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mercoledì 9 luglio 2014

Pier Silvio e Confalonieri assolti: prova che Silvio è innocente

Pier Silvio e Confalonieri assolti: la prova che Silvio Berlusconi era innocente



Due processi. Quasi due processi uguali. Nel mirino sempre Mediaset, o meglio la famiglia Berlusconi. Nel processo principale, Silvio Berlusconi è stato condannato a 4 anni di detenzione per frode fiscale: ci si riferisce alla celeberrima sentenza del 1° agosto 2013 della sezione feriale della Corte di Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, la toga che anticipò le motivazioni della condanna in una contestatissima intervista a Il Mattino. Nel secondo processo, Mediatrade, nato come una costola del primo - e la notizia è freschissima, di pochi minuti fa - l'imputato Pier Silvio Berlusconi è stato assolto dall'accusa di frode fiscale, così come è stato in parte assolto - ed in parte prescirtto - Fedele Confalonieri. La giustizia, dunque, dà ragione al vicepresidente del Biscione, Pier Silvio, e al presidente, Fedele. L'unico condannato resta il padre, Silvio Berlusconi, che per la giustizia, dunque, è l'unico ad avere evaso.

I due casi - Pier Silvio e Fedele sono stati assolti perché "il fatto non costituisce reato". Come detto, le toghe si sono pronunciate su una presunta frode fiscale relativa al consolidato del gruppo, una vicenda che aveva al centro Frank Agrama, il produttore cinematografico statunitense. Secondo l'accusa le aziende di Silvio Berlusconi avrebbero operato irregolarmente nella compravendita di diritti televisivi e cinematografici, acquistandoli a prezzi più alti rispetto a quelli del valore di mercato per ottenere risparmi fiscali e per la creazione di fondi neri. E' curioso notare come nel processo Mediaset costato la condanna al Cavaliere, nato dal caso All Ibernian, l'accusa era proprio quella di aver fatto "la cresta" sulla compravendita dei diritti dei film made in Usa. Secondo l'accusa, in soldoni, Mediaset non li comprava direttamente, ma da società offshore, che a loro volta li cedevano ad altre società gemelle, facendo così lievitare il prezzo ad ogni passaggio: la differenza tra il valore reale e quello finale, per l'accusa, consentiva così di mettere da parte dei fondi neri. Per le toghe l'ex premier avrebbe questi fondi, senza pagare le tasse e frodando gli azionisti del Biscione.

Contesti simili - Insomma, due quadri accusatori molto simili, quasi gemelli, quelli del processo Mediaset e di quello Mediatrade. Un processo però si è concluso con una condanna e l'altro, oggi, è arrivato ad una assoluzione. A rendere ancor più sospetto il quadro c'è il fatto che Silvio Berlusconi, già nel 1993, aveva lasciato tutte le cariche sociali in Mediaset. Il passo indietro fu uno dei punti su cui più la difesa aveva insistito per ottenere l'assoluzione del Cav: come poteva architettare e gestire la frode fiscale - questa la linea - se impegnato in politica e lontano dal gruppo? Per i giudici, però, non c'è mai stato alcun dubbio: l'oggi leader di Forza Italia avrebbe continuato ad occuparsi delle società tramite prestanome. In un contesto molto simile, però, non arrivano le condanne per Pier Silvio e Confalonieri, che invece - vice e presidente - in Mediaset ricoprono incarichi apicali. Non a caso, dopo la pronuncia odierna del tribunale di Milano, Niccolò Ghedini, legale del figlio del Cav, ha commentato: "Siamo soddisfatti, è una sentenza importante che riconosce la linea da noi sempre sostenuta. Ma, anche se si tratta di due processi diversi, anche Silvio Berlusconi andava assolto nel processo Mediaset. Per questo - ha ribadito - abbiamo presentato ricorso alla Corte di Giustizia europea".

