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domenica 28 settembre 2014

Scattano i controlli sulla tassa rifiuti La guida per evitare di restare fregati

Tassa rifiuti, scattano i controlli. Ecco come difendersi




Scattano i controlli sulla tassa rifiuti. Dopo il lavoro svolto per introdurre la nuova Tari, gli uffici tributari degli enti locali sono impegnati in queste ore nell'accertamento delle annualità pregresse. I controlli avviati da parte dei funzionari comunali hanno generato il caos agli sportelli. E "Il Sole 24 Ore" pubblica oggi una guida per i contribuenti con cui verificare la correttezza degli accertamenti anche al fine di escludere eventuali errori.

L'importanza della ricevuta di versamento -  E' possibile che il contribuente abbia regolarmente effettuato il versamento, che non risulta invece contabilizzato dall'ente per un disguido nell'inserimento dei dati oppure per un errore in sede di pagamento (dipeso ad esempio dall'utilizzo dell'F24). In tal caso il contribuente deve reperire la ricevuta di versamento ed esibirla all'ente al fine della corretta imputazione.

Verificare eventuali errori di calcolo - Dopo aver verificato la corrispondenza dei pagamenti sulla ricevuta (da conservare per almeno cinque anni), occorre escludere la presenza di eventuali errori di calcolo, seguendo il percorso logico effettuato dall'ente per il conteggio del tributo e relative sanzioni. Potrebbe trattarsi di una verifica complessa, perché occorrerebbe munirsi di tutti i dati necessari, a partire dalle delibere tariffarie e dagli altri parametri relativi in particolare alla base imponibile.

Nel mirino dei controlli anche le quote - Tra gli errori commessi da alcuni Comuni, specie nel passaggio dalla Tarsu alla Tares, spesso ricorre il calcolo della quota variabile delle utenze domestiche, che va computata una sola volta a prescindere dal numero delle pertinenze. Ipotizziamo di avere un'utenza dalla superficie complessiva di 150 mq., composta da un appartamento (100 mq), un garage (30 mq) e una cantina (20 mq). Consideriamo un nucleo familiare di 4 componenti a cui corrisponde una quota fissa di 0,8 €/mq e una quota variabile di 30 euro, secondo il piano tariffario stabilito dall'ente. Applicando il metodo normalizzato (Dpr 158/99) dovremmo avere una quota fissa pari a 120 euro (0,8 x 150 mq.) e una quota variabile di 30 euro, quindi il contribuente dovrebbe pagare complessivamente 150 euro. Il comune potrebbe però aver moltiplicato la quota variabile per tre unità (abitazione e 2 pertinenze), falsando così l'importo finale che lievita a 210 euro.

La superficie campanello d'allarme per i controlli - Un ulteriore controllo, per verificare la correttezza dei versamenti effettuati, va effettuato sulla superficie indicata nell'avviso di pagamento della tassa rifiuti: potrebbe costituire un vero rompicapo per il contribuente. Al momento non è ancora entrata "a regime" la regola dell'80% della superficie catastale, quindi il Comune può aver utilizzato il dato della superficie "calpestabile" oppure di quella "catastale".

Le sanzioni in caso di errori sugli importi - Da questi primi sommari controlli, se risultassero sbagliati gli importi dei versamenti effettuati, il contribuente potrebbe incorrere in alcune sanzioni. Gli eventuali errori emersi ovviamente si riflettono sul calcolo finale e quindi anche sull'importo delle sanzioni, calcolate in percentuale: 100% per omessa denuncia, 50% per infedele denuncia, 30% per omesso versamento. L'ente potrebbe comunque contestare con un unico avviso più annualità (ad esempio dal 2010 al 2013): in tal caso le sanzioni non vanno sommate (c.d. cumulo materiale) ma va applicata la sanzione più grave aumentata dalla metà al triplo (c.d. cumulo giuridico). 

L'avviso di accertamento deve riportare i dati  - Gli avvisi di accertamento che contestano i versamenti relativi alla tassa rifiuti vengono generalmente redatti e stampati con strumenti informatici, quindi non si può pretendere la sottoscrizione autografa del funzionario responsabile. D'altronde è la stessa legge che consente di sostituire la firma con il nominativo stampato sull'atto (articolo 1 comma 87 legge 549/95), purché siano indicati gli estremi del relativo provvedimento (Cassazione 23976/2008 e 3941/2011). 

