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lunedì 30 giugno 2014

Crollano le prenotazioni negli hotel: colpa del "meteo del malaugurio"

Crollano le prenotazioni negli hotel: colpa del "meteo del malaugurio"


di Alessandro Dell'Orto 


"Caronte" e Bombe d'acqua": sono solo caldo e temporali ma i siti specializzati fanno terrorismo


Che poi - se sei pigro o il tipico ozioso che «oggi non c’ho proprio voglia di fare un cacchio» - già l’idea di metterti in viaggio e spostarti con il dubbio che piova o anche solo ci sia coperto ti fa passare ogni voglia. Se, in più, sei anche un tizio ansioso o mezzo ipocondriaco, figuriamoci cosa ti assale quando senti parlare di “Caronte l’anticiclone africano” - che detto così sembra una via di mezzo tra un personaggio dei cartoni animati e il protagonista di un film di Bud Spencer e Terence Hill - o di “Scipione”, “Minosse”, “Circe”. O ancor peggio, quando ti avvertono del pericolo di bombe d’acqua, che ti fanno immaginare chissà quale sciagura bellica e invece è solo un temporale con un po’ di pioggia insistente.

No, non ci sono più le previsioni del tempo di una volta e che nostalgia ripensare - lo ricordate? - alla pelata del simpatico e competente Colonnello Edmondo Bernacca che in giacca e cravatta, distintamente, con equilibrio e pacatezza, ci raccontava su una cartina sbiadita che clima avremmo trovato i giorni seguenti. E ci suggeriva se andare al mare o no. Se uscire con l’ombrello. Se stare attenti a non prendere colpi di freddo.

Già, niente a che vedere con le spaziali e tecnologiche previsioni che ci aggrediscono ora su tv, telefonini e tablet con effetti speciali, colori strabilianti e nomi evocativi mettendoci paura e creando aspettative funeree. Il risultato, ovviamente, è che la gente ci pensa due volte prima di prendere e partire anche per una vacanzina da due giorni. Per la rabbia - e la crisi - del turismo. Sì, ormai sono sempre più gli operatori del settore che si lamentano e che chiedono più “equilibrio metereologico”. A Viareggio, due settimane fa, albergatori, commercianti e semplici turisti (in passato anche sindaci e amministratori) si sono lamentati su Facebook per le previsioni errate, mentre a Belluno c’è stata una piccola rivolta. Portata avanti da Gildo Trevisan, noto albergatore del Cadore e, fino a pochi giorni fa, presidente di “Federalberghi Belluno”. «Pochi sanno che sulle Dolomiti la natura ci ha fornito del più grande impianto di aria condizionata naturale d’Italia - ha spiegato - Un enorme marchingegno che funziona ad acqua che, attraversando l’atmosfera, rinfresca l’aria purificandola. Tuttavia da anni il clima si è tropicalizzato, con temporali di breve durata, anche più d’uno al giorno, ma quasi mai al mattino e per lo più di sera e notte. Un vero toccasana per i turisti che di giorno apprezzano i tersi panorami dolomitici e poi il sole raggiante che riscalda le ore centrali. Ma appena le temperature salgono scatta un termostato naturale che assicura il fresco». Tradotto, così si generano i brevi temporali. Che, però, vengono male interpretati - secondo Trevisan - dai media, che li interpetano con la nuvoletta sulla carta geografica nei Tg. «Meglio farebbero i conduttori delle previsioni meteo a iniziare il bollettino con l’icona di un raggiante sole diurno che verso sera fa capolino, perché le Dolomiti condizionano l’aria rendendola pura».

L’appello è stato immediatamente preso a cuore dal presidente del Veneto, Luca Zaia. «Il richiamo di Trevisan va colto in tutta la sua intelligenza e preoccupazione. Quello della correttezza delle previsioni del tempo è un elemento essenziale nel comparto dell’accoglienza e per quanti vorrebbero trascorrere qualche giorno sereno: troppo spesso i vacanzieri e i turisti vengono scoraggiati o addirittura dissuasi da previsioni meteorologiche generaliste».

C’è chi si lamenta con i Tg, ma c’è anche chi si ingegna da solo per convincere i turisti. È il caso di Jesolo, provincia di Venezia. Dove è stata lanciata l’iniziativa “abbronzati o rimborsati”. L’idea è di “Jesolo Turismo Spa”, la società che gestisce, tra le varie attività, gli stabilimenti balneari “Oro Beach” e “Green Beach”, due strutture dove, da una ventina di giorni, è partita una iniziativa che ha già riscosso successo: la possibilità di prenotare da casa e, con un euro in più, di garantirsi il “rimborso” causa maltempo o altri intoppi.

FORZA ITALIA TORNA A CRESCERE Il sondaggio: azzurri in rimonta, bene il Pd e boom della Lega Crollano due big: ecco chi sono...

Sondaggio Swg: crescono Pd e Forza Italia. Crolla IL m5s



Dopo le europee e soprattutto dopo le ultime uscite europee di Matteo Renzi, nei sondaggi la situazione comincia a cambiare. Il Pd continua a crescere ma anche Forza Italia. Secondo l'ultimo sondaggio Swg crescono Partito democratico e Forza Italia, cala il Movimento 5 Stelle. Nel Centrosinistra il partito di Matteo Renzi cresce di oltre un punto rispetto a una settimana fa (dal 41% al 42,6%), consolidando così il successo avuto alle elezioni europee del 25 maggio. A crollare invece è il consenso di Sel che passa dal 3,1% al 2%. Il partito guidato da Nichi Vendola infatti paga le divisioni interne e la vera e propria scissione che ha visto fuoriuscire personaggi di primo piano
come Fava e Migliore. Con Idv allo 0,7 e altri partiti allo 0,5, la coalizione del Centrosinistra è al 45,8%, confermandosi la prima forza del Paese.

Crollo Grillo - Nel Centrodestra FI è al 18,1% oltre un punto in più rispetto al 16,7% della scorsa settimana. Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano è fermo al 4,4%, mentre Fratelli d’Italia non riesce a salire nel consenso degli italiani e si ferma al 3,3%. Buone performance per la Lega Nord che è stabile al 6,6%. Altri partiti del Centrodestra sono allo 0,3%. In totale la coalizione del centrodestra è al 32,7%. Scende di oltre un punto il consenso del Movimento 5 Stelle: dal 20,6% al 19%. La strategia degli attacchi e delle offese (le ultime al Cav la scorsa settimana) ormai non porta più consensi nel fortino grillino...

"Mortadella" ora lancia l'allarme: "Occhio Matteo, guarda che la Merkel..."

Prodi a Renzi: "La Merkel non ha fatto vere concessioni all'Italia"



Romano Prodi molla Matteo Renzi. Mortadella, tra i primi a volere Matteo a palazzo Chigi, ora tira le orecchie al premier e lo fa senza usare mezzi termini. Prima difende la nomina di Juncker a presidente della Commissione Europea: "È una persona di grande intelligenza e la sua lucidità di giudizio non è mai stata minimamente intaccata dal vizio dell'alcol". Poi avverte Matteo Renzi: "Deve dimostrare di avere dietro di sé un paese forte come lo è lui sul piano personale". Poi, in un'intervista a Repubblica, passa in rassegna i risultati del governo Renzi: "I problemi del nostro paese sono il debito più che il deficit e la capacità di mettere in pratica le riforme. I decreti di attuazione delle molte leggi che sono statae varate sono ancora tutti da fare. E l'Europa, giustamente, guarda ai fatti concreti, non alle belle intenzioni e neppure alle leggi giuste ma inattuate. Renzi può aver vinto la battaglia contro i burocraticismi europei dei vincoli di bilancio, ma deve ancora vincere quella contro la burocrazia italiana". 

L'avvertimento - Infine avverte il premier sui patti appena siglati con l'Ue e con la Merkel: "La Cancelliera non ha fatto vere concessioni, ma ora anche in Germania subiscono forti pressioni perché, sul fronte della crescita e dell'occupazione, pure Berlino comincia ad avere problemi. Quello che deve cambiare è l'intera politica economica del continente"


"Combina solo guai" "Guai a chi lo tocca": Scalfari processa Renzi: "Tu con Letta..."

Scalfari: "Renzi combina solo guai..."



Eugenio massacra Matteo. Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari nel suo consueto editoriale domenicale mette nel mirino Matteo Renzi e lo impallina dopo il vertice del consiglio europeo.  "Matteo Renzi e il paese che rappresenta sembrano viaggiare col vento in poppa. Sembrano e in parte è fortunatamente così; in altra parte è un gioco di immagini e di specchi, di annunci ai quali la realtà corrisponde molto parzialmente. La sola vera conseguenza è il suo rafforzamento personale a discapito della democrazia la cui fragilità sta sfiorando il culmine senza che il cosiddetto popolo sovrano ne abbia alcuna percezione", scrive Scalfari. 

