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sabato 29 aprile 2017

Alitalia sta per fallire? Per i dipendenti è una pacchia... Vergogna italiana: quanti soldi prendono e per quanto

Alitalia chiude, per i dipendenti è una pacchia


di Attilio Barbieri



Due miliardi di euro. I soldi necessari a traghettare Alitalia verso un nuovo matrimonio, ammesso di trovare qualcuno disponibile a farsi carico di un'azienda che perde ogni giorno quasi due milioni di euro. Il conto è ben più salato rispetto a quello anticipato giorni or sono dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che parlava di un prestito ponte di 300, al massimo 400 milioni di euro.

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Il conto è presto fatto. Solo i costi vivi di gestione ammontano a 217 milioni di euro. E la cassa sta per finire. Dunque i commissari che si apprestano a sbarcare a Fiumicino dovranno coprirli per almeno sei mesi, il tempo minimo della gestione commissariale. Solo questa voce pesa dunque 1,3 miliardi. Ai quali bisogna aggiungere i 700 milioni di intervento pubblico a sostegno degli ammortizzatori sociali, annunciato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Ma si tratta di una cifra approssimata per difetto. In assenza dei due miliardi di ricapitalizzazione previsti dal piano di salvataggio stoppato dal referendum fra i dipendenti, è molto probabile che gli esuberi siano ben superiori ai 980 inseriti nel preaccordo. Forse non i 9.500 di cui dice Lufthansa per prendersi sulle spalle la nostra ex compagnia di bandiera. Ma ben più di mille.

Così, alla fine, le uniche garanzie sono quelle per i dipendenti. Certo, il futuro resta cupo. E la rinazionalizzazione secca una strada poco percorribile. Ma in ogni caso i lavoratori hanno almeno quattro anni di paracadute assicurato. Per il personale in eccesso, infatti, scatteranno innanzitutto i due anni di Cassa integrazione straordinaria, all'80% della retribuzione attuale. Un pilota che percepisca ora uno stipendio di 12.000 euro al mese ne porterebbe a casa comunque 9.600.

Diverso il discorso con la Naspi, acronimo di Nuova assicurazione sociale per l'impiego, una novità del Jobs Act, destinata a sostituire nel tempo la vecchia Cassa. Nei primi tre mesi di Naspi il medesimo pilota da 12mila euro mensili, percepirebbe 9mila euro di indennità, che però scenderebbero del 3% al mese per i successivi 21 mesi. Così, alla fine del primo anno di Naspi, metterebbe in tasca 5.760 euro, poco meno della metà rispetto al suo stipendio intero. Ma la cifra scenderebbe a 3.600 euro dopo altri sei mesi. La Naspi, infatti, è concepita per invogliare il disoccupato a trovare altre opportunità, anziché starsene a casa, andare al bar o fare un lavoro in nero.

Sempre che, nel frattempo, non arrivi qualche legge su misura a rimettere le cose (le indennità) a posto. Quando si tratta di Alitalia, si sa, valgono regole del tutto speciali.

venerdì 28 aprile 2017

Africani, arabi e islamici in odor di terrorismo Un Feltri drastico: "Salvarli? Facciamo così..."

Vittorio Feltri, gli immigrati? Lasciamo che a salvarli siano i ricchi



Mi sono scocciato di continuare a parlare di migranti che giungono in Italia da tutte le parti e che non riusciamo a respingere né a rispedire a casa loro quand’anche non abbiano diritto all’asilo. Ripetiamo fino alla nausea i soliti discorsi senza combinare alcunché di concreto. Gli sbarchi non cessano mai, il nostro territorio è zeppo di islamici (molti dei quali pericolosi, in odore di terrorismo) e di neri, gente disoccupata che ci tocca soccorrere e mantenere fino a quando non è dato sapere.

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Siamo animati da spirito solidale e non siamo capaci di rifiutare un aiuto a chi, proveniente da Paesi lontani, chiede ospitalità. Sul punto credo non vi siano dubbi. Ma c’è un ma che ci trova impreparati e mette a disagio. Ieri sulla Stampa di Torino, quotidiano riflessivo e quindi moderato nei toni, abbiamo letto un documentato servizio di Francesca Paci così titolato: «L’allarme di Frontex sui trafficanti: sfruttano l’obbligo di salvataggio». Decriptiamo. Significa che noi poveri imbecilli, in base a una norma assurda, siamo costretti a raccattare in mare coloro i quali rischiano di annegare e a portarceli qui, aggravando una situazione interna già insostenibile.

