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lunedì 22 maggio 2017

Bresaola, mortadella, prosciutto... la verità sui salumi C'è scritto "Igp?" Occhio: qui vi fregano / Guarda

Marchi Igp, la verità sulla provenienza geografica in etichetta: non tutti la...


di Attilio Barbieri



Un manicomio chiamato Indicazioni geografiche protette. Il marchio Igp indica i prodotti agricoli e gli alimenti per i quali una ben determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica dipende dall'origine geografica. Si tratta di ortaggi, frutti e preparazioni alimentari la cui produzione o trasformazione avviene in una zona ben precisa d'Italia. Può trattarsi di una o più province ma anche di un' intera Regione, come nel caso dell' olio extravergine Toscano Igp. Tutte le referenze alimentari che si fregiano del bollino Igp - distinguibile per i colori giallo e blu - devono avere un disciplinare di produzione che regola tutto: il luogo di trasformazione, gli ingredienti, la ricetta, la tradizione storica. O almeno, dovrebbe regolare tutto. Già, perché in realtà è così fino a un certo punto.

Ma andiamo con ordine. Per i prodotti agricoli tal quali, ad esempio il cappero di Pantelleria, la castagna di Cuneo, la cipolla rossa di Tropea, in effetti, leggendo il disciplinare è possibile individuare la zona di origine senza ombra di dubbio. Con le preparazioni alimentari accade esattamente il contrario. A complicare la ricerca, poi ci sono le fonti. Non tutti i disciplinari sono accessibili sul sito web dei consorzi di tutela. Così, l'unica fonte certa è il portale della Commissione europea. Ma vi si trova un po' di tutto: disciplinari dattiloscritti e salvati in formato immagine, domande in cui i consorzi chiedono il riconoscimento dell'indicazione geografica, modifiche ai disciplinari più datati, elencate però in maniera tale che per capire di cosa si tratti bisogna salvare sul proprio computer il documento in formato pdf e poi aprirlo. In caso di cambiamento del disciplinare di partenza può accadere anche di non trovare il nuovo emendato, ma soltanto le modifiche successive.


Un vero manicomio, insomma. Ma è soltanto l'inizio. Non c'è un disciplinare uguale all'altro, né come forma grafica né tantomeno come disposizione dei contenuti. Se poi li si legge per capire quale sia l'origine delle materie prime utilizzate, c'è da farsi venire il sangue alla testa. Tranne pochi casi, tre o quattro in tutto, trovare il luogo di coltivazione o allevamento degli ingredienti utilizzati, assomiglia molto ad una caccia al tesoro. Incredibile, visto che la materia prima, oltre al luogo di trasformazione e alla ricetta tradizionale, è uno dei tre elementi su cui si può basare la concessione dell' indicazione geografica. E per prodotti nel cui nome c' è quasi sempre il toponimo del luogo a cui fanno riferimento, non è poco.

La situazione è quella che si può vedere nella tabella pubblicata in questa pagina che comprende le Igp più diffuse e le più note sulle 123 indicazioni geografiche riconosciute dalla Ue al nostro Paese. Sulle 22 che ho censito solo tre, l'Aceto balsamico di Modena, la Finocchiona e il Lardo di Colonnata, dichiarano in maniera chiara e comprensibile l'origine interamente italiana degli ingredienti. Negli altri casi ho avuto difficoltà perfino io, che vivo di etichette, a capire la loro provenienza. Fa eccezione il Prosciutto di Norcia che scrive papale papale: «Non vi è limitazione geografica all'origine dei suini». Possono arrivare cioè da ogni parte del mondo. Nella stragrande maggioranza dei casi l'indicazione dell' origine è del tutto assente. E non scriverla, nella semiotica comunitaria, equivale a dire che non sussiste alcun vincolo.

Devo confessare che non mi meraviglia per nulla la provenienza forestiera della carne utilizzata per la Bresaola e la Mortadella Bologna. Se ne parla da tempo. Mi stupisce, invece, che la celebratissima Pasta di Gragnano si possa fare con farina importata. Come la Burrata di Andria può utilizzare latte proveniente da ogni dove.

