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lunedì 5 ottobre 2015

Colpaccio di Marina nella notte: "affare fatto" (da 127 milioni)

Mondadori acquista Rcs Libri per 127,5 milioni di euro




Rcs Libri passa a Mondadori. Colpaccio di Marina Berlusconi, che nella tarda serata di domenica ha chiuso con l'ad di Rcs Pietro Scott Jovane l'acquisizione di Rcs Libri Spa. Un affare da 127,5 milioni di euro che rafforza la posizione nell'editoria della Arnoldo Mondadori Editore Spa e del gruppo di casa Berlusconi da un lato e che dall'altro permette a Rcs di risanare i conti. Di seguito il comunicato stampa ufficiale di Rcs.

A seguito della relativa delibera unanime del Consiglio di Amministrazione di RCS MediaGroup, riunitosi in data odierna sotto la presidenza di Maurizio Costa, l’Amministratore Delegato Pietro Scott Jovane ha proceduto alla firma del contratto per la cessione dell’intera partecipazione detenuta in RCS Libri S.p.A. ad Arnoldo Mondadori Editore S.p.A..

Il perimetro dell’operazione comprende l’intera quota (pari al 99,99%) posseduta da RCS MediaGroup in RCS Libri S.p.A., con le sottostanti partecipazioni (che al closing includeranno il 94,71% di Marsilio Editore S.p.A.), ad esclusione del 58% posseduto in Adelphi Edizioni S.p.A., che verrà ceduta al socio Roberto Calasso. Tale perimetro ha registrato nell’esercizio 2014 valori pro-forma che evidenziavano ricavi per 221,6 milioni di Euro, EBITDA ante oneri non ricorrenti per 8,8 milioni e investimenti per 11 milioni, di cui 1,7 milioni destinati al rinnovo delle librerie Rizzoli.

Il prezzo dell’operazione (Equity Value) è pari a 127,5 milioni di Euro determinato sulla base di un Enterprise Value pari a 130,0 milioni e una PFN media (per neutralizzare gli effetti della stagionalità del business) e rettificata (anche includendo il riacquisto delle minorities di Marsilio) pari a -2,5 milioni. Sono previsti meccanismi di aggiustamento del prezzo pari a massimi +/- 5 milioni di Euro sulla base di predeterminati obiettivi economici legati ai risultati 2015 di RCS Libri e un earn-out in favore di RCS MediaGroup fino a 2,5 milioni al verificarsi di talune condizioni riferite ai risultati aggregati 2017 delle relative attività librarie. L’operazione prevede le usuali dichiarazioni e garanzie.

Nel Resoconto Intermedio della Gestione al 30 settembre 2015 l’Area Libri sarà classificata, così come previsto dai principi contabili, in particolare dall’IFRS5, tra le attività destinate alla vendita. L’operazione non comporterà impatti significativi sul Bilancio Consolidato rispetto ai valori inclusi al 30 giugno 2015, dove l’Area Libri era già valutata al Fair Value. Per quanto riguarda RCS MediaGroup S.p.A., l’impatto negativo rispetto al valore di carico dell’ultima situazione patrimoniale approvata (Bilancio al 31 dicembre 2014) – tenuto conto anche di costi e oneri associati all’operazione e al lordo dell’effetto fiscale – si stima nell’ordine di 65 milioni di Euro.

L’accordo preserva per tutte le testate del Gruppo RCS la possibilità di continuare ad esercitare un’attività editoriale libraria in linea rispetto a quanto attualmente offerto ai propri lettori. RCS MediaGroup mantiene la titolarità del marchio Rizzoli per tutti gli utilizzi esclusa l’attività libraria.

Il corrispettivo dell’operazione, che verrà regolato per cassa al closing, permetterà a RCS da un lato di disporre di risorse finanziarie per gli investimenti di sviluppo del business, dall'altro di rafforzare la propria struttura finanziaria e di procedere nel percorso di ridefinizione dei principali termini del contratto di finanziamento in essere con gli istituti finanziatori.

Il perfezionamento dell’operazione è soggetto all’approvazione delle competenti autorità regolatorie; eventuali provvedimenti di autorizzazione condizionata non pregiudicheranno il completamento dell’operazione e non comporteranno modifiche delle condizioni economiche per RCS MediaGroup.