L'avviso di accertamento va notificato correttamente - Se ti contestano il versamento della tassa rifiuti di qualche anno fa, non è detto che l'avviso di accertamento ricevuto sia stato inviato in modo corretto. Tra i vizi formali che vengono frequentemente contestati in sede giudiziaria rientrano quelli relativi al procedimento di notifica degli avvisi. Sul punto va chiarito, anche al fine di evitare inutili contenziosi, che il comma 161 della legge 296/2006 consente al Comune di effettuare la notifica anche a mezzo di semplice raccomandata con ricevuta di ritorno, senza utilizzare la busta verde prevista per gli atti giudiziari. Il Comune non può invece affidarsi agli addetti del servizio di posta privato, poiché non rivestono la qualifica di pubblici ufficiali.

L'istanza di autotutela per difendersi - Il contribuente a cui venissero contestati i pagamenti relativi alla tassa rifiuti, dopo aver effettuato i primi controlli, potrebbe valutare l'opportunità di presentare un'istanza di riesame in autotutela, prima di esperire la via giudiziaria. L'autotutela è il rimedio più idoneo per richiedere la correzione di errori materiali di calcolo oppure la mancata considerazione di pagamenti del tributo. Occorre tenere sotto controllo i tempi al fine di rispettare il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell'accertamento.

Sciopero generale e scissione del Pd Articolo 18: minacce incrociate per Renzi

Articolo 18, minacce incrociate per Matteo Renzi. Camusso (Cgil): "Sciopero generale". Civati (Pd): "Scissione"




Da una parte lo sciopero generale, dall'altra la scissione del Pd. Sono le due minacce che il premier Matteo Renzi si trova a superare sulla strada del Jobs Act e dell'abolizione dell'articolo 18. Il segretario della Cgil Susanna Camusso è chiara: se il governo proseguirà sulla riforma del lavoro attraverso un decreto, "saltando" il confronto con le parti sociali e il Parlamento, il sindacato e i suoi iscritti scenderanno in piazza. E nel frattempo il sindacato rosso ha già indetto una grande manifestazione a Roma, il prossimo 25 ottobre.

La Camusso: tutti uniti contro il governo - Per la leader della Cgil, intervenuta all'assemblea nazionale della Fiom, "bisogna costruire un punto di tenuta sui contenuti" perché "non si può offrire l'idea di lavoro, di libertà del lavoro, di universalità dei diritti dando l'impressione che il sindacato non è unito su queste cose". "Abbiamo tanto da discutere - ha ammesso la Camusso -. Ho sentito le affermazioni di un segretario dimissionario (Raffaele Bonanni della Cisl, ndr) che mi hanno fatto pensare che non ci fosse il necessario rispetto nei confronti della Cgil, ma credo che dobbiamo guardare davvero un po' in avanti". 

Civati: "Rischio scissione nel Pd" - E avanti guarda, a modo suo, anche Pippo Civati: il terzo incomodo nelle ultime primarie democratiche, quelle che hanno visto trionfare Renzi, è tornato ad alzare la voce cercando di radunare intorno a sé la fronda Pd più allergica ad ogni "rivoluzione" sul tema di lavoro e articolo 18. Jobs Act sì, ma il "totem" dello Statuto dei lavoratori non si deve toccare: "Altrimenti c'è il rischio di scissione". Questo mentre uno dei leader della minoranza Sinistradem, Gianni Cuperlo, sembra frenare il dissenso: "Si cambia l'Italia unendo le sue energie sane e migliori. Se questa è la sfida, ognuno di noi la deve affrontare con la maturità che richiede. Mai come adesso, si vince o si perde assieme. Faccio appello al premier e segretario del Pd perché assuma una posizione coerente col profilo della principale forza del progressismo e del socialismo europeo". Quindi la proposta: "Servono risorse certe, e per questo è giusto saldare il confronto sul Jobs Act a quello sulla legge di stabilità. Ciò che promettiamo dobbiamo mantenere. Sull'articolo 18, nessuno ritiene abbia un peso nella sfida del cambiamento. La riforma Fornero ha già ridotto confini e impatto della vecchia norma. Il punto è prevedere che a fronte di un licenziamento discriminatorio, illegittimo o privo di motivazioni, alla fine della prova la possibilità di reintegra venga mantenuta come accade in Germania".