C'è poi un vero e proprio giallo. Quello della Coppa di Parma, un salume cha ha ottenuto il bollino giallo-blu meno di sei anni fa. Nel disciplinare scaricabile sul portale della Commissione europea si parla di «carni provenienti dal tipico suino pesante italiano», mentre nel disciplinare consultabile fino a venerdì mattina (ora la pagina è offline) sul sito del consorzio di tutela, coppadiparmaigp.com, non c'era un riferimento esplicito alla provenienza della carne. E altre versioni del medesimo disciplinare accessibili sul web parlano di «suini nati in Italia e macellati nel territorio riconosciuto per le Dop Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele».

Se si trattasse dei «finti salumi» made in Italy che affollano i banconi dei supermercati, sarebbe naturale non riuscire a risalire al luogo di allevamento dei maiali. Da una Igp mi aspetterei ben altro.

IL PIÙ GIOVANE DAL 2006 Internazionali, il "ragazzino" Zverev trionfa a Roma: asfaltato il serbo Djokovic

Internazionali, il "ragazzino" Zverev trionfa a Roma: Djokovic asfaltato



Cambio della guardia. La nuova generazione del tennis mondiale si prende il proscenio anticipando un futuro che potrebbe essere molto più prossimo di quanto preventivato. A scardinare un albo d’oro che, dal 2005, vedeva al suo interno solo i nomi di Rafa Nadal, Novak Djokovic e l’anno scorso Andy Murray arriva Alexander Zverev. Tedesco di origine russa, figlio d’arte, ma soprattutto classe 1997. Con lui la Germania sogna di rivivere i fasti dell’epoca di Boris Becker. Sul Centrale del Foro Italico, alla sua prima finale in un Masters 1000, il ragazzino terribile prende a scudisciate 6-4, 6-3 il numero due del mondo Novak Djokovic in 1h21’ di autentico dominio, ben superiore a quanto mostri il punteggio. Il serbo, che dopo la superba semifinale contro Dominic Thiem non riesce a fornire una prestazione di pari livello, si arrabatta per il campo senza potere mai imporre il suo gioco. Zero palle break a disposizioni e zero chance reali di cambiare l’inerzia di una partita sempre saldamente nelle mani di Zverev. Completo in tutti i colpi, svelto non solo di braccio ma anche di cervello il tedeschino da lunedì entrerà nella top ten del ranking Atp e la sensazione è che ci resterà per molti molti anni. Ad applaudirlo sugli spalti anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Non so che dire. Non avrei mai pensato di poter essere qui ed alzare questo trofeo», le parole di un emozionato Zverev che solo al microfono mostra la sua età a dispetto di una grande maturità sul campo di gioco. Djokovic, dal canto suo, ammette di non aver giocato la sua miglior partita e si proietta già verso Parigi ed il Roland Garros dove al suo angolo avrà come consigliere Andre Agassi. Il ’kid’ di Las Vegas che torna nel circuito con l’obiettivo di riportare Djokovic in vetta al mondo. Next Gen permettendo.

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"Io sarei teppista? Almeno sono ancora capace di..." Scalfari, quel gesto da vergogna: Feltri lo ammutolisce

IL MANIFESTO DEGLI 800 Feltri risponde a Scalfari sul manifesto contro Luigi Calabresi: "Sarò teppista, ma so ancora distinguere gli errori e i crimini"


di Vittorio Feltri



Sarò un teppista, come mi definisce Eugenio Scalfari, ma mi sono preso la soddisfazione di svegliare l'elefante. Negli ultimi anni, nella sua omelia domenicale, aveva tenuto una corrispondenza solo con il Papa, con barriti flautati e grati, dato che il collega di prediche pare gli avesse garantito che non esiste il peccato. Mi sono permesso di sventolargliene uno sopra la proboscide, antico ma rinfrescato da recentissime cerimonie, e il pachiderma si è imbufalito (non so se si possa dire così, ma rende l'idea).

