicilia e la partecipata Sicilia e Servizi ha creato un blackout del sito della Regione durante le elezioni, nelle stesse ore dei risultati dei ballottaggi nei tredici comuni. Il blackout era iniziato a mezzanotte, ed è stato risolto solo nel primo pomeriggio. Cosa curiosa, però, è che la partecipata che gestisce i server informatici dell’ente è guidata dall’ex pm Antonio Ingroia. Questi server sono però gestiti da ex soci privati, che vantano presso la Regione un credito di circa 80 milioni di euro. Per questo motivo, per forzare la mano a Crocetta e incentivare il pagamento del debito, la società ha staccato la spina. Creando non pochi disagi, anche perché è andato in tilt anche il sistema che si occupava di gestire il flusso dei dati elettorali.

Imbarazzo a corte - Oltre a questo l’imbarazzo è stato molto. In un periodo in cui il Pd si spacca da tutte le parti e Matteo Renzi trova un nuovo nemico ad ogni angolo, ci mancava solo una lite interna fra Crocetta e Ingroia per un debito di decine di milioni di euro. E infatti è arrivata repentina la smentita dell’ex Pm esiliato, che ha dato ogni responsabilità ai privati: “Il distacco dei server dell’ex socio privato per far saltare il sistema informatico dei siciliani è un atto di forza inaccettabile e irresponsabile perché finalizzato ad ottenere dalla Regione il pagamento di un credito vantato dall’ex socio privato da fare valere nelle sedi giudiziarie e non con l’utilizzo di sistemi ritorsivi e ricattatori. Mi chiedo inoltre se il momento scelto per il distacco non sia stato cercato ad hoc, proprio nel momento in cui alle prefetture affluiscono i dati elettorali”. Che intuizione geniale, si vede che ha fatto il pubblico ministero.

Elezioni, dove ha trionfato il centrodestra Pd, il giorno più nero: 8 bombe su Renzi

Elezioni comunali, i ballottaggi: il Pd perde 8 capoluoghi su 12, pesanti le sconfitte a Venezia ed Enna




Ancora non si vede la luce in fondo al tunnel per Matteo Renzi. Anzi, la strada continua a farsi sempre più buia. Le comunali in Sicilia e i ballottaggi nelle altre regioni consegnano al premier una sconfitta inequivocabile: su 12 capoluoghi di provincia che sono andati al ballottaggio, il centrosinistra ne ha conquistati solo 4. Gli altri 8 sono andati al centrodestra o a liste civiche alleate. Le sconfitte che bruciano di più sono quelle di Venezia ed Enna, che dopo anni di dominio incontrastato della sinistra sono passate all’altra sponda politica. La caporetto è stata soprattutto quella del capoluogo siciliano, città d’origine del presidente della Regione Crocetta che si era speso personalmente a favore del Pd.

Le sconfitte - A Venezia ha vinto l’imprenditore Luigi Brugnaro con il 53% dei voti, contro Felice Casson appoggiato dal Pd. A Arezzo invece Matteo Bracciali del centrosinistra ha perso di uno 0,83% contro Alessandro Ghinelli del centrodestra, mentre a Rovigo la lista civica di Massimo Bergamini ha vinto con il 59,72% contro la piddina Nadia Romeo. Netta a Fermo la vittoria di Paolo Calcinaro, che con il 69,92% ha stracciato Pasquale Antonio Zacheo del centrosinistra, così come a Nuoro dove Andrea Soddu ha battuto con il 68,39% Alessandro Bianchi del Pd. A Enna Maurizio Antonello Dipietro ha superato con il 51,89%  Vladimiro Adolfo Crisafulli, pupillo di Crocetta, e a Matera Salvatore Adduce ha perso contro Raffaele Giulio De Ruggieri, che con la sua lista civica ha ottenuto il 54,51%. Infine Chieti, dove Umberto di Primio ha vinto con il 55% contro Luigi Febo.

Le vittorie - Le quattro vittorie per il Partito Democratico sono state a Mantova, Lecco, Macerata e Trani. Vittoria più netta fra tutti i ballottaggi è stata proprio quest’ultima, dove Amedeo Bottaro ha asfaltato l’avversario Antonio Florio, raggiungendo il 75,79%. Buono anche il risultato di Mantova, dove Mattia Palazzi ha ottenuto il 62,5% sconfiggendo Paola Bulbarelli, candidata del centrodestra, mentre a Lecco Virginio Brivio con il 54,38% ha battuto Alberto Negrini del centrodestra. Infine Macerata, dove Deborah Pantana ha perso contro Romano Carancini, che è arrivato al 59,11%.

Salario minimo di 3.400 € Dove si trova il "paradiso" (a due passi dall'Italia...)

