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lunedì 23 gennaio 2017

Toh, lo scandalo pure a Banca Etruria Ricconi che non ridanno i soldi: i nomi

Banca Etruria, ecco i nomi dei bidonisti della banca salvata coi nostri soldi


di Francesco De Dominicis



Aiuti pubblici per tutte le banche in crisi. Ma (ufficialmente) niente liste dei bidonisti. Si allarga giorno dopo giorno l’ombrello del Tesoro sugli istituti di credito: la garanzia statale sulle emissioni delle banche in difficoltà sarà estesa anche a Etruria, Marche Ferrara. E su queste tre banche spuntano i primi nomi dei debitori che hanno contribuito, insieme con i manager bancari e una vigilanza non sempre all’altezza della situazione, a creare i dissesti finanziari. Gli elenchi degli insolventi sono, ovviamente, parziali: dentro, comunque, risultano sofferenze eccellenti da decine di milioni di euro e pure qualche personaggio famoso.

Nel menù, il piatto forte è Etruria. La black list degli insolventi è piuttosto nutrita. i maggiori crediti deteriorati sono nel mattone e in cima alla lista risultano personaggi come Francesco Bellavista Caltagirone, la coop Castelnuovese del presidente Lorenzo Rosi, l’altra coop rossa del real estate Consorzio Etruria. Solo Caltagirone tra Acqua Marcia e Acquamare accumula 45 milioni di sofferenze.

Sempre per restare nell’area immobiliare, ecco il leader del cemento Sacci che ha lasciato un «conto» da saldare che oscilla tra i 45 e i 60 milioni di euro. E, ancora, c’è l’outlet Città Sant’Angelo costato a Rosi e Luciano Nataloni l’accusa di conflitto di interessi: la sofferenza è di 15 milioni, dovuti alla crisi della coop emiliana Unieco, socia dell’affare. La cronaca degli scorsi mesi aveva raccontato il caso dello Yacht Etruria, la mega-nave allestita dalla Privilege Yard nel porto di Civitavecchia dove continua ad arrugginire dopo il fallimento della società. Un affare che alla Popolare dell’Etruria ha comportato una perdita secca da quasi 25 milioni.

Il dissesto di Banca Marche è al vaglio della procura di Ancona. I pubblici ministeri anconetani hanno passato al setaccio una sessantina di operazioni condotte insieme con la controllata Medioleasing fra il 2007 e il 2012. Un giro di affari illeciti, secondo i magistrati, che avrebbe portato al crac da quasi un miliardo di euro nel 2015. Oltre la metà di queste operazioni (32) riguardano prestiti o proroghe di finanziamenti concessi da Banca Marche a società del Gruppo edile Lanari per realizzare progetti immobiliari. In particolare, sei crediti sarebbero andati a “La Fortezza”, fallita nel febbraio 2015, addirittura 21 a “La Città Ideale”, fallita nell’aprile 2016, e altri cinque alla “Immobiliare Elle”, fallita a marzo 2016.

Insomma, secondo l’accusa, a distruggere il patrimonio di Banca Marche sarebbero state «operazioni dolose» realizzate con «abuso di poteri e violazione di doveri» per «conseguire un ingiusto profitto a danno della società» in una «strategia aziendale tesa a favorire un particolare segmento di clientela prevalentemente legata a rapporti personali, e in alcuni casi economici, con il dg Massimo Bianconi».

Passiamo a Carife. Sui conti della banca ferrarese - che dovrebbe finire nelle braccia della Popolare dell’Emilia Romagna - pesano soprattutto alcune operazioni nel mattone. Si tratta, come segnalato dal Sole24Ore a giugno 2013, di due investimenti, finiti al vaglio della procura di Milano, per progetti immobiliari: Milano Santa Monica e MiLuce. Entrambe le operazioni erano state finanziate dalla Carife e dalla sua controllata, la Sgr Vegagest, in particolare dalla sua società attiva nel settore del real estate, Vegagest immobiliare. Dietro le perdite per questi due affari ci sarebbe stata una truffa, architettata da manager dell’istituto e da imprenditori, che ha cagionato sofferenze per 240 milioni.