Una storia italiana - La storia del "ricorso continentale" presentato dall'ex premier che si è sempre detto innocente è ancora tutta da scrivere. La storia che invece è già stata scritta è quella di Berlusconi stesso, una storia personale che dopo la condanna di un anno fa ha conosciuto i corsi più difficili. Dopo la condanna, il 4 ottobre 2014 l'ok della commissione alla decadenza del Cav da senatore in base alla legge Severino: la "cacciata" da Palazzo Madama verrà poi ratificata dal Senato il 27 novembre. Poi, il 4 ottobre, la condanna della Corte d'Appello di Milano alla pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici per due anni, decisione confermata a marzo 2014 dalla Cassazione. Quindi le pagine più recenti della vicenda, con l'affidamento ai servizi sociali. Il sospetto, dunque, è che a pagare sia soltanto il Cavaliere: non perché stia pagando "per tutti", il dubbio è che stia pagando soltanto perché qualcuno voleva che pagasse. Soltanto perché qualcuno voleva ridimensionare il suo potere politico per via giudiziaria, poiché con il voto l'impresa non era mai riuscita. Un sospetto che viene indirettamente confermato anche da quanto affermato dall'accusa nella requisitoria finale del processo Medaiset, in cui proprio il Cavaliere veniva indicato come "organizzatore" del "grande disegno di frode" fiscale. Putacaso, le stesse motivazioni con cui Berlusconi è stato condannato da mister Esposito. Le stesse motivazioni con cui sono riusciti - forse - a farlo fuori.

Incredibile a Belo Horizonte: Germania-Brasile 7 a 1

Incredibile a Belo Horizonte: Germania-Brasile 7 a 1



Una muraglia umana gialla. Undici altre maglie giallo-oro in campo. E poi quegli undici in rosso-nero- Come mosche nel latte. E' cominciata con questa scenografia a Belo Horizonte, la prima delle due semifinali del Mondiale: Brasile Germania. Una sfida che in Giappone era stata la finale del Mondiale 2002. In avvio squadre molto attente, ma coi tedeschi più ficcanti che al 7' del primo tempo creavano il panico nell'area sudamericana. Ma il tiro violento di Kroos sbatteva contro un difensore. Germania ancora in avanti al 10': calcio d'angolo di Kroos e in mezzo all'area girata al volo di un quasi incredulo Mueller completamente libero: 1-0 per la Germania e stadio di Belo Horizonte gelato nel silenzio.

La reazione del Brasile sta tutta in Marcelo che al17' scende sulla fascia sinistra e finisce a terra in piena area: il brasiliano si alza  convinto che sia rigore, ma l'arbitro Rodriguez Moreno dice no. Da lì in poi, solo Germania. E tragedia, vera per i brasiliani. Che al 23' prendono il secondo gol da Klose, al suo sedicesimo centro in un Mondiale (record ognitempo per un singolo giocatore), al 25' e 26' incassano la doppietta di Kroos e al  29' vengono umiliati da Khedira. Poi i tedeschi paiono placarsi, anche per rispetto di avversari e pubblico. Ma tengono comunque il pallino del gioco a fronte di un Brasile che ormai non c'è più e forse sul campo di belo Horizonte, a quel punto, avrebbe preferito non aver mai nemmeno messo piede.

Dopo 45 minuti la Germania è già in finale, dove giocherà contro la vincente dell'altra semifinale che si giocherà domani sempre alle 22 ora italiana a San Paolo. L'impressione è che senza Thiago Silva in difesa, i tedeschi abbiano fatto quello che volevano. E davanti, senza Neymar, sono spariti tutti. Al fischio di Moreno che sancisce la fine del primo tempo, le telecamere inquadrano sugli spalti tifosi con lo sguardo perso nel vuoto, molti in lacrime. 

nella ripresa, il migliore in campo per i brasiliani è il portiere Julio Cesar, che prima vola all'incrocio dei pali per deviare appena sopra la traversa un missile di Mueller (16') e poi (20') esce sui piedi di kroos lanciato da solo verso la sua porta. Ma nulla può, l'ex portiere dell'Inter, al 24': ancio in area sulla destra per Lahm che centra basso per l'accorrente Schurrle che anticipa anche Muller e d'interno destro rasoterra fa 6-0. Punteggio tennistico. O "cappotto". Ma non basta ancora: perchè la peggior sconfitta subita dai verdeoro nella loro storia (dall'Uruguay nel 1930) viene superata quando Schurrle al 34' segna il settimo gol dei tedeschi. Il pubblico, che aveva sperato in una reazione d'orgoglio dei suoi (ex) beniamini, inizia a rumoreggiare e a fischiare. Bersaglio preferito l'evanescente Fred. nel finale, poco conta, se non per un briciolo d'onore, la rete di Oscar che fissa il punteggio finale sul 7-1 per la Germania.

