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martedì 14 marzo 2017

Dal poliziotto, un'accusa terrificante: "Cosa ha voluto il sindaco De Magistris"

Scontri a Napoli, il poliziotto accusa: "Colpa di De Magistris, ci ha abbandonato"



Mantengono l'anonimato. Ma sono furiosi. Si parla dei poliziotti che, a Napoli, hanno dovuto fronteggiare teppisti e black bloc i quali, "benedetti" dal sindaco Luigi De Magistris, hanno esercitato tutta la loro violenza pur di non far parlare Matteo Salvini. "A pagare siamo sempre noi. Sempre noi. Sabato a Fuorigrotta abbiamo subito di tutto. Insulti, sputi, aggressioni: ci hanno lanciato sassi, spranghe di ferro, bombe carta, bottiglie - raccontano a Il Mattino -. In piazza due giorni fa c'erano sempre loro: i professionisti della guerriglia". Così gli agenti del IV Reparto mobile di Napoli.

Dunque, l'accusa si fa circostanziata. A puntare il dito ci pensa un ispettore che ha alle spalle 20 anni di ordine pubblico. "Nessun lamento. Siamo abituati ai sacrifici. A noi viene chiesto ogni giorno di tutto e di più. Sia chiaro: io non ce l'ho con l'amministrazione ma con i politici. La politica fa finta di non vedere". Ogni riferimento non è puramente casuale. E ancora: "I parlamentari si vadano a guardare i turni che siamo costretti a fare. Sabato alla Mostra d'Oltremare era schierato in completo tutto il Reparto; e molti di noi, ieri mattina, dopo appena sette ore di riposo, sono tornati in servizio allo stadio per la partita del Napoli con il Crotone".

Quindi Aldo e Bruno, due poliziotti che hanno meno di 30 anni. E che sono furibondi. "Quello che è successo è gravissimo. E però ciascuno si assuma le proprie responsabilità: a cominciare dal sindaco di Napoli, che volente o nolente ha avuto un ruolo fondamentale fomentando la piazza". Accuse durissime, dunque, da napoletano a napoletano, dagli agenti a Luigi De Magistris. Il sindaco, continuano "ha dimenticato, peraltro, che noi siamo gli stessi che ogni mattina siamo in servizio a palazzo San Giacomo per preservare e tutelare la sicurezza sua e dell'amministrazione comunale".


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Taxi, impossibile l'accordo con Uber: occhio, la data del nuovo sciopero

Ennesimo sciopero dei taxi proclamato per il 23 marzo



Proclamato dal "parlamentino dei tassisti" un altro sciopero: il 23 marzo dalle 8 alle 22. L'annuncio è arrivato nel giorno in cui è arrivato un secco "no" da parte delle sigle sindacali dei tassisti alla proposta di un incontro chiarificatore da parte di Uber. La Repubblica riporta le parole di Carlo Tursi, general manager di Uber Italia: "Credo sia giusto tentare la via del dialogo aprendo una porta a un confronto civile e onesto. Vi invito a discutere di proposte concrete che possano vederci collaborare da qui in avanti. Troppo tempo è stato speso su un confronto che non guarda al futuro ma solo al passato, penalizzando anche i consumatori che di questo non hanno colpe. Noi vogliamo guardare al futuro e vorremmo farlo anche con voi".

Immediata la replica di Federtaxi, affidata alla voce del portavoce nazionale Federico Rolando: "Solo un imberbe cadrebbe ancora in questi giochetti comunicativi".

In merito allo sciopero si è espressa anche l'Unione Nazionale Consumatori, nella figura del presidente Massimo Dona. "I tassisti sono liberi di scioperare nel rispetto della legge, ossia rispettando i 10 giorni di preavviso. Sciopero legale, quindi, ma incomprensibile. Ci sfuggono le ragioni della protesta, visto che i tassisti sono stati ricevuti al ministero, a differenza di chi come noi rappresenta gli utenti".

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Immigrati: "Abusi sessuali sulle italiane" Horror, così fanno stare zitte le donne

Padova, molestie sessuali alle donne della coop al centro di Bagnoli: tacciono per paura dei licenziamenti



A lungo le operatrici del centro di accoglienza di Bagnoli, in provincia di Padova, hanno dovuto subire in silenzio aggressioni e abusi. Come racconta il Mattino di Padova, nel campo profughi erano e sono all'ordine del giorno gesti osceni e insulti da parte di molti degli 800 richiedenti asilo e diretti alle donne che lavorano nel centro.