LA LEGA SI È SPACCATA Salvini-Maroni, il grande gelo: perché i due leader sono divisi

Lega Nord, Salvini e Maroni non si parlano: divisi su autonomia, Ncd e patti con Renzi


di Matteo Pandini



I più ottimisti dicono che tra Roberto Maroni e Matteo Salvini ci sono semplici malintesi. Eppure la quantità di incomprensioni ha superato il livello di guardia: rapporto con Ncd, referendum lombardo sull’autonomia, dialogo con i sindaci Pd e addirittura amministrative di Milano. Bobo dice bianco, l’altro risponde nero. «Problemi di comunicazione» tagliano corto dalla Regione Lombardia, dove ricordano che il governatore ha passato alcuni giorni dell’ultima settimana a New York. Impegni istituzionali. Anche per questo non è ancora riuscito a chiarirsi col leader del Carroccio. Certo, l’ex ministro dell’Interno ha cercato più volte qualche contatto, ma non ha ottenuto un confronto risolutivo. 

Nelle ultime ore è sceso in campo il pontiere Massimo Garavaglia, stimato assessore regionale al Bilancio: domani Maroni sarà a Palazzo Chigi per discutere di costi standard e non solo (detto brutalmente, batterà cassa) ma non s’è ancora spenta l’eco delle parole del segretario lumbard, secondo il quale trattare col Pd «è una perdita di tempo», tanto che il Pirellone dovrebbe «accelerare sul referendum autonomista». Maroni, invece, pensa di indirlo non prima delle Amministrative della prossima primavera, così da abbattere i costi e alzare l’affluenza, ma ha chiarito d’essere d’accordo con un documento che gli amministratori Pd gli hanno sottoposto da qualche settimana. Si tratta di una proposta sottoscritta da sindaci di capoluogo e presidenti di provincia della regione e che suggerisce, oltre alla trattativa per avere più poteri, di convincere Palazzo Chigi a esaudire i desideri lombardi su costi standard e residuo fiscale. I primi potrebbero valere circa 500 milioni l’anno: sono un meccanismo che premia i territori più virtuosi. Il secondo è la differenza tra le tasse che vengono versate a Roma e quelle che tornano sul territorio. «Il documento va letto» s’è fatto sfuggire Maroni pungendo Salvini. È irritato, Bobo, perché è convinto di essere più forte, se si presenta a Palazzo Chigi dopo un’intesa con pezzi di centrosinistra. E, soprattutto, può allargare una crepa tra i democratici. Perché i sindaci rossi hanno scritto d’essere pronti a sostenere il referendum, in caso di risposta negativa dal governo.

Ma Salvini è freddo. E mentre le diplomazie lavorano, Maroni ha spiegato che chiederà nuovamente all’Aula di esprimersi sul questito autonomista, nonostante sappia benissimo che qualche consigliere lumbard non la prenderà bene. Bobo ha aperto anche un altro fronte. Quello su Milano. Perché nel centrosinistra si sta facendo largo l’ipotesi di lanciare il commissario di Expo Giuseppe Sala, il quale potrebbe piacere anche a Ncd. Che Salvini vuole tagliare fuori. Ma gli uomini di Alfano sono fondamentali nella maggioranza di Maroni. Se venissero regalati ai democratici, rischia di saltare la Regione. «Salvini l’ha capito?» si chiedono alcuni fedelissimi del governatore. Per Bobo, Renzi spenderà tutte le energie per conquistare Palazzo Marino. E un’eventuale sconfitta del centrodestra rischia di essere rinfacciata a Salvini, soprattutto dagli alleati. A partire da Berlusconi che non vede l’ora di ridimensionare l’ambizioso successore di Bossi. Perfino l’ex premier non è ancora riuscito a discutere col capo leghista, e la tragica verità è che oltre al nome di Paolo Del Debbio non c’è ancora un piano B credibile. Ma il giornalista non intende correre senza la ragionevole certezza di poter vincere, forte di un ottimo contratto televisivo. Chi glielo fa fare?

Anche per questo Maroni vuol chiarirsi con Salvini, dopo avergli suggerito la candidatura di Maurizio Lupi. Matteo ha risposto di no. Tra i due pesi massimi del Carroccio urge un chiarimento. Ma quando? Domani Bobo sarà a Roma. Il segretario, martedì, partirà di buonora alla volta di Strasburgo e non tornerà prima di giovedì.