Ci domandiamo. Chi e perché ha stabilito che l’Italia debba spendere miliardi, che non ha, allo scopo di salvare dalle onde uomini e donne che abbandonano la loro patria per venire nella nostra senza esserne autorizzati? D’accordo, siamo un popolo caritatevole e ricco di sentimenti umanitari, però c’è un limite anche alla bontà, che non può superare l’esigenza di tutelare gli interessi nazionali. In altre parole, se non abbiamo le risorse per ospitare chiunque bussi alle porte, sbagliamo ad aprirle. L’Europa ci impone di accogliere profughi in quantità infinita? Mandiamola all’inferno, precisando che il rifiuto non è ispirato a crudeltà: dipende dalla impossibilità a far fronte alle spese che comporta l’invasione dei poveracci che affrontano il mare sicuri di essere ricoverati e nutriti coi soldi dei cittadini in bolletta. Bisogna essere chiari e dire come stanno le cose. L’Italia è in difficoltà economiche, molti connazionali vivono nella miseria, il debito pubblico è drammatico, pertanto rinunciamo a trarre a riva quelli che sopravvalutano le nostre forze.

Altri Paesi più fortunati sono attrezzati per dare un tetto agli extracomunitari? Provvedano a recuperare i naufraghi e a trasportarli dove desiderano tranne che sulla disastrata penisola. Se adottassimo questa politica, dandole il massimo della pubblicità, nessuno verrebbe a chiederci ciò che manca pure a noi ovvero un appartamento, un pasto, assistenza sanitaria eccetera. Se africani e arabi fossero informati che abbiamo chiuso i confini, desisterebbero dall’intraprendere i viaggi della speranza inesistente. All’inizio forse qualche barcone salperebbe comunque, ritenendo che abbiamo scherzato, ma dopo un po’, al terzo silenzioso affondamento, pochissimi oserebbero recarsi a Lampedusa o in altri luoghi a portata di piede. Bruxelles si arrabbierebbe? Pazienza. Ce ne faremmo una ragione.

Rivela i traffici degli scafisti, massacrato dalla stampa: "Il Csm difenda il procuratore"

Procuratore di Catania, il caso finisce al Csm: "Difendete la sua onorabilità"




Il Csm chiede l'apertura di una pratica a tutela di Carmelo Zuccaro, il procuratore di Catania che ha riferito dei suoi sospetti relativi agli intrecci tra organizzazioni non governative e trafficanti di uomini. La richiesta piove dal consigliere laico del Csm, Pierantonio Zanettin. Il punto è che Zuccaro, per aver dato conto dei sospetti, è stato linciato dalla stampa. Scrive infatti Zanettin: "Tutti i quotidiani nazionali oggi in edicola parlano apertamente di uno scontro Governo-Procuratore della Repubblica di Catania per le dichiarazioni da questi rese in ordine al ruolo di certe ong sul traffico di migranti. Il Corriere della sera titola ’Migranti - Scontro governo-pm’, Il Fatto Quotidiano 'I ministri attaccano i pm’, Repubblica parla di ’Bufera sul pm’". Zanettin dunque aggiunge: "Il dottor Zuccaro, procuratore della Repubblica di Catania, è notoriamente magistrato serio e riservato e non merita certamente di essere lasciato solo in queste ore di fronte agli attacchi della politica, che pare non condividere le sue ipotesi investigative, eretiche rispetto alla narrativa ufficiale del fenomeno della immigrazione nel nostro paese". Infine, il consigliere si dice convinto che il Csm, "nel suo ruolo di garante della autonomia ed indipendenza della magistratura, debba assumere con urgenza una iniziativa forte a tutela del magistrato catanese".

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Quei 200mila euro per Igor La bestia di Budrio in fuga: il "dettaglio" sconcertante

Killer di Budrio, la caccia a Igor il Russo ci costa 200mila euro al giorno


di Tommaso Montesano



Altri 200 uomini per dare la caccia a Igor, il killer di Budrio latitante dall'inizio di aprile. Il totale delle forze impegnate ogni giorno nel delta del Po, così, sale a 1.200 unità. E i costi lievitano: da ieri, con gli ulteriori rinforzi, per mantenere la task force inviata dal Viminale usciranno dalle casse pubbliche circa 200mila euro al giorno. Cifra che comprende, oltre allo stipendio giornaliero medio di ciascun agente delle Forze dell' ordine, il compenso per le ore di straordinario (almeno tre al giorno per ognuno), le spese di missione e per gli alberghi (molti uomini provengono da fuori) e i costi per i mezzi.

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La ricerca di Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, dura dal 1° aprile, giorno dell'uccisione del barista Davide Fabbri a Budrio, in provincia di Bologna. Da allora, il dispositivo delle Forze dell' ordine per catturare il serbo, nel frattempo indagato, oltre che a Bologna, anche a Ferrara e Ravenna per gli omicidi della guardia ecologica Valerio Verri (8 aprile) e del metronotte Salvatore Chianese (del 2015), è stato via via aumentato per volere del ministro dell' Interno, Marco Minniti: secondo una stima prudenziale, la task force di poliziotti e carabinieri è costata finora circa quattro milioni di euro.