Le dipendenti della cooperativa che si occupano dell'accoglienza finora non hanno mai voluto denunciare tutte le bestialità subite, comprese le aggressioni. Le donne sono infatti terrorizzate dalla prospettiva di essere licenziate. Qualcuna di loro però si è confidata con il sindaco, Roberto Milan, e un sindacalista di Labor, il sindacato autonomo che sta seguendo la vicenda. Sono stati loro due a pretendere un incontro con il viceprefetto, delegato per l'immigrazione, chiedendo un aumento del personale destinato alla sicurezza.

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CENTRINI PER SILVIO I piccoli che tornano dal Cav Nomi e cognomi / Guarda

Da Alfano a Verdini e Casini: cosa fanno i partiti di centro dopo il ko di Renzi


di Salvatore Dama



La diaspora centrista sta per finire. Male o bene, ma comunque è destinata ad avere termine. Alcuni ritorneranno alla base. Altri proveranno una corsa solitaria alle urne. Altri ancora, malvoluti, dovranno trovarsi un mestiere, se non ne avevano uno prima della politica. Questa odissea comincia più o meno quattro anni fa.

Elezioni 2013. Nessuno le vince. Dopo un tentativo velleitario, portato avanti da Pier Luigi Bersani, di formare un governo con il sostegno dei grillini, non rimane altra alternativa alle larghe intese Pd-Popolo delle libertà. L'esecutivo guidato da Enrico Letta ha una navigazione serena fino ad agosto 2013, quando Silvio Berlusconi viene condannato in via definitiva per frode fiscale. Nel giro di pochi mesi il Cav, neo-reietto della politica, viene buttato fuori dal Senato. Razionalmente anche i collaboratori più fedeli iniziano a darlo per finito. Politicamente. È un retropensiero che diventa azione, quando Berlusconi decide che il Pdl deve abbandonare maggioranza e governo. Col piffero, dicono quelli che stanno seduti nei ministeri. Nasce il Nuovo centrodestra. Angelino Alfano è alla testa di un gruppo di decine di parlamentari pragmatici. Guardano ciò che hanno davanti: un'alleanza di governo con una sinistra moderata che può diventare strutturale; un leader che cola a picco, condannato ai servizi sociali e con altri tre processi pendenti, uno dei quali per prostituzione minorile. «Scegli la vita!», dice Mark Renton in Trainspotting. E quelli così hanno fatto.

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Arriva Matteo Renzi. Che a sorpresa ripesca l'ex premier dal dimenticatoio. Comincia la stagione del Patto del Nazareno. Raffaele Fitto non ci sta a collaborare con la sinistra e se ne va. Poi quando Berlusconi fa saltare l'accordo (dando ragione a Fitto, ma troppo tardi), si perde per strada anche Denis Verdini, che è il principale teorico dell' alleanza trasversale. Morale: a metà legislatura il Pdl (che ora si chiama Forza Italia) ha subìto tre scissioni ed è ai minimi termini.

Sembra il fermo immagine di un tramonto. E invece no. Il premier perde il referendum. Lascia il governo e anche la segreteria dei dem. I centristi che avevano creduto in lui, sicuri di essersi guadagnati un posto sicuro nel «Partito della Nazione», versione del Pd allargata ai moderati ex pidiellini, si sono svegliati dal sogno. Ed è cominciato l'incubo. Vagano. Alcuni tornano alla corte berlusconiana, dovendo riconoscere che, per l' ennesima volta, hanno venduto la pelle dell'orso prima che spirasse. Altri inseguono alchimie, teorizzando la nascita di un quarto polo centrista che si inserisca in una competizione già affollatissima. Sabato Pier Ferdinando Casini ha lanciato una proposta unitaria ai centristi: «Cerchiamo un leader con il metodo democratico delle primarie».

Una proposta aperta a tutti, anche a Silvio Berlusconi. Ma non alla Lega. Nelle stesse ore Angelino Alfano ha annunciato lo scioglimento del Nuovo centrodestra. Nascerà qualcosa di più grande: «Ncd si evolve in una nuova formazione politica con il chiaro obiettivo di unire i moderati in una nuova casa che consentirà di potenziare la naturale vocazione riformista e di contrapporsi al marasma confuso e scomposto del populismo anti europeo, anzi euro, anti libera circolazione, anti libero mercato, anti solidarietà, anti tutto». Guardano al centro anche gli uomini di Denis Verdini.

«Vedremo la nuova legge elettorale e poi decideremo cosa fare», spiega Ignazio Abrignani, braccio destro del senatore fiorentino. Nei prossimi mesi Ala «si strutturerà come partito, faremo una nostra convention e ci presenteremo alle Amministrative». Con chi? Il progetto di Alfano per il momento non affascina: «Scioglie Ncd per rifarlo uguale dicendo "venite con me". Altro discorso è lavorare a un tavolo per poi convergere tutti in una federazione o anche un partito unico, ma nel rispetto delle singole identità». Abrignani non esclude neanche l'ipotesi di riaprire il dialogo con Forza Italia: «Sempre che Berlusconi decida di puntare sul centro. Se, come invece mi pare di capire, vira a destra, allora no, noi non abbiamo nulla in comune con i sovranisti».

Infine ci sono altri esponenti, i quali avevano condiviso il percorso alfaniano all'inizio, che oggi la pensano diversamente. Cioè, ritengono che non ci sia alternativa a un centrodestra con dentro tutti: Salvini, Meloni e, soprattutto, Berlusconi. La cui leadership è tutt' altro che consegnata alla storia. Per cui hanno ricominciato a collaborare con Forza Italia, al Senato, gli esponenti di Idea (Quagliariello e Giovanardi), e i Popolari per l'Italia di Mario Mauro, che ha appena annunciato l'adesione al gruppo azzurro guidato da Paolo Romani. Giovanardi la chiama la teoria del "gambero".

Prima il centrodestra era ultimo, dietro al «Renzi superstar» e «al populismo di Grillo». Poi il centrodestra è rimasto dov'era (con i suoi problemi), ma sono andati indietro gli altri. «Come un gambero, appunto». Il Pd con la scissione e l'appannamento della leadership renziana, il Movimento 5 Stelle con i guai della Raggi a Roma. Oggi il centrodestra si ritrova avvantaggiato. Involontariamente. Il problema è riuscire a mettere da parte gli egoismi. I centristi suggeriscono la strada delle primarie per discutere leadership e programma elettorale. Berlusconi? Ha già detto no.

Medicina, economia ed etica La parola al Dott. Francesco Pellegrino

Medicina, economia ed etica La parola al Dott. Francesco Pellegrino


di Francesco Pellegrino
per il Notiziario sul web


Dott. Francesco Pellegrino

I drammatici eventi sanitari partenopei delle ultime ore pongono delle questioni di estrema gravità della sostenibilità del Sistema sanitario Nazionale (SSN).

Negli ultimi anni una lobby finanziaria imprenditoriale vuole sempre più convincerci che l’offerta sanitaria del nostro SSN sia scadente e che gli eventi di criticità siano riconducibili ad un sistema fallito nella sua missione cui sostituire un sistema sanitario assicurativo, non più universale bensì elitario.

Niente di più errato e probabilmente truffaldino.

Di certo si vuole svendere un sistema sanitario che nasce nell’alveo di una deontologia sanitaria, di un senso di appartenenza ad ordini professionali, di un ethos del guaritore ferito ( per citare il prof N. G. De Santo)ovvero dello spirito che muove moltissimi operatori sanitari nel considerare il malato e non la malattia, facendosi partecipi di una remissione dalla sofferenza dell’ammalato.

Ogni cittadino italiano o straniero ha potuto sperimentare che l’offerta sanitaria italiana è di gran lunga superiore a quella di paesi che per consuetudine consideriamo più avanzati. Questo probabilmente è riconducibile al fatto che in Italia i medici generalmente sono in grado di dare una risposta soddisfacente sia a piccole richieste sanitarie che a richieste molto complesse ed articolate, in virtù di una valida formazione sanitaria. Allo stesso tempo con difficoltà riusciamo a rappresentare una Sanità di grande profilo poichè culturalmente all’italiano appartiene sempre meno l’orgoglio di appartenenza alla Comunità, per cui idolatra ciò che vede non appartenente alla propria Comunità mentre cerca di denigrare o non considerare ciò che gli è vicino.

