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giovedì 26 maggio 2016

Inps, il palazzo per feste e party Ecco l'ultima vergogna / Guarda

Inps, un altro palazzo usato per le feste


di Giacomo Amadori



Nel salotto buono di Firenze ci si muove a piedi e per coprire i 300 metri scarsi che separano l’elegantissimo Palazzo Pazzi da quello della Signoria, sede del municipio, bastano 2 minuti. Si può affermare senza tema di smentita che Palazzo Pazzi, detto anche “della Congiura”, rappresenti la sede regionale più pregevole dell’Inps e probabilmente uno dei tesoretti dell’istituto. E così lo scorso 21 maggio, in occasione dell’apertura al pubblico delle sedi storiche dell’istituto previdenziale, una kermesse intitolata Welfarte, ha offerto il programma più affascinante, con tanto di evento musicale.

Sul sito dell’Inps la cornice era così descritta: «Il cortile con un portico a tre lati tra i più suggestivi della città, il salone monumentale, la cappellina affrescata, la sala pompeiana e un’altana dallo splendido panorama, lasceranno senza fiato i visitatori». Nell’androne fa bella mostra una copia dello stemma dei Pazzi attribuito a Donatello: due delfini simmetrici girati verso l’esterno e quattro croci. Per l’occasione l’Inps ha proposto un concerto lirico e l’esibizione del Quartetto d’archi formato dai professori dell’Orchestra del Maggio musicale fiorentino. Guai a pensare che i dirigente dell’istituto abbiano pensato solo all’intrattenimento: «Non mancheranno momenti istituzionali per consentire agli interessati di usufruire di consulenze previdenziali presso le 3 postazioni Inps che saranno presidiate per l’intera giornata» era precisato sul sito.

Il complesso è suddiviso in tre piani e ha un appendice in via del Proconsolo 8. Al catasto 25 vani sono registrati come uffici; altri 39 vani sono iscritti come «abitazione di tipo economico», mentre al piano terra si trovano 5,5 vani «popolari», adibiti ad aule di formazione e per l’informatica. A questi 70 locali bisogna aggiungere circa 30 mila metri cubi di «uffici pubblici» in uno dei più bei palazzi di Firenze e quindi d’Italia e quindi del mondo. Al piano nobile c’è il celebre salone monumentale che può ospitare un’ottantina di invitati. Purtroppo gli ambienti sopra al salone sono senza pavimenti visto che quei solai sono inutilizzati e abbandonati al degrado da decenni.

L’ex direttore regionale dell’Inps della Toscana Fabio Vitale, rimasto in carica dal 2009 al 2014, aveva proposto di mettere a reddito questa sede regionale e di trasferire gli uffici in uno stabile periferico, precisamente in viale Matteotti, un edificio ereditato dall’Inpdap che è stato oggetto di numerosi interventi mai conclusi visto che l’impresa edile a cui erano stati affidati è fallita. La proposta di Vitale non venne però accolta. Eppure nei libri contabili dell’istituto Palazzo Pazzi è valutato circa 100 milioni di euro e ogni anno, secondo le notizie raccolte da Libero, costerebbe un’esagerazione di manutenzione straordinaria (almeno 1-2 milioni l’anno) e ordinaria (circa 100-150 mila euro l’anno). Palazzo Pazzi, è uno dei migliori esempi in città di architettura civile del Rinascimento.

Venne costruito tra il 1458 ed il 1469 e per alcuni al progetto avrebbe lavorato Filippo Brunelleschi, autore della cappella Pazzi. In quei saloni sarebbe stata ideata la congiura del 1478 contro Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano, che nell’agguato perse la vita. Per questa mattanza i Pazzi vennero esiliati e l’edificio passò di mano in mano. Dalla famiglia francese dei d’Estonville ai Medici ai Malaspina. Successivamente toccò agli Strozzi. Nell’’800 ospitò un istituto religioso e la sede della massoneria del Grand’Oriente d’Italia. Nel 1913 venne acquistato dalla Banca di Firenze, la quale lo fece restaurare dall’architetto fiorentino Adolfo Coppedè. Il passaggio all’attuale proprietario, l’Inps, avvenne in piena epoca fascista, nel 1931. Nel dopoguerra il palazzo fu oggetto di importanti restauri che restituirono all’edificio in suo aspetto quattrocentesco, l’ultimo dei quali, molto dispendioso, si è concluso sei anni fa.

Nonostante i costi esorbitanti nessuno all’Inps sembra intenzionato a privarsi di una sede tanto prestigiosa e così adatta a suggestivi concerti musicali

Calcio e scommesse, trema la A: sospetti sulle gare di Napoli e Milan

Calcioscommesse, trema la Serie A: puntate sospette anche su Napoli e Milan



Il calcio italiano non trova pace. Prima i flussi anomali di scommesse sull’espulsione di Mirko Gori durante la partita fra Frosinone e Napoli, poi gli arresti al gruppo di camorra “Vanella Grassi” di Secondigliano che avrebbe orientato alcune partite di B, e, oggi, un presunto dossier dei bookmaker su alcune combine in Serie A. Un’escalation di pessime notizie per il mondo del pallone che, sempre più, perde la sua credibilità sotto i colpi di inchieste, arresti, penalizzazioni e carte bollate.

Il dossier - Secondo quanto riporta La Repubblica lo scandalo calcioscommesse potrebbe allargarsi con 5 gare di Serie A e 11 di Lega Pro sotto osservazione. I bookmaker infatti, hanno preparato un dossier che nei prossimi giorni verrà inviato alle autorità competenti. Nel fascicolo vengono segnalati alcuni “movimenti anomali" del campionato appena terminato. Le partite sospette sarebbero Frosinone-Milan 2-4. Frosinone-Napoli 1-5, Genoa-Frosinone 4-0, Verona-Frosinone 1-2 e Napoli-Frosinone 4-0. Secondo la fonte del quotidiano però, il fatto che riguardino tutte il Frosinone "non sta a significare che la società o i calciatori abbiano responsabilità dirette. Non abbiamo alcuno strumento per valutarlo. Ma certo le puntate registrate sono state molto strane".

Lega Pro - Ci sono sospetti riguardanti anche la Lega Pro. Sono state già denunciate alla procura di Catania, 11 partite della terza serie: la maggior parte riguarda il Messina, ma ricompare anche il nome del Catania. Per il momento non ci sono elementi per delineare responsabilità delle società "ma alcune situazioni hanno davvero dell’incredibile: ci sono autogol che ricordano i tempi dell’inchiesta di Cremona".

mercoledì 25 maggio 2016

Voragine di 200 metri sul Lungarno aiuto ingoiate: di chi è la colpa?

Voragine di 200 metri inghiotte le auto sul Lungarno a Firenze



Una voragine di circa duecento metri per sette si è aperta a Firenze sul Lungarno Torrigiani, tra Ponte Vecchio e Ponte alle Grazie. Il cedimento è stato causato dalla rottura di un tubo di circa 70-80 centimetri di diametro e l'acqua ha scavato sotto il manto stradale fino a provocare la voragine: circa 20 auto sono state inghiottite dalla voragine ma nessuna persona è rimasta ferita. Sul posto sono accorse diverse squadre dei vigili del fuoco, con un team di sommozzatori, che stanno aspirando l’acqua per permettere anche agli addetti di Publiacqua di procedere alle riparazioni. La società che eroga il servizio dell'acqua in città ha dovuto ridurre la pressione dell’acquedotto.

In città si registra una quasi totale mancanza d’acqua, e sono a secco anche alcuni comuni dell’interland fiorentino. Nella zona colpita dallo smottamento manca anche la luce, fanno sapere i vigili del fuoco. Due palazzi, i civici 25 e 27 che si affacciano su lungarno Torrigiani, sono stati evacuati per precauzione. Per le ore 11 è stata convocata dal sindaco di Firenze Dario Nardella l’unità di crisi a Palazzo Vecchio con la protezione civile e Publiacqua, la società affidataria della gestione del servizio idrico locale, per discutere della situazione. Il sindaco ha riferito che non si può escludere che lo smottamento possa continuare.

