La crisi ammazza il nero
di Chiara Sarra
La crisi ha spinto gli italiani ad arrangiarsi anche per i lavoretti: oltre a quella regolare, ne paga le conseguenze anche l'economia sommersa
Nemmeno il lavoro nero si è salvato dalla crisi, che ha portato molti ad "arrangiarsi" col fai da te ed evitare il ricorso a specialisti. Ne è convinta la Cgia di Mestre che stima che i posti di lavoro irregolari persi tra il 2007 e il 2012 ammontino a oltre 106.000 unità.
L’esercito dei lavoratori in nero, o meglio delle unità di lavoro standard irregolari presenti in Italia, per la Cgia, sono scesi poco sotto i 3 milioni, (2.862.300). Il 45,7% (1.308.700), opera nel Mezzogiorno: 610.700 nel Nordovest, 500.200 nel Centro e 442.700 nel Nordest. "La crisi ha tagliato drasticamente la disponibilità di spesa delle famiglie italiane", segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, "Pertanto, anche per le piccole manutenzioni, per i lavori di giardinaggio o per le riparazioni domestiche non si ricorre nemmeno più al dopolavorista o all’abusivo. Questi piccoli lavori o non vengono più eseguiti, oppure si sbrigano in casa.
"In questi anni, infatti, abbiamo assistito ad un vero e proprio boom del cosiddetto fai da te casalingo: di persone che di fronte ad un guasto o a una rottura si sono messe a fare l’idraulico, l’elettricista, il fabbro o il falegname", ha aggiunto Bortolussi, "Certo, non tutti i settori hanno subito una contrazione della presenza degli abusivi. In quello della cura alla persona (come parrucchieri, estetiste, massaggiatori, nella riparazione delle auto, moto o cicli e nel trasporto persone l’aumento degli irregolari è stato esponenziale". A livello territoriale, fa notare la Cgia, ci sono comunque forti differenze. Se tra il 2007 e il 2012 nel Centro Nord il calo delle unità irregolari è stato molto consistente (- 67.500 nel Nordovest, -50.300 nel Centro e -38.900 nel Nordest) al Sud si è registrato un deciso aumento: + 50.400.
"Rispetto al resto del Paese - prosegue Bortolussi - nel Sud la presenza dell’economia sommersa è più diffusa e strutturata. A differenza del Centro-Nord, dove, in linea generale, il lavoratore irregolare opera prevalentemente da solo e in piena autonomia, nel Mezzogiorno l’economia sommersa riguarda molte filiere dei servizi e del produttivo. Pertanto, è presumibile che la crisi abbia rafforzato il peso e la dimensione di quelle attività e di quei settori che tradizionalmente operano nella cosiddetta area grigia o sono controllati dalla criminalità organizzata". Secondo le stime dell’Ufficio studi della Cgia, il valore aggiunto prodotto a livello nazionale dall’economia sommersa è pari a poco più di 100 miliardi di euro all’anno. Questa situazione procura un mancato gettito fiscale pari a quasi 45 miliardi di euro all’anno.
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