Canton Ticino, approvato il salario minimo da 3400 euro (per combattere i frontalieri italiani)




Del salario minimo se ne parla da anni. Bandiera del Movimento 5 Stelle e inserito come proposta nel Jobs Act, in Italia però ancora non si è mai visto. Esiste però un luogo, a pochi metri da noi, che ha deciso di metterlo in pratica: 3.400 euro al mese per lavoratore, addirittura il salario minimo più alto del mondo. Questo paradiso si chiama Canton Ticino, ed è la zona più meridionale della Svizzera. Secondo la Costituzione cantonale "il Canton Ticino è una repubblica democratica di cultura e lingua italiane, fedele al compito storico di interpretare la cultura italiana nella Confederazione elvetica". Nonostante questo il provvedimento è stato adottato per scongiurare il fenomeno dei “frontalieri”, ovvero di quei lavoratori italiani che, facendosi pagare meno rispetto agli elvetici, si fanno assumere in Svizzera rimanendo residenti in Italia. Questa “migrazione” quotidiana è sempre stata mal digerita dal Ticino, che adottando un salario minimo spera di annullare la convenienza nell’assumere italiani, che andrebbero comunque pagati come gli altri.

Il referendum - Il salario minimo è stato approvato ieri dal 54% dei votanti che hanno partecipato al referendum sulla riforma della Costituzione del Cantone. L’iniziativa, dal titolo “Salviamo il lavoro in Ticino”, è stata proposta dai Verdi e appoggiata da una coalizione bipartisan formata sai dai socialisti che dalla Lega dei Ticinesi, il partito di destra populista. Il meccanismo prevede che la soglia minima di stipendio varierà a seconda della mansione e del settore economico, e non si applicherà a quel 40% di popolazione che è già tutelata da un contratto collettivo. La media del salario minimo sarà di 3500 franchi lordi mensili, circa 3400 euro.

Effetti sugli italiani - La riforma avrà effetti soprattutto sui 17.600 lavoratori che guadagnano meno di 3500 franchi, di cui oltre 10mila sono frontalieri italiani, e sui 9.400 che prendono meno di 3000 franchi al mese, sempre quasi tutti italiani. Inoltre circa la metà dei 62mila frontalieri, di cui 27mila varesini e 25mila comaschi, non sono tutelati da un contratto collettivo e si accontentano anche di 2000 euro mensili o meno. Se applicato, il salario minimo riguarderà quindi soprattutto questi lavoratori: “Gli elettori hanno scelto di intervenire alla testa del sistema – ha spiegato Sergio Aureli del sindacato ticinese Unia – d’ora in avanti in Ticino la manodopera sarà scelta in base alla qualità e non alla possibilità di poterla pagare poco sfruttando così il meccanismo del dumping salariale”.

Salvini, la svolta da Lilli Gruber: l'offerta (di governo) a Berlusconi

Matteo Salvini: "Un incontro con Silvio Berlusconi. Le primarie e un governo alternativo a quello di Matteo Renzi"




Dopo settimane in cui Matteo Salvini ha tenuto la sua linea, chiudendo nei fatti al dialogo con Forza Italia, ora sembra che uno spiraglio si sia aperto. È lo stesso segretario della Lega Nord che, dalla trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7, ha dichiarato di voler incontrare Silvio Berlusconi per vedere se ci possono essere dei punti di incontro fra i due partiti. “Ho in programma un incontro con Berlusconi – ha detto - per capire se possiamo ragionare assieme ad esempio sull’Europa. Ci stiamo preparando per un governo alternativo, vediamo se Berlusconi è interessato alle nostre proposte”. Con un Renzi sempre più debole, insomma, l’altro Matteo ha capito che gli spazi si stanno allargando e che l’occasione non va lasciata sfuggire. Certo, “se si andasse a votare domani, la Lega andrebbe da sola”, ma le elezioni non sono così vicine. E tempo per ragionare ce ne sta. Anche perché il “nemico” non sembra così pericoloso: “Siamo governati da sinistra fessa che non controlla la frontiera. Io non ho problemi a superare la moneta unica, figuriamoci se mi faccio problemi a rivedere un trattato come quello di Dublino”.

L’apertura di Silvio - D'altronde il sogno di Berlusconi è sempre stato quello di una casa dei moderati, un grande rassemblement per lanciare la sfida a Matteo Renzi, che comincia a vacillare. Come ha dimostrato il voto ai ballottaggi delle amministrative, dove il centrosinistra ha perso roccaforti rosse come Arezzo e Pietrasanta. Il Cavaliere non pensa a un partito unico di centrodestra ma a un ampio movimento, agile con poche linee e punti nel programma da condividere, aperto a partiti, club, associazioni e privati. L’ex premier immagina per se stesso un ruolo di padre nobile, come va ormai dicendo da tempo, ed è convinto che dentro questo contenitore politico ci saranno anche la Lega di Matteo Salvini. I colloqui di questi giorni saranno quindi fondamentali per capire quali saranno le prossime mosse fra i due leader. E se i partiti saranno in grado di superare le rispettive differenze per coalizzarsi contro la sinistra, magari anche col supporto di Giorgia Meloni.