Fare luce sulle cause della crisi dell’industria bancaria è fondamentale. Non solo individuando i grandi debitori che hanno agito in malafede (e solo quelli), ma anche portando alla luce - come chiede il sindacato Fabi - le responsabilità dei banchieri, che puntano il dito contro i prestiti agli «amici degli amici». Martedì scade il termine per presentare gli emendamenti al decreto salva risparmio: il senatore di Forza Italia, Paolo Romani, ha promesso di proporre, accanto alla nascita di una commissione d’inchiesta, la creazione del registro dei «bidonisti». Altre 48 per la verità. Tutto questo, come accennato, mentre diventano sei le banche che usufruiranno della stampella dello Stato per restare in piedi: dopo Montepaschi e le due venete (PopVicenza e Veneto Banca), l’intervento pubblico riguarderà anche tre dei quattro istituti falliti a novembre 2015 (quella esclusa dal piano è la piccola Cassa di risparmio di Chieti). Dopo 25 anni di disastri e gestioni scellerate, lo Stato torna prepotentemente allo sportello. Coi soldi dei contribuenti.

Il governo pensa a banche e clandestini Il dovere di dire "prima i terremotati"

Il governo pensa alle banche, non è da sciacalli dire "prima i terremotati"


di Pietro Senaldi
@PSenaldi



Dopo quello della festa, è arrivato il giorno della tristezza. Il conto dei morti invece di quello dei salvati, e il dolore che subentra al sollievo alimenta la polemica. Il leader della Lega Matteo Salvini è stato accusato di sciacallaggio per essersi presentato con i doposci sotto i riflettori nel caldo degli studi televisivi di Roma, a rimarcare di essere stato il primo politico a precipitarsi nelle terre ancora colpite dal terremoto. Ma anche i Cinquestelle e la Meloni hanno polemizzato con il governo sui terremotati abbandonati al gelo e sono stati accusati, per questo, di speculare sulla tragedia.

Quando poi si è scoperto che a condannare a morte gli ospiti dell’Hotel Rigopiano travolto dalla slavina sono stati la mancanza di una turbina che liberasse la strada ai turisti, che ben prima della tragedia avevano chiesto di lasciare l’albergo, e il ritardo con cui i soccorsi sono partiti rispetto agli Sos inviati a disastro appena avvenuto, a finire sul banco degli imputati è stata la Protezione Civile. L’ex responsabile, Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile italiana quando era la migliore al mondo, ha accusato il governo di averla smantellata per consegnarla alla politica e oggi dalle colonne di Libero il suo braccio destro, Agostino Miozzo, parla di «vendetta della burocrazia che ha depotenziato il sistema imbrigliandolo con troppe regole e referenti», iniziata - guarda caso - con il governo Monti. E allora l’emergenza e i morti sono diventati un eccellente scudo con cui respingere ogni polemica. Ma indagare le responsabilità, anche in questi attimi drammatici, non è un atto di sciacallaggio, bensì di giustizia.

Non vogliamo schierarci con i politici dell’opposizione che accusano il governo. Anche se siamo persuasi che, a ruoli invertiti, le cose non sarebbero andate diversamente, chi polemizza ha almeno il merito di dare voce a quello che pensa la gente. Più gravi, soprattutto per l’autorevolezza di chi le muove, sono le accuse di aver dato la Protezione Civile in pasto alla politica per vendetta ai tempi in cui l’Italia andava deberlusconizzata anche nelle cose che funzionavano. Bertolaso e Miozzo non possono essere tacciati di sciacallaggio, se non altro per la riconoscenza che dobbiamo loro per tanti anni di glorioso servizio. Ma anche chi rimarca come nel gelo dell’inverno gli sfollati del terremoto di agosto abbiano ancora una sistemazione provvisoria - ad Amatrice i destinatari delle 25 casette pronte, su 400 che ne servono, vengono estratti a sorte in una lotteria della disperazione degna del Terzo Mondo - non può essere accusato di speculare sulle tragedie. Anche perché, prima del referendum del 4 dicembre, qualcuno che a quel voto teneva molto si è vantato in tv del fatto che i terremotati erano tutti sistemati. Pubblicità ingannevole, e infatti non ha pagato.