Cosa sta succedendo a Repubblica? Redazione in rivolta "Basta, quella firma ormai fa solo marchette alla Rai"

Repubblica, dopo Spinelli e Maltese, cdr contro Giovanni Valentini: scrive "marchette" per la Rai




Grossi guai a Repubblica. Ormai è ufficiale: i giornalisti di largo Fochetti sono in guerra contro le grandi firme del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Una polveriera in cui il comitato di redazione chiede da settimane al direttore Ezio Mauro di intervenire per mettere un po' d'ordine tra le scrivanie, tra gente eletta all'Europarlamento che non rinuncia al (lauto) stipendio per vergare i propri editoriali e altri colleghi che si esibiscono in imbarazzanti "marchette" (auto) promozionali, come nell'ultimo caso di Giovanni Valentini. Vuoi vedere che il giornale-partito è simile in tutto e per tutto ai più classici partiti-partiti?

Spinelli e Maltese allarme rosso - Il 2014 caldissimo di Rep è iniziato con il "balletto" di Barbara Spinelli, storica penna prestata alla politica. Candidata alle Europee con l'ultra-sinistra della lista Tsipras "solo per dare visibilità ai compagni", aveva promesso di cedere il seggio se eletta. Solo che eletta lo è stata per davvero, e al seggio non ha rinunciato (senza peraltro farsi vedere mai a Strasburgo). Caso simile quello di Curzio Maltese, pure lui eletto con Tsipras. All'Europarlamento ci va e il problema è questo: il prestigioso giornalista pretende di ricevere l'emolumento per il proprio incarico politico mantenendo quello per la collaborazione con Repubblica. Mauro gli aveva proposto di continuare a scrivere gratuitamente, anche per dribblare possibili sospetti di conflitto d'interessi, ma Maltese tiene duro, anche perché sa di poter sempre agitare lo spauracchio di una causa civile.  

Il caso Valentini - Ma c'è un altro compagno che rivendica i propri diritti, alla faccia di stagisti e precari vari. E', appunto, Valentini. Dagospia ha pubblicato la lettera del cdr e i contenuti sono, per così dire, piccanti. "Nel corso dell'estate abbiamo formalmente sollevato con la direzione (attraverso uno scambio di mail che ha coinvolto anche il collega interessato) la per noi decisiva questione dell'oggettivo conflitto di interessi in cui è venuto a trovarsi Giovanni Valentini allorché, nella sua rubrica, ha espresso giudizi lusinghieri sulle scelte di programmazione della dirigenza Rai, pur trovandosi nella condizione di essere in quel momento in trattativa con la stessa dirigenza Rai per una possibile collaborazione remunerata". Il problema è che Valentini nel suo Sabato del villaggio ha perseverato, firmando un secondo articolo assai benevolo nei confronti di Petrolio, programma condotto da Duilio Giammaria. Peccato che nella puntata recensita fosse ospite (gratuito), guarda un po', proprio Valentini. L'editorialista dapprima ha replicato sostenendo di tenere più a Repubblica che alla Rai, comunicando di aver sospeso ogni trattativa ("Senza l'intervento del Cdr - ribattono i colleghi - avrebbe potuto percepire compensi dalle persone e dell'azienda di cui aveva scritto su Repubblica") e poi a sua volta ha accusato i membri del cdr di volerlo censurare. Ma al comitato di redazione le spiegazioni di Valentini non bastano, anzi, e chiedono di non alimentare spiacevoli conflitti d'interessi. La risposta della firma sotto accusa è arrivata ancora una volta a mezzo stampa, cioè su Repubblica: l'ultima puntata della sua rubrica è in pratica uno spot per la Rai, un invito a evitare noiosi talk show e guardare in tv Italy in a day, docu-film di Gabriele Salvatores realizzato su invito, il caso, di Rai Cinema. 

sabato 27 settembre 2014

Grandi manovre dei centristi per spingere Silvio in maggioranza

Il piano dei centristi per portare Silvio al governo

di Franco Bechis 


Ogni due tre giorni una riunione. Ieri incontro ufficiale fra rappresentanti di partito. Qualche giorno prima si sono visti in maniera più carbonara alcuni senatori e una manciata di deputati. La prossima settimana dovrebbero incontrarsi alla luce del sole anche alcuni gruppi parlamentari. Sono in corso grandi manovre al centro del centrodestra italiano.