La caccia prosegue senza sosta. Casolare per casolare; cascina per cascina. Lunedì sera, tra Argenta e Portomaggiore, sono state perquisite tutte le abitazioni ai lati della strada provinciale. Il raggio delle ricerche si sta allargando rispetto alla "zona rossa" iniziale, fissata tra le oasi naturalistiche di Marmorta e Campotto. La speranza è che Igor commetta quel passo falso in grado di indirizzare le Forze dell' ordine, e i cani molecolari, sulla traccia giusta. Ieri mattina c' è stato un nuovo blitz delle squadre speciali.

Stavolta in un casolare a Consandolo, nel ferrarese. Il blitz dei militari è durato circa un' ora. All'interno della struttura, le Forze dell'ordine hanno trovato un materasso adagiato a terra. Secondo i rilievi della Polizia scientifica, che ha portato via alcuni reperti dall'area ispezionata, potrebbe trattarsi di uno degli ultimi rifugi del latitante. Agli investigatori, un residente della zona ha mostrato un cumulo di legna ammucchiata sotto il quale è stato scavato un buco nel terreno. «Il Venerdì santo non c'era», ha detto l'uomo riferendosi alla cavità, «poi è spuntata. Ho chiamato i carabinieri, che sono venuti con i cani molecolari, e hanno confermato il passaggio di Igor». Gli investigatori hanno la certezza che il ricercato possa contare su posti sicuri in cui nascondersi, salvo uscire per procacciarsi cibo e acqua.

Non è l'unica traccia emersa nelle ultime ore nella zona delle ricerche. In un garage-ripostiglio vicino ad un altro casolare, è stato rubato un kit di pronto soccorso completo di bende, garze e disinfettante. Ad accorgersi della sparizione è stato il proprietario dello stabile, che però non ha saputo dire agli investigatori la data del furto.

Adesso gli esperti del Ris dei carabinieri dovranno appurare se le garze e i cerotti ritrovati nel furgone trovato l'8 aprile a Molinella, nel bolognese, e abbandonato da Igor prima di darsi alla fuga, siano compatibili con il kit scomparso. Resta in piedi, tuttavia, anche l'ipotesi che Igor abbia lasciato l'Italia a bordo della piccola imbarcazione, poco più di una zattera, sparita il 10 aprile. I funzionari del ministero dell'Interno italiano sono in costante contatto con i loro colleghi serbi. Ieri c'è stato un nuovo colloquio telefonico tra Minniti e il suo omologo di Belgrado.

La Serbia sta girando all'Italia le informazioni su Igor. Vaclavic è nato nel 1981 a Subotica, nel nord della Serbia, non lontano dal confine con l'Ungheria. Il ricercato, dunque, avrebbe 36 anni e non 41, come invece risulta dagli atti processuali italiani. A carico di Igor, hanno confermato fonti serbe, esiste un fascicolo con decine di furti e un caso di violenza sessuale, datato inizio 2000. E presto gli inquirenti italiani potrebbero ricevere il dna dell'uomo, così da confrontarlo con quello recuperato fuori dal bar di Budrio e del furgone abbandonato.

"L'enorme problema di Renzi con lei". Fango da record sulla Boschi, la bomba dell'ex Pds. "Sapete che..." / Guarda

Graziano Cioni, nel libro di memorie l'attacco a Maria Elena Boschi: "Lei il più grande problema di Matteo Renzi"



Graziano Cioni è un "pezzo storico" della politica di Firenze. Lui è lo storico assessore che negli anni Novanta impose la allora contestatissima zona a traffico limitato nel capoluogo toscano. Cioni ha attraversato tutte le ere geologiche della sinistra e ora le ha raccolte in un libro, Cioni ti ama, persona informata sui fatti (Sarnus, pp. 160, 14 euro), nel quale snocciola alcuni aneddoti su ciò che sostiene di aver visto e di sapere. Il Giornale dà conto di un "sunto" di questi racconti. Cioni, dopo aver premesso che Matteo Renzi era stato "già scelto ai piani alti come un predestinato", punta i riflettori su Maria Elena Boschi, alla quale riserva parole pesantissime. "È arrivata in Parlamento, credo in treno, da Arezzo, ma chi cerca qualche traccia dei suoi percorsi 'politici' prima di fare il ministro, cade nel vuoto più assoluto". Cioni continua sostenendo che la Boschi è "da sempre uno dei grossi problemi di Matteo. Senza nessuna esperienza politica o diplomatica, se non una volenterosa e troppo improvvisa carriera di ministro, ogni volta che apriva bocca era la catastrofe". Parole pesantissime, quelle di Cioni, che assomigliano molto a una discreta razione di fango.