Schumi, ultimo bollettino medico: le clamorose parole di Montezemolo

L'ultimo bollettino medico di Schumi, le clamorose parole di Luca Cordero Montezemolo



"Ho saputo che Micheal Schumacher sta reagendo alla cura ". Le parole di Luca Cordero di Montezemolo ridanno forza alla speranza dopo le brutte voci circolate nei giorni scorsi sulla salute del campione. Qualche settimana fa alcune indiscrezioni avevano fatto temere il peggio per l'ex pilota della Ferrari. Alcuni media statunitensi avevano riportato la notizia di un forte peggioramento delle sue condizioni di salute. "Lui è una persona eccezionale, dotata di una grande forza. Sono certo che la sua determinazione gli permetterà di uscire da questa situazione molto difficile. Me lo auguro davvero. Michael è senza dubbio il più grande pilota della storia della Ferrari”, ha aggiunto Montezemolo alla Cnn. Negli ultimi tempi le notizie sulla salute del campione di Formula Uno si erano susseguite incessanti: dapprima si diceva che soffriva di “morte celebrale”, poi che era morto, poi che si sarebbe svegliato e avrebbe descritto a tutti i presenti il paradiso adesso torna la speranza. 

Sentenza Esposito: 26 anni a De Santis La madre di Ciro: "Ho perdonato"

Omicidio Esposito, arriva la sentenza per De Santis



È stato condannato a 26 anni di carcere Daniele De Santis, l'ultrà giallorosso accusato di aver ferito e ucciso Ciro Esposito durante gli scontri che precedettero, il 3 maggio del 2014, la finale di Coppa Italia, fra Napoli e Fiorentina. La sentenza dei giudici della terza sezione della Corte d'Assise di Roma è stata letta nell'aula bunker di Rebibbia dopo tre ore e mezza di camera di consiglio. Oltre a De Santis, nell'ambito del processo per l'omicidio di Ciro Esposito, sono stati condannati a 8 mesi di reclusione per rissa aggravata e lesioni (con pena sospesa) anche i tifosi partenopei Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito. Entrambi sono ritenuti parte del gruppo che provocò gli scontri durante i quali Ciro venne ferito a morte.

La vicenda - Il giovane venne colpito, poco prima della finale di Coppa Italia Fiorentina Napoli del 3 maggio 2014 da un proiettile che gli ferì un polmone e arrivò alla colonna vertebrale. Il trentenne morì nel Policlinico Agostino Gemelli di Roma, dopo 53 giorni di agonia. I pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio avevano chiesto l'ergastolo per De Santis e tre anni di reclusione per Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito.

Le dichiarazioni - In aula, oggi anche la mamma di Ciro Esposito, Antonella Leardi, che così ha commentato la sentenza: "La pena inflitta è congrua e giusta, per De Santis non provo odio perché l'ho perdonato". In aula le urla degli amici di Ciro Esposito giunti per ascoltare la sentenza: "Devi marcire per quello che hai fatto". Di tutt’altro avviso invece Tommaso Politi, legale di De Santis che ha dichiarato: "Non mi aspettavo questa sentenza perché le nostre argomentazioni erano solide e tanti testimoni hanno raccontato che il mio assistito ha cercato di sottrarsi a un linciaggio. Per questo mi sarei aspettato un proscioglimento per legittima difesa". Inoltre, l'imputato dovrà pagare una provvisionale complessiva di 140 mila euro ai familiari della vittima.

Porro, confessione totale a Telese: "Santoro, Fazio e quel dramma"

Porro intervistato da Telese: "Io, Santoro, Fazio e quel dramma in famiglia"

di Luca Telese


Nicola, sei sulla cresta dell’onda! «(Ride) Non posso rilasciare interviste, Luca». Che fai, adesso, te la tiri anche con me? «Voglio essere chiaro, soprattutto con un amico: non dico più nemmeno una parola su Rai, Virus o Campo Dall’Orto!». Perché ci hai già litigato troppo? «(Tono sospettoso) Luca, ti ho detto che non parlo di Rai! Non fregheresti un amico, no? Sono un aziendalista». Sì, ma so bene che tu al mio posto lo faresti, quindi… «(Risata crassa) Sono indignato, ma hai ragione. Possiamo parlare di tutto, tranne che del programma. Quello che dovevo dire l’ho già detto. Ogni altra parola è superflua». 

Per lunghi anni, Nicola Porro e io siamo andati In Onda insieme su La7. Un programma a due è come un fidanzamento: o ti sposi o ti separi (e vuoi gli alimenti). Noi incredibilmente andavamo d’accordo. Avevamo un compito che ci riusciva benissimo: lui raccontava le cose partendo da un punto di vista “di destra”, io da un punto di vista “di sinistra”. Il massimo della differenza e il massimo della sintonia, nel rispetto della diversità. Ho capito allora che Nicola è un liberale vero. La gente ci ferma, ancora oggi: “Come facevate a sostenere sempre due cose opposte? Era tutto scritto?”. Veniva naturale: una volta partiva lui, una volta io - a braccio - e l’altro era obbligato a variare all’impronta. Un ospite lo invitavo io e uno lui, un servizio lo immaginavo io, uno lui. Poi Nicola ha creato Virus su Raidue: per una strana follia, proprio nell’anno dei suoi record, lo chiudono. L’ultima puntata ha superato il 6%. 