Ne sono protagonisti Mario Mauro, Pierferdinando Casini, alcuni esponenti del Ncd come Renato Schifani e Giuseppe Scoppelliti, membri del gruppo parlamentare di Gal al Senato, e in maniera più defilata (ma compiaciuta) anche Silvio Berlusconi. Ufficialmente il tentativo - non proprio nuovissimo - è quello di mettere insieme dentro e fuori dal Parlamento e riunire in un solo gruppo chiunque si riconosca nel partito popolare europeo. Ed è quel che ammette lo stesso Mauro, che si intesta la regia dell’operazione: «mi sembra naturale farlo. È quello che ho sempre desiderato, e mi sono impegnato a realizzarlo con i vertici del Ppe. Al momento stiamo tessendo la tela fra Popolari per l’Italia, Udc e Ncd pensando a una fusione dei gruppi parlamentari. Ma naturalmente è benvenuta anche Forza Italia, visto che il Ppe è il suo riferimento ufficiale in Europa. Si è vero, ci stiamo incontrando non solo per discutere, ma anche per pensare gli aspetti operativi. E ci vedremo anche la prossima settimana».

Fusione fredda - Detto così il progetto di una fusione fredda, perseguito dai tempi in cui i numeri di quell’area politica erano ben più consistenti degli attuali. Ma sotto la coltre dell’ufficialità si sta muovendo qualcosa di ben più caldo. L’idea concreta è quella di creare un nuovo gruppo parlamentare che diventi una sorta di terra di mezzo fra l’area di governo classica e quella di opposizione più morbida. Potrebbe essere vista così, o anche come una sorta di ponte parlamentare fra il Pd di Matteo Renzi e Forza Italia. Chi muove la costruzione punta da un lato ad assorbire parte del Nuovo centro destra non particolarmente soddisfatto della strategia di Angelino Alfano e più timoroso dell’immediato futuro. Una decina di senatori (l’area sarebbe quella calabro-siciliana) pronto a trasferirsi lì insieme a Popolari per l’Italia, Udc e qualche senatore di Gal, attendendo anche un distacco di una parte dei senatori di Forza Italia.

Anche se il gruppo dovrebbe coccolare malumori esistenti sia nelle fila Ncd che in quelle azzurre, formalmente la creazione del gruppo della terra di mezzo non avrebbe toni polemici o particolarmente battaglieri nei confronti di chi guida i due partiti. Anzi si offre come ponte per la loro riconciliazione. Secondo alcune indiscrezioni chi è tentato dal passaggio ne avrebbe parlato con lo stesso Silvio Berlusconi ottenendo se non un via libera formale, almeno un interesse di massima. Che cosa dovrebbe fare il nuovo gruppo? L’idea è quella di condizionare Renzi più di quanto non riesca oggi a Ncd, perché se l’operazione dovesse riuscire, il governo senza quei numeri non avrebbe più la maggioranza. Tre gli obiettivi principali: grazie a quel condizionamento, allungare la vita della legislatura evitando ogni tentazione di Renzi di andare ad elezioni nella primavera 2015; cambiare radicalmente quell’Italicum che è stato disegnato su un quadro politico che probabilmente non esiste più, e infine creare le condizioni per un successivo ingresso di tutta Forza Italia nella maggioranza di governo.

Desideri e malumori - Desideri e maldipancia si uniscono con facilità in un progetto di questo tipo. Si borbotta in casa Ncd, sia per ragioni di emarginazione interna, sia per la sensazione che non sia così fruttuoso continuare a fare la ruota di scorta di un leader di governo che ti scarica addosso tutti i problemi e gli insuccessi e nei rari casi di successo, non ne divide con alcuno i frutti. A non pochi di questi pontieri preme anche una sorta di assicurazione sul futuro politico. Che sarebbe facilitata se con l’operazione terra di mezzo riuscissero davvero a imporre con la forza dei numeri l’ingresso strisciante di Forza Italia nella maggioranza attuale.