La disequazione terremotati al gelo, clandestini al caldo, o quella che i soldi per salvare le banche fallite si trovano in 5 minuti, mentre quelli per mettere in sicurezza le aree sismiche non si sono trovati in 50 anni, non sono bassa polemica, bensì la fotografia del Paese. Dal 1992 gli italiani si sentono dire che sono sull’orlo del fallimento, che il debito pubblico ci divora e che dobbiamo per questo ammazzarci di tasse; è normale che chiedano conto di come vengono spesi i loro soldi, visto che sono sempre meno quelli che riescono a guadagnare e soprattutto che restano a loro disposizione dopo il passaggio del Fisco. Funziona come nelle famiglie. Finché il capofamiglia assicura il benessere a tutti, nessuno gli farà i conti in tasca su come spende mille euro; ma se in casa mancano i generi di prima necessità, diventa una questione anche come vengono impiegati 10 euro. Così lo Stato. Più taglia i servizi e più aumenta le tasse, più i cittadini gli chiedono conto di cosa fa dei loro soldi; e se per caso qualcuno ha da ridire sul fatto che invece che per mettere in sicurezza le case in prevenzione anti-sismica o per dare un tetto ai terremotati, i suoi quattrini vengono usati per finanziare coop che tengono i clandestini in lager finché non scoppiano le rivolte, o per risarcire, come documentato da Franco Bechis su Libero, al ritmo di un milione di euro al giorno gli speculatori che volevano fare affari su Mps al punto da trasformare le loro perdite in guadagni, questo qualcuno, e chi gli dà voce in tv, sui giornali o in Parlamento, va ascoltato anziché accusato di razzismo, sciacallaggio o idiozia finanziaria.

È questione di priorità: quando i soldi scarseggiano, destinarli agli immigrati, ai banchieri o ai terremotati è una scelta politica e criticarla è un diritto degli elettori. Trump ha conquistato l’America con le parole d’ordine «governo al popolo» e «prima i cittadini». Chi lo accusa di populismo e razzismo appartiene alla stessa razza di chi non vuole rivelarci i nomi dei debitori Mps e giudica xenofobo chi ha più a cuore i terremotati rispetto agli immigrati. 

Il 25 gennaio, da Rieti, Ascoli, Amatrice, Perugia, Macerata e Norcia muoveranno verso Roma allevatori, commercianti, imprenditori e pensionati per protestare sulla gestione post terremoto del governo. Sono tutti leghisti o grillini? Sono tutti sciacalli ed egoisti? Sono tutti scemi e incapaci di comprendere le regole del sistema bancario che è pensato apposta per farci star bene? Sono tutti razzisti che odiano gli immigrati? O piuttosto sono persone come noi con la sola differenza che, non per colpa loro, adesso hanno bisogno di questo Stato avido e inadeguato a cui hanno dato il sangue da che sono nati ma non ricevono quello di cui hanno bisogno? A differenza di quando la politica si reca nelle zone colpite, la transumanza di mercoledì prossimo non sarà una passerella

domenica 22 gennaio 2017

Il ciclone Trump sull'America

La lezione di Donald Trump dopo il giuramento al Campidoglio: "Sogni, soldi, lavoro: prima gli americani"


di Paolo Guzzanti



Pioveva sulle due bibbie su cui ha giurato e il pastore protestante che ha parlato dopo il rabbino ha detto che la pioggia è un segnale divino e il segnale è stato abbastanza intenso. 

Folla enorme, gente incappucciata con teli di plastica e insomma non è stata una giornata meteorologicamente radiosa quella di ieri a Washington, ma politicamente tutto è andato molto bene, quasi trionfalmente.

Obama, che ascoltava con molta concentrazione, faceva piccole smorfie di assenso e si sono visti i segni del suo sorriso nei momenti più patriottici del discorso di Trump che era molto cadenzato per chiamare gli applausi che del resto arrivavano con grande generosità. Tutti si chiedevano se il nuovo presidente avrebbe chiuso le ferite del passato, o se avrebbe versato altro sale su di esse. Il discorso è stato tutto dominato da una sola idea portante, un solo leit motiv: gli americani tutti insieme si stringono in un grande patto di solidarietà e penseranno prima a se stessi, ai loro posti di lavoro, alla loro sicurezza e poi forse agli altri. Le strade erano bagnate, i soldati zuppi anche loro, non volavano uccelli ma soltanto lontani elicotteri e Hillary Clinton, che vestiva di un colorino biancastro, era più bianca del suo vestito. Suo marito Bill, non più protagonista o coprotagonista della storia americana, se ne stava buono, seduto o in piedi. Melania con il suo vestito color madonna di paese era molto attenta a camminare al passo del suo sposo quando dovevano muoversi e non dava particolari segni di emozione. Michelle Obama ha retto bene la sua parte e il nuovo presidente le ha dedicato parecchi secondi in più baciandola su entrambe le guance. Lei ha risposto con un sorriso diplomatico ma cordiale. Sembrava una rimpatriata di vecchi amici e vecchi nemici, interrotti ogni tanto dagli officianti della cerimonia. Pochi americani di pelle nera, percentualmente parlando. Trump è l'eroe del ceto medio che è prevalentemente bianco, così come era totalmente bianco l'elettorato di Bernie Sanders, considerato un radicale di estrema sinistra. Paradossalmente, Trump e Sanders, che non si è visto alla cerimonia, corteggiavano lo stesso elettorato bianco che perde il posto di lavoro, perde l'assicurazione sulle cure mediche, vede avanzare una marea di latinos che portano via i posti di lavoro più scadenti, ma creando problemi di coesistenza sociale.

Faceva un curioso effetto vedere, un'ora dopo il presidente Trump al tavolo da lavoro circondato dai nipotini mentre Obama stava pronunciando l'ultimo discorso a braccio per salutare i suoi supporter e commuoversi parlando dei militari, Trump firmava documenti d'ufficio ridendo, e Obama tesseva una sorta di lirica spontanea sulla natura spontanea della democrazia americana. Insomma, il primo obiettivo, rassicurare sulla volontà di unire e non di dividere, è stato raggiunto a pieni voti, consolidato dalle immagini del più anziano presidente della storia americana, circondato da bambine affettuose, bambini in braccio alle mamme, mentre firma con una penna molto nera le nomine dei membri del suo gabinetto di governo. Anche Paul Ryan solitamente così accigliato e ostile, appariva rilassato dopo la lunga stagione in cui ha contrastato aspramente la campagna elettorale del presidente vittorioso. Melania ha sorriso poco e alla fine la coppia Clinton appariva meno tesa, mentre Rudolph Giuliani, il mitico sindaco dell'undici settembre, appena nominato responsabile della sicurezza informatica, rideva appagato e felice.

Da notare uno dei passi più importanti e poi subito discussi del discorso pubblico di Trump, quello in cui ha detto che mentre «Washington fioriva, il popolo non godeva della stessa ricchezza» perché «l'establishment proteggeva se stesso, ma non i cittadini del nostro Paese». Il New York Times, lealmente annotava che ciò è perfettamente vero: la capitale degli Stati Uniti è diventata in dieci anni, gli anni di Obama, un gioiello di prosperità e di raffinatezza, mentre il ventre molle delle periferie seguitava e seguita a marcire.

Si scava ancora in condizioni estreme. Cinque vittime, 11 sopravvissuti, 23 dispersi

Il meteorologo Luca Mercalli: "Ora pericolo maggiore da aumento temperature"



Si scava ancora in condizioni estreme. Cinque le vittime accertate, 11 sopravvissuti e 23 dispersi. Questo il bollettino dramma. Ma non finisce qui. Il terremoto e poi il gelo con metri e metri di neve. Peggio di così non si può? Forse, purtroppo, sì. A dirlo, su Il Fatto quotidiano, è il meteorologo Luca Mercalli, per il quale nei prossimi giorni la minaccia maggiore potrebbe arrivare dall'innalzamento della temperature e dalle piogge che sono previste nelle prossime ore. Precipitazioni e caldo che, da una parte, potrebbero aggravare il rischio di valanghe e dall'altra portare allo straripamento dei fiumi e a inondazioni nelle zone circostanti, sopratutto nelle aree a valle delle zone dove la neve è stata più copiosa.

Il cambio di clima dovrebbe registrarsi già fra domenica e lunedì, con l'arrivo di "una perturbazione di origine africana che porterà temperature miti e che, al di sotto dei mille metri provocherà lo scioglimento della neve" spiega Mercalli. Col pericolo di smottamenti e frane, anche a causa del terreno smosso dai forti terremoti dei giorni scorsi. La zona di maggior pericolo resta sempre la stessa: le Marche meridionali e l'Abruzzo.