Cosa farai? 

«Combatto per portare sempre in scena, spero alla Rai, l’idea più sbagliata e metterla a confronto con quella dominante. Il contagio delle idee è un valore».  

Ti offrono, un programma, domenica pomeriggio, accetterai? 

«No comment».  

L’unico talk "di destra": una condanna o una fortuna?  

«In un paese in cui in tutti i salotti definirsi di sinistra sembra un certificato di cittadinanza, pena l’indegnità, sono contento di essere bollato “di destra”».  

Tu cosa sei?  

«Un liberale. Punto». 

Cosa significa, questo, nella tua tv? 

«Raccontare gli invisibili, chi non ha successo». 

Ovvero? 

«Le persone inutili per i salotti di oggi, che - per dire - non sono à la page per Fazio, non hanno il faccione».  

Quali sono i "salotti di oggi"? 

«Un tempo erano Mediobanca e le sorelle Crespi. Oggi, per trovare un simbolo, sono due locali radical chic di Roma, sono Settembrini e il Salotto 42». 

Quartiere Mazzini: produttori, sceneggiatori e del cinema, e in centro.  

«Due piccoli templi del pensiero dominante. Ovvero di ciò che le persone fiche, le persone giuste pensano».  

Non è da te inveire!  

«Giornalisti e i politici, spesso prigionieri nel circuito del potere, hanno un fortissimo rischio di allontanarsi dalla realtà. La confondono con quel che si dice al Settembrini e al Salotto 42».  

Avevi un nonno liberale!  

«Nicola come me, cognome Melodia, è stato vice-presidente del Senato. Ma non l’ho mai conosciuto. La mia famiglia era di destra, vagamente nostalgica, papà votava Msi».  

So che con Vendola avete ricordato le sorelle Porro.  

«Agrarie, zitelle e incolpevoli. Ma sorelle e zie di fascistissimi Porro pugliesi». 

Vennero trucidate nel 1945, siamo dalle parti di Pansa. 

«Furono linciate, stuprate e lasciate nude sulla pubblica piazza di Andria. Io Il sangue dei vinti ce l’ho nelle vene».  

Eppure nel dna non hai l’odio.  

«Mio padre Maurizio e mia madre Lucilla non mi ha trasmesso nulla di tutto questo: non una parola di rancore. Era come se tutti in famiglia avessero accettato la fatalità brutale della guerra civile».  

Come faceva a non odiare? 

«Lui fu mandato in Svizzera a studiare: parla il tedesco meglio dell’italiano. Mai avuto una tradizione orale di quel dramma». 

Pazzesco.  

«Dopo, con i rapimenti degli anni ’70 in casa mia giravano armi. In campagna papà dormiva con la 38 special sopra la sponda del letto. Sapevo, ma non ne parlavamo». 

E il Pli? 

«Sono del 1969. Rimasi folgorato dalla lettura di un saggio di Antonio Martino che mi aveva prestato il mio amico Antonio De Filippi fratello di Giuseppe».  

E i cugini radicali, il fascinoso Pannella? 

«Zecche: non potevo proprio tollerare di essere chiamato da qualcuno “compagno”». 

E gli odiati cugini repubblicani? Più a sinistra di voi.  

«Macché di sinistra! Ho conosciuto Oscar Giannino con i capelli, senza bastone e senza ghette. Ma era più padronale di me. Mi sono convinto a votarlo quando ho scoperto la storia della sua finta laurea: è indecoroso il linciaggio che ha subito». 

Politica all’università?

«Capisco cos’è il conflitto perché vengo menato sia dai fascisti che dai comunisti».  

Spiegami un motivo di rissa.  

«Quando giravo per i corridoi di economia spiegando: “Le tasse universitarie devono essere più alte!”». 

Facevano bene a menarti.  

«È un principio di equità. I dieci delle classi sociali più ricche che si laureano, hanno un futuro. È giusto che se lo paghino. Chi non ha soldi viene finanziato con una borsa di studio. Chi perde tempo paghi».  

E dopo la laurea? 

«Mi chiama Ferrara che apre il Foglio, ci incontriamo al Radetzky e poi la prima, unica e provvidenziale raccomandazione della mia vita: Paolo del Debbio chiama Carlo Maria Lomartire e gli chiede di trovarmi un lavoretto a Rete Quattro». 

E che fai? 

«Mi devo svegliare alle cinque di mattina per una rassegna stampa. Con una Yahamaha Teneré 600 fichissima. Compravo i giornali e li portavo in redazione».  

Ma torni anche sulla carta stampata.  

«Ferrara e il grande Sergio Zuncheddu, editore de Il Foglio, mi offrono di fare una pagina finanziaria del quotidiano. Dura un anno. Un giorno Giuliano, quasi serafico mi fa: “Da domani non esci più”. Ho metabolizzato in quel momento la flessibilità. Svengo. Però poco dopo mi assume al Foglio».  

Poi torni all’economia.  

«Nel 2000 mi chiama Paolo Panerai e con Giuseppe De Filippi fondiamo Class Financial Network. Copiando spudoratamente Cnbc». 

E poi? 

«Il buon risultato mi procura la chiamata di Belpietro. Pensa: non l’avevo mai visto. Nel 2003 mi dice: “Vuoi venire a fare il capo dell’economia a Il Giornale?”».  

E tu? 

«Mi pare incredibile: la prima volta che mi vede mi assume». 

Il passaggio a La7? 

«Ero in vacanza a Stromboli. Gianni Stella, detto "Er canaro", una leggenda, si presentò in elicottero!». 

E tu? 

«Andai a prenderlo con l’Ape. Mi disse all’orecchio quando mi volevano dare a puntata. Capii male. Temevo pochissimo. Ero imbronciato. E così lui, davanti a mia moglie: “Sai quante donne rimorchi con la tv!”». 

E Allegra? 

«Donna di classe infinita: “Allora Nicola accetta!”». 

Te ne vai a Raidue litigando con Cairo per una sciocchezza. 

«Malamente, insulti. Subito dopo diventiamo amici. Questo ti dice la grandezza dell’uomo».  

E il passaggio alla Rai?

«Ho avuto libertà straordinaria. In poche settimane mettiamo su un programma di prima serata partito il 3 luglio. Se si muove la macchina di viale Mazzini non ce n’è per nessuno».  

Non hai citato Feltri.  

«Solo perché ora è direttore. Per me è un maestro. Ha una dote rara: rendere semplici le cose complesse. Quando inizio a scrivere me lo vedo davanti come Obi Wan Kenobi che me lo ripete. È difficile semplificare senza banalizzare». 

Altro maestro? 

«Non ci crederai: Santoro. Nei suoi programmi, dove si andava a combattere, sono diventato “il berlusconiano dal volto umano”». 

E il tuo amore-odio con Freccero? 

«Ripete sempre che sono bravissimo nella carta stampata, che vesto bene, e che passo tutti i miei week a Saint Tropez». 

La terza cosa è quasi vera. 

«Ho conquistato tutto da solo non ho motivo di vergognarmi». 

Non sei cool, Nicola.  

«A vent’anni andavo al Piper la sera, e il giorno litigavo con i compagni».  

E quindi? 

«Per fare il giornalista non devi essere malvestito, ma con la giacca di Armani stropicciata, avere la barba incolta, e una multiproprietà in Puglia. Capisco, però, che aiuta molto».

Parla la moglie di Dell'Utri "Le prigioni di mio marito tra infezioni e svenimenti in cella"

"Infezioni, botte, svenimenti: vi racconto le prigioni di mio marito Dell'Utri"


intervista di Pietro Senaldi
 e Lucia Esposito



Signora Dell'Utri come sta suo marito?

"Non bene. È in terapia intensiva all'ospedale Sandro Pertini di Roma ormai da più di una settimana. Sembra rispondere bene al cocktail di antibiotici prescrittogli da un infettivologo e la setticemia dovrebbe essere sotto controllo, ma è anche cardiopatico da più di quindici anni, ha subìto quattro interventi al cuore, ed è diabetico da tanto tempo. Le sue sono, purtroppo, patologie serie e pregresse, non spuntate con i guai giudiziari. Sono precedenti al carcere duro e mi sembrerebbero poco compatibili con esso".