lunedì 7 luglio 2014

Perché il Cav deve trattare coi ribelli

I ribelli non si arrendono, Berlusconi deve trattare 


di Paolo Emilio Russo 



Se ne sta rinchiuso ad Arcore, con tutti i telefoni staccati, e non vuole sentire nessuno, nè ragioni. Ma mentre Silvio Berlusconi resta in Lombardia, a Roma, nonostante il caldo, le truppe azzurre non smettono di organizzarsi. I dubbi sul patto stretto con Matteo Renzi per le riforme si sono infatti trasformati in una rivolta contro Denis Verdini, ma, soprattutto, in una nuova occasione per fare "forcing"

sul cerchio magico e, forse, su chi dentro il suo gruppo preferisce la stabilità del governo al rischio di una crisi. Non è un caso che, in quella che sembrava una battaglia tutta di principio contro il progetto di un nuovo Senato non elettivo lanciata da Augusto Minzolini, si stiano mano a mano impegnando anche Raffaele Fitto e le sue truppe. Nessuno osa mettere palesemente in discussione la linea indicata dal Cavaliere in una nota diffusa venerdì, ma ancora ieri Il Mattinale anticipato di qualche ora da una intervista di Renato Brunetta, si augurava «modifiche» al progetto scritto da Maria Elena Boschi promettendo in cambio un «sì convinto di Forza Italia».

I dubbi sono quelli che serpeggiano da qualche settimana e riguardano innanzitutto la composizione del Senato: per due terzi di Forza Italia consentire l’elezione indiretta dei suoi membri finirebbe per consegnare a tavolino la seconda Camera al Pd. Non solo: ma l’eccessiva “vicinanza” col premier, a sentire loro, starebbe mettendo all’angolo il partito. La nota diramata dal presidente azzurro e la contestuale decisione di sconvocare una nuova riunione dei gruppi parlamentari inizialmente organizzata per martedì rischiano però di rimandare al voto parlamentare la conta. A sentire i “ribelli” sarebbero «quasi cinquanta tra deputati e senatori» gli azzurri pronti a votare contro il pacchetto di riforme contenuto nel Patto del Nazareno e a infischiarsene dell’indicazione del leader. Tanto che c’è chi, come Maurizio Gasparri, «da sostenitore di Silvio Berlusconi, ora più che mai», prova a cimentarsi nel ruolo del pompiere: «Non ci voleva la sfera di cristallo per prevedere che il presidente indicasse una linea di conferma delle riforme della Costituzione», premette. «Pur dubbioso su alcune delle norme in discussione, condivido la via della realpolitik e in tal senso mi ero espresso, ma si rischiano spaccature se questa linea non verrà ribadita con incontri e riunioni che non sono un intralcio ma il modo corretto per spiegare e condividere una linea», sottolinea l’ex ministro di An.

Diversamente, avverte, «si rischia la confusione anche in Aula». Per evitare imboscate al momento del voto potrebbero essere necessarie nuove modifiche che non «snaturino» però i contenuti dell’accordo raggiunto tra il premier e il suo predecessore. Come, per esempio, quelle suggerite nella proposta bipartisan firmata dall’azzurro Giacomo Caliendo e dal democratico Massimo Mucchetti che prevedono l’elezione diretta dei senatori in concomitanza con quella dei consiglieri regionali. «Il nostro presidente non manda a monte un patto, e noi con lui», premette la nota politica del gruppo di Montecitorio. Che però lancia un appello a Matteo Renzi: «Ci consenta di dire di sì a qualche cosa che abbia il colore di una riforma vera e occidentale, democratica e sensata...». Più ottimista sulla possibilità che Forza Italia possa ritrovare l’unanimità sembra invece Gianfranco Rotondi. «Sulle riforme Forza Italia sarà compatta perché il nostro è un partito vivace e dialettico, ma la parola di Berlusconi vale per tutti», ha detto ieri l’ex ministro per l’Attuazione del programma. Una linea condivisa anche da un’altra ex collega di governo, Stefania Prestigiacomo. Il Cavaliere deciderà se lasciar gestire la pratica a Verdini - mentre Gianni Letta si occupa degli aspetti più squisitamente politici - o se incontrare nuovamente i gruppi non prima di martedì. Ora di allora potrebbero essere cambiate molte cose, però. Domani è infatti attesa la sentenza della seconda sezione del Tribunale di Milano per il processo che vede imputate due delle persone più care al fondatore di Forza Italia: suo figlio Pier Silvio e il suo amico di sempre e manager più stimato, Fedele Confalonieri. La sentenza - e le motivazioni che dovrebbero essere diffuse subito- riguardano presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv Rti-Mediatrade. Il Cavaliere aveva parlato di questo «incubo» anche con il premier nel corso del loro faccia a faccia di giovedì: «Sono totalmente innocenti». Così come dice di esserlo lui, imputato nel processo Ruby: entro due settimane dovrebbe arrivare anche quella sentenza.



Governo deporta gli immigrati nei centri delle città di mezza Italia

Immigrazione, il governo Renzi deporta migliaia di profughi al..


di Michela Ravalico 



Milano dormitorio all’aperto. Milano Lampedusa d’Italia. Milano casa dei profughi. Lo si può declinare in tanti modi, ma la sostanza è sempre la stessa: da ottobre a oggi nel capoluogo lombardo sono arrivati almeno 12mila rifugiati. Siriani ed eritrei prevalentemente. Qualche somalo, libici. La maggior parte di essi, in fuga dalla guerra e da situazioni interne ormai insostenibili, vuole raggiungere il nord Europa. Svezia e Germania sono i paesi dove spesso hanno parenti, amici, ai quali appoggiarsi. Non si può escludere che alcuni, anche “solo” qualche migliaio, resteranno in Italia. Magari a Milano. Presumibilmente da clandestini.

La colpa è del governo, che rivendica la sacralità della norma Mare nostrum, senza preoccuparsi delle conseguenze. E non è solo Milano ad essere oppressa dal peso dei clandestini. Anche Piemonte e Veneto hanno alcune situazioni critiche. Comunque l’allarme si concentra tutto nelle regioni del Nord, senza che il premier Matteo Renzi si sia ancora preoccupato di dire e fare qualcosa per porre rimedio.

A Milano, che tra meno di un anno dovrà ospitare Expo e un turismo di prima classe, sembra di essere in un dormitorio a cielo aperto. I profughi arrivano a frotte in stazione centrale, che si è trasformato in un hub di smistamento stranieri. Solo ieri ne sono arrivati una cinquantina, ma la media ormai da mesi è di 400 al giorno. «I maggiori arrivi sono due o tre giorni dopo gli sbarchi, lì si toccano i picchi», spiega l’assessore al Welfare del Pd, Pierfrancesco Majorino. La situazione, però sta sfuggendo di mano. I profughi, alcuni richiedenti asilo e la maggior parte, invece, in attesa di “scappare” all’estero (dove chiederanno asilo solo una volta giunti a destinazione), sono talmente tanti da aver riempito praticamente tutti i centri di accoglienza disponibili. Per non parlare di quelli che preferiscono arrangiarsi da soli, e scelgono le strade come casa temporanea. Con il risultato che in una zona non lontana dalla stazione, corso Buenos Aires e le piccole vie nei dintorni, è frequente ormai incontrare gruppi di stranieri seduti per terra a mangiare, a dormire, o intenti a giocare a carte o al pallone. 

Da venerdì il Comune di Milano, non sapendo più dove sistemare tutti questi disperati (e per evitare che bivacchino in stazione per troppi giorni) ha deciso di aprire persino le palestre delle scuole. L’assessore alla Sicurezza, Marco Granelli, ha fatto appello a tutti i privati che abbiano spazi non utilizzati. «Anche solo per un paio di mesi - ha detto - finché dura l’emergenza». Alcuni eritrei giunti negli ultimi giorni hanno trovato ospitalità presso due moschee.