A tal proposito mi piace ricordare l’etimo gergale, quasi intraducibile della mmria. Qualcosa di più complesso dell’invidia, ovvero dell’incapacità di partecipare ai processi gregari del successo, in cui si potenzia la necessità di distruggere qualsiasi cosa, anche contro il proprio interesse personale, purchè non faccia giovare alcunchè un conoscente nel processo di affermazione.

Questo profondo psicodramma è la scenografia in cui si realizzano i vari episodi delinquenziali sanitari ( e non solo ) dei nostri giorni.

Spesso infatti vediamo una popolazione che denigra ogni disfunzione senza riuscire ad esprimere una spinta critica propositiva od un apprezzamento riconoscente della difficile missione di garantire e tutelare la salute e la dignità dell’uomo.


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In questo scenario si muovono le caratterizzazioni di coloro i quali dovrebbero adempiere al proprio dovere sanitario e continuamente deludono l’aspettativa di presidiare la salute, dovere per cui sono stati assunti e spesso hanno giurato nell’impegno professionale scritto da Ippocrate in anni in cui la vita aveva un valore supremo.

Questi impiegati pubblici non solo continuamente assurgono agli onori della cronaca per latrocini perseguiti, laddove evidenziati dalla Giustizia, ma cosa più grave sottraggono energie vitali al funzionamento quotidiano per un impegno gravosissimo che sarebbe dedicarsi al proprio compito aiutando un paziente senza intralciare il funzionamento ordinario.

L’impiegato che non ottempera il proprio dovere, assentandosi è un delinquente perchè delinque contro la Comunità e perchè delinque deteriorando l’offerta di salute, sottraendo occasioni di funzionamento ordinario, rendendo l’ordinario straordinario per poi renderlo soggettivo e discrezionale piuttosto che oggettivo come nel ruolo originario.

Ogni operatore sanitario, qualsiasi ruolo ricopra, dovrebbe ricordare che già sfidare le malattie e tutelare la salute è un’opera che non sempre ha un lieto fine, figuriamoci quando, come nei casi recenti, gli inquisiti scegliessero arbitrariamente di dedicarsi ad hobbies o lavori secondari ( o probabilmente primari).

La salute richiede continuo aggiornamento, studio, dedizione non permettendo distrazioni, coloro i quali avessero altre intenzioni di impiego od imprenditoriali sarebbero invitati a dedicarsi onestamente ai propri scopi.

Sopravvivere non basta


Dott. Francesco Pellegrino
Via G.A. Acquaviva, 39
81100 Caserta.
E_mail: frankpiglrim@gmail.com
Cell: 348.8910362



Effetto Lingotto? Suicidio di Renzi: sondaggio Mentana, Pd devastato

Sondaggio Emg per il TgLa7, Pd e Lega perdono. Il Movimento 5 Stelle in orbita




L'effetto del Lingotto sul Pd e su Matteo Renzi? Devastante, ma in senso negativo. Secondo il sondaggio di Emg Acqua per il TgLa7 di Enrico Mentana, il Partito democratico esce dal weekend torinese che ha lanciato la candidatura dell'ex premier a segretario con le ossa rotte e meno voti: se si andasse alle urne oggi, prenderebbe il 27,1%, in calo dello 0,5. Un disastro, considerando che in questi giorni Renzi contava sull'effetto-rimbalzo.

Il Movimento 5 Stelle al contrario continua a crescere e oggi è al 30% tondo, +0,9 rispetto a una settimana fa. Terzo partito resta la Lega Nord, sia pure in calo dello 0,4 al 12,9%. Anche in questo caso il dato è significativo, perché viene nei giorni del test "meridionale" di Matteo Salvini a Napoli. Umberto Bossi aveva profetizzato: la Lega guadagnerà due voti al Sud ma ne perderà molti al Nord. Che avesse ragione il Senatùr? Per contro sale Forza Italia, al 12,2% (+0,4) e scende Fratelli d'Italia (al 4,9%, -0,2).