Trionfo azzurro a Kitzbuehel: sulla mitica Streif vince Dominik Paris

Trionfo azzurro a Kitzbuehel: sulla mitica Streif vince Dominik Paris



Grande prestazione dell'altoatesino Dominik Paris che si impone sulla mitica Streif di Kitzbuehel. Dopo il trionfo dello scorso anno di Peter Fill, è Paris a mettere a segno il colpo grosso nella  discesa più famosa al mondo. Il carabiniere della Val d’Ultimo ha aggredito il difficilissimo percorso dalla prima all’ultima porta, ripetendo il successo ottenuto nel 2013 sempre in discesa, mentre nel 2015 si impose in supergigante, per quello che è il successo numero 7 della carriera. Paris con il tempo di 1.55.01 ha preceduto il francese Valentin Giraud Moine, secondo a 21 centesimi e l’altro transalpino Johan Clarey a 33. Ai piedi del podio l’altro azzurro Peter Fill, staccato di 40 centesimi.

Salgono così a quattro i trionfi italiani in discesa sulla Streif: oltre alla doppietta di Paris e al titolo di Fill, ricordiamo quello di Kristian Ghedina nel 1998. Un altro grande "numero" ha condizionato invece la giornata di Christof Innerhofer, il cui sci è passato per una decina di metri ben alto sulla rete di protezione  all’ingresso del lungo pianetto dopo circa 30 secondi di gara, facendogli  perdere concentrazione e velocità. Alla fine il finanziere di Gais è  giunto quindicesimo.

Il Milan si sveglia tardi, a San Siro passa il Napoli 2-1

Il Milan si sveglia tardi, a San Siro passa il Napoli 2-1



Rossoneri sotto di due gol già al 9’, Kucka accorcia le distanze al 37’ ma lo score dei padroni di casa si ferma lì. Scatto Champions per il Napoli, ko che fa male per il Milan. Il “confronto direttissimo” (parole di Galliani) a San Siro, con vista l’Europa che conta, lo vince la squadra di Maurizio Sarri 2-1. Due gol lampo del Napoli con Insigne e Callejon e Kucka a segno nel primo tempo. I ragazzi di Vincenzo Montella bocciati all’esame di maturità e battuti per la seconda volta in campionato dai partenopei. Ora i ’cugini’ sono lì, dietro l’angolo. A San Siro anche il ct Giampiero Ventura. I padroni di casa, con Romagnoli e Locatelli squalificati, partono con Sosa regista in mezzo e Gomez al fianco di Paletta là dietro. In avanti Suso, Bacca e Bonaventura, coperto alle spalle da Pasalic e Kucka. Il Napoli risponde con Hysaj, Albiol, Tonelli e Strinic in difesa. Allan, Jorginho e Hamsik a fare da diga e il tridente dei piccoli Callejon, Mertens e Insigne. 

Inizio da incubo per il Milan, che subisce due sberle nel giro di tre minuti. A dare il la alla festa del Napoli ci pensa Insigne con una bordata di sinistro. Il gol è frutto della “qualità di palleggio” (Galliani dixit nel pre-partita) dei folletti di Sarri. Al 6’, apertura senza guardare di Mertens da destra a sinistra a tagliare il campo, difesa del Milan in ritardo e impreparata, lo ’scugnizzo’ napoletano con la 24 sulle spalle con un mancino trova l’angolino. Donnarumma tocca ma non riesce a respingere. Tre minuti dopo, la squadra di Montella rischia di affondare e prende già il secondo gol. Mertens, servito sulla destra, lascia sul posto Gomez, Callejon taglia in area, ruba il tempo a Calabria e trafigge per la seconda volta il portiere. 

Montella è impietrito davanti alla sua panchina, di fronte a un Napoli che si trova a meraviglia con lanci di qualità e movimenti nello spazio. I padroni di casa, invece, faticano a costruire di fronte a un avversario che offre un calcio più maturo. La reazione del Milan tarda a farsi vedere (timido tiro di Abate comodo per Reina) e l’undici partenopeo prova ad approfittarne, anche se Mertens grazia i rossoneri quando, al 29’, servito da Callejon, sul filo del fuorigioco, fa una sorta di passaggio a Donnarumma anziché angolare la palla, a tu per tu. Il fortino, si fa per dire, rossonero, già bucato due volte, avanza e la velocità di palleggio dei napoletani diventa un’ossessione. Al 35’ Gomez, trovato con un cioccolatino da Bonaventura, di testa angola troppo e non riesce a trovare la porta. 