Lascio perdere le villanie e le sgrammaticature, che scuso per l'età e perché la questione non è personale, e vado al sodo. A cosa debbo l'onore della barbuta reprimenda? A un articolo che qui, facendo crescere la barba anche a voi, sintetizzo. La cerimonia del 45° anniversario dell'assassinio del commissario Luigi Calabresi ha rilanciato l'idea di promuoverne la beatificazione. Tutti d'accordo: è stato un martire. Lo sostengono anche quelli che gli hanno confezionato, mentre era vivo, la bara. Dal gregge di pecore (ma cachemire, beninteso) che isolò Calabresi e lo gettò in pasto al commando di Lotta Continua non si è levato non dico un grido, ma neanche un belato traducibile in mea culpa.

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Siccome sono uno che fa nomi, li ho fatti. Nessun lavorio dietro le quinte, nessun verbale coperto da segreto: carta pubblica, stampata, a gran tiratura. Nel 1971 uscì non una sola volta ma per alcune settimane il manifesto dell' Espresso firmato da 800 personaggi della crème di sinistra, e i cui capi intoccabili erano Umberto Eco ed Eugenio Scalfari. Sotto il titolo "Colpi di karatè" si indicava nel "commissario torturatore" il responsabile della morte di Giuseppe Pinelli, un anarchico in stato di fermo dopo la strage di Piazza Fontana.

Ho anche citato due signori che hanno avuto il coraggio di battersi il petto davanti a tutti per quel mandato morale di omicidio, Paolo Mieli e Carlo Ripa di Meana. E ho concluso che l'Italia sarà un povero Paese finché non si avrà il coraggio della verità. Di quegli 800 nessuno ha pagato alcun prezzo di carriera o di immagine.

Ci sia un gesto, un piccolo gesto, che costa pochissimo, ma vale moltissimo per dare magari persino un insegnamento alle giovani generazioni, ma anche a quelle anziane e ancora silenti. Forza Eugenio. Questo ho scritto più o meno, con altre parole per non farmi pagare due volte lo stesso articolo.

Dinanzi a questa richiesta scritta persino in italiano corrente, Scalfari ha emesso una gigantesca pomposa pernacchia. Ma la dirige contro se stesso. Mostra infatti di avere ottima memoria e conferma di essere stato allora e di essere oggi un uomo di potere, tale e quale. Egli ricostruisce il momento in cui stese quel manifesto anti-Calabresi insieme ai pezzi grossi della cultura italiana. Sostiene che era un suo dovere, ci era tenuto in quanto a quel tempo era deputato socialista. La piazza fremeva, i "ceti" (scrive così) si ribellavano. E loro diedero indirizzo all'ira, quello di Calabresi. Ma non volevano fosse ammazzato, bensì semplicemente trasferito. Se è per questo ci riuscirono, fu spedito all'altro mondo. L'accusa dei colpi di karatè, quella di essere un torturatore?

Scalfari non lo dice, se l'è scordato. Fu quasi un modo per proteggerlo, lascia capire, dalla giusta furia del proletariato.

Scalfari rivela che nel 2007, cioè 36 anni dopo, abbracciò la vedova Gemma Calabresi partecipando con Walter Veltroni alla intestazione di una strada di Roma al commissario. Alla signora «dissi che quella firma era stata un errore». Del resto il figlio Mario - ricorda - era corrispondente da New York della "sua" Repubblica, e oggi ne è il direttore. Insomma. Ha aspettato qualche decina d'anni per confessare in privato un "errore", un onesto errore; ma ha dato lavoro al figlio, il quale ha fatto carriera, che si vuole di più da lui? Grande è il potere della menzogna.