Napoli e Fiorentina show Milan umiliato, Miha flop

Viola prima: 3-0 all'Atalanta. Il Napoli umilia il Milan: 4-0


di Francesco Pellegrino



Un Napoli da scudetto, una Fiorentina da primato, un Milan da lacrime. I posticipi del 7° turno di Serie A regalano le due più belle sorprese del momento. I viola di Paolo Sousa, reduci dai poker rifilati contro Inter in campionato e Belenenses in Europa League, si confermano in forma smagliante al Franchi: 3-0 all'Atalanta, con partita subito in discesa. Al 6' allo di Paletta su Blaszczykowski in area, espulsione e rigore trasformato da Ilicic. Dopo un paio di occasioni, alla mezz'ora arriva il raddoppio dell'ottimo Borja Valero, servito da Bernardeschi. I bergamaschi faticano a reggere l'urto e non si rendono quasi mai pericolosi: nel recupero c'è gloria anche per il neo-entrato Verdu, su assist geniale di Kalinic. Fiorentina prima in solitaria, a 18 punti, 2 in più dell'Inter fermata sull'1-1 dalla Sampdoria. 

Napoli show - Nel prossimo turno i toscani faranno visita al Napoli, tra le squadre più in forma del momento. A San Siro va in scena il classico contro il Milan e il risultato è da record: 0-4, mai vittoria più larga per i partenopei. In panchina è Mihajlovic contro Sarri, che in estate avrebbero potuto occupare l'uno il posto dell'altro. Ride De Laurentiis, perché il mister toscano rifila una lezione di tattica e preparazione atletica al serbo, sempre più in crisi. La qualità dei napoletani fa il resto: Milan surclassato in ogni reparto e in ogni confronto diretto, con una difesa francamente improponibile. Apre le danze al 13' Allan, che sfrutta un errore in disimpegno di Zapata, ormai un classico. Il Milan è spuntato Bacca s'impegna ma Luiz Adriano è invisibile, e in mezzo solo Bonaventura prova a inventare qualcosa. Troppo poco, perché dietro è un buco nero e la ripresa chiarisce perché: al 3' Insigne entra nel burro dopo uno scambio con Higuain e fa 2-0. Si ripete al 22', su punizione magistrale. Napoli sul velluto, rossoneri in bambola e al 32' è la goffa autorete di Ely, tra i peggiori, a chiudere il conto. 

Galliani fischiato - I pochi tifosi milanisti rimasti contestano Adriano Galliani, che lascia lo stadio in anticipo. I tanti napoletani festeggiano e sentono aria di lotta per il titolo. Mihajlovic abbandona ogni speranza: con questa squadra e questo gioco, i 9 punti di distacco dalla vetta sono il minore dei problemi.  

domenica 4 ottobre 2015

Il piano (segreto) con ricatto di Renzi Cosa farà per mettere le mani sulla Rai

Rai, il piano di Matteo Renzi: l'arma per ricattare Viale Mazzini


di Franco Bechis



La data è scritta nero su bianco nell’articolo 49 del testo unico della televisione approvato nel 2005: «La concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, fino al 6 maggio 2016, alla Rai-Radiotelevisione italiana spa». Mancano 7 mesi e al momento non è stato istituito nemmeno un tavolo di discussione al ministero dello Sviluppo Economico retto da Federica Guidi. Del rinnovo di quella concessione, l’atto fondamentale per cui fin da quando si chiamava Eiar, la Rai è l’unica azienda italiana che può incassare dall’erario il canone pagato ogni anno dai cittadini, non si fa cenno nemmeno nella legge di riforma della televisione pubblica che in questo momento è alla Camera davanti alle commissioni riunite Cultura e Trasporti. Lo stesso servizio studi di Montecitorio, ha suggerito almeno di stabilire nella legge che quella concessione, che secondo la legge attuale dovrebbe essere di durata ventennale, sia ridotta e adeguata temporalmente al contratto di servizio periodico che dovrebbe stabilire gli obblighi di trasmissione della Rai in cambio di quel canone. 