Due minuti dopo, Jorginho regala il pallone al Milan con un retropassaggio corto, Kucka si avventa sul pallone, supera di forza Tonelli e batte Reina con un esterno destro in buca d’angolo. Ecco il 2-1 rossonero. Proteste nel finale di tempo per un corpo a corpo fra Bacca e Tonelli. Il Milan chiede l’espulsione anziché il giallo, per il Napoli non sarebbe neanche fallo.

Pasalic va vicino al 2-2 in avvio di ripresa con un tocco di testa su assist di Abate da destra. Il coraggio non manca alla squadra di Montella, che adesso ci crede. Pasalic cerca Bacca e Albiol mette in angolo. Subito dopo Suso spara con il destro e Reina blocca a terra. Allora, Insigne sfiora l’incrocio con una punizione a giro da circa 25 metri. La partita è adrenalinica, accesa e ora più equilibrata. Abate e Bacca spaventano il Napoli. 

Reazione di Mertens: destro liftato a cercare di sorprendere Donnarumma, di un soffio sopra la traversa. Ancora, al 68’, Bacca punta la porta e con un tiro sul secondo palo trova solo le braccia di Reina. A stretto giro, Mertens si presenta davanti a Donnarumma che si accovaccia a devìa a tu per tu. Al 74’ Montella si gioca le carte Lapadula e Bertolacci per Bacca e Sosa, mentre Sarri inserisce Zielinski per Hamsik. Succede poco o nulla e, a cinque minuti dalla fine, Rog rileva Allan nel Napoli mentre il Milan va alla disperata con Niang per Pasalic. Nel finale, Paletta alto non di molto di testa e poi colpo di testa di Donnarumma, che si avventura in avanti, parato a terra da Reina. Finisce 1-2. Esulta Sarri con i pugni chiusi, zona Champions più lontana per il Milan. 

Bechis, lo scandalo senza fine di Mps Ecco il regalo del governo ai furbetti

Mps, scandalo senza fine: quanto dà il ministro Padoan ai furbetti della banca


di Franco Bechis
@FrancoBechis



A che santo bisogna appellarsi per portare a casa un guadagno record in poche settimane? Un gruppo scelto di investitori in obbligazioni subordinate del Monte dei Paschi di Siena quella risposta ce l'ha pronta, prontissima: a san Pier Carlo Padoan. Chiedetelo ai 385 investitori che fra il 15 e il 25 novembre dello scorso anno hanno scelto di comprare l'obbligazione subordinata Mps Upper Tier II 2008-2018, che ora il governo su proposta proprio di Padoan ha deciso di rimborsare con soldi pubblici al 100% del suo valore nominale.

Quei 385 hanno comprato l'obbligazione al 61,80% del valore nominale, e quindi si vedranno regalare da Padoan un premio del 38,20%. Tutti insieme hanno speso 25 milioni e 172 mila euro. Padoan ha deciso di regalare a loro altri 15,559 milioni di euro. Ognuno dei 385 ha investito in media 65.382 euro in quel titolo Mps. Ora riavrà indietro dalle finanze pubbliche quella somma, aumentata di un generoso dono che Padoan ha confezionato per ognuno di loro: 40.414 euro di soldi pubblici. E chi mai riesce a fare quei guadagni in poche settimane così? Il ministro dell'Economia è generosissimo - tanto i soldi che dispensa a larghe mani non sono suoi, ma dei contribuenti italiani. Ma ogni giorno si sveglia e la sua generosità è diversa. Quello stesso titolo è stato acquistato sul mercato il 28 novembre scorso da 22 investitori. Hanno speso 253.027 euro, che ora si vedranno restituire dal Tesoro, che aggiungerà però un regalino di 141.963 euro. Ognuno dei 22 ha investito in media 11.501 euro, e si vedrà rimborsare dallo Stato 6.452 euro più di quelli che ha speso: un premio in questo caso del 35,94%. Ogni giorno la scelta è diversa.

Ad esempio il 6 dicembre scorso quella stessa obbligazione Mps di cui stiamo parlando è stata acquistata sul mercato da un solo investitore, che ha speso 1.695 euro e ora se ne vedrà restituire 3 mila da Padoan, cioè 1.305 euro più del dovuto.