A questo punto mi consenta Scalfari di rubargli l'arte delle citazioni specialmente francesi. Questa frase è di Joseph Fouché, ministro di polizia di Napoleone durante il primo impero, commentando la fucilazione del duca di Enghien: «È peggio di un crimine, è un errore». Per Scalfari, che vede la storia dal suo balcone, dove laggiù sullo squallido suolo le formichine uccidono e muoiono, è stato un errore. Per noi, che siamo gente volgare, siamo teppisti, è peggio il crimine. E quel manifesto fu un crimine.

Juve, è sesto scudetto di fila Tripudio storico allo Stadium Vince il "metodo Allegri"

Serie A, la Juventus vince il sesto scudetto consecutivo: la festa allo Stadium


di Francesco Perugini



È servita una settimana in più, tanto per far credere a qualcuno che la Juve fosse rimasta senza benzina. Ed è servito pure l'aperitivo della Coppa Italia, giusto per ricordare perché la Signora domina in Italia da sei anni. Contro il Crotone (un tondo 3-0), nello scenario più giusto - quello dell'invito Juventus Stadium - i bianconeri hanno conquistato il sesto scudetto consecutivo, un traguardo mai raggiunto da nessuno in oltre un secolo di storia. E tanto basterebbe per fermarsi a celebrare un gruppo che, nonostante trofei in bacheca e anni sulle spalle, non ha concesso nulla agli avversari. Avrebbero potuto accontentarsi i bianconeri in questa stagione, lasciando il passo ad altri, ma non l'hanno fatto. Sarebbe stato lecito per i senatori concentrarsi solo sull'ossessione Champions, eppure una scelta del genere non fa parte della mentalità di questo gruppo.

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Lo stesso gruppo che aveva gestito la transizione post-Conte per conquistare il quarto titolo in fila. Proprio quello che poi aveva rimontato con un inizio di stagione irreale per strappare quasi a morsi il quinto sigillo appena un anno fa. Infine, il medesimo nucleo eroico che senza perdere la propria identità - e l'intensità che lo rende la migliore difesa d'Italia e anche d'Europa - ha saputo dire addii pesanti (Pogba dopo Pirlo e Vidal), mentre assorbiva gli ex odiati rivali (Pjanic e Higuain) e trasmetteva loro  la mentalità vincente per raggiungere nuovi livelli di competitività.

Per raggiungere il massimo del loro potenziale, tutti questi campioni hanno dovuto accettare il metodo Allegri e affidarsi completamente al loro condottiero, a lungo malvisto da una parte dei tifosi nonostante i risultati. Max ha tenuto fuori spesso Dybala, ha litigato con Bonucci, ha chiesto a Mandzukic di fare l'ala, ha imposto a Higuain di giocare per la squadra. E ancora ha cambiato assetto una, due, tre volte, riuscendo allo stesso tempo a mantenere altissima l'attenzione di chi non ha visto il campo con continuità. E ha avuto ragione alla fine.

Il sesto scudetto, dunque, è soprattutto quello di un grande allenatore che ha trovato la consacrazione tra i migliori tecnici su piazza. La squadra di Allegri forse non segnerà una cesura nella storia del calcio come il Milan di Sacchi o il Barcellona di Guardiola, ma è abbastanza matura per battere il tabù Champions che così spesso ha maledetto la Signora. Non c'è tempo, insomma, per festeggiare e la società lo ha voluto rimarcare cancellando le celebrazioni. L'Italia è (ancora) bianconera, il prossimo passo è l'Europa.

ABBIAMO TOCCATO IL FONDO Banche italiane? Un disastro Il guru della City ci condanna: "Incapaci di..." siamo rovinati

ABBIAMO TOCCATO IL FONDO Economia, Dominic Ross di Fidelity: "Sistema bancario italiano incapace di affrontare i problemi sistemici"



Arriva una bocciatura violentissima per le banche italiane. A sferrare l'ultimo duro colpo è il capo degli investimenti azionari globali del fondo Fidelity, Dominic Rossi, un guru della finanza londinese che, come riporta la stampa, dice che "il sistema bancario italiano è strutturalmente non redditizio, incapace di generare capitale sufficiente per affrontare i propri rischi sistematici. Per questo - ha aggiunto riportato su La Stampa - ci sono scarsissime possibilità di risolvere i problemi del settore senza forme di intervento esterno".