La nuova legge fortemente voluta da Matteo Renzi cambia quel contratto di servizio, portandone la durata da 3 a 5 anni, e il servizio studi lo stesso suggerisce di fare per la concessione. Ma nessun emendamento di maggioranza se ne occupa. Per un motivo molto semplice: il capo del governo vuole la nuova legge così come è stata approvata dal Senato entro il prossimo 19 ottobre. Quindi senza modifica alcuna, altrimenti si deve tornare nell’altro ramo del Parlamento e perdere altro tempo. Invece Renzi vuole dare entro questo mese al direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto i poteri da amministratore delegato. In viale Mazzini lo sanno tutti, e anche per questo non si sono attribuite deleghe ai vari consiglieri di amministrazione. Senza deleghe nessuno quindi si è fatto avanti con il governo per discutere di rinnovo e contenuti della concessione. E i rischi sono altissimi. Il governo precedente, per bocca dell’allora viceministro Antonio Catricalà, aveva ipotizzato che quella concessione fosse assai aperta e non scontato il rinnovo automatico. Quello attuale non ha mai parlato di possibilità di spezzatino o di messa all’asta con altri soggetti del canone tv, però non ha fatto un solo passo sulla strada del rinnovo. Si tiene così in mano una pistola puntata sull’azienda pubblica che pesa assai di più di qualche intemperanza di Michele Anzaldi su Rai Tre e i suoi direttori, accusati di avere dato eccessivo spazio alla minoranza del Pd. Quella pistola è puntata ad accompagnare le nomine che il nuovo amministratore delegato potrà fare senza troppe trattative con il suo consiglio di amministrazione e aiuterà non poco ad annullare qualsiasi resistenza su eventuali piani di riassetto dell’azienda, dei suoi canali e delle sue reti. Tanto tutti sanno che senza canone possono tranquillamente chiudere i battenti.

«Sì, è vero», conferma il consigliere di amministrazione Arturo Diaconale davanti al Senato, «che finora di rinnovo della concessione non si è parlato. La trattativa inizierà nei prossimi mesi, di sicuro. Una pistola puntata? L’antipasto è stato l’attacco a RaiTre? Ma no, quello è stato un episodio del lungo congresso Pd. Poi certo, l’azienda oggi vive su un assetto politico che si basa su una storia che non c’è più... anche la tripartizione delle reti non ha senso come è stata vissuta fin qui». Secondo il componente della vigilanza Augusto Minzolini «è evidente che il governo così sta tenenendo sotto scacco la Rai. Ma deve mettersi d’accordo con se stesso. È un’azienda pubblica, dove pesa la politica? Vero che la tripartizione antica dei canali per influenza non ha più senso: bisognerebbe che una rete rifletta il Movimento 5 stelle, non rappresentato, ma protagonista del nuovo sistema politico tripolare. Si vuole tagliare i cordoni con la politica? Allora si faccia davvero la Bbc, con due reti finanziate solo dal canone, la pubblicità rimessa sul mercato per favorire davvero il pluralismo delle idee, e le altre 10 reti esistenti vendute ai privati. Invece il governo non vuole fare né una scelta né l’altra».

Nasce la più grande coop rossa d'Italia Che ha un patrimonio da capogiro...

Nasce il colosso Alleanza 3.0, la più grande coop rossa d'Italia




Nasce il colosso coop: tre dei nove giganti della grande distribuzione "rossa" (Adriatica, Estense e del Nord Est) si uniscono e danno vita a Coop Alleanza 3.0, una super cooperativa da quasi 5 miliardi di fatturato, 22mila dipendenti, 2,7 milioni di soci e 419 punti vendita sparsi in 12 regioni, dal Friuli alla Sicilia. Riporta La Stampa che si tratterà della più grande cooperativa a livello italiano ed europeo e spazierà dalla grande distribuzione agli investimenti immobiliari di Igd, alle agenzie di viaggi, dalle farmacie e librerie a marchio Coop alla distribuzione di carburanti, gas e luce, dalle polizze sanitarie ai servizi assicurativi e finanziari. La superCoop controlla poi il 13,3% di Eataly ma soprattutto è il primo azionista singolo del Gruppo Unipol con una quota vicina al 20% . 

L'obiettivo dei tre presidenti (il bolognese Adriano Turrini, che sarà anche il nuovo superpresidente, il modenese Mario Zucchelli e il reggiano Paolo Cattabiani) è "sostenere e rilanciare la presenza della cooperazione di consumo, creare un'organizzazione capace di trovare tutte le efficienze utili a dare nuovo impulso all'impresa per affrontare le sfide future". La fusione non comporterà la chiusura di punti vendita ma si cercherà di migliorare il modello Ipercoop che più di altri ha patito la crisi e sfidare così la concorrenza, di Esselunga in primis. 

Basta Viagra, sesso anche in tarda età Tutto grazie al laser dei miracoli: come

Sessualità maschile, arriva il laser che mantiene attivi sessualmente i malati di prostata




Ogni anno 40mila italiani vengono operati alla prostata per un ingrossamento benigno di questa ghiandola. Nulla di grave, ma comunque un fastidio per tutti i pazienti che vedono messa a rischio la loro capacità di eiaculazione e delle loro funzioni sessuali. Dal 3 ottobre però, questi crucci potranno cadere nel dimenticatoio perché c'è una tecnologia che permette, grazie a un laser al tullio, di migliorare molto le condizioni post operatorie dei pazienti.