I conti di Renzi - Poi entra nel merito delle cifre e attacca ancora Renzi: "Il pareggio del bilancio non è stato rinviato al 2016 ma in realtà al 2015 il che significa che bisognerà porne le condizioni nella legge di stabilità di quell'esercizio, che sarà in votazione dell'autunno di quest'anno. Si intravede una manovra di circa 12 miliardi e forse più. Nel frattempo la domanda, cioè i consumi, sono fermi anzi leggermente peggiorati; la "dazione" degli 80 euro, almeno per ora, non ha dato alcun segnale. È certamente presto per giudicare, aspettiamo i dati di giugno e di luglio; ma per ora non ci sono segnali di ripresa". Insomma il fondatore di Repubblica processa Renzi e il suo governo e di fatto mette a nudo, come ha fatto spesso Libero, le promesse e il fumo senza arrosto del premier. 

Difesa per Letta - Poi Scalfari difende Enrico Letta e accusa Renzi di averlo silurato sulla via di Bruxelles per il dopo Van Rompouy: "Il nostro Renzi (e guai a chi ce lo tocca) ha di fatto risposto: Letta chi? E poi ha aggiunto che la presenza di Draghi costituiva un ostacolo all'eventuale incarico di Letta. Comunque - ha infine aggiunto il nostro presidente del Consiglio - lui non pensava affatto ad ottenere quella carica per un italiano ma piuttosto ad avere la ministra degli Esteri, Mogherini, alla carica di Alto rappresentante della politica estera e della difesa europea".

No all'abolizione del Senato - Infine una stoccata per le riforme: "Far sparire il Senato depaupera il potere legislativo. Il sistema monocamerale avvia inevitabilmente verso un cancellierato e quindi un rafforzamento del potere esecutivo. Si può fare e forse sarebbe anche utile, purché venga riscritta l'architettura dei contropoteri di controllo. Prima e non dopo. Questo punto è essenziale per la democrazia e non può essere preso di sbieco: va affrontato di petto e - ricordiamolo - da un Parlamento i cui membri, specie in questioni di questa natura, sono liberi da ogni vincolo di mandato e debbono esprimersi a viso aperto, visto che agiscono come rappresenta il popolo sovrano". 

Pansa: povera Rai ai piedi di Floris, un cortigiano da Festa de L'Unità

Pansa: povera Rai ai piedi di Floris, un cortigiano da Festa de L'Unità

di Giampaolo Pansa


La tv di Stato pronta a cedere alle richieste esose del conduttore di "Ballarò". Per lui, la spending review non vale


Se davvero Matteo Renzi rimetterà all’onor del mondo le Feste dell'Unità, a cominciare dalla più grande, la mitica Festa nazionale, il primo a doversene rallegrare sarà Giovanni Floris. Il conduttore di Ballarò, programma cult della Rete Tre, creata per garantire anche al Pci un lotto della Rai, è il cortigiano perfetto per le cerimonie rosse. A scanso di equivoci, ricordo che la parola usata in questa circostanza non ha un significato sessuale come accade per la versione femminile. Secondo i più accreditati dizionari della lingua italiana, il cortigiano è il gentiluomo di corte del Principe, l’uomo di fiducia, un signore che sa stare al mondo e in molti casi assai importante.

L’importanza del Floris nel caos odierno della Rai, incalzata da Renzi affinché non butti via i milioni di euro incassati grazie al canone, la si è constatata in questi giorni, nei complicati dibattiti sui programmi da offrire nella stagione 2014-2015. Ci sarebbe stato ancora il Ballarò floriesco oppure no? Il rebus nasceva dalle richieste del conduttore. Floris voleva allargarsi, far durare Ballarò sino alla mezzanotte, in modo da coprire l’intera serata di martedì. Non solo: chiedeva di avere uno strapuntino sulla Rete Uno, ossia una striscia di dieci minuti tutti i santi giorni, per poter intervenire con tempestività sull’attualità politica quotidiana. Infine, ma su questo i gossip non concordano, pretendeva un aumento del proprio compenso.

A riprova che l’Italia è un paese davvero strano, questa faccenda del tutto irrilevante se messa a confronto con questioni che angosciano l’esistenza dei cittadini tartassati, ha tenuto banco sulla carta stampata per giorni e giorni. Le richieste di Floris verranno soddisfatte? Ballarò continuerà a imperare sulla Rete Tre? Le finestre saranno concesse o no? Mentre scrivo il Bestiario, sembra che non esista ancora una risposta ufficiale dal super comando di viale Mazzini. Ma gli esperti di faccende tivù giurano che il barometro tenda al bello per il conduttore. Avrà persino la striscia, sia pure sulla Rete Tre. Perché Floris risulta così importante per la tivù di Stato? I motivi sono molti e tutti diversi. Per essere equanimi, c’è il successo di Ballarò e la pubblicità che attira il talk show. Ma esiste una ragione assai più pesante che nasce nel marasma interno alla sinistra italiana. Qui siamo dentro un campo di battaglia caotico, dove sta accadendo di tutto. L’origine del caos è la comparsa sulla scena di Matteo Renzi, un politico dalla determinazione feroce, che si è proposto di cambiare verso all’Italia, ossia di riformarla da capo a piedi, costi quel che costi.

Ma per attuare la sua rivoluzione, il Grande Fiorentino ha bisogno di conquistare un potere che nessun presidente del Consiglio ha mai posseduto. Deve piazzare donne e uomini di assoluta obbedienza in tutti i posti che contano. E deve farlo mostrandosi sprezzante, autoritario, capace di mordere sul collo chi intralcia a sua marcia. In questi giorni di mondiali del calcio, qualche buontempone ha sostenuto che Renzi è tale e quale l’uruguayano Luis Suarez che ha morsicato Giorgio Chiellini. Anche gli incisivi del premier, quelli che mostra il perfido comico Maurizio Crozza, possono diventare un’arma micidiale. Senza che nessuna Fifa gli commini la sanzione adeguata.

Nel Ballarò del 13 maggio, in piena campagna elettorale, l’ardimentoso Floris, durante un’intervista alla fine del programma, ha battibeccato con Renzi a proposito dei tagli per 150 milioni da imporre alla Rai. In quel caso il prode Giovanni ha gettato alle ortiche le sue attitudini di cortigiano, rinfacciando a Renzi che quel salasso finirebbe per favorire la Mediaset del nefando Berlusconi. Il premier gli ha risposto attraverso Twitter ricordando che nell’Italia del 2014 tutti dobbiamo fare sacrifici e che la Rai non è proprietà dei conduttori di talk show televisivi.

Nel caso specifico, il Bestiario pensa che Renzi avesse mille ragioni. Ma tanto è bastato per regalare a Floris l’aureola di nemico del premier. Persino i bambini sanno che dentro il Partito democratico sono in tanti a masticare amaro per lo strapotere che sta accumulando il presidente del Consiglio. E per i suoi modi ruvidi di mettere nell’angolo chi gli sta sul gozzo e non è disposto a inchinarsi dinanzi al nuovo Uomo della Provvidenza. Per questo l’obiettore Floris è diventato il simbolo di una seconda Resistenza, non più contro i nazifascisti, bensì contro il Fiorentino pigliatutto.

Dopo il duetto a Ballarò, molti si sono chiesti se Floris non fosse un bersaniano, ossia un militante della fazione di Pier Luigi Bersani. In realtà il vero quesito dovrebbe essere il seguente: il clan bersanista esiste ancora o è soltanto il fantasma del tempo che fu? Eppure la domanda sul Floris adepto di Bersani circola di nuovo. A dimostrazione che una prova del declino italico è la nostra disgraziata abitudine a ripresentarci sempre gli stessi interrogativi e a strologarci sopra sino allo sfinimento. Infatti all’inizio di questo giugno 2014 è stata ricordata una faccenda accaduta nel 2013. Visto che nel piccolo mondo dei media siamo abituati a citarci tutti, la brava Marianna Rizzini del Foglio che ha fatto? In una paginata dedicata a Floris, «l’antipatico ecumenico di successo che si è messo in testa di sfidare il bullo Renzi», ha ripescato quello che aveva scritto Marco Travaglio a proposito di un’intervista del conduttore di Ballarò al Bersani ancora alla guida del Pd e nel pieno del potere. E adesso il Bestiario, per non apparire distratto, citerà la Rizzini che citava Travaglio. Dunque, Floris e Bersani parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo. E il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juventus come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita di meglio. Una sola volta Bersani ha detto qualcosa di vero. Lui conosce chi sono i 101 parlamentari del Pd che, nella corsa a eleggere il nuovo presidente della Repubblica, hanno tradito Romano Prodi e il partito, però non intende svelare chi fossero. Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non mettere troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli assist spiritosi, del tipo: è più facile governare con Angelino Alfano o con Gianroberto Casaleggio?