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IL RETROSCENA Alitalia, l'incontro segreto il tedesco in ambasciata Un sospetto su Lufthansa

Alitalia, quell'incontro dei sindacati in Ambasciata con gli emissari tedeschi



Già nel 2008 i tedeschi volevano comprare Alitalia. Ma la compagnia di bandiera era già stata promessa da Romano Prodi ad Air France. Per questa ragione, svela il Tempo, furono organizzati degli incontri riservati tra l'ambasciatore di Berlino in Italia e i leader delle tre organizzazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil che avevano ripetutamente chiesto di conoscere i dettagli dell'intesa con i transalpini all'ex premier del Partito Democratico ricevendo solo dettagli vaghi e informazioni incomplete.

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Secondo quanto riporta il Tempo, i lavoratori, spiazzati dall'imposizione del Professor Prodi di confrontarsi con l'ad di Air France Cyril Spinetta, in quei giorni convulsi colsero al volo la proposta di incontro degli emissari tedeschi. I sindacati infatti erano scettici sulla scelta del partner francese. Così la Germania in via informale, invitò nella residenza dell'ambasciatore i tre segretari generali: Epifani (Cgil), Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil). Gli incontri serali, coperti dalla massima riservatezza, con l'ambasciatore, l'addetto sociale di ambasciata, il direttore della compagnia tedesca Lufthansa (le prime due sere) e un dirigente del cda espressione della Swiss Air, acquisita da Lufthansa dopo il fallimento, continuarono per tre sere consecutive. Swiss Air in particolare sottolineò il rispetto e l'autonomia decisionale lasciato alla compagnia elvetica dalla casa madre. Così sarebbe stato anche per Alitalia in caso di una positiva acquisizione. I colloqui proseguirono e la terza sera con l'allora ad Lufthansa, Wolfgang Mayrhuber che parlò di minimizzare gli esuberi e di puntare su una strategia multi hub, come voleva l'Italia. Inoltre avrebbero inserito un raqppresentate dei lavoratori nel consiglio di amministrazione. In cambio i sindacati dovevano favorire presso il governo italiano l'ingresso nel capitale di Alitalia.

Sembrava fatta ma dopo qualche giorno i tedeschi sparirono. Probabilmente i colloqui tra le cancellerie consigliarono a Berlino di farsi da parte. L'ex leader della Cisl, Raffaele Bonanni, conferma tutto: "Oggi più che mai sono tutti interessati a uno dei bacini turistici più importanti del mondo. Abbiamo colonie di italiani nel mondo, la metà dei beni culturali del mondo e il siamo il centro del cattolicesimo. Chi dice che non vorrebbe Alitalia gioca al ribasso". Ora, "prima che gli sciacalli arrivino al banchetto, il governo si deve imporre, dire che l'accordo comunque c'è e che si deve andare avanti nell'interesse generale. Sono convinto che i lavoratori ora hanno compreso la gravità della situazione. Nella generale ristrutturazione del settore aereo nessuna compagnia verrà in Italia a gestire Alitalia ma solo per prendersi i pezzi".

L'ora X è quasi arrivata Guerra, un Trump terminale: la "promessa" a Pyongyang

Donald Trump: "Corea del Nord? Possibile l'intervento militare"



A un passo dalla guerra. Lo si sapeva, da tempo, ma le ultime parole di Donald Trump rivolte alla Corea del Nord spazzano via ogni dubbio. "Il rischio di un conflitto è molto serio, certamente", ha affermato il presidente Usa in un'intervista alla Reuters. The Donald ha aggiunto che preferirebbe risolvere la questione del programma nucleare di Pyongyang con la diplomazia ma "è molto difficile". Per l'attacco, insomma, potrebbe essere questione di ore.

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Trump ha dunque sottolineato una svolta nella collaborazione con Pechino, che sarebbe pronta a fare pressioni su Pyongyang, dopo la visita del presidente cinese Xi Jinping in Florida all’inizio di aprile. Xi "penso ci stia provando con forza. Sicuramente non vuole disordini e morte. È una brava persona. È davvero una brava persona: ho avuto modo di conoscerlo bene. Ama la Cina e ama il popolo cinese. So che vorrebbe fare qualcosa ma è possibile che non possa".

Infine le parole di Rex Tillerson, segretario di Stato americano, che alla Fox ha riferito che la Cina ha minacciato sanzioni contro la Corea del Nord per scongiurare un altro test nucleare e ha definito il dittatore nordcoreano "spietato" ma non un folle.