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martedì 14 marzo 2017

CENTRINI PER SILVIO I piccoli che tornano dal Cav Nomi e cognomi / Guarda

Da Alfano a Verdini e Casini: cosa fanno i partiti di centro dopo il ko di Renzi


di Salvatore Dama



La diaspora centrista sta per finire. Male o bene, ma comunque è destinata ad avere termine. Alcuni ritorneranno alla base. Altri proveranno una corsa solitaria alle urne. Altri ancora, malvoluti, dovranno trovarsi un mestiere, se non ne avevano uno prima della politica. Questa odissea comincia più o meno quattro anni fa.

Elezioni 2013. Nessuno le vince. Dopo un tentativo velleitario, portato avanti da Pier Luigi Bersani, di formare un governo con il sostegno dei grillini, non rimane altra alternativa alle larghe intese Pd-Popolo delle libertà. L'esecutivo guidato da Enrico Letta ha una navigazione serena fino ad agosto 2013, quando Silvio Berlusconi viene condannato in via definitiva per frode fiscale. Nel giro di pochi mesi il Cav, neo-reietto della politica, viene buttato fuori dal Senato. Razionalmente anche i collaboratori più fedeli iniziano a darlo per finito. Politicamente. È un retropensiero che diventa azione, quando Berlusconi decide che il Pdl deve abbandonare maggioranza e governo. Col piffero, dicono quelli che stanno seduti nei ministeri. Nasce il Nuovo centrodestra. Angelino Alfano è alla testa di un gruppo di decine di parlamentari pragmatici. Guardano ciò che hanno davanti: un'alleanza di governo con una sinistra moderata che può diventare strutturale; un leader che cola a picco, condannato ai servizi sociali e con altri tre processi pendenti, uno dei quali per prostituzione minorile. «Scegli la vita!», dice Mark Renton in Trainspotting. E quelli così hanno fatto.

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Arriva Matteo Renzi. Che a sorpresa ripesca l'ex premier dal dimenticatoio. Comincia la stagione del Patto del Nazareno. Raffaele Fitto non ci sta a collaborare con la sinistra e se ne va. Poi quando Berlusconi fa saltare l'accordo (dando ragione a Fitto, ma troppo tardi), si perde per strada anche Denis Verdini, che è il principale teorico dell' alleanza trasversale. Morale: a metà legislatura il Pdl (che ora si chiama Forza Italia) ha subìto tre scissioni ed è ai minimi termini.

Sembra il fermo immagine di un tramonto. E invece no. Il premier perde il referendum. Lascia il governo e anche la segreteria dei dem. I centristi che avevano creduto in lui, sicuri di essersi guadagnati un posto sicuro nel «Partito della Nazione», versione del Pd allargata ai moderati ex pidiellini, si sono svegliati dal sogno. Ed è cominciato l'incubo. Vagano. Alcuni tornano alla corte berlusconiana, dovendo riconoscere che, per l' ennesima volta, hanno venduto la pelle dell'orso prima che spirasse. Altri inseguono alchimie, teorizzando la nascita di un quarto polo centrista che si inserisca in una competizione già affollatissima. Sabato Pier Ferdinando Casini ha lanciato una proposta unitaria ai centristi: «Cerchiamo un leader con il metodo democratico delle primarie».

Una proposta aperta a tutti, anche a Silvio Berlusconi. Ma non alla Lega. Nelle stesse ore Angelino Alfano ha annunciato lo scioglimento del Nuovo centrodestra. Nascerà qualcosa di più grande: «Ncd si evolve in una nuova formazione politica con il chiaro obiettivo di unire i moderati in una nuova casa che consentirà di potenziare la naturale vocazione riformista e di contrapporsi al marasma confuso e scomposto del populismo anti europeo, anzi euro, anti libera circolazione, anti libero mercato, anti solidarietà, anti tutto». Guardano al centro anche gli uomini di Denis Verdini.

«Vedremo la nuova legge elettorale e poi decideremo cosa fare», spiega Ignazio Abrignani, braccio destro del senatore fiorentino. Nei prossimi mesi Ala «si strutturerà come partito, faremo una nostra convention e ci presenteremo alle Amministrative». Con chi? Il progetto di Alfano per il momento non affascina: «Scioglie Ncd per rifarlo uguale dicendo "venite con me". Altro discorso è lavorare a un tavolo per poi convergere tutti in una federazione o anche un partito unico, ma nel rispetto delle singole identità». Abrignani non esclude neanche l'ipotesi di riaprire il dialogo con Forza Italia: «Sempre che Berlusconi decida di puntare sul centro. Se, come invece mi pare di capire, vira a destra, allora no, noi non abbiamo nulla in comune con i sovranisti».

Infine ci sono altri esponenti, i quali avevano condiviso il percorso alfaniano all'inizio, che oggi la pensano diversamente. Cioè, ritengono che non ci sia alternativa a un centrodestra con dentro tutti: Salvini, Meloni e, soprattutto, Berlusconi. La cui leadership è tutt' altro che consegnata alla storia. Per cui hanno ricominciato a collaborare con Forza Italia, al Senato, gli esponenti di Idea (Quagliariello e Giovanardi), e i Popolari per l'Italia di Mario Mauro, che ha appena annunciato l'adesione al gruppo azzurro guidato da Paolo Romani. Giovanardi la chiama la teoria del "gambero".

Prima il centrodestra era ultimo, dietro al «Renzi superstar» e «al populismo di Grillo». Poi il centrodestra è rimasto dov'era (con i suoi problemi), ma sono andati indietro gli altri. «Come un gambero, appunto». Il Pd con la scissione e l'appannamento della leadership renziana, il Movimento 5 Stelle con i guai della Raggi a Roma. Oggi il centrodestra si ritrova avvantaggiato. Involontariamente. Il problema è riuscire a mettere da parte gli egoismi. I centristi suggeriscono la strada delle primarie per discutere leadership e programma elettorale. Berlusconi? Ha già detto no.

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