Come funziona - Il laser è stato creato da Quanta System, azienda italiana leader nel settore, in collaborazione con l'equipe medica del Prof. Luca Carmignani, primario di Urologia al Policlinico di San Donato. Il nuovo metodo assicura il normale mantenimento di una vita sessuale nonché un ricovero molto più breve, un paio di giorni, in ospedale rispetto a quello della chirurgia tradizionale. Il metodo dunque farà risparmiare soldi e tempo al sistema sanitario nazionale. I primi studi condotti sull'operazione con il laser hanno dato risultati ottimi: 110 pazienti sottoposti al trattamento, dopo 3-6 mesi dall'operazione, non solo hanno migliorato le loro condizioni urinarie ma hanno anche mantenuto una buona funzione rettile. Rispetto alla chirurgia convenzionale, i pazienti che hanno mantenuto l'eiaculazione sono aumentati, e di molto, perché si parla di un +52% di uomini che hanno ancora questa funzione.

L'aspetto psicologico - "Grazie a questa tecnica è possibile regalare benessere ad una ampia fascia della popolazione maschile, che ora potrà vivere una rassicurante continuità della propria attività sessuale", ha affermato il professor Carmignani. Un traguardo importante, soprattutto se si considera il gran numero di persone che interesserà. La patologia in questione infatti colpisce uomo su 2 intorno ai 50 anni, e addirittura il 75% negli over 80. I pensieri negativi sulla potenza sessuale o l'angoscia per un invecchiamento sessuale precoce saranno dunque, nei prossimi anni, solo un brutto ricordo. E dover essere operati di prostata comporterà molta meno ansia e paura. 

E' guerra Juve-Federcalcio Il retroscena: Una "lite" milionaria

Calciopoli, il retroscena della Gazzetta dello Sport: Tavecchio farà causa ad Agnelli per il ricorso al Tar




La guerra a carte bollate tra la Federcalcio e la Juventus potrebbe presto conoscere una nuova battaglia. Il presidente federale Carlo Tavecchio, secondo quanto anticipa la Gazzetta delo Sport, sta per portare in tribunale il club bianconero con un'importante richiesta di risarcimento danni. Sul tappeto è ancora la questione "Calciopoli" ad agitare gli animi, dopo che nel novembre 2011 la Juve di Andrea Agnelli aveva presentato al Tar una richiesta di risarcimento danni valutati in 443 milioni di euro contro la Federcalcio per le questioni del 2006. Quella decisione era stata già bollata da Tavecchio come inopportuna, anzi la classificò come "lite temeraria". Dopo la sentenza della Cassazione del marzo 2015 e le successive motivazioni, arrivate in estate, la responsabilità dei dirigenti juventini dell'epoca è stata confermata, con relative condanne e sopraggiunte prescrizioni.

I tentativi - Nel corso dei mesi sia Tavecchio che Agnelli hanno avuto più di un'occasione per ricucire, per chiarire e magari per sotterrare l'ascia di guerra. Il momento più propizio è sembrata la finale di Coppa Italia, vinta dalla Juve contro la Lazio. Ma le posizioni non si sono mai avvicinate sul serio.

La lettera - Nei giorni scorsi poi, aggiunge il quotidiano sportivo, è spuntata la lettera che Agnelli ha scritto agli azionisti bianconeri prima dell'assemblea del prossimo 23 ottobre, nella quale si parlava di: "realtà che hanno saputo con scaltrezza generare il consenso di un sistema autoreferenziale", e l'auspicio che si arrivi alla fine del prossimo anno; "a un'accelerazione della spinta riformatrice nelle componenti costitutive del calcio italiano favorendo il naturale ricambio degli uomini". Tutto per: "non passare altri cinque anni a elencare quello che si dovrebbe fare, ma nessuno fa".

La reazione - Sarà stato anche quell'ultimo passaggio della lettera di Agnelli a far saltare la mosca al naso di Tavecchio. In via Allegri, sede della Figc, si parlerebbe di: "Fastidio" del presidente che ha dato mandato all'avvocato Medugno di studiare, scrive la Gazza: "come e con che formula difendere presso la Juventus gli interessi della Federcalcio".