Mi rendo conto che parlo di cose da nulla. Ma sul fondo di queste facezie si nasconde un problema mica da poco. Provo a ridurlo al nocciolo: perché nella televisione pubblica e privata la cultura rossa sopravvive anche dopo la scomparsa del vecchio Pci? Per quale motivo dominano sempre i Michele Santoro, i Giovanni Floris, i Fabio Fazio, le Lilli Gruber e i tanti loro compagnucci? Gente tosta che fa quello che gli pare, segando le gambe a chi non la pensa come loro? La risposta è una sola: perché gli altri, quelli che rossi non sono, si comportano come i bambini del Belgio durante la Prima guerra mondiale. Povere anime che, secondo mia nonna Caterina, non si accorgevano neppure che i tedeschi del Kaiser gli tagliavano la mano destra. Per impedirgli, una volta diventati adulti, di impugnare un fucile. Mi illudo che la Rete Tre rifiuti di ospitare le strisce quotidiane del cortigiano Floris, roba vecchia da destinare alle Feste dell’Unità. Piuttosto continui a mandare in onda i vecchi film in bianconero di Yvonne Sanson, la brunona dal corpo giunonico che turbò gli adolescenti degli anni Cinquanta come il sottoscritto.

PAGAMENTI, CAMBIA TUTTO Obbligo di Pos sopra i 30 euro Quando usare la carta o i contanti

Pos, dal 30 giugno bancomat obbligatorio per pagamenti sopra i 30 euro



Rivoluzione pos. Dal 30 giugno scatta l'obbligo del pagamento bancomat sopra i trenta euro. Da domani infatti in tutti i negozi, presso artigiani e professionisti scatta l’obbligo di accettare pagamenti tramite Pos. Il provvedimento, voluto dal governo, serve ad assicurare la tracciabilità dei pagamenti e di contrastare l'evasione fiscale, imprese e professionisti dovranno dare la possibilità ai loro clienti di effettuare pagamenti tramite bancomat, carte di credito o prepagate attraverso postazioni Pos. Sul fronte degli esercenti cambia tutto. Dal ristoratore al dentista, dall'idraulico all'elettricista se spendete più di 30 euro avete il diritto di pagare col bancomat. 

Come pagare - Naturalmente sempre che l'esercente sia fornito di Pos. E nel caso in cui non lo sia si può pagare in contanti. Per il momento infatti non è prevista alcuna sanzione. Insomma, se un elettricista viene a casa vostra, dovreste sperare che sia dotato di Pos. Diversi operatori telefonici e gruppi bancari stanno offrendo soluzioni tecniche innovative che consentono di sfruttare il proprio smartphone o tablet collegato ad uno speciale lettore di carte. Ma è ancora presto per un diffuso utilizzo. Insomma il rischio è che la rivoluzione Pos possa finire prima di cominciare. 

domenica 29 giugno 2014

LA RABBIA DELL'EX BADANTE ROSI "Da Bossi neanche una telefonata ma io sono pulita, gli altri..."

Rosi Mauro attacca Bossi:  "In due anni neanche una telefonata ma io..."


Sono più di due anni che tace il telefono dell'ex vicepresidente leghista del Senato Rosi Mauro. La Procura di Milano la ha assolta dopo quasi 30 mesi di indagini sul caso Belsito. La sindacalista del Sinpa, il sindacato una volta legato alla Lega, era accusata anche di aver comprato i diamanti dall'Africa con i soldi del partito, ha resistito alla vicepresidenza a palazzo Madama convinta della sua innocenza, come racconta in un'intervista a Panorama.it mentre tutto il partito, a partire dal segretario dell'epoca Roberto Maroni, le urlava di dimettersi.

Nessuna telefonata - Se ogni tanto squilla il telefono della Mauro è solo per le telefonate dei pochi veri amici e militanti leghisti che non se ne sono mai allotanati. Il cerchio magico ha esaurito il suo incantesimo, dopo che la Mauro ne è stata un pilastro indispensabile, tanto da farle guadagnare da Umberto Bossi quello che a suo modo era un complimento: "Tu per me sei un vero uomo" diceva alla sindacalista il Senatur, eclissatosi come tutti gli altri nomi noti della Lega, compreso il suo ex collega al comune di Milano e oggi segretario leghista Matteo Salvini: "Nessuno di loro mi ha chiamata - dice al sito di Panorama - né ora né in questi orribili due anni e due mesi". Che ci sia stata una regia dietro le accuse di Belsito alla "badante", dai più vista male anche per le origini salentine, lei stessa non può escluderlo: "Qualcuno dice che non è stato un complotto, io oggi continuo a dire: è stato un compltto. E questa è la cosa che mi provoca dolore".

Il cerchio - Secondo la Mauro il cerchio magico era un'invenzione giornalistica, è vero anche, le ricorda Panorama, che è riuscita a non dimettersi dalla carica in Senato fino alla fine, resistendo anche alla visione in diretta a Porta a Porta del congresso leghista con le ramazze verdi agitate da Maroni, con la presenza anche di Bossi piangente: "Mi dissi: addesso mi sveglio - continua la Mauro - perché questo è un incubo". Da vice di Renato Schifani ha concluso la legislatura, è stata espulsa all'unanimità dal partito e dopo poco il suo sindacato non solo l'ha riconfermata segretario, ma senza un voto contrario ha deciso compatto di non avere più nulla a che fare con il partito leghista: "E adesso attendo il decreto di archiviazione". Sorte diversa invece per Umberto Bossi, i figli Riccardo e Renzo e altre sei persone, per le quali è stato richiesto il rinvio a giudizio: "Ho letto le dichiarazioni in cui afferma: siamo innocenti - commenta la Mauro - Io dico: buon per loro, se hanno le prove dimostrerano la propria innocenza, come io ho dimostrato la mia".

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO "Vietiamo le bistecche per legge"

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO: "Vietiamo le bistecche per legge"


di Luciano Capone 


«Gli italiani hanno fame e voi gli avete tolto il pane agli italiani!», gridava con voce rotta dall’emozione Alessandro Di Battista del M5S contro Roberto Speranza del Pd in una lite recitatissima davanti alle telecamere a Montecitorio. Ora “Diba” (così lo chiamano i fan) agli italiani vuole togliere il prosciutto. Ma anche la mortadella, gli hamburger e il petto di pollo, insomma ogni tipo di carne. La crisi ha costretto le famiglie ad una drastica spending review sulla lista della spesa, ma non basta, bisogna eliminare del tutto la carne. L’obiettivo di Diba, che si definisce «dipendente del popolo italiano», non è quello di affamare i propri datori di lavoro, ma bloccare l’immigrazione. In un post su Facebook confessa la sua conversione al vegetarianesimo: «Vi scrivo dal Cairo, ho scoperto che alcuni scafisti che conducono i migranti verso le nostre coste sono ex-pescatori costretti al contrabbando di uomini dall’impoverimento del mare egizio».

Secondo Di Battista, mangiando pesce impoveriamo il mare e togliamo quindi lavoro ai pescatori che sono costretti, poverini, a diventare scafisti. La tesi è affascinante e va seguita, perché c’è dell’altro: «Le monocoltivazioni di cereali rivolte agli allevamenti intensivi sono una delle cause dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini che si riversano nelle periferie degradate delle città per poi fuggire in direzione Ue o Usa». Inoltre mangiare l’arrosto non solo crea disoccupazione, ma, sempre a causa degli allevamenti intensivi, è responsabile «dell'effetto serra e di quei cambiamenti climatici che producono siccità e desertificazione». Non finisce qui, perché costate e insaccati provocano anche povertà, miseria e guerre per controllare le risorse idriche. Insomma per la pace nel mondo bisognerebbe bandire salami e bresaole.

Di Battista è colpito dalla folgorante illuminazione sulla via del Cairo, dove è in missione con la commissione Affari Esteri per incontrare il presidente egiziano Abdelfattah Al-Sisi. Si tratta del capo del governo contro cui Diba pochi mesi fa scagliava parole di fuoco per la repressione contro i Fratelli Musulmani: «Chi ha ordinato la strage va processato da organismi internazionali come è avvenuto in Serbia – scriveva su Facebook – Il governo dei militari va disconosciuto senza alcun distinguo. Nuove elezioni vanno indette al più presto». Uno si immagina che Diba le canti in faccia allo «stragista», ma quando se lo trova davanti fa la foto ricordo con il generale.

Non ce l’ha fatta, non se l’è sentita. E così fa anche con la carne: «Non riesco ad essere vegetariano del tutto. Riesco a rinunciare alla carne per mesi ma poi, puntualmente, ci ricasco». Diba è così, se deve salire sul tetto di Montecitorio lo fa ad occhi chiusi, ma non riesce a rinunciare a una fettina di culatello. Il pasionario pentastellato non cerca scuse, sa che è difficile per tutti privarsi di una bistecca, quindi c’è bisogno di una legge: «Mangiare meno carne è una scelta politica che ognuno di noi deve fare. E per questo il legislatore deve trattare urgentemente la questione». Questa non è una scelta individuale di Diba, ma una battaglia politica dei 5 Stelle. Chi invece è favorevole alle bistecche e all’allevamento si iscriva al Movimento 5 Stalle.