A sinistra è interessante vedere come gli scissionisti Democratici e Progressisti continuino a rosicchiare qualcosa al Pd (4,2%, +0,2) mentre debutta all'1% tondo Campo progressista di Giuliano Pisapia, che in un colpo ha quasi appaiato Sinistra italiana (1,4%, -0,3). Chiude il quadro la praticamente sciolta Ncd, al 2,6% ma in leggerissimo aumento (+0,1).
Resta un quadro di sconfortante ingovernabilità, con nessuna coalizione plausibile in grado di sfondare, in base all'attuale legge elettorale, il limite minimo dei 316 seggi che garantiscono la maggioranza. L'unica possibile sarebbe quella "sovranista" composta da M5s, Lega e Fratelli d'Italia (318 seggi), ma al momento resta un esercizio di fantapolitica.

lunedì 13 marzo 2017

Diabete delle donne: ecco perché è diverso da quello degli uomini

Diabete delle donne: ecco perché  è diverso da quello degli uomini



Le donne vengono da Venere, gli uomini da Marte. Anche nel caso delle malattie. Lo sa bene la medicina di genere che studia l’influenza del sesso e del genere sulla fisiologia e sulle patologie umane. E il diabete non fa eccezione. Per questo la SID ha dedicato un position paper alle differenze di genere nel diabete e nelle sue complicanze, in termini di presentazione clinica, itinerario diagnostico, terapia e prevenzione.

Diabete nelle donne: un super-fattore di rischio cardiovascolare. Il diabete è un importante fattore di rischio per le malattie cardio-vascolari, due volte più ‘forte’ nelle donne che negli uomini. Nella donna il diabete ha una ricaduta particolarmente negativa sul fronte della coronaropatie e dell’ictus. Il rischio di coronaropatia tra i maschi con diabete è 2,16 volte maggiore che nella popolazione generale; ma per le donne diabetiche questo rischio è di 2,86 volte superiore. Ciò significa che le donne con diabete, rispetto alla controparte maschile, hanno un rischio di coronaropatia aumentato del 44%. Insomma il diabete annulla il beneficio di protezione conferito dall’appartenenza al sesso femminile nei confronti delle malattie cardiovascolari. Una situazione simile si presenta per l’ictus. Nei maschi con diabete, l’incidenza di ictus è di 1,83 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale; per le donne con diabete  questo rischio sale a 2,28 volte rispetto alle donne non diabetiche. Anche in questo caso il rischio di ictus nelle donne con diabete è superiore del 27% rispetto agli uomini diabetici. Meno chiare sono le evidenze sulle potenziali differenze di genere per quanto riguarda l’arteriopatia periferica, anche se un lavoro derivante dal Framigham Study, suggerisce che le donne con diabete presentano un rischio di claudicatio decisamente maggiore delle non diabetiche.


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Cosa rende il diabete un fattore di rischio così ‘cattivo’ nelle donne. Perché il diabete è un fattore di rischio così importante nei riguardi delle malattie cardiovascolari per le donne? Diverse le ipotesi al riguardo ma nessuna conclusiva per ora. Alcuni studi hanno dimostrato che un cattivo compenso glicemico sembra condizionare maggiormente il rischio di ictus nelle donne; in particolare, ogni punto percentuale di aumento dell’emoglobina glicata si associa ad un aumento del rischio di ictus del 6%. I fattori ormonali hanno di certo un loro peso. Nel maschio, bassi livelli di testosterone sono un fattore di rischio di cardiopatia ischemica, mentre nella donna ad aumentare questo rischio è la presenza di elevati livelli di testosterone. Gli ormoni possono incidere su questo rischio anche modificando la distribuzione del grasso corporeo: l’obesità addominale aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e questa condizione è più comune tra le donne che tra i maschi. Vari studi hanno dimostrato che l’obesità addominale è più frequente tra i soggetti con diabete di tipo 2, rispetto ai non diabetici e quasi doppia tra le donne con diabete, rispetto ai maschi con diabete. L’associazione di altri fattori di rischio amplifica ulteriormente l’impatto del diabete come fattore di rischio cardio-vascolare nella popolazione femminile, rendendolo superiore a quello dei maschi. E’ caso dell’ipertensione, degli elevati livelli di colesterolo Ldl e trigliceridi con bassi livelli di colesterolo ‘buono’ (Hdl). Le donne con diabete inoltre hanno una maggiore tendenza all’ipercoagulabilità del sangue (elevati livelli di fibrinogeno, fattore VIIc e plasminogeno), alterazioni della vasodilatazione endotelio-dipendente, uno stato pro-ossidante; tutte condizioni che possono favorire il verificarsi di patologie trombotiche.