È vero che è piantonato?

"Sì è vero, è prescritta per legge una sorveglianza costante che viene effettuata contemporaneamente da tre agenti della polizia penitenziaria. Viene trattato come un uomo pericoloso anziché come un anziano malato".

Lei può vederlo?

"La direzione del carcere di Rebibbia, in questa fase acuta, ha autorizzato visite quotidiane di trenta minuti al giorno a me e ai miei quattro figli".

Come sta psicologicamente?

"I primi giorni era poco reattivo, addirittura soporoso, per lui parlava solo il male. Adesso riesce a sostenere una conversazione".

È più rassegnato o arrabbiato?

"Non è mai stato né rassegnato né arrabbiato, e anche in questo momento di sofferenza acuta è sempre rimasto coerente con sé stesso. Non ha mai avuto parole di odio o di rabbia verso nessuno. Con noi familiari il suo sense of humor prevale su tutto, è lui che riesce a tranquillizzarci e trasmetterci l'energia per andare avanti. Questo fa parte del suo carattere da sempre; è un suo punto di forza".

La signora Miranda Dell'Utri negli ultimi due anni ha visto il marito solo nella sala colloqui del carcere di Parma, dove fino a due settimane fa era recluso in regime di massima sicurezza. Causa, la condanna in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti precedenti al 1994. Autorevoli giuristi hanno evidenziato i dubbi confini giuridici di tale fattispecie, di natura giurisprudenziale e non presente nel codice penale, e la sua difficile verifica probatoria. Da ultimo, anche la Corte Europea dei diritti dell' Uomo ha ritenuto illegittima la condanna emessa per lo stesso reato nei confronti di Bruno Contrada, l' ex numero uno del Sisde, affermando che, fino al 1994, la giurisprudenza italiana sul concorso esterno non consentiva la tipizzazione del reato e quindi non permetteva all' imputato di prevedere gli effetti negativi della propria condotta. Una tempistica che coincide perfettamente con quella del processo Dell' Utri.

Suo marito fino a quindici giorni fa era rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Parma...

"Lo hanno portato lì per i suoi problemi di salute perché il carcere di Parma è dotato di un centro clinico. Il regime di massima sicurezza, a cui mio marito è sottoposto, prevede che si possano fare solo due ore d'aria al giorno durante le quali lui poteva camminare, sempre in isolamento, in un "cassone di cemento" di sette metri per sette con mura alte sei metri. Immaginatevi d'estate quando le temperature raggiungono i quaranta gradi!".

Si può parlare di carcere duro?

"Ho letto nel rapporto delle attività del garante dei detenuti che nel carcere di Parma ci sono 530 detenuti che costano circa 29 milioni all'anno. Di questi soldi solo 3.500 euro vengono annualmente investiti per le attività trattamentali e il recupero sociale. Non è un caso se il 70%, dei detenuti sono recidivi. Escono e poi tornano dentro".

Quante volte poteva vedere suo marito?

"Un'ora alla settimana, non più di tre familiari insieme. Nel regime di massima sicurezza sono concesse anche due telefonate al mese con i familiari di dieci minuti ciascuna. Per telefonate aggiuntive bisogna presentare un'istanza al direttore del carcere che di volta in volta, a sua discrezione, decide se autorizzare o meno. Quando nacque due anni fa il nostro primo nipote maschio, il giudice non autorizzò quella telefonata in più".

Ma aveva l' assistenza medica?

«Il regolamento prevede che per ragioni di sicurezza non si possono trasferire in ospedale più di tre detenuti al giorno. Il che significa che per effettuare esami ospedalieri ci può essere anche un'attesa che dura mesi. Vi faccio qualche esempio. Il 16 gennaio del 2015 il cardiologo prescrive a mio marito un elettrocardiogramma da sforzo. Il 26 febbraio il medico, dopo un'altra visita, sollecita l'importanza di quest'esame. Ma solo ad aprile, tre mesi dopo la prima richiesta, mio marito riesce a fare l'elettrocardiogramma sotto sforzo".

Perché queste lungaggini?

"La mia impressione è che manchino le risorse e che ci sia una burocrazia eccessiva".

Come passava le giornate in carcere suo marito a Parma?

"Leggendo, studiando e scrivendo. Poi si è occupato di riorganizzare la biblioteca del carcere. Aiutava anche gli altri detenuti a scrivere lettere personali ai famigliari".

I libri poteva portarli in cella?

"All'inizio solo tre, non più di tre e non rilegati, anche questo fa parte del regolamento. Poi gli hanno consentito di tenerne di più. Aveva sempre con sé La Divina Commedia e un dizionario italiano. Poi, a seconda di quello che decideva di studiare, libri di storia, poesia, filosofia e letteratura".

Come andava con il cibo?

"Anche in questo caso ci sono regole ferree. I familiari possono portare in carcere solo alcuni cibi, ma non sempre la logica è comprensibile: mele fresche sì, quelle essiccate no. Salmone e pesce spada sono consentiti perché non hanno lische immagino, ma non è accettato il baccalà o un carpaccio di branzino".

Quanto sono peggiorate le condizioni di suo marito in carcere?

"Durante questi due anni è dimagrito molto, ha avuto diversi episodi prelipotimici (svenimenti) a causa di uno scarso controllo della glicemia che deve essere continuamente monitorata nei pazienti diabetici. In uno di questi episodi ha battuto la testa riportando delle escoriazioni che sono state trattate il giorno dopo".

È stato un calvario...

"Veramente gli anni di calvario ormai sono 22: il processo è iniziato nel 1994, e anche quello è un calvario non da poco, mi creda. Comunque sì, in carcere anche episodi clinici di scarsa rilevanza rischiano di avere conseguenze molto gravi. Lo scorso anno, per esempio, ha avuto un episodio di bronchite che a domicilio si sarebbe risolto in fretta mentre in detenzione è durato più mesi ed è stata necessaria una profilassi antibiotica per evitare il rischio di tubercolosi dato dalla promiscuità dell' ambiente detentivo e dalle scarse condizioni igieniche della struttura. Questo ha comportato un ulteriore indebolimento fino a giungere agli ultimi mesi quando gli è stata diagnosticata un' infezione alle vie urinarie che è stata trascurata ed è degenerata nell' attuale stato di sepsi generalizzata molto grave".

Sono peggiorate anche dopo il trasferimento a Roma?

"Il lungo viaggio di sette ore in ambulanza durante il quale mio marito è stato sdraiato tutto il tempo e non si è idratato adeguatamente per non chiedere di fare soste, secondo i medici, ha contribuito a un aggravamento dell'infezione preesistente con un ulteriore peggioramento fino alla setticemia".

Non si sono mai fermati?

"Una sosta all'autogrill, che è stato prima fatto evacuare con una scena da film western".

Quando si è sentito male?

"Poco dopo il suo arrivo, martedì sera. Inizialmente gli hanno diagnosticato un'influenza. Due giorni dopo non si alzava più dal letto e una dottoressa, che ringrazierò tutta la vita, lo ha mandato d'urgenza in ospedale. La situazione era molto grave". 

Secondo lei in che stato uscirà dal carcere suo marito? 

"Da un punto di vista fisico non lo so, spero che possa continuare a mantenere il suo equilibrio".

Da un punto di vista umano?

"Credo che un' esperienza del genere ti porti a fare delle considerazioni sulla tua vita e ti faccia rivalutare tante cose che magari prima non avevi considerato". Sansonetti l'ha definito un prigioniero politico: come mai dopo la nascita di Forza Italia la magistratura si è accanita su di lui? "Non mi occupo di politica e di giustizia. Mio marito non polemizza e non attacca per natura. Neppure quando si tratta di difendere la sua immagine".

Ha paura per lui?

«Ha 75 anni ed è malato» Se non chiederà la grazia e non ci saranno sconti di pena quando ne uscirà ne avrà 80... «Le condanne per mafia sono durissime, quella parola è capace di azzerare tutto il resto».

Chiederà la grazia?

"Al momento posso solo risponderle che non lo so". Già, la grazia. È il tema caldo. Concessa da Mattarella poi, palermitano e fratello di una vittima di mafia, equivarrebbe a una sconfessione dell' Anm e di tutto il teorema mafia-Berlusconi. La decisione spetta a Dell' Utri e solo a lui, anche se in realtà la legge ne attribuisce la facoltà anche ai famigliari. Certo, perché arrivasse, servirebbe anche un movimento d' opinione pubblica in tal senso, sempre che qualcuno non decida di evitare allo Stato una figuraccia mortale.