PASCALE E FELTRI CON ARCIGAY Una tessera per Francesca e Vittorio "Ecco perchè ci siamo iscritti..."

Pascale e Feltri si iscrivono a Arcigay



"Francesca Pascale e Vittorio Feltri annunciano la loro iscrizione all'arcigay poiché ne condividono le battaglie in favore dell'estensione massima dei diritti civili e della libertà". E' quanto si legge in una nota della segreteria di redazione de "Il Giornale". L'editorialista e la fidanzata del Cav hanno scelto di aderire all'associazione che difende i diritti degli omosessuali per mostrare la loro vicinanza al mondo omo. Francesca Pascale già qualche giorno fa aveva rilasciato un'intervista al Corriere del mezzogiorno in cui ha lanciato un vero e proprio appello al mondo del centrodestra perchè difenda i diritti del mondo omosessuale soprattutto sul fronte delle unioni civili.

La campagna di Francesca - "Lo dico da cristiana, da cattolica, da donna che vive nella condizione di coppia di fatto: sì alle unioni civili, sì al rispetto per la libertà individuale. Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico", aveva detto la fidanzata di Silvio Berlusconi.

La scelta di Feltri - Anche Vittorio Feltri ha detto sì all'arcigay e spiega la sua scelta così: “Noi – rileva l’editorialista del Il Giornale – siamo per la libertà, senza discriminazioni, convinti che sia necessario superare i pregiudizi che generano equivoci, banalità, insulti noiosi e stupidi. Quando si tratta di trasformare i diritti in fatti concreti si trovano tutti in difficoltà. Renzi ha fatto tanti annunci e poi è finito in un sistema istituzionale che rende difficile qualsiasi iniziativa. Ogni volta che ci ha provato Berlusconi si è trovato il mondo addosso. Finché si tratta di chiacchiere – dice – sono tutti d’accordo, quando è l’ora di trasformarle in fatti concreti si incontrano gli ostacoli”. Per Feltri non è un problema l’iscrizione a un’organizzazione da sempre schierata a sinistra: “quando si tratta di diritti civili non esistono destra o sinistra. Il nostro – conclude – è un gesto simbolico, speriamo che contribuisca ad ottenere qualche risultato”.

sabato 28 giugno 2014

L'ITALIA CHE NON TI ASPETTI Il Sud più ricco del Nord: leggi perché

Stipendi, al Sud sono più alti



E’ un’Italia assolutamente diversa da quella solita: infatti è un Paese alla rovescia quello che viene fuori da una ricerca degli economisti Tito Boeri della Bocconi, Andrea Ichino dell’Istituto universitario europeo ed Enrico Moretti dell’Università californiana di Berkeley di cui dà conto il Corriere della Sera che sarà presentata domani 27 giugno a Roma dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti.

Dalla ricerca emerge che le province più ricche sono quelle del Sud: al primo posto Caltanissetta, poi Crotone, Enna, Siracusa, e solo al sesto posto appare una del Nord come Pordenone. Le più povere sono tutte al Settentrione e al Centro: Savona, Roma, Imperia, Rimini, Genova. La domanda è : come mai? Il punto è che anche se il reddito disponibile delle famiglie è circa la metà di Milano e la disoccupazione è tre volte più alta, il costo della vita in Sicilia è di gran lunga più basso. Un esempio: un cassiere di banca ragusano con cinque anni di anzianità ha uno stipendio del 7,5% inferiore al suo collega milanese.

Ma se si tiene conto del differente costo della vita, allora si scopre che la sua busta paga è più alta del 27,3%. Non solo: per avere lo stesso potere d’acquisto del cassiere di Ragusa, il bancario di Milano dovrebbe guadagnare addirittura il 70% in più. Nel settore pubblico le differenze a favore dei dipendenti meridionali sono ancora più evidenti. Il salario di un insegnante di scuola elementare con cinque anni di anzianità è uguale in tutte le Regioni italiane: 1305 euro al mese.

Un retribuzione che però in base al diverso prezzo di indice al consumo vale 1051 euro reali a Milano e 1549 a Ragusa. Con un vantaggio del 47% a favore della città siciliana. Su banco degli imputati della ricerca salgono “l’apparente equità della contrattazione nazionale” che determina “distorsioni, inequità ed inefficienze”. Secondo gli autori bisognerebbe legare in modo più stretto le retribuzioni alla produttività con gli accordi locali che dovrebbero prevalere su quelli nazionali.

Spending review Madia: "Altri 60mila statali presto assunti"

Pubblica amministrazione: ""Assumeremo altri 60mila statali"


di Antonio Castro



«I nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Miracoli dell’Italia dell’era renziana: inizialmente le nuove assunzioni per gli statali, se sfogliamo la prima bozza dei decreti e ddl di riforma della Pubblica amministrazione, erano 10mila. Poi Matteo Renzi - in diretta tv e a favore delle telecamere dei tg - annunciava 15mila assunzioni. O meglio: all’interno della riforma ci sono «norme su ricambio generazionale, che permettono di creare 15mila posti con la modifica dell’istituto del trattenimento in servizio». 

Martedì mattina il sottosegretario Angelo Rughetti (che abbiamo provato ad intervistare ma era “impantanato” in commissioni parlamentari fino a sera), ha confidato a «Repubblica» che «i nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Chissà cosa ne penserà il commissario straordinario alla spending review, Carlo Cottarelli, che proprio oggi deve intervenire in commissione Affari costituzionali della Camera (audizione prevista per le ore 14), e che giusto a marzo aveva ipotizzato 85mila esuberi tra il personale della macchina statale. Certo, i travet ministeriali (ma ci sono anche i dipendenti di enti locali, scuola e sanità), dovranno andare in pensione, e poi - vista l’età media (la metà del personale ha oltre 50 anni, dati Aran; giugno 2013) - un cambio generazionale appare necessario. Se non fosse per quegli odiosi vincoli imposti dalla riforma delle pensioni (legge Fornero), che trattiene in servizio il personale pubblico e privato, salvo scappare anticipatamente e rimetterci però fino all’8% della pensione (anticipo con penalità del 2% annuo). 

Tra ministeri, ospedali, scuole, tribunali, caserme, enti locali e enti di ricerca lo Stato italiano è il più imponente datore di lavoro d’Italia: oltre 3.238.474 dipendenti a tempo indeterminato (Conto annuale del Tesoro 2012). Poi c’è la marea multiforme dei contratti a tempo, dei contratti atipici, dei precari insomma (altri 300mila persone), che rischiano di maturare la pensione (?), saltando da un contratto all’altro in attesa della promessa stabilizzazione. Se è vero che lo Stato datore di lavoro non paga molto - in media 34mila euro lordi, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato - c’è almeno la certezza della stabilità: insomma, il famoso posto a vita che tutti gli altri lavoratori si sognano (soprattutto di questi tempi).

Guadagneranno mediamente poco, ma tirando la somme si tratta di uscite fisse per 161 miliardi (circa il 10% del Prodotto interno lordo), e solo per gli stipendi. Il problema non è tanto quanto incassano, ma il numero. Tre milioni e mezzo di dipendenti ai quali aggiungere una marea di consulenti. Alcuni sono professoroni che concedono il proprio sapere a ministri e ministeri, enti locali e Asl, ma tanti, tantissimi sono “partite Iva”, precettate direttamente dai dirigenti per affrontare un problema, stendere un rapporto o per funzioni e competenze che nel “perimetro” della pubblica amministrazione non è possibile svolgere in altro modo che cercando professionisti esterni. 

La famosa mobilità («entro i 50 chilometri»), che in teoria dovrebbe risolvere il problema dei vuoti d’organico in alcune amministrazioni travasando da quelle strapiene di personale quello eccesso/esubero, è come un’aspirina per un malato intubato. 
La storia poi delle assunzioni che lievitano a seconda di chi ne parla, sembra aver fatto infuriare pure i solitamente placidi sindacalisti della Uil che per sono quelli più rappresentativi proprio nel pubblico impiego (insieme alla Cisl). 

A quasi due settimane dalla presentazione delle norme un po’ vaghe e confuse, tanto da aver fatto arricciare più di qualche naso anche al Quirinale, i sindacalisti (poco coinvolti nella riscrittura), ora cominciano ad averne abbastanza: «Le illusioni continuano», attacca a muso duro il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, «infatti, il sottosegretario alla funzione pubblica sostiene, che ci saranno nuove assunzioni per 60.000 giovani in tre anni. Ogni giorno che passa si aumenta il numero: da 10.000 nel testo iniziale a 15.000 nella conferenza stampa, ai 60.000 di Rughetti». Foccillo, una vita passata nel mondo sindacale, non ne può veramente più: «Ma veramente qualcuno può immaginare che qualche anziano che va via o che l’esonero non concesso, o la mobilità possano cambiare la macchina amministrativa e favorire l’occupazione? Certamente è la fiera dei sogni. Hanno il coraggio di chiamarla riforma della Pa», ironizza il dirigente dell Uil: «Ma riforma di cosa? Se sono vere le anticipazioni dei mass media è un semplice affastellamento di norme inconciliabili fra di loro e di nessuna organicità». Certo i sindacati sono infuriati per non essere stati coinvolti, però ora a 2 settimane dall’annuncio televisivo servirebbe almeno un testo “vero” sul quale discutere, litigare, magari scannarsi. E invece no. «Qualcuno, ancora», prosegue Foccilo, «dovrebbe spiegare qual è il carattere d’urgenza di questo provvedimento». Che teme un voto di fiducia per far passare una riforma “affastellata”. «Magari», ipotizza malizioso il sindacalista, «forse per limitare ancora di più, anche in Parlamento, la discussione, si approverà il decreto con un voto di fiducia». E un sospetto, che le lungaggini nel partorire un testo pubblico siano dovute alle resistenze (e all’attività di riscrittura) per far contenti i papaveri ministeriali. Ma Renzi non doveva fare fuori i potenti mandarini padroni della macchina pubblica?

TIRA ARIA DI RIMPASTO Alfano agli Esteri: leggi tutti i nomi

Via la Mogherini parte il rimpasto: al posto di Lupi...



Il premier vuole i due fedelissimi Lotti e Reggi nella compagine governativa


Matteo Renzi sta fortemente sponsorizzando la nomina di Federica Mogherini a responsabile della politica estera dell'Unione europea. Una mossa che frenerebbe le chance di Enrico Letta a presidente del Consiglio europeo. E che per il premier produrrebbe una ltro vantaggio: poter avviare con meno clamore un ricambio della compagine governativa che avrebbe il suo culmine il prossimo autunno. "Rimpasto", si chiama, anche se Renzi si rifiuterà in ogni caso di usare quel trmine importato tale e quale dalla Prima Repubblica.

Il primo obiettivo del capo del governo sarà quello di ricalibrare il peso delle varie forze politiche a Palazzo Chigi tenendo conto del loro valore espresso con le ultime elezioni europee. Nel mirino c'è innanzitutto il Nuovo centrodestra e il suo leader Angelino Alfano. Che, secondo quanto riporta oggi il quotidiano "La Repubblica" dovrebbe lasciare il Viminale. Luogo nel quale ha dovuto guadare più di una tempesta, uscendone con una immagine certo un po' sfuocata. Ma al suo principale alleato di governo, Renzi riserverebbe comunque un trattamento di favore, facendolo approdare alla Farnesina appena liberata dalla Mogherini. Un ministero altrettanto importante ma politicamente meno esposto, considerato anche l’iper-attivismo di Renzi in politica estera. Al posto lasciato libero di Alfano andrebbe Marco Minniti, attuale sottosegretario con delega ai Servizi e consolidata esperienza nel mondo della sicurezza.

Ma le novità per Ncd non finirebbero qui. Perché da tempo Renzi ha messo gli occhi sul ministero delle Infrastrutture, una casella che considera essenziale, insieme a quella dell’Istruzione, per la seconda fase del suo governo. Maurizio Lupi, titolare di quella delega, ha a disposizione fino al 30 giugno per decidere se restare a Roma oppure optare per Bruxelles. Dall’Ncd raccontano che preferirebbe restare al ministero di Porta Pia e che della scelta tra Roma e Bruxelles avrebbe discusso a lungo con Angelino Alfano in una riunione ristretta al Viminale mercoledì scorso. Il gossip Pd indica nel sottosegretario Luca Lotti, fidato braccio destro del premier, il successore di Lupi. Ma lo stesso Lotti potrebbe restare al suo posto a palazzo Chigi assommando tra le sue deleghe anche quella ai Servizi ora di Minniti.

Altra poltrona notoriamente tremolante è quella su cui è seduta al Miur Stefania Giannini, reduce dalla liquefazione di Scelta Civica. L'idea di renzi sarebbe quella di "spacchettare" il mega-ministero per farne due: quello dell’Università, che resterebbe in capo alla Giannini, e quello dell’Istruzione, che verrebbe affidato alle cure del democratico Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e coordinatore della campagna per le primarie di Renzi. Un fedelissimo dunque, come Lotti.

L’ultima pedina che potrebbe saltare, scrive sempre "La Repubblica", è quella del ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che ha in mano la partita strategica dell’Expo. Il suo difetto sarebbe quello di essere ancora troppo bersaniano, non allineato al nuovo corso del Nazareno.


RENZI FIRMA IL PATTO COL DIAVOLO Ecco come la Merkel ha fregato Matteo

Ue, Matteo Renzi e il patto con la Merkel: "Flessibilità in cambio di riforme"



Matteo Renzi ha firmato un patto col diavolo. Dopo il vertice Ue e il faccia a faccia con Angela Merkel, il premier italiano porta a casa sostanzialmente un impegno da parte dell'Europa sulla flessibilità dei vincoli di Bruxelles a patto che il governo italiano realizzi le riforme. Di fatto la Merkel ha consegnato Renzi nelle mani della minoranza Pd. Renzi torna a casa dal Consiglio Europeo senza aver ottenuto riferimenti espliciti alla possibilità di escludere dal patto di stabilità due questioni cruciali: il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Sono due voci di spesa che pesano moltissimo sul bilancio pubblico. Per l'Italia dunque quello siglato da Renzi è un patto a metà, e comunque modesto rispetto alle attese. 

La fronda - Di certo la fronda del Pd farà di tutto per affossare le riforme. E così di conseguenza cadrebbero anche i "nuovi accordi" con la Merkel che tornerebbe alla carica sulla linea del rigore segnando la fine di Renzi e della sua esperienza a palazzo Chigi. Il Pd, ovvero quella parte che non ha mai digerito il premier, raduna le truppe e prova a mandare messaggi di guerra a Renzi. Il primo è stato Pier Luigi Bersani che ha proposto ancora il nome di Enrico Letta per la presidenza del Consiglio Ue, guadagnandosi subito dai suoi l'etichetta di "Chiti" dal nome del senatore che sta cercando in tutti i modi di affondare la riforma del Senato voluta da Renzi.

L'ultimatum - Così premier da Bruxelles risponde alla fronda con un ultimatum, alla minoranza interna. Sebbene sia convinto che alla fine i dissensi rientreranno. “E’ sorprendente che tutte le volte che c’è da fare battaglia in Europa, c’è una parte del partito, ancorché minoritaria, che apre discussioni che sembravano chiuse: mi riferisco alle riforme costituzionali…”. Insomma al Nazareno tira aria di bufera. Renzi al ritorno non potrà godersi il sole di Roma...

ALTA TENSIONE FINI-BOLDRINI "Sei solo una meschina". E lei... Ecco perchè è scoppiata la lite

Almirante, Fini attacca la Boldrini: "Una meschina a non partecipare..." E lei va dai partigiani




"Una meschina". Gianfranco Fini non l'ha presa bene. Dopo essere stato silurato da donna Assunta Almirante dalle celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Giorgio Almirante , ora Fini attacca Laura Boldrini. L'ex leader futurista non ha mandato giù l'assenza della presidente della Camera alla commemorazione dello storico padre della destra italiana. Così su facebook spara: "Nonostante Giorgio Almirante avesse nostalgia per il futuro, il meschino comportamento della Presidente Boldrini autorizza la nostalgia per il passato. Un passato in cui la Camera era presieduta da una donna come Nilde Iotti, anche lei di sinistra, ma di ben altro spessore umano oltre che politico". 

Rabbia Gianfry - Un attacco in piena regola. Forse dettato anche dalla rabbia per non essere stato invitato a quella cerimonia a cui tanto teneva. Per Fini la moglie di Almirante non ha certo speso parole tenere. Quando ha saputo dei dubbi di Gianfry che attendeva l'invito per la commemorazione, ha fulminato l'ex leader di An così:"Te credo che nun l'hai ricevuto. Non te l'ho proprio mandato, ormai non fai più parte della nostra storia". Insomma a Gianfry non resta che sfogarsi con la Boldrini. Che comunque va detto, con la famiglia Almirante e con un pezzo di storia del nostro Paese non ha certo fatto una bella figura... Intanto dopo aver snobbato la cerimonia di Almirante, la Boldrini partecipa alle reunion partigiane. La presidente è andata ad Ascoli alla cerimonia per l'intitolazione di una targa alle donne partigiane. Per lei esiste una sola memoria: rossa...

venerdì 27 giugno 2014

VENDETTA DEL GIUDICE ESPOSITO Ecco cosa ha fatto contro il giornalista che lo intervistò sulla sentenza Mediaset

Il giudice Esposito contro il premio Ischia ad Antonio Manzo, che lo intervistò sulla sentenza Mediaset




Il giudice Antonio Esposito ha emesso una sentenza mai richiesta sull'assegnazione del premio Ischia al giornalista del Mattino Antonio Manzo: quel premio "non s'ha da dare". Come riporta Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, il magistrato ha ancora il dente avvelenato per l'intervista rilasciata al quotidiano campano e raccolta dallo stesso Manzo nell'agosto 2013, quando commentava la sentenza di condanna in via definitiva a Silvio Berlusconi per frode fiscale a 4 anni dicendo sostanzialmente che l'ex premier "non poteva non sapere" quel che accadeva nelle sue aziende.