La tensione tra istituzioni è alta. Come dimostra il duro botta e risposta con la Curia, dopo che il Comune l’ha invitata, goffamente, ad aprire le chiese. «Come Caritas e chiesa siamo attivi per un’infinità di soluzioni - hanno replicato dalla Caritas - Evitiamo polemiche sterili. La soluzione non può essere aprire le chiese». Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, rinvendica da mesi l’orgoglio di assistere tante persone in difficoltà, ma punta il dito contro il governo e la Regione. «Milano da ottobre a oggi ha soccorso oltre 12 mila persone. Il ministero dell’Interno latita, la Regione attende il governo». Ma il governatore Roberto Maroni non si lascia criticare gratuitamente. «Lo ho detto chiaramente al prefetto e al governo. Se il governo ci chiama e concorda con le Regioni un piano complessivo per la gestione noi non ci tiriamo indietro, ma se chiede di intervenire sulla base di invii di persone che arrivano e di cui non sappiamo nulla, io non sono disponibile». Critico anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, dove nei prossimi giorni sono attesi 700 stranieri. «Alla fine i disagi dei continui sbarchi sulle nostre coste sono messi in conto, come sempre, ai nostri territori. Dopo le dichiarazioni da copione di Bruxelles che ci rassicurano, l’emergenza dovrà essere risolta dai sindaci. È una situazione ormai insostenibile e che rischia di creare dei pericolosi risvolti sociali».

Sondaggi, godono solo Salvini e... La ricerca che terrorizza tutti i partiti

Sondaggio Swg: volano Lega e Grillo, giù Pd e Forza Italia



Va male per tutti, tranne che per Matteo Salvini e Beppe Grillo. L'uiltimo sondaggio Swg (pubblicato dal sito Affari italiani)  sulle intenzioni di voto degli italiani restituisce una fotografia molto cambiata rispetto solo a sette giorni fa e anche rispetto alle rilevazioni che furono fatte alla vigilia delle Europee. Il dato più sorprendente è che il Partito Democratico che perde quasi un punto in una settimana, (è al 41,8% rispetto al 42,6 di sette giorni fa),  va anche peggio a Forza Italia che passa a un 16,6% rispetto al 18,1%. Come dicevamo sopra, risale il Movimento 5 Stelle che dal 19% passa al 19,7%. Anche la Lega Nord di Salvini guadagna passando da 6,6% a 7%.  Perdono anche il Nuovo Cendrodestra di Alfano (meno tre punti percentuali da 4,4 a 4,1) e Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. 

Riforme, Senato, Titolo V e legge elettorale: ecco i numeri che spaventano Renzi e Boschi

Riforme, Senato e legge elettorale: i numeri che spaventano Matteo Renzi e Maria Elena Boschi


di Tommaso Montesano 


Il conto alla rovescia verso la prova dell’Aula è cominciato: a metà settimana il disegno di legge sulla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione potrebbe lasciare la commissione Affari costituzionali e approdare in assemblea. «La riforma è alla portata, ci sono le condizioni per farla», professa ottimismo Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd. In realtà la fronda in Pd e Forza Italia sul Senato elettivo mette a rischio l’approvazione della riforma. Almeno per centrare l’obiettivo dei due terzi di voti favorevoli, che consentirebbe di evitare il referendum confermativo. Ancora maggiori i rischi sull’Italicum, dove i dissidenti su liste bloccate e soglie di sbarramento sono di più (in primis in Pd, FI e Ncd). «Matteo Renzi rischia di più sulla riforma del Senato. Perché è quella su cui si vota per prima. E se non dovesse passare, anche l’Italicum andrebbe in archivio», osserva un senatore che sta seguendo da vicino la gestazione delle due riforme. A Palazzo Chigi è già tempo di pallottoliere. Sulla fine del bicameralismo perfetto, sono due le soglie da tenere in considerazione: quella sulla maggioranza assoluta dell’Aula di Palazzo Madama (161 voti) e quella dei due terzi per scongiurare il referendum (214).

Il governo è sicuro di avere dalla sua parte almeno 151 voti: i 24 lealisti di Forza Italia, sempre che la fronda guidata da Augusto Minzolini sia effettivamente in grado di calamitare il dissenso dei restanti 35; i 15 senatori della Lega, i 7 di Scelta civica, i 93 democratici fedeli all’esecutivo e i 12 autonomisti. Giocoforza più sfumata, dopo le fibrillazioni delle ultime ore sull’Italicum, la posizione dei 33 senatori del Ncd, mentre sugli 11 senatori del Gal, gli autonomisti di centrodestra, pochi si sentono di fare previsioni. E se a Renzi basterà riassorbire il malumore degli alfaniani per blindare la riforma del Senato, è destinato a rimanere in salita il cammino per raggiungere la soglia dei due terzi. Un obiettivo che potrà essere centrato solo ancorando alla maggioranza non solo i senatori del Gal, ma anche i Popolari (ultimamente in fibrillazione) oppure riducendo il dissenso di Forza Italia.