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Da Londra l'Italia resta un'osservata speciale, vista dai grandi fondi sempre più con scetticismo, come conferma l'investment director per l'azionariato europeo di Fidelity, Toby Gibb: "Abbiamo marginalmente ridotto la nostra esposizione su Piazza Affari rispetto al benchmark, ma questo non è dovuto a una visione sul Paese, quanto al risultato della selezione dei titoli da inserire nel nostro portafoglio".

Caos Rolex, l'intercettazione: la strana cena del ministro Cosa gli è scappato di bocca

Mare Mostrum, l'intercettazione che coinvolge il ministro Claudio De Vincenti



Dopo le dimissioni della sottosegretaria Simona Vicari, indagata per aver ricevuto un Rolex in cambio di un favore in Parlamento per l'amico armatore Morace, il governo potrebbe tremare ancora. Dalla procura di Trapani sono partiti diversi fascicoli diretti a Livorno, Perugia, Napoli e Messina e contengono una serie di pasticci combinati da alcune società e una presunta rete di spionaggio industriale. Ma è il fascicolo su Roma ad essere tra i più scottanti, per una serie di richieste al Parlamento, come riporta il Corriere della sera, visto che sarebbero emersi rapporti con personaggi politici importanti da parte dell'Ad della Liberty Lines, Ettore Morace.

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Dalle carte sarebbe emerso che un ministro avrà qualcosa da chiarire ai magistrati a proposito di una cena a Filicudi. In un'intercettazione Ettore Morace, ora in carcere, avrebbe detto a suo padre "il comandante" Vittorio che per l'acquisizione della Siremar avrebbe ricevuto l'aiuto dell'ex sottosegretario alla presidenza del consiglio, Claudio De Vincenti, oggi ministro per il Mezzogiorno.

Nel corso della telefonata, Ettore Morace avrebbe detto: "Siamo andati a cena con lui e, insomma, tutto contento ha saputo che stiamo andando bene... insomma ci segue, ci segue". Nel fascicolo ci sarebbero diverse conversazioni coperte da omissis, dettaglio che sta creando non poco scompiglio a Palazzo Chigi, oltre ad alimentare più di un sospetto.

De Vincenti si è subito difeso: "Ho operato per dare soluzione alla vicenda nel più rigoroso rispetto delle regole... e per tutelare l'occupazione dei 340 lavoratori Siremar".

domenica 21 maggio 2017

Salvini, la frase che gela tutti: "Prima gli italiani...". Decisione drastica: cosa fa ora Bossi

Matteo Salvini: "Il Nord? Prima gli italiani"



"Prima gli italiani, in questo momento storico. In questo momento storico l'emergenza lavoro, sicurezza, futuro riguarda tutta Italia. Quindi, prima gli italiani. Per tutto: lavoro, case popolari, legittima difesa". Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, mette da parte l'anima secessionista della Lega durante il congresso federale del Carroccio al Palacassa di Parma: "Il diritto all'autogoverno e all'autodeterminazione nasce e muore con l'uomo. Penso che l'Italia stia insieme se rispetta le sue identità e le sue diversità in senso federale. Io sono federalista, non voglio dividere ma voglio unire.

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"I sondaggi ci davano al 3 per cento quando io sono stato eletto, ora al 13,6 per cento, terzo movimento nazionale. Non mi accontento, voglio vincere. Bossi mi insultava 15 anni fa e, quindi, può farlo anche oggi. Non proverò rancore". Intanto il Senatur ci ripensa e per ora non lascerà il partito che lui stesso ha fondato come aveva annunciato subito dopo le primarie: "Mi fermo, non me ne vado. Dipende tutto dal programma. Cambiando i programmi, penso che ci sia ancora qualcosa da salvare".