Riforme, Senato e legge elettorale: i numeri che spaventano Matteo Renzi e Maria Elena Boschi
di Tommaso Montesano
Il conto alla rovescia verso la prova dell’Aula è cominciato: a metà settimana il disegno di legge sulla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione potrebbe lasciare la commissione Affari costituzionali e approdare in assemblea. «La riforma è alla portata, ci sono le condizioni per farla», professa ottimismo Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd. In realtà la fronda in Pd e Forza Italia sul Senato elettivo mette a rischio l’approvazione della riforma. Almeno per centrare l’obiettivo dei due terzi di voti favorevoli, che consentirebbe di evitare il referendum confermativo. Ancora maggiori i rischi sull’Italicum, dove i dissidenti su liste bloccate e soglie di sbarramento sono di più (in primis in Pd, FI e Ncd). «Matteo Renzi rischia di più sulla riforma del Senato. Perché è quella su cui si vota per prima. E se non dovesse passare, anche l’Italicum andrebbe in archivio», osserva un senatore che sta seguendo da vicino la gestazione delle due riforme. A Palazzo Chigi è già tempo di pallottoliere. Sulla fine del bicameralismo perfetto, sono due le soglie da tenere in considerazione: quella sulla maggioranza assoluta dell’Aula di Palazzo Madama (161 voti) e quella dei due terzi per scongiurare il referendum (214).
Il governo è sicuro di avere dalla sua parte almeno 151 voti: i 24 lealisti di Forza Italia, sempre che la fronda guidata da Augusto Minzolini sia effettivamente in grado di calamitare il dissenso dei restanti 35; i 15 senatori della Lega, i 7 di Scelta civica, i 93 democratici fedeli all’esecutivo e i 12 autonomisti. Giocoforza più sfumata, dopo le fibrillazioni delle ultime ore sull’Italicum, la posizione dei 33 senatori del Ncd, mentre sugli 11 senatori del Gal, gli autonomisti di centrodestra, pochi si sentono di fare previsioni. E se a Renzi basterà riassorbire il malumore degli alfaniani per blindare la riforma del Senato, è destinato a rimanere in salita il cammino per raggiungere la soglia dei due terzi. Un obiettivo che potrà essere centrato solo ancorando alla maggioranza non solo i senatori del Gal, ma anche i Popolari (ultimamente in fibrillazione) oppure riducendo il dissenso di Forza Italia.
Più complicato il quadro sull’Italicum, il cui esame da parte di Palazzo Madama, nonostante le promesse del governo, è destinato a slittare a dopo l’estate. Molto dipenderà da cosa accadrà sul voto per la riforma del Senato, ma alcuni punti fermi ci sono già. A partire dalla dichiarata ostilità al provvedimento da parte di quaranta dissidenti Pd, nonché di Lega, M5s, Popolari e Sel, cui da poco si sono aggiunti i 33 senatori del Ncd. Sull’Italicum, Renzi può contare sul consenso sicuro di 69 Pd, 12 autonomisti e 7 montiani. A loro, è lecito aggiungere almeno 35 senatori dei gruppi FI-Gal. Il totale fa 123: 38 voti in meno della maggioranza assoluta. Per Renzi, la strada più agevole per tagliare il traguardo passa per il recupero di Ncd e ribelli di FI. Ma il probabile utilizzo del voto segreto promette di complicare i piani.
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