Tonino contadino, Giggino silurato Rottura totale per la brigata anti-Cav

Che fine ha fatto la brigata anti-Cav




E' in rotta totale la banda anti-Cav. A testimonianza del fatto che Silvio Berlusconi, coi suoi pregi e le sue magagne, ha di fatto tenuto in vita  per anni (mediaticamente e politicamente) personaggi che oggi, con lui in posizione defilata e ormai quasi fuori dai guai giudiziari, hanno assai poca ragione di esistere.

Il primo a finire ai margini è stato Antonio Di Pietro, "dio" con la toga di Manipulite poi riciclatosi in politica come leader dell'Italia dei valori. Oggi, Tonino fa l'agricoltore a Montenero Di Bisaccia, suo paese naatale in Molise. E ieri è tornato a parlare in pubblico dopo lungo tempo. Dove? Ospite di un convegno sul "piano di sviluppo rurale 2014-2020. Quale futuro per l'agricoltura molisana?". Ad Antonio Ingroia, pure lui fu magistrato riciclato in politica, è andata anche peggio: la sua Azione civile ha fallito in tutti gli appuntamenti elettorali cui si è presentata, le politiche 2013 e le europee 2014. Nessun eletto in entrambe le occasioni. Per consolarsi, Ingroia ha ottenuto due incarichi pubblici nella natia Sicilia dall'amico Rosario Crocetta: commissario di "Sicilia e servizi" e commissario della Provincia di Trapani (incarico, quest'ultimo, scaduto lo scorso 30 giugno).

Alla politica sono invece riusciti ad approdare dal mondo dei media due ex "intellettuali giustizialisti" come Barbara Spinelli e Curzio Maltese. La prima aveva dichiarato in campagna elettorale di voler rinunciare all'eventuale seggio in favore del primo dei non eletti, ma ha poi preferito tenersi stretto il posto a Strasburgo. Il secondo, invece, sta facendo il diavolo a quattro per tenersi lo stipendio che riceve a Repubblica accanto al ricco compenso di parlamentare europeo.

Dei tanto celebrati (un tempo) "Popolo viola" e "Girotondi" non si hanno notizie ormai da anni.E forse, chissà, tra un anno si perderanno le tracce (almeno televisive) anche di Michele Santoro, il cui intento di mollare "Servizio pubblico" alla fine della stagione appena iniziata non potrà che uscire rinforzato dai risultati di share della prima puntata, con un misero 5,7% e un milione di telespettatori persi per strada rispetto all'esordio della stagione scorsa. Marco Travaglio, da quando non può più prendersela col Cav, disserta di antimafia e Napolitano con infiniti sermoni sul Fatto. E il flop di Santoro su La7 è anche il suo e del vignettista Vauro. Come lo è di Sabina Guzzanti, idola delle (ex) folle antiberlusconiane e che, lei pure come Travaglio, ha preferito virare la sua verve polemica sul tema della mafia.

Poi c'è il tragicomico caso di Luigi De Magistris, pure lui ex pm buttatosi in politica (ma forse la faceva anche con la toga addosso). Tragico perchè una città con mille problemi come Napoli si trova pure col problema di un sindaco condannato che, verosimilmente, dovrà lasciare l'incarico con l'applicazione della legge Severino. Comico perchè la prima cosa che Giggino ha fatto dopo aver saputo della pena di un anno e tre mesi inflittagli per abuso d'ufficio è stata partire testa bassa all'attacco dei giudici. Ma quello che faceva così non era Berlusconi?

giovedì 25 settembre 2014

Sul babbo indagato di Matteo Renzi si allunga l'ombra di Telekom Serbia

L'ombra di Telekom Serbia nell'inchiesta sul padre di Renzi

di Giacomo Amadori 


L’inchiesta per bancarotta fraudolenta contro Tiziano Renzi si arricchisce ogni giorno di nuovi colpi di scena e da oggi si intreccia clamorosamente con la vicenda Telekom Serbia. Per rendersene conto bisogna concentrarsi su Antonello Gabelli, 51 anni, originario di Alessandria, uno dei tre indagati per il fallimento della Chil post (datato 7 dicembre 2013). Libero lo ha cercato diverse volte negli ultimi mesi. L’ultima domenica scorsa, quando, a sorpresa, siamo stati ricontatti: «Sono Vincenzo Vittorio Zagami, avvocato del Foro di Roma, tessera numero A… e assisto il signor Gabelli. È stato nominato amministratore della Chil post, ma in realtà era una testa di legno.