Il premio in questo caso è del 45,50%. In valore assoluto il regalo più grosso che sta per fare il ministro dell'Economia sarà per gli 8 fortunati acquirenti di queste obbligazioni Mps che hanno comprato sul mercato il 14 dicembre scorso.

Complessivamente hanno pagato 2.764.038 euro quei titoli, che ora verranno rimborsati per 5.095.000 euro, con un regalo di 2.330.963 euro. Ognuno di loro ha speso in media 345.504,75 euro, quindi non si trattava certo di piccoli risparmiatori che mettevano lì quel poco che avevano messo da parte mese dopo mese. Padoan che non guarda in faccia nessuno quando si sente di buon cuore, a ognuno di loro regalerà in più la bellezza di 291.370,37 euro. Ma la vera festa su quel titolo la faranno altri 25 risparmiatori. Otto di questi hanno comprato quell'obbligazione il 21 dicembre scorso, e hanno speso in tutto 49.809 euro. Si vedranno rimborsare da Padoan 106 mila euro, e cioè 56.191 euro più del dovuto.

Ognuno di loro ha investito in media 6.226 euro, che verranno rimborsati insieme a un regalo più grande dell'investimento: 7.023,87 euro a testa.

Una pacchia. Che diventa da gran festa per gli altri 17 investitori - più ricchi - che avevano fatto la stessa scelta per i loro risparmi solo 24 ore prima, il 20 dicembre. Hanno investito 3.335.297 euro e ne vedranno restituire ben 7.199.000 euro, con un regalo inatteso di 3.863.703 euro. Ognuno di loro ha investito quindi 196.193 euro in media e nel giro di pochi giorni si trova a guadagnare a spese dello Stato più del doppio: un premio di 227.276,64 euro.

Perché tutto questo avviene? Proprio per la scelta di Padoan di trattare allo stesso modo chi ha investito in quella obbligazione subordinata Mps, rimborsando a ciascuno il suo valore nominale a prescindere dal prezzo di acquisto. Un trattamento nobile, ed assai diverso da quello dei risparmiatori in altri casi di crisi bancarie (come Etruria & C.). Quando in Parlamento è stato fatto notare al ministro dell'Economia, lui ha riconosciuto l'evidente ingiustizia, ma si è scusato dicendo una bestialità: «Non posso fare altrimenti, perché dovrei conoscere il prezzo di acquisto di ciascuno dei sottoscrittori di quella obbligazione e separare l'uno dall'altro migliaia di casi...». A sentire lui un'opera titanica. A guardare i numeri che abbiamo appena citato, un'operazione semplicissima.

Infatti questi dati li hanno ricavati i soliti Alvise Aguti e Silvia Battistelli, che guidano da più di un anno con sapiente consulenza tecnica il gruppo dei risparmiatori aretini truffati da Banca Etruria.

Come spiega Aguti, i dati dell'ultimo mese di acquisti sul mercato «provengono dalle comunicazioni ufficiali di Mps derivanti dagli obblighi della offerta di conversione volontaria presentata nel novembre 2016». Qui si tratta di 807 investitori complessivi che hanno messo sul piatto 41,148 milioni di euro ricevendone indietro dal Tesoro 70,593 milioni. Un guadagno di circa 30 milioni in un mese a spese dello Stato, un milione regalato ogni giorno e prelevato dalle tasche dei contribuenti.

Se si guardasse non solo a quell'ultimo mese, come hanno calcolato Aguti e Battistelli, rimborsando ai risparmiatori Mps solo quello che hanno speso e non regalando indebitamente agli speculatori un premio che non meritano, lo Stato risparmierebbe circa 370 milioni, una somma che è superiore a quella che serve per rimborsare tutti gli altri obbligazionisti subordinati delle altre banche in crisi esclusi dalle procedure dirette e dagli arbitrati. E ne avanzerebbe ancora una parte. Distinguere ogni risparmiatore dall'altro - al contrario di quel che dice Padoan - sarebbe semplicissimo, come nota Aguti: «Il costo di acquisto è un dato noto e registrato da ogni banca, in quanto serve come base di calcolo per eventuali Capital gain. Quindi in un' ora di lavoro di un programmatore si modifica il parametro di rimborso e si risparmiano almeno 300 milioni di euro pubblici».