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martedì 28 febbraio 2017

Se le filiali francesi della salute fanno bene all'economia italiana

Se le filiali francesi della salute fanno bene all'economia italiana



di Matilde Scuderi




Imprese francesi in territorio italiano: un connubio dai risultati estremamente positivi, soprattutto per quanto riguarda l'innovazione nel settore delle scienze e delle attività legate alla salute. Il tema della cooperazione tra Italia e Francia a livello di politiche industriali è stato posto al centro di una serata organizzata presso l’Ambasciata francese a Roma dal  Club santé Italie, rappresentanza italiana che raggruppa 50 imprese francesi della salute direttamente presenti in Italia. Nel corso dell’evento è stato presentato il report 'Il valore creato in Italia dalle filiali francesi della salute', risultato di un’indagine condotta dalla società di consulenza aziendale Kpmg che illustra la  presenza importante delle imprese transalpine che, con 3 miliardi di euro di fatturato annuo, 10mila dipendenti diretti e 340 milioni d’euro di contributi fiscali versati, rappresentano una leva significativa di crescita e di lavoro per l’Italia.

Kpmg ha anche calcolato l’impatto indiretto di questa presenza tenendo conto dei fornitori coinvolti nelle attività delle imprese francesi su suolo italiano: le persone occupate salgono in questo caso a 19 mila, e i contributi fiscali a 485 milioni d’euro. In termini qualitativi emerge anche dal rapporto  la posizioni di rilievo che le imprese francesi ricoprono sia nel settore delle specialità farmaceutiche con imprese come Sanofi, Servier, Ipsen, Pierre Fabre Pharma, Thea Pharma, Stallergenes o la specialista dell’omeopatia Boiron sia in quello dei dispositivi medicali, con Air Liquide Healthcare, bioMérieux, Guerbet,  Sebia, Stago o Vygon. Terzo pilastro del settore della salute, quello dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani nel quale i gruppi francesi vantano un’esperienza riconosciuta con Korian, Orpea o Colisée/Isenior. Le aziende francesi nella loro diversità e complementarità gestiscono in Italia 13 siti produttivi e 69 strutture assistenziali.  Puntano sull’innovazione come leva di sviluppo e contribuiscono allo sviluppo del sistema sanitario italiano, riconosciuto come uno dei più efficiente al mondo e tra i più virtuoso in Europa. 

Gli Indispensabili Mutti.


Scopri tutte le differenze. 
Thibaud Eckenschwiller, presidente del Club santè nonché presidente e amministratore delegato di Ipsen Italia, ha spiegato che ”Per fare fronte alle nuove sfide del settore della salute che derivano dalla demografia, dall’immigrazione e dalla necessità di recepire nuove cure innovative, in un contesto di razionalizzazione della spesa pubblica, le imprese del Club santé Italie hanno avviato un dialogo con le autorità italiane per identificare  nuove soluzioni per incentivare le società a investire sempre di più nella penisola. Il Club santé Italie, nel corso dell’incontro, ha confermato la propria disponibilità a prolungare il dialogo, già iniziato nel 2016 attraverso diversi incontri tecnici, anche nel 2017, anno importante in quanto dovrebbe essere definito un nuovo modello di governance del settore della salute”.

"Siamo spiati, c'è una talpa tra noi" Allarme Trump, scatta la vendetta

Fughe di notizie, Trump passa al setaccio gli smartphone dei collaboratori




Come in "Perfetti sconosciuti". Ma alla Casa Bianca. E non per scoprire se qualcuno è gay o ha una amante. Ma per trovare la talpa, il collaboratore che starebbe passando alla stampa informazioni sensibili. Il presidente americano Donald Trump Ha deciso di aumentare le misure di sicurezza per evitare le fughe di notizie e ha avviato controlli a campione sui cellulari degli uomini dello staff. L'episodio più recente è capitato appena qualche giorno fa nella West Wing della residenza presidenziale: il portavoce di Trump, Sean Spicer, ha convocato a sorpresa il suo gruppo di lavoro per una riunione urgente. E quando tutti erano presenti, dopo aver manifestato il suo disappunto e la sua frustrazione per il fatto che sui giornali erano trapelate notizie "sensibili" uscite da una riunione di pianificazione, ha chiesto ai suoi collaboratori di appoggiare sul tavolo gli "smartphone", compresi quelli privati, per poi procedere a un loro controllo.

Le province abolite? Farsa e vergogna:  ecco quanti soldi spendi in più all'anno

La farsa dell'abolizione: le spese sono aumentate di 1,7 miliardi in un anno


di Francesco De Dominicis



Matteo Renzi non è riuscito nell’impresa di spazzarle via definitivamente e ora ce le terremo a lungo. Con esborsi a carico dei contribuenti sempre più alti. Solo nel 2015 ci sono costate ben 1,7 miliardi di euro in più. Stiamo parlando delle province: simbolo made in Italy dello spreco di denaro pubblico, ora sono diventate immortali. E lo sono diventate, come spiega la Corte dei conti in un documento di pochissimi giorni fa, proprio per il clamoroso flop del referendum costituzionale del 4 dicembre. Anche se pasticciata, la riforma del 2014 - quella che aveva cercato di dare una prima, goffa spallata agli enti territoriali - ora è in qualche modo rafforzata dal «no» degli elettori alla revisione della Costituzione.