Più complicato il quadro sull’Italicum, il cui esame da parte di Palazzo Madama, nonostante le promesse del governo, è destinato a slittare a dopo l’estate. Molto dipenderà da cosa accadrà sul voto per la riforma del Senato, ma alcuni punti fermi ci sono già. A partire dalla dichiarata ostilità al provvedimento da parte di quaranta dissidenti Pd, nonché di Lega, M5s, Popolari e Sel, cui da poco si sono aggiunti i 33 senatori del Ncd. Sull’Italicum, Renzi può contare sul consenso sicuro di 69 Pd, 12 autonomisti e 7 montiani. A loro, è lecito aggiungere almeno 35 senatori dei gruppi FI-Gal. Il totale fa 123: 38 voti in meno della maggioranza assoluta. Per Renzi, la strada più agevole per tagliare il traguardo passa per il recupero di Ncd e ribelli di FI. Ma il probabile utilizzo del voto segreto promette di complicare i piani.

VALZER DELLE TELE-POLTRONE Floris da Cairo apre le danze Rebus-Ballarò, e in casa Cairo...

Raitre, tutti i nomi per Ballarò. Giovanni Floris a La7 apre la gara coi big di Cairo



Sale Vianello, scendono Santoro e Berlinguer. Il borsino per il dopo-Floris a Ballarò è in continua evoluzione. Di sicuro, resta l'addio poco amichevole tra Giovanni Floris, storico conduttore del talk show di Raitre, e viale Mazzini. Giova per spiegare l'addio alla terza rete e l'approdo (milionario) da Urbano Cairo a La7 ha tirato in ballo problemi di "linea editoriale" non più condivisa con la rete, scarsa considerazione e "appoggio". "La Rai non sposava le mie idee", ha spiegato il conduttore, a cui però è arrivata la replica a stretto giro di posta: "Nessun problema editoriale. L'azienda è pronta a rinnovare il contratto alle condizioni economiche che conosce". La verità, dunque, sembra un'altra e sarebbe da ricercare nell'ambiziosissimo progetto televisivo del patron del Torino. 

Tutti i galli di Cairo - Floris, infatti, è l'ultimo tassello di un parterre di prime donne dell'informazione: Corrado Formigli e Piazzapulita lunedì, Floris appunto il martedì (oltre a una striscia quotidiana da definire), Gianluigi Paragone con la Gabbia mercoledì, Michele Santoro e Servizio Pubblico il giovedì, Maurizio Crozza con il suo show al venerdì. Pausa il sabato e la domenica, anche se sono sempre da piazzare Daria Bignardi, Salvo Sottile e la lanciatissima Myrta Merlino, signora della mattina e, da quest'estate, anche del lunedì sera. E poi c'è lui, il dominus Enrico Mentana, direttorissimo del TgLa7 e sempre pronto a intervenire con il suo talk Bersaglio mobile. Un palinsesto pienissimo, dunque, che in combinata con Omnibus alla mattina rendono La7 non solo l'erede naturale di Raitre, ma pure di fatto l'unica all news delle reti in chiaro.

Chi dopo Floris - In Rai, invece, qualche problema c'è. Restano il nome e il format Ballarò, ma il programma sarà totalmente rinnovato perché seguiranno Floris il comico-editorialista Crozza, il sondaggista Nando Pagnoncelli e mezza redazione. Per ora, però, l'interrogativo principale riguarda il nuovo conduttore del talk di Raitre: il direttore di rete Andrea Vianello, secondo il gossip del mercato giornalistico, sarebbe pronto a rinunciare alla poltrona per tornare a condurre. Il suo nome sarebbe in pole davanti a quello di Gerardo Greco (Agorà), in crescita rispetto a Bianca Berlinguer (che ha smentito il passaggio a Ballarò), Massimo Giletti e Nicola Porro. In ribasso verticale il nome di Michele Santoro, altrettanto complicate le strade che portano agli "esterni" Gianluca Semprini (Sky) e Luca Telese (Mediaset).