Chi dava le disposizione, anche dopo la vendita e sino al fallimento della società, era il papà del signor Renzi». L’incipit non è esattamente nel tipico linguaggio felpato dei difensori di fiducia. Ma il prosieguo è persino più spumeggiante: «Il mio cliente è una persona assolutamente impossidente. Per fare il prestanome gli avevano promesso dei soldi che non sono arrivati e ora sarebbe disponibile a rendere una testimonianza scoop in audio e in video perché ha delle carte relative al padre di Renzi. Però, giustamente, vuole qualcosa in cambio. Si deve pagare l’avvocato, visto che tra poco l’arresteranno per bancarotta fraudolenta». L’uomo è esuberante e ci invita a bere un caffè nel pomeriggio a Cap Saint Martin alle porte del Principato di Monaco. Decliniamo l’offerta, ma ci accordiamo per un incontro il giorno successivo ad Alessandria, dove Zagami è residente in un’elegante palazzina nella frazione Valmadonna. Prima di partire cerchiamo su Internet notizie su questo difensore sui generis e scopriamo diverse cose curiose.

Per esempio che è iscritto al foro di Roma solo dal 2012 come «avvocato comunitario stabilito», essendo stato abilitato a esercitare la professione in Francia e in Spagna. Pugliese e di ottima famiglia, è titolare dello studio Zagami e associati con sedi a Molfetta, Roma e Milano. Marco Travaglio nel suo libro La scomparsa dei fatti ricorda la sua storia e come a un certo punto sia diventato il “super-testimone” della vicenda Telekom Serbia, con un’intervista a Paolo Guzzanti, vicedirettore del Giornale e senatore di Forza Italia: «Tal dottor Favaro si descrive come uno “dei due italiani che erano sul volo da Atene a Belgrado per portare i famosi 1.500 miliardi (in sacchi di iuta ndr) per la conclusione dell’affare”. Favaro sostiene pure di aver assistito alla consegna di tangenti e di possederne addirittura una ricevuta. L’uomo in realtà si è presentato a Guzzanti, col suo vero nome, Vincenzo Vittorio Zagami, sedicente collaboratore del Sismi. Basterebbe un semplice controllo per scoprire che si tratta di un volgare truffatore, pluripregiudicato, con varie condanne alle spalle».

Il 13 maggio 2002 viene arrestato dall’Interpol nella sua casa di Cap Saint Martin e, secondo Travaglio, «la bufala viene smascherata». Adesso, 12 anni dopo, Zagami difende Gabelli e chiede soldi per incastrare babbo Renzi. Quanti soldi? Non molti: «Dodici mensilità da neanche mille euro l’una. Il mio assistito deve campare». Lunedì incontriamo la strana coppia in un bar di Piazza della Libertà ad Alessandria. L’ex amministratore della Chil post rimane praticamente muto per tutta la durata della riunione. Capelli scuri, polo bordeaux, corpulento e un po’ claudicante, Gabelli ha il volto tirato. Il suo avvocato è invece un fuoco d’artificio. Rolex e gemelli d’oro, scarpe di Gucci, esibisce i tesserini professionali di tre diverse nazioni. Quindi squadra il cronista: «Per combattere le pellacce ci vogliono le pellacce. Non ho paura di niente, ho fatto il carcere, la latitanza». Incuriositi, gli chiediamo lumi sulle sue disavventure giudiziarie, ma a questo punto Zagami ci accusa di «andare in cerca di sensazionalismo»: «Ho un passato molto particolare, ma che cosa interessano fatti di vent’anni fa senza nessuna attualità? Non sono io indagato a Genova». Poi assicura di essere stato prosciolto con formula piena per Telekom Serbia e di aver girato per quasi tutte le prigioni italiane per colpa delle false accuse che gli sono piovute addosso. Zagami è certo che Gabelli sia stato messo in mezzo e ci ripropone l’intervista a pagamento: «Noi non stiamo violando nessun segreto istruttorio perché non siamo mai stati ascoltati dai pm. La procura, al di là del semplice avviso di garanzia, non ha fatto neanche un’audizione. Il fascicolo è completamente vuoto».