Fermate quel premio - Esposito (non si capisce assolutamente a quale titolo) ha preso carta e penna per scrivere al presidente della giuria del premio di giornalismo Giulio Anselmi, già direttore di Espresso, Stampa, Ansa, oltre che ad altri giurati (tra i nomi che compongono la giuria ci sono i direttori del Mattino, Alessandro Barbano, dell'Ansa Luigi Contu, del Messaggero Virman Cusenza, e di SkyTg24 Sarah Varetto).

La missiva, riporta il Fatto per voce dell'avvocato di Esposito, chiede che il riconoscimento speciale a Manzo sia sospeso o revocato "a fronte di un'azione risarcitoria" avanzata da Esposito contro Manzo, il direttore del Mattino e l'editore Caltagirone che potrebbero rimetterci 2 milioni di euro per un'intervista, continua il legale "così gravemente manipolata". L'avvocato non esclude che Esposito possa rivalersi a questo punto anche contro la fondazione Valentino, che organizza il premio sotto l'altro patronato di del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Presidenza del Consiglio. Anche se da Ischia fanno sapere che il premio per Manzo è dovuto alle interviste meritevoli fatte nel 2014 e non l'anno prima.

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri



Nessun esercizio retorico, nessun retroscena, nessuna analisi potrà cambiare lo scenario: giusto o sbagliato che sia, per l'eliminazione dai Mondiali brasiliani i principali imputati sono due, Cesare Prandelli e Mario Balotelli. I motivi sono ormai arcinoti: le scelte del primo, le bizze del secondo. Però al quadro complessivo va aggiunto qualche elemento. Si ritorna ancora all'intervallo di quella maledetta partita tra Italia e Uruguay, all'intervallo che è stata la prima parte della resa dei conti. Si ritorna ai mugugni di Balotelli e ai rimbrotti di Prandelli all'attaccante-Godot. Le cronache hanno rivelato dell'alzata di scudi dei senatori, degli juventini e di Gigi Buffon su tutti, entrati metaforicamente a gamba tesa su Mario. Un dubbio: era il caso di farlo? Non avrebbe dovuto pensarci solo e soltanto Prandelli? Con la loro "mozione di sfiducia", i senatori non hanno finito per rendere irrespirabile un'atmosfera già tesa? Forse avrebbero potuto farlo a fine partita, a Mondiali finiti. Forse non lì, in quello spogliatoio, in quel modo che - si dice - ha turbato profondamente la squadra. Questo - sia chiaro - senza nulla togliere ai demeriti di Balotelli. E di Prandelli, che avrebbe potuto, e dovuto, gestire meglio la situazione.

Le cose cambiano - Ma non ci sono soltanto i dubbi sull'opportunità dell'offensiva di quelli che la semplificazione giornalistica chiama "senatori". Ci sono anche i fatti, rivelati dalla Gazzetta dello Sport, le tappe, le parole e le critiche che hanno portato alla sostanziale sfiducia di Cesare Prandelli. Secondo la rosea, di fatto, il Ct non si è dimesso per il risultato disastroso, per le polemiche sui soldi o per chi gli remava contro in Federazione: semplicemente, Prandelli è stato "dimissionato" proprio dai senatori. Il percorso è lungo, inizia quattro anni fa, quando l'ex mister della Fiorentina propone il suo nuovo progetto basato su due principi cardine: tenere palla per attaccare sempre e comunque e il codice etico. Due punti accolti con entusiasmo anche dalla vecchia guardia azzurra. E così via, per un Europeo e una Confederations Cup che cementano il gruppo. I problemi, però, iniziano una volta raggiunta la qualificazione ai Mondiali. Spunta il secondo imputato, Mario Balotelli: torna in azzurro. Decide Prandelli, è il capo, lo deve fare. Eppure Mario, complice il suo passato di poco impegno e molte polemiche in nazionale, non è accettato di buon grado da chi invece per la maglia azzurra ha sempre dato tutto, cuore, muscoli e polmoni, senza pretendere né una copertina né una pacca sulla spalla.

La rottura - Il secondo fattore destabilizzante è Antonio Cassano, che destabilizzante lo è per natura. Prandelli decide di portarlo in Brasile: lui sarà il jolly, lui il numero 10 che, all'occorrenza, dovrà trovare la giocata di classe. Fantantonio viene arruolato nonostante le riserve dei senatori juventini, memori dell'Europeo 2012, l'Europeo delle cassanate. Balotelli e Cassano dentro (più Insigne, scelta particolare), fuori Pepito Rossi, Gilardino, Destro, Toni. Non è tanto una questione di valori tecnici, ma di indole, di spirito: vengono tagliati fuori dal mondiale quei giocatori che per comportamento, abnegazione e dedizione alla causa sono ammirati da tutti, e sono ammirati soprattutto da quei giocatori che costituiscono la spina dorsale dell'Italia. Qualche malumore, in tempi più recenti, sorge per la scelta del resort di Mangaratiba: troppo poco entusiasmo, troppe mogli e parenti. Quindi la sorpresa all'esordio con l'Inghilterra: in campo, al fianco di Andrea Pirlo, c'è Marco Verratti. Eppure Pirlo, da anni, era abituato ad avere in mano lui e soltanto lui le chiavi del centrocampo azzurro. In parallelo gli allenamenti: Cassano, Balotelli e Insigne trotterellano, i senatori si incazzano. Loro, che anche in allenamento sputano il sangue, vogliono che tutti sputino quel sangue, soprattutto se c'è in ballo un Mondiale.

L'esplosione - Dopo l'Inghilterra, la Costa Rica e l'ovvio carico di dubbi e malumori che la squadra si è portato via da quella partita. Poi l'Uruguay, l'Italia spuntata, con Balotelli indisponente e impalpabile. Si arriva alla resa dei conti. Si arriva all'intervallo di quella maledetta partita con l'Uruguay. La tensione esplode. Forse con 45 minuti di anticipo, ma esplode. Mario risponde a Prandelli, la vecchia guardia si fa sentire: grida Buffon, grida De Rossi, gridano gli altri "vecchi". Poi il secondo round, davanti alle telecamere, mentre Balotelli pensa soltanto ad andarsene da solo sul pullman, sempre più lontano da quella squadra: le accuse, sempre di Buffon e di De Rossi, a "chi in campo non c'è" e alle "figurine". A Balotelli e a Cassano. Ma l'attacco non era soltanto a Mario e ad Antonio. L'attacco era rivolto anche a Prandelli, alle sue scelte, al progetto cambiato in corsa. E quell'offensiva scatenata negli spogliatoi ancor prima che finisse la partita ha segnato il destino del Ct: il "patto" siglato quattro anni prima era rotto, i senatori della squadra - colpendo altri per colpire anche lui - lo avevano sfiduciato. Prandelli sapeva che avrebbe potuto finire così. E aveva già pensato alla sua successiva e immediata mossa: le dimissioni, dopo essere stato "dimissionato".

SCAZZOTTATA A CINQUE STELLE "Vattene, sei fuori dal Movimento" La riunione grillina finisce male: è rissa

M5s, Firenze, si vota l’espulsione e scoppia la rissa tra grillini 



Rissa a Cinque Stelle. Il meetup di Firenze finisce male: arriva la polizia. L’assemblea di mercoledì sera degli attivisti del Movimento 5 Stelle, al circolo fiorentino Andrea del Sarto, avrebbe dovuto sancire l’espulsione di un gruppo di militanti colpevoli di aver "giocato sporco" e contro il Movimento durante le ultime elezioni amministrative per il Comune di Firenze. Una vicenda finita anche sul tavolo del parlamentare capogruppo alla Camera Luigi di Maio che a sua volta aveva allertato il deputato fiorentino Alfonso Bonafede nella vicenda.

La scazzottata - I malumori interni sarebbero nati dopo il flop uscito dalle urne il 25 maggio scorso, quando il M5S si era fermato al 9%. Ieri sera la resa dei conti: all’assemblea arriva un elenco di attivisti da cacciare. Si aprono le votazioni ma alcuni, non avvisati preventivamente di questa scelta, rimangono sbigottiti. Ne nasce una discussione accesissima, raccontano alcuni dei presenti, che arriva a sfiorare lo scontro fisico. A questo punto parte la chiamata al 113: una volante si precipita in via Manara dove da sempre il movimento tiene le proprie assemblee più numerose. All’arrivo degli agenti il clima si era fortunatamente già raffreddato ma la rissa era già avvenuta. Intanto nel mezzo della bagarre alcuni attivisti sarebbero stati espulsi dal meetup. 