Quel «no», secondo i magistrati contabili, ha di fatto reso le province immortali. L’esito del voto del 4 dicembre «ha avuto l’effetto di cristallizzare la riforma ordinamentale». Si tratta, nel dettaglio, della legge 56 approvata nel 2014, a pochi mesi dall’insediamento di Renzi a palazzo Chigi. L’ex premier affidò all’allora sottosegretario Graziano Delrio il compito di avviare la cancellazione degli enti. Il risultato fu una riforma a metà (e decisamente mal scritta) che si sarebbe dovuta completare solo con la revisione della Costituzione. Saltata quella, resta la legge 56. Che, scrive la Corte dei conti, «esprime» comunque «un nuovo assetto delle province e del livello istituzionale di area vasta che è da ritenere stabile anche in funzione del rispetto del principio di continuità delle funzioni amministrative e, in quanto tale, opera, oggettivamente, in una prospettiva duratura». Il concetto è chiaro: l’attuale architettura della macchina amministrativa italiana è stabile e duratura. Lo stesso concetto ribadito dai diretti interessati, ovvero i presidenti di provincia, in una comunicazione ufficiale al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Al quale, poco dopo la sconfitta referendaria di Renzi, è stato puntualizzato che le province sono «incardinate nella struttura costituzionale». Tanto per ancorarsi meglio nel porto del Quirinale.

Archiviato l’aspetto istituzionale, passiamo ai quattrini. Quelli che cittadini e imprese saranno costretti a sborsare per mantenerle, le province. I dati incrociati dalla Corte, che giovedì ha consegnato un dettagliato dossier in Parlamento, rivelano un allarmante ritorno alla crescita: per il 2015, primo anno di applicazione della riforma Delrio, viene registrata una «brusca inversione di tendenza rispetto alla progressiva contrazione registrata negli esercizi precedenti». Un paradosso: le amministrazioni provinciali costavano meno prima che fossero svuotate di competenze. Nel 2014, le uscite complessive sono state pari a 6,7 miliardi, cifra salita a 8,4 miliardi l’anno successivo. L’incremento è enorme: 1,7 miliardi in più (+26%). Un aumento spaventoso che ha interessato tanto le spese correnti (salite di oltre 1,3 miliardi da 5,9 miliardi a 7,3 miliardi) quanto le uscite per investimenti (aumentate di 372 milioni da 769 milioni a 1,2 miliardi). Il tutto a fronte di incassi di bilancio (ovvero tasse) che restano intatti: poco più di 2 miliardi sia nel 2014 sia nel 2015 tra imposte ordinarie e tributi speciali.

E dire che la fotografia della Corte è parziale, visto che riguarda «solo» 71 enti su oltre 100. Una giungla che fa da sfondo a una rete sterminata di migliaia di uffici pubblici, società partecipate, enti collegati. Tutti, adesso, intoccabili. Ma non è finita. A fronte di province ben amministrate (prima e dopo la riforma Delrio) bisogna fare i conti anche con svariati dissesti finanziari. A partire dal 2012, sono ben 12 gli enti entrati nella cerchia di quelli vicini al fallimento: Chieti, Potenza, Catania, Ascoli Piceno, Imperia, Verbania Cusio Ossola, Asti, Novara, Iserina, La Spezia, Varese, Terni.

Insomma, non solo «inutili», come diceva in uno dei suoi Leitmotiv Silvio Berlusconi, ma anche finanziariamente a rischio. Il Cavaliere aveva una certezza: «Eliminare le province? In Italia non lo potrà fare mai nessuno». Ne aggiungiamo un’altra: in caso di crac, pagano i contribuenti.

"Datemi il russo arrestato in Liguria" Putin azzanna, guai per l'Italia

Ventimiglia, l'arresto di Mikhail Nekrich diventa un caso internazionale: Putin vuole l'estradizione, le autorità italiane indagano




Mikhail Nekrich, cittadino russo residente a Zurigo, è stato fermato durante un controllo ordinario dalla polizia di frontiera di Ventimiglia. Si è scoperto che l'uomo è un ricercato comune, sul cui conto pende un mandato di cattura internazionale per omicidio e per appropriazione indebita. L'uomo è stato condannato all'ergastolo dal tribunale di Mosca. È accusato - come rivela Il Messaggero - di essere il mandante dell'omicidio del magnate nemico Alexandre Mineev, ucciso con numerosi colpi di kalashnikov nel 2014.