In realtà a maggio il curatore fallimentare Maurizio Civardi ha scritto ai pm che Gabelli «si è reso indisponibile a un incontro e che a tutt’oggi non ha neppure riscontrato le richieste di chiarimento sottoposte dal curatore». Per Zagami l’inchiesta non può rimanere in Liguria: «Il giorno che il magistrato ci chiamerà, chiederò lo spostamento del processo, la competenza è di Firenze, dove si sono svolte le compravendite, o meglio ancora del tribunale dei ministri, infatti l’unico dirigente della società che è fallita era Matteo Renzi». Zagami punta il dito sulle due cessioni fatte da Tiziano Renzi nell’ottobre del 2010: la prima in cambio di 3.800 euro alla moglie Laura Bovoli e la seconda, sei giorni dopo, per 2 mila euro al settancinquenne sedicente prestanome (e non indagato) Gian Franco Massone. In tutto 5.800 euro per una società con 60.400 euro di valore nominale e un valore della produzione di 4,5 milioni nel 2009. Per l’avvocato ci troveremmo di fronte a una good company (venduta a Bovoli) e a una bad company affidata a Gabelli che nel dicembre 2010 ha firmato il bilancio con quelle operazioni finanziarie oggi sotto la lente della procura.

«Hanno venduto una scatola vuota, dopo averla privata di tutti i contratti commerciali» insiste Zagami. Su Massone viene scaricato anche un mutuo da 497 mila euro garantito sino a quel giorno dalla mamma di Matteo Renzi. Nell’atto notarile del 14 ottobre, un documento chiave per la procura genovese, si legge che Massone «si obbliga a liberare la signora Bovoli Laura dalla fideiussione prestata a favore della Banca di credito cooperativo di Pontassieve entro 30 giorni». La banca all’epoca aveva nel consiglio di amministrazione uno dei fedelissimi dell’attuale premier, l’ex boy scout Matteo Spanò, oggi presidente dello stesso istituto di credito. Il legale di Gabelli se la prende pure con il notaio che ha firmato i due atti, Claudio Barnini, il professionista di fiducia dei Renzi, colpevole di aver avallato le compravendite senza precisare le modalità di pagamento. «Perché la società viene ceduta senza un dimostrato passaggio di soldi? Si tratta di cessioni simulate? In casi come questo il notaio ha l’obbligo, per le norme antiriciclaggio, di fare una segnalazione». La chiacchierata termina qua. Il legale ribadisce: «Gabelli non rilascia nessuna intervista se non dietro un contributo per le spese che dovrà affrontare». Replichiamo che non siamo disponibili a versare alcunché. «E allora di che cosa parliamo? C’è altra gente che sta venendo con gli assegni in mano. La saluto».

Beppe Grillo in ginocchio da Bersani: "Insieme contro Renzi". Poi minaccia...

Beppe Grillo chiama Pier Luigi Bersani: "Insieme per sbarazzarci di Matteo Renzi"




Torna a farsi sentire Beppe Grillo. E torna a farsi sentire con la più improbabile delle piroette: chiama per un'alleanza Pier Luigi Bersani, lo stesso Bersani che sbertucciò rifiutando ogni alleanza dopo le elezioni politiche della non-vittoria dell'uomo da Bettola. Nel mirino del grande capo Beppe c'è la riforma del lavoro e, fa sapere, i Cinque Stelle sono disposti a un'intesa con la minoranza del Pd pur di mandare a casa Matteo Renzi e il suo governo.

Gli obiettivi - Al solito, l'appello viaggia sul blog, dove su un post firmato da Aldo Giannulli si legge: "Lo scontro che si sta profilando impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste per realizzare la massima efficacia dell'azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame 'riforma', quanto l'occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l'azione parlamentare e con l'azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade".

"Compagni" - Un appello davvero esplicito, dunque. E ancora: "Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, lui, segretario del Pd, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?". Beppe Grillo, stella (già) cadente dell'antipolitica, dunque, pur di restare a galla tende la mano allo "zombie" Bersani, all'ex leader di quel partito ("il Pd-L"), che al pari di tutti gli altri partiti, ha sempre disprezzato. Fino ad oggi.