Travaglio attacca Renzi: "Vi dico perchè è peggio di Berlusconi" Poi massacra Prandelli: "Pessimo, spero che..."

Otto e mezzo, Marco Travaglio: "Renzi è peggio di Berlusconi"



Marco Travaglio ospite di Lilli Gruber non risparmia nessuno. In un faccia a faccia con Claudio Cerasa, firma del Foglio, Marco Manetta attacca a testa bassa Renzi e il governo. A fare infuriare Travaglio è soprattutto il premier. A suo dire troppo "coccolato dalla stampa". Il vicedirettore del Fatto a questo punto alza il tiro e la spara grossa: "Renzi è più pericoloso di Berlusconi. È preoccupante il servilismo di classi dirigenti giornalistiche verso Renzi. Peggio che per Berlusconi". Insomma Travaglio è scatenato e aggiunge: "Tutto ciò è pericoloso per un uomo solo...". Infine Travaglio abbandona la presa su Renzi e Cav e sposta il mirino su Cesare Prandelli: "Non è stato un buon allenatore. Spero che chi venga dopo di lui pensi a parlare di calcio e abbandoni la retorica inutile sul patriottismo...". 

"Le intercettazioni non si toccano" Il Pd fa quadrato attorno alle toghe

Matteo Orfini: "Nella riforma della Giustizia non ci saranno le intercettazioni"



Promesse e riforme. Riforme promesse: l'ultima, quella della Giustizia, che verrà presentata al consiglio dei ministri di lunedì. Qualche anticipazione arriva da Matteo Orfini, il presidente del Pd, che in un'intervista all'Huffington Post assicura che "le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia". I poteri dei magistrati, dunque, non si toccano: nei progetti dell'esecutivo (contrariamente a quanto sostenuto da alcune indiscrezioni di stampa), non verranno né limitati durante le immagini né ci sarà una stretta sulle pubblicazioni. "Ho parlato col ministro Orlando e mi ha assicurato che le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia", ha ribadito Orfini.

Ncd che dice? - Dunque nel testo non troverebbero diritto di cittadinanza le norme che avevano già fatto scattare l'allarme preventivo delle toghe. Tra le misure previste, invece, il falso in bilancio, le misure sull'autoriciclaggio e le norme sulla responsabilità civile dei magistrati. E se quest'ultimo è un punto da sempre caro al centrodestra, altro tema da sempre in cima all'agenda è quello delle intercettazioni, strumento "principe" e usato indiscriminatamente nella lotta senza quartiere a Silvio Berlusconi, o per "far fuori" l'indagato di turno. Orfini, parlando della riforma, parla di "governo": resta da vedere cosa dirà Angelino Alfano sulla mancata stretta sulle intercettazioni, dopo anni di campagna nel Pdl contro lo strapotere "auditivo" dei magistrati e della stampa pronta a ricevere le loro soffiate.



giovedì 26 giugno 2014

La Santanché: "Forza Italia sia garantista o sputtano tutti quanti"

Daniela Santanché: "Forza Italia deve essere garantista o sputtano gli indagati"

Intervista di Barbara Romano 



Se qualcuno in Forza Italia si azzarda ancora a chiedere a Galan di fare un passo indietro o, peggio, se il mio partito dovesse decidere di votare per il suo arresto, io faccio uscire l’elenco di tutti gli indagati forzisti e ne chiedo io le dimissioni. Perché le regole devono valere per tutti». E se a dirlo è Daniela Santanchè, potete giurarci che lo fa. La sua non è una difesa d’ufficio dell’ex governatore del Veneto, ma un salvataggio in extremis dell’anima liberale di Fi, che la pasdaran berlusconiana in questi giorni ha sentito rinnegare più di una volta dai “papaveri” azzurri. E ogni volta la Santanchè ha espresso pubblicamente il suo disappunto verso questo o quel dirigente forzista che strizzava l’occhio al giustizialismo. Ma adesso non ne può più: «Faccio la rivoluzione», giura la deputata più cazzuta di Fi, «perché non vorrei che il mio partito cambiasse pelle sul garantismo...».

In effetti, Fi aveva preso una china manettara, ma ultimamente si è riscoperta garantista. Come lo spiega?

«Si saranno guardati allo specchio e in loro è prevalso il buon senso. Il garantismo è sempre stato la nostra bandiera e sarebbe profondamente sbagliato ammainarla. È da vent’anni che facciamo questa battaglia contro l’uso politico della giustizia e denunciamo che una parte della magistratura è il braccio armato della sinistra, pronto a colpire ogni volta che ci sono le elezioni».

Eppure in Fi nessuno si è schierato in difesa di Dell’Utri, Scajola, Galan.

«Perché oggi, purtroppo, anche nel mio partito si cerca sempre di piacere a tutti, di seguire l’onda dell’opinione pubblica. Ma ai miei colleghi voglio ricordare che il mostro dell’antipolitica non è mai sazio. Qualcuno pensa forse che per essere amati universalmente bisogna gridare “tutti in galera”? Allora, rinnega FI e la sua storia".

Nemmeno il Cav ha speso una parola per i suoi amici di una vita.

«Perché oggi dai giudici gli viene negato di parlare con i condannati come Dell’Utri».

Ma non gli è vietato parlare di Dell’Utri. Eppure non si è esposto per lui, e neppure per Galan, che non è un condannato.

«Ho sentito con le mie orecchie il dolore tremendo e la vicinanza di Silvio ai suoi amici. Ho sentito altri prendere le distanze da queste persone, ma non il presidente».

Sarà, ma in altri tempi in Fi non si sarebbe neppure preso in considerazione di consegnare un proprio parlamentare alla giustizia. Mentre la Gelmini e Romani hanno chiesto a Galan di dimettersi.

«Hanno sbagliato. Hanno letto tutte le carte? Hanno già deciso che è colpevole? Io no, perché sono garantista. Dopo Tangentopoli, la politica ha abdicato alla magistratura e non si è più ripresa. Anche se sono stati scritti libri su giudici pazzi squilibrati, i magistrati si giudicano tra di loro e puntualmente si autoassolvono. E la politica non trova il coraggio di rispettare i padri costituenti che introdussero l’articolo 68 perché volevano garantire l’assoluta indipendenza tra i poteri dello Stato. È come se oggi ci vergognassimo di mettere al centro le regole fondamentali del nostro assetto istituzionale. Ancora una volta abdichiamo».

Perché Fi ha ammainato la bandiera garantista?

«No, Fi non ha ammainato questa bandiera. Ma il rischio c’è, perché oggi è più facile dire “tutti in galera”. Quindi, meglio mettere un punto fermo subito: Fi è “il” partito garantista, noi abbiamo salvato dalla galera esponenti del Pd. Quello che dovremmo fare è darci delle regole interne».

Non è che, col Cav ai servizi sociali e in attesa di giudizio su Ruby, ora è meglio tenersi buoni i magistrati?

«Respingo questa logica. Anche perché quando i padri costituenti inserirono l’immunità nella Carta non sapevano che sarebbe apparso sulla scena Berlusconi».

Ma adesso anche Fi vuole cancellare l’articolo 68 dalla Costituzione.

«Io sono nel partito di Berlusconi e sto con lui in tutte le battaglie. Lui sta pagando un prezzo pazzesco per aver voluto una giustizia giusta. Rinunciare a questa battaglia significa consegnarci alla magistratura. Aspetto il premier al varco sulla riforma della giustizia e sulla responsabilità civile dei magistrati. Noi alla Camera l’abbiamo votata. Ora capiremo se Renzi ha subito l’abbraccio mortale dei magistrati. Di sicuro è più facile, perché così l’immunità puoi ottenerla senza avere le palle di metterla per iscritto nella riforma del Senato. Io le palle per scriverla ce l’ho».

Romani si è dichiarato «ostile» all’immunità dei nuovi senatori. Quindi anche Fi non ha le palle?

«Non giudico. Chiedo a tutti, in primis a Renzi, ma anche al mio partito, che la politica non si vergogni di esigere l’indipendenza dalla magistratura. Non possiamo fare passi indietro. È pericolosissimo. Immunità non vuol dire impunità. Guardiamo alla Francia. Sarkozy è sotto processo e rischia parecchio, ma gli hanno fatto portare a termine il suo mandato da presidente della Repubblica. Stiamo attenti ad abdicare e a voler essere amati da tutti».

Come si comporterà in aula se Fi deciderà di votare per l’arresto di Galan?

«Lo escudo. Ma se dovesse succedere, faccio una rivoluzione. Vorrebbe dire che anch’io sono stata presa in giro e che Fi non è più il mio partito».