Donne col diabete: minor attenzione ai fattori di rischio cardiovascolari. Negli ultimi decenni la mortalità per malattie cardiovascolari si è andata progressivamente. Merito di un miglior controllo dei fattori di rischio e dell’introduzione di nuovi trattamenti. Nelle donne con diabete però la riduzione del rischio cardiovascolare è minore che negli uomini (rispettivamente 23% e 17%). Come mai? Anche qui ci si muove tra le ipotesi, senza una risposta definitiva. Un’ipotesi è che nelle donne i fattori di rischio cardiovascolari sono trattati con minor attenzione. E in effetti il minor raggiungimento degli obiettivi per i fattori di rischio cardiovascolari nelle donne con diabete è un dato ampiamente documentato sia in Italia che all’estero e questo vale soprattutto per le donne più anziane e con maggior durata di malattia. Tra i muri da abbattere in questo caso vi è l’errata percezione che le donne abbiano un rischio cardiovascolare inferiore agli uomini. Alle donne vengono somministrate meno di frequente le statine (o le sospendono più facilmente all’insorgere di effetti collaterali), i beta bloccanti dopo un infarto, gli ACE-inibitori nel trattamento dell’insufficienza cardiaca; si assiste inoltre ad una disparità di sesso nel trattamento con farmaci antipertensivi. Nelle donne inoltre l’aspirina potrebbe avere un’efficacia anti-aggregante minore che negli uomini.

Differenze di genere nelle complicanze del diabete. Donne e uomini si comportano diversamente anche nei confronti delle complicanze microangiopatiche del diabete. La neuropatia sembra più frequente e più precoce nella sua insorgenza negli uomini, in cui più facilmente evolve verso il piede diabetico e l’amputazione (due volte più frequente negli uomini). Nelle donne invece è più frequente la neuropatia sintomatica e la mortalità associata alle amputazioni risulta più elevata. La malattia renale cronica (definita come la presenza di ridotto filtrato glomerulare (GFR) e/o albuminuria) è associata ad un aumento significativo del rischio di mortalità CVD e per tutte le cause e di progressione verso l’insufficienza renale terminale (dialisi). Nella nefropatia diabetica, il declino anche isolato della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) è più frequente nelle donne, mentre il riscontro di micro/macroalbuminuria è più frequente negli uomini.

Numerosi sono i potenziali meccanismi alla base delle differenze di genere riscontrate nella nefropatia diabetica. Tra questi le influenze ormonali: gli estrogeni possano avere effetti protettivi sullo sviluppo della malattia renale; il testosterone avrebbe invece effetti opposti. Differenze di genere sono state documentate nella risposta ai farmaci bloccanti del sistema renina-angiotensina (RAS). Anche le differenze anatomiche e quelle di stile di vita fanno la loro parte. Infine, anche il background genetico e la presenza di interazioni geni-genere potrebbero conferire una diversa suscettibilità alla nefropatia diabetica; è il caso ad esempio dell’allele ACE D che conferisce un maggior rischio di sviluppare nefropatia diabetica alle donne che ne sono portatrici, ma non agli uomini.

La retinopatia diabetica è una delle più frequenti complicanze del diabete (soprattutto nel tipo 1) e rappresenta la principale causa di cecità tra gli adulti in età lavorativa nel mondo. Se ne distinguono due forme principali: la retinopatia diabetica non proliferante (lieve, moderata o grave) e la retinopatia proliferante. Quest’ultima, caratterizzata dalla crescita di nuovi vasi (neogenesi), è la forma più grave, e comporta un elevato rischio di cecità per distacco di retina, glaucoma neovascolare, emorragia vitreale. Un’altra importante causa di grave deterioramento della vista è l’edema maculare, che può comparire in ogni stadio della retinopatia diabetica. Una serie di studi dimostrano che il sesso maschile è un fattore di rischio indipendente sia per l’insorgenza di retinopatia che per la sua progressione a forme più severe e secondo alcuni la prevalenza della retinopatia diabetica sarebbe due volte maggiore nel sesso maschile. Non tutti gli autori sono però concordi su questo punto.