Ascoltato dal tribunale italiano, Nekrich, con l'assistenza degli avvocati Andrea Rovere e Maurizio Mascia, avrebbe invece raccontato una storia diversa. Una storia con cui vuole dimostrare la propria innocenza: i servizi segreti russi vogliono obbligarlo a incastrare un dissidente, ovvero il suo socio in affari Egor Schuppe, il genero di Boris Berezovsky. Quest'ultimo era lo storico avversario di Vladimir Putin, che nel 2013 annunciò l'imminente ritorno a Mosca per svelare i segreti del presidente russo, salvo poi venire ritrovato impiccato a Londra.

Stando alla ricostruzione dei fatti di Nekrich, i poliziotti russi gli avrebbero chiesto di collaborare all'inchiesta: "Sappiamo che il tuo socio è imparentato con Berezovsky e sappiamo che ha materiale compromettente sul governo russo. Vogliamo lui, non te, se ci aiuti ad incastrarlo ti lasciamo andare, altrimenti sei finito". E così, in un contesto scivolosissimo, in parallelo alla procedura di estradizione verso Mosca di Nekrich, sono state avviate le indagini sul caso. Le autorità italiane vogliono vederci chiaro. Anche se di mezzo c'è niente meno che lo zar Putin.

Capito, il viaggio negli Usa di Renzi?  Toh, che caso: chi lo ha pagato / Foto

Matteo Renzi, il viaggio in California pagato dai Clinton




L'endorsement, alla fine, qualcosa ha pagato. Pochi giorni prima delle presidenziali Usa, Matteo Renzi fu l'unico premier di un grande Paese al mondo a schierarsi apertamente a favore di Hillary Clinton e contro Donald Trump. Pareva una scelta a basso prezzo, visto che la democratica era data per strafavorita nei sondaggi. Poi le cose sono andate in modo leggermente diverso... e non solo alle elezioni americane. Trump è finito alla Casa Bianca, Renzi a casa.

Nei giorni scorsi, l'ex premier è tornato da semplice cittadino (l'altra volta c'era andato da capo del governo) in California, a farsi un giro tra le realtà e i protagonisti della Silicon Valley. E il quotidiano Il Giornale scrive che a pagargli la trasferta sia stata la Clinton Global Foundation. Non solo come "ringraziamento" per l'endorsment dello scorso novembre. Il quotidiano di via Negri rivela come negli anni i vari governi di centrosinistra che si sono succeduti al potere dal '96 a oggi abbiano contribuito finanziariamente alla fondazione dell'ex presidente Bill (e consorte). L'ultima volta, come appare sul sito ufficiale della stessa Foundation, nel 2015 quando figura un contributo governativo italiano tra i 101mila e i 250mila dollari.

lunedì 27 febbraio 2017

Il Renzi segreto, Dini lo fa a pezzi: "Chi è davvero e cosa deve fare"

Lamberto Dini fa a pezzi Matteo Renzi: "Lo conosco bene, vi dico com'era da giovane e cosa deve fare adesso"



"È un arrogante e sostanzialmente inesperto in questioni di governo. Ha perso il referendum ma non ha dato spazio ad alcuna riflessione programmatica, perché vuol essere un capo assoluto". A puntare il dito contro Matteo Renzi è Lamberto Dini, intervistato da Il Tempo.

"Io lo conosco bene perché stavo nella Margherita dove lui cominciò a muovere i primi passi. Perciò, quando decise di candidarsi alla Provincia di Firenze, essendo io fiorentino e avendo molti contatti là, gli diedi un appoggio", ricorda l'ex premier. "Lui è brillante, svelto nel ragionamento, molto bravo a parlare. Ma è supponente e autoreferenziale, e questi sono grandi difetti. Secondo me in questo momento dovrebbe prendersi una pausa di un paio d'anni, studiare molto e semmai riproporsi".

"Che ha morso". Dettaglio straziante Cos'ha dovuto fare dj Fabo per morire

Dj Fabo: "Per morire ha dovuto mordere lui un pulsante"



"Suicidio assistito", si chiama. E' quello che ha scelto Fabio Antoniani, in arte dj Fabo, che dall'estate 2014 era cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale. Termini freddi, quelli, anche se sufficienti a scatenare polemiche, attacchi, persino insulti. Come quelli che il povero Fabio Antoniani si è beccato pochi minuti dopo la sua morte da Francesca Chaouqui, che lo ha definito "un vigliacco". Come, nei particolari, e veramente, è morto "il vigliacco" lo ha voluto raccontare qualche ora dopo Marco Cappato, il tesoriere della associazione Luca Coscioni che ha accompagnato dj Fabo in Svizzera a morire. "Fabio ha morso un pulsante per attivare l'immissione del farmaco letale. Era molto in ansia perchè temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci. Poi, però, ha anche scherzato". Così muore "un vigliacco".