OSPEDALI DI MARCIANISE E MADDALONI.Trasferimenti sì, trasferimenti no: De Angelis e De Lucia chiamano in causa il presidente Caldoro

OSPEDALI DI MARCIANISE E MADDALONI.Trasferimenti sì, trasferimenti no: De Angelis e De Lucia chiamano in causa il presidente Caldoro

di Casertace.net


La questione sta facendo discutere ormai da mesi. I due sindaci chiedono l'intervento della Regione 


Marcianise (Ce): Al fine di tutelare l’interesse e la salute dei cittadini, e ritenendo necessario che la questione ospedaliera debba essere affrontata ad un tavolo regionale, il sindaco di Marcianise, Antonio De Angelis ed il primo cittadino di Maddaloni, Rosa De Lucia, hanno inviato una nota congiunta direttamente al presidente della Giunta campana, Stefano Caldoro.

A quest’ultimo le due fasce tricolori hanno chiesto un incontro, rendendosi disponibili già a partire da stamattina, giovedì.

Brescia: L'On. L'ara Comi apre il primo Info Point sui Fondi Ue

Brescia: L'On. L'ara Comi apre il primo Info Point sui Fondi Ue

di Gaetano Daniele




Con l'apertura dello sportello Europe4You si crea un legame diretto tra l'Europa e i cittadini, amministratori, enti locali, imprenditori che sono interessati a cogliere le opportunità esistenti in ambito transnazionale. L'Onorevole Lara Comi presente in sede una volta al mese.


Grande partecipazione all’inaugurazione del primo Europe4you, ufficio fortemente voluto da Lara Comi, europarlamentare di Forza Italia e vicepresidente del PPE, per mettere a disposizione dei cittadini tutte le informazioni necessarie per accedere e usufruire dei fondi Ue, aiutare i giovani a trovare occupazione nei Paesi europei, informare le imprese e il settore produttivo sulle tante possibilità offerte dall’Europa.

Lo spazio, che si trova in via Callegari 10 a Brescia, è il primo di una serie, che interesserà diverse città del Nord Ovest. "Si tratta di una iniziativa apolitica e apartitica. Un passo importante, di un primo step verso l’obiettivo che mi sono posta nei miei primi 5 anni di legislatura e che intendo portare avanti adesso, con sempre maggiore impegno: vincere la partita dei fondi UE e dare un supporto concreto a cittadini, imprenditori ma anche amministratori di enti locali che vogliono avere informazioni sulle opportunità che offre l'Europa", ha spiegato l'Onorevole Comi. E proprio per segnalare il cambio di passo che questa apertura intende rappresentare, l'Onorevole Comi ha dato la sua disponibilità ad essere presente in sede una volta al mese. Su base quindicinale sarà a disposizione di chi lo desidera un tecnico specializzato nella compilazione di bandi e nella individuazione delle migliori opportunità, mentre ogni pomeriggio, a partire da lunedi 23 giugno, l'ufficio sarà aperto con personale a disposizione di chi vuole essere indirizzato alla ricerca di una opportunità di studio e lavoro in Europa.

A oggi, un terzo del bilancio europeo, che vale poco meno di mille miliardi ogni 7 anni, viene destinato ai cosiddetti fondi strutturali. L’Italia, mediamente, riesce a spendere solo il 49% dei fondi che le vengono assegnati. Peggio fanno solo Malta, Romania e Croazia. Polonia e Spagna viaggiano rispettivamente a una media del 75% e del 64,%. La stessa Germania assorbe il 72% delle risorse.

"L’Europa offre grandi opportunità, sta a noi coglierle, con buone proposte progettuali che siano in linea con le politiche che la Commissione Europea prevede e muovendosi nei tempi giusti. Per il 2014-2020 ci sono a disposizione per il nostro Paese complessivamente circa 100 miliardi (compresi i co-finanziamenti nazionali). Per la politica industriale l’Ue ha messo a disposizione circa 150 miliardi per i prossimi 7 anni. Nel quadro dei fondi per lo sviluppo regionale, rispetto al precedente quadro pluriennale 2007-2013, saliranno da 70 a 140 miliardi di euro le risorse per le PMI. Per la ricerca il programma quadro Horizon 2014-2020 gestirà fondi per 70,2 miliardi nei prossimi 7 anni.  La dotazione è aumentata di 22 miliardi rispetto al precedente programma quadro", ha evidenziato ancora Lara Comi. Le opportunità dunque ci sono, per tutti, imprenditori e giovani.

Oggi ci sono ancora 3 milioni di posti di lavoro vacanti nell'Unione Europea, perché non si trovano figure adeguate a ricoprirli, in particolare nella green economy, la sanità e i nuovi settori legati alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, mentre sono circa 3 mila i posti di lavoro disponibili presso le istituzioni europee (Parlamento, Commissione, Bei, Bce, Mediatore europeo, Corte di Giustizia, Comitato delle regioni ) accessibili anche tramite stage e tirocini.

Un supporto alla mobilità, all'impiego e alla formazione transazionale arriva anche dal progetto Erasmus per giovani imprenditori, che permette di imparare i segreti del mestiere da professionisti già affermati che gestiscono piccole o medie imprese in un altro Paese partecipante al programma europeo. Infine, il nuovo programma Erasmus per studenti, con un budget aumentato del 40%, ovvero 15 mld di euro per il 2014-2020, permetterà di svolgere esperienze di studio, formazione, stage ma anche sport all'estero. 

L'ex prefetto di Perugia come le mamme dei drogati: "Ho pensato di suicidarmi"

L'ex prefetto di Perugia come le mamme dei drogati: "Ho pensato di suicidarmi"



“Aspetto disposizioni da parte del ministro, andrò dove devo andare. Da buon servitore accetto e ubbidisco. In questi giorni ho pensato pure al suicidio. Così mi avrete sulla coscienza e potrei vedere dal cielo cosa scriveranno”. Queste le frasi choc pronunciate dall’ormai ex prefetto di Perugia Antonio Reppucci alla Zanzara su Radio 24. Nei giorni scorsi Reppucci era stato rimosso dalla carica di prefetto dopo alcune frasi pronunciate sulle madri di persone tossicodipendenti.

Contro i giornalisti - Davvero ha pensato al suicidio, chiedono i conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo?: “Certo. I giornalisti mi hanno messo in queste condizioni. Nessuno che abbia il coraggio di andare a vedere chi è questa persona. Non so, un mostro, uno che ha sbagliato ripetutamente, uno che ha rubato, uno che ha ammazzato qualcuno… Si può fare giornalismo in questo modo?”. Reppucci a La Zanzara se la prende con la stampa: “Si può fare giornalismo estrapolando una frase da un discorso di oltre un’ora? La penna fa più male di una fucilata, mi hanno dipinto come un mostro. Non ho mai fatto male a nessuno, nessuno ha guardato al mio curriculum, a quello che ho fatto nella vita”.

Larva umana - Come si sente adesso? “Sto come uno che sta andando al patibolo, sono diventato una larva umana”. “Mi sono chiuso nella stanza da letto – dice Reppucci a Radio 24- non reggevo. Pensavo a me stesso e a rendere conto al Padreterno. Se non c’è giustizia ma solo ricerca dello scoop, se il prefetto di Perugia è diventato il caso Italia con tutti i problemi che ci sono. Posso avere avuto una caduta di stile, chiedo scusa se ho offeso qualcuno. Chiedo scusa a quelli che non hanno capito il mio messaggio”.

Su Alfano - Considera eccessiva la decisione di Alfano? “Sono abituato ad accettare sempre le decisioni dei miei superiori. Capisco e comprendo. Obbedisco, un servitore dello Stato deve obbedire. Ma ho la coscienza tranquilla di fronte al Padreterno perché volevo lanciare un messaggio di risveglio, un inno alla vita invece che al suicidio: mamme state attenti ai figli, questo volevo dire”. “Sono amareggiato e meravigliato con i giornalisti – prosegue Reppucci - nei miei confronti c’è stata macelleria e killeraggio. Volevo dire suicidatevi alle madri secondo voi? Volevo dire tutto il contrario”. “Renzi? Chissà come gli è stata rappresentata questa storia – prosegue Reppucci - chi ha visto integralmente il mio intervento sa che volevo difendere Perugia, l’onorabilità della città che è rappresentata come capitale della droga e non è vero. E poi dire: care mamme se c’è tanto spaccio e consumo stiamo attenti guardiamo i nostri figli in fondo agli occhi, un discorso di carattere sociologico”.

L'intercalare - Una madre si può sentire offesa, fanno notare i conduttori? “Sì, si può sentire offesa. Ma volevo dire: preveniamo, evitiamo che i ragazzi si droghino. Anche io sono genitore e poteva capitare questa calamità e non accorgermene. Ma era in termini di risveglio, spronavo a stare vicini ai nostri figli”. E il linguaggio, il termine suicidio? “A Napoli diciamo ‘accirit’ quando è un fallimento, un intercalare. Questo è stato il mio errore e poi diciamo ‘tagliare la testa’ come uno scappellotto educativo, lo schiaffo educativo, un ceffone benevolo”.