Il compagno Staino contro i comunisti: "Non sopporto neanche Renzi, ma almeno lui..."
intervista di Francesco Specchia
Non ci sono più i comunisti di una volta. Li ha fatti fuori Renzi. Con tutta la sua arte del disincanto, ora l'architetto Sergio Staino, classe '40, Abramo della satira militante, se ne esce con Alla ricerca della pecora Fassina - Manuale per compagni stanchi, incazzati, smarriti, ma sempre compagni (Giunti pp 292, euro 16). Cioè con una «lettura consigliata ad un pubblico adulto accompagnato da figli o conoscenti giovani che possano tenerlo lontano dalla scene più crude» (scrive Ellekappa nella prefazione) in cui il suo Bobo massacra la vecchia guardia del Pci-Pds-Pd; ne allarga la faglia ideologica già dissestata; e viene, naturalmente, incolpato di renzismo, lapidato da una sinistra quasi più inesistente in natura.
Che triste destino, caro Staino: lei che viene trattato da reietto dalla sinistra di cui era il mentore, il personale Jonathan Swift. L' avrebbe mai detto?
«Veramente, mio caro, io sto presentando il mio libello in giro in tutte le feste dell'Unità d'Italia. Proprio ora ascoltavo a Radio Radicale un'intervista a Piero Folena, sostenitore del "No" al referendum per il Senato. Lei se lo ricorda Folena?».
Come no: elegantissimo, bello, il «braccio Armani di D'Alema», diceva il compianto Angese. È ancora vivo?
«Vivissimo. Sosteneva che "bisogna raccogliere tutte le forze del partito, non ne posso più di questo culto del Capo…", e detto questo, si mette con D'Alema l' uomo che del culto del Capo fu il massimo rappresentante».
Come vede, lei, quest'ennesimo attacco della sinistra d'opposizione al premier?
«Io la vedo bene, si può sperare. Perché una sinistra sia onesta, riformista, moderna bisogna farla senza D' Alema. Che è sempre riuscito a spacciarsi come il più intelligente di tutti pur non avendone azzeccata una. Io lo avvertivo "guarda, stiamo attenti a Berlusconi" e lui rispondeva "Ma figurati Berlusconi dura sei mesi". Oppure dicevo: occhio a Renzi ci fa un paiolo così; e lui: "tranquillo non dura". Infatti s' è visto. Io, come altri, non reagivo e intimorito pensavo: "Non è possibile che si sia sbagliato, D' Alema è troppo intelligente».
Ma, scusi, lei non era un estimatore di D'Alema?
«Stato dalemiano, bersaniano, preservatore della specie. La colpa, lo confesso, è anche mia. Ma oggi questi si lamentano di Renzi, che hanno inventato loro, tra l' altro. D' Alema sputa fuoco - badi bene- dal giorno stesso in cui ha scoperto che avevano nominato al Comitato economico sociale europeo la Polverini, al suo posto...».
Ribadisco: mi risulta che Renzi lei l'abbia sempre combattuto. E oggi, nel libro, lei invece disegna Sabino Cassese come un cartomante, Cofferati come un vecchio rincoglionito, Prodi come un trombone che parla nello stile cadenzato dell' I Ching cinese ma sfancula in bolognese. Non è un voltafaccia alla sua stessa storia?
«Nient' affatto. Non sono renziano. Anche se, tra gli insulti, sono in molti compagni a rinfacciarmelo. Come premier credo che Renzi qualcosa di buono Renzi l' abbia fatta, le riforme piaccia o non ci sono. Ma come segretario del Pd è un casino, oggi il suo è un non-partito; s' è perso il contatto umano, c' è il distacco con la base, s' è persa l' anima. E dire che la fortuna di Renzi è stata proprio il rapporto con la gente».
Azzardo che l' uomo voglia mantenere il doppio ruolo istituzionale per avere potere di vita e di morte sulle liste elettorali. Concorda?
«Ma certo. Ma a che serve se poi i tuoi non ti votano più?».
Lei disegna il premier come un Superman narcisista che vuole candidare a sindaco di Roma Bono degli U2, però lo dipinge come il male minore.
«Guardi, Matteo Renzi lo conosco molto bene, sin da quando, sindaco di Firenze, ci promise dei finanziamenti per manifestazioni culturali. Passò il tempo. Al mio sospetto di promessa mancata mi telefonò dicendo: "'A Sergio ma ti sei bevuto il cervello? Ma ti pare che non ti dò i soldi?"».
E i soldi arrivarono?
«Mai».
Ecco, appunto.
«Renzi era un florilegio di annunci non mantenuti già da allora. Ma almeno lui si muove, c' ha spirito, è fantasioso, lontanissimo dalla figura isterica e farisaica dei nostri dirigenti del Pd. Poi puoi anche non esser d' accordo con lui; a me, per esempio, non piace l' Italicum né la riforma costituzionale, ma capisco che se voto "No" le cose non cambieranno mai».
E Renzi ha vinto un congresso.
«E una volta che uno vince democraticamente il congresso, be', è giusto che comandi e che noi gli ci si metta a disposizione».
Non è che lei mi racconta la rava e la fava renziana perché è in predicato per la direzione dell' Unità?
«Come direttore dell' Unità mi sono proposto io; penso al mio Bobo come punto di raccordo del vecchio partito col nuovo, il simbolo dell' unione di tutta la sinistra che va dalla Boschi a Fassina, l' anima di una forza politica di libertà, non schienata sul capopartito (come invece è ora l' Unità, lontana anche dal progetto iniziale di Renzi). Non basta affidarsi a Facebook, che è, per i rapporti sociali, la cosa che più annichilisce».
Ma scusi, allora non andava bene anche Gianni Cuperlo?
«Esatto. E io, infatti, pregai Cuperlo: prendi tu la direzione del giornale, puoi trasformarlo in qualcosa di bello. Ma lui mollò sotto pressione della minoranza interna che voleva boicottare Renzi a tutti i costi. Anche a me diedero del "servo di Renzi". Il che è davvero ridicolo».
Lei ha vissuto una stagione formidabile di satira. Eravate dei fenomeni: lei, Altan, Vauro, Angese, Andrea Pazienza. Perché ora quella satira è sparita?
«Perché non c' è la passione politica che c' era allora. Oggi è stata sostituita dal rancore che non solo è improduttivo, ma porta alla morte della satira stessa. Oggi la carta stampata è mangiata poi, più che dalla tv, da Internet. Le vignette di Zerocalcare on line ti divorano tutta la satira Rai messa insieme».
Quindi noi tutti dobbiamo rassegnarci a spegnere i sorrisi della satira?
«Ma no. Credo che ci possa essere spazio per un progetto satirico multimediale, l' unico che potrebbe farlo forse è Cairo. L' importante è non fare come nel caso di Charlie Hebdo, le cui vignette, parliamoci chiaro, sono volgarità senza senso. L' ultima vera vignetta divertente loro fu quando Papa Ratzinger diede le dimissioni; tutti ad arrovellarsi sul perché l' avesse fatto, e Charlie Hebdo disegnò il Pontefice abbracciato a una guardia svizzera che sospirava: "Finalmente liberi!". Ecco in Italia nessuno avrebbe pubblicato una cosa del genere. Forse voi di Libero che siete di una bella rozzezza creativa. Lo dico come complimento...».