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martedì 29 settembre 2015

Porta gli amici pensionati nella sua vigna Multa da 20mila euro. Il motivo? Assurdo

Cuneo, organizza la vendemmia con gli amici: gli fanno una multa da 20 mila euro per lavoro nero e caporalato




Come ogni anno a ottobre si raccoglie l'uva matura e per questo Battista Battaglino, un 63enne pensionato di Castellinaldo d'Alba (Cuneo), aveva invitato quattro amici per aiutarlo nella vendemmia. Ma questa volta, come racconta La Stampa, le cose non sono finite come ogni anno con una bella cena rifocillante. Tra le fila dei piccoli vitigni infatti sono comparsi alcuni ispettori del lavoro, che gli hanno consegnato una multa di ben 19.500 euro per lavoro in nero. A nulla è valsa la spiegazione di Battista e degli amici, che hanno tentato disperatamente di evitare il salatissimo dazio.

Addio vendemmia - "Queste vigne sono nostre da generazioni e non ci era mai capitata una cosa simile. Produciamo un po' di vino per noi e per i nostri amici ogni anno, ma questo forse sarà l'ultimo. Ed è anche saltata la consueta cena tra amici a casa dopo la vendemmia", hanno spiegato Battista e la moglie Ada. A difendere Battista ci ha pensato anche il sindaco del paese, Giovanni Molino: "Non siamo mica un paese dove c'è il caporalato, qui tutti si aiutano a vicenda e Battista è una persona semplice, che fa la vendemmia con gli stessi strumenti di tanti anni fa. Multarlo è pazzesco, considerarlo un evasore è offensivo".

Hacker "dentro" due banche italiane Rubati seimila nomi, mail e password

Intesa Sanpaolo e Unipol Banca, hacker in azione: rubati 6.000 nomi, password, mail e numeri di telefono




Allarme attacco hacker a Intesa Sanpaolo e Unipol Banca. "Abbiamo violato i loro sistemi": ad annunciarlo, domenica 27 settembre, è Ghost Italy, cellula nostrana di Anonymous, che afferma di aver trafugato dai database dei due istituti 6mila tra mail, numeri di telefono, nomi e password di dipendenti e clienti. Le due banche però si sono affrettate a smentire la notizia rilanciata da Repubblica: "Da noi non ci sono stati accessi". I dettagli forniti da Ghost Italy però sembrano nutriti: i nomi "rubati" sarebbero ordinati "per dominio e azienda - scrive Repubblica -, elenchi di persone che farebbero capo o avrebbero relazioni con Intesa, Unipol, Wind, Enel, Engitel". "I dati pubblicati online sono a disposizione di un fornitore esterno. Escludiamo impatti per la nostra clientela", ha spiegato Intesa, rassicurando che le password a disposizione del fornitore non sono quelle reali. A guidare i pirati informatici di Ghost Italy c'è l'ormai tradizionale lotta contro il capitale 2.0: "Quale strada troveranno per continuare a sfruttare le nostre vite e il nostro lavoro? Gli interrogativi sono tanti, ma una cosa è certa, nei tempi che verranno lo scopriremo, le banche sono un nemico sociale che per troppo tempo ha agito indisturbato, ora è tempo di dire basta". A Repubblica gli hacker rivendicavano così l'azione, denominata #OpBankDump: "L'attacco è stato anche fatto per dimostrare quanto loro non tengano ai nostri dati ed alla nostra privacy, pagano con i nostri soldi milioni di euro per proteggerci ed alla fine lo fanno invano. Quando abbiamo violato Intesa, in essa c'erano 90 database".

Attenzione ai negozi Apple tarocchi Dall'insegna ai commessi, la mela è finta

Cina, proliferano i negozi Apple tarocchi




In Cina non taroccano i prodotti Apple, taroccano direttamente i negozi. Secondo quanto riporta hdblog.it questi negozi si stanno moltiplicando. Questi centri sembrano gli originali: dipendenti in t-shirt blu, logo con la mela mangiata, espositori... Tutto finto. L'unica cosa originale sono i prodotti Apple, in vendita al doppio del prezzo di listino. Nel Paese asiatico, infatti, la richiesta di questi prodotti è talmente alta che in molti non esitano a sborsare un sacco di soldi per poterseli assicurare. Al momento la società di Cupertino ha 22 centri in tutta la Cina, a fronte dei 30 non autorizzati.

Bangladesh, ucciso un italiano L'Isis rivendica: "Siamo stati noi"

Bangladesh, ucciso cooperante italiano 50enne: "Tre persone hanno sparato da una motocicletta". L'Isis: "Siamo stati noi"




Un cooperante italiano di 50 anni, Cesare Tavella, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Dacca, capitale del Bangladesh. L'Isis ha rivendicato l'omicidio, secondo quanto scrive Rita Katz, direttore del sito di intelligence Site.

La ricostruzione - "Un 50enne, Cesare Tavella, è stato raggiunto per tre volte da spari nella zona di Gulshan, nella capitale, oggi pomeriggio", ha affermato un portavoce della polizia di Dacca, Muntashirul Islam. "È morto dopo essere stato trasportato in ospedale", ha aggiunto. La dinamica dell'uccisione non è ancora chiara. Secondo il portavoce, i tre aggressori sono fuggiti a bordo di una motocicletta dopo aver aperto il fuoco. La polizia ha spiegato che Tavella lavorava per la Icco Cooperation, organizzazione che si occupa di cooperazione allo sviluppo ed ha uffici in Bangladesh.

lunedì 28 settembre 2015

Il "suicidio" di Renzi in diretta tv Profezia di Pansa: finirà malissimo

Giampaolo Pansa, fantasia d'autunno: il talk show di Matteo Renzi si rivelà un disastro


di Giampaolo Pansa



Volete una storia che nessuno vi ha mai raccontato? Eccola. Nel tardo autunno del 2015, Matteo Renzi, l’audace premier italico, si rese conto di una tragica realtà. I talk show televisivi delle reti pubbliche e private se ne infischiavano delle sue critiche. I vari Gruber, Floris, Giannini, Formigli, Porro, Telese, Merlino, Paragone e compagnia seguitavano imperterriti a presentare l’Italia renziana come una nazione a rotoli. Senza lavoro per i giovani, stracolma di clandestini, in mano alle bande della camorra, della ’ndrangheta e della mafia. Per non parlare dei mariti che sgozzavano le mogli con una ferocia che non aveva nulla da invidiare ai tagliagole del Califfato nero.

Renzi non ne poteva più di essere preso per i fondelli da una squadra di televisionisti cialtroni. Gli rovinavano le giornate e il fegato, al punto di farlo dubitare di se stesso. Si osservava di continuo nello specchio e ruggiva: «Mi sembra impossibile che i gufi, i rosiconi, i menagramo abbiano la meglio sul più grande premier italiano del dopoguerra. Non posso farmi mettere sotto da una banda di scansafatiche. Devo immaginare qualcosa per mandarli al tappeto».

Il qualcosa glielo suggerì il suo spin doctor, il consigliere più esperto e più fedele: Filippo Sensi. Una sera disse a Renzi: «Esiste un solo sistema per rottamare quei mangiapane a ufo». «E quale sarebbe?» domandò ansioso il Fiorentino. Sensi gli spiegò: «Dobbiamo inventarci un talk show renzista, del tutto favorevole a te, presidente. E farlo trasmettere dalla Rai a reti unificate. Quindi convincere i padroni delle emittenti private a mandarlo in onda, a scanso di guai. Sarà una sorpresa per tutti. E sono sicuro che avrà un successone sorprendente».

Ottenuto l’ok di Renzi, Sensi si mise subito all’opera, insieme a Luca Lotti, detto Truciolo d’Oro. In virtù del suo faccino da adolescente un tantino malvagio, Lotti sarebbe stato anche il conduttore del talk presidenziale. I due compari non ci misero molto a immaginare la struttura del programma. Doveva essere a blocchi, un personaggio dopo l’altro. Sensi disse: «In questo modo eviteremo la babele di ospiti e di opinioni che hanno un solo scopo: sputtanare Matteo e il nostro governo».

Per essere pronti all’esordio, venne preparato un numero zero del programma, una prova generale registrata in segreto nella sala delle conferenze stampa di Palazzo Chigi. Protetta da una pattuglia di guardie giurate, provvista di mitragliette. Fu anche deciso il nome del programma. Semplicissimo e molto popolare: “Viva l’Italia!”. Quindi si iniziò a girare un blocco dopo l’altro.

Il primo vip a essere intervistato fu Denis Verdini. L’ex consigliere di Berlusconi stava al meglio della forma. Aveva una chioma leonina e la faccia da simpatico barabba. Lotti lo interrogò su un tema spinoso: l’arte di cambiare sponda. Denis fu davvero grande. Sproloquiò sulla necessità di non restare mai uguali a se stessi: la vita è un succedersi di mutamenti, si nasce, si cresce, si matura, si cambiano amici, donne, partiti, premier. Confessò: «Non mi sono venduto a Renzi. Mi sono innamorato di lui. Se non fossi un incallito donnaiolo, vorrei passare notti furibonde con il Rottamatore».

Poi toccò al ministro Maria Elena Boschi, più splendente che mai. A Palazzo Chigi tutti erano invaghiti di lei. Anche Lotti stravedeva per la ragazzona di Arezzo. La passione per le curve di Maria Elena mandò in tilt Truciolo d’Oro. Cominciò a presentarle domande scabrose, sulla vita privata, gli amori, il sesso. La ministra si incavolò e mandò Lotti a spazzare il mare. Poi spiegò a Renzi: «Partecipo volentieri a “Viva l’Italia!”, ma non voglio avere tra i piedi quel maniaco pronto a molestarmi».

Andò meglio con il direttore dell’Unità, Erasmo D’Angelis. Sulle prime, l’audizione fu un disastro. Il giornalista aveva molte cose intelligenti da dire, sempre a favore del governo Renzi. Purtroppo il suo aspetto era terrificante. Terreo, pelato, stravolto dai tic, sembrava la comparsa di un film horror, appena uscito dal castello maledetto di Dracula. Il problema appariva senza rimedio. Ma Sensi, un vero genio dello spettacolo, scoprì come risolverlo.

Disse a Renzi: «Dobbiamo mettere sotto contratto Kevin Costner, l’attore americano. Si è già prestato a fare la pubblicità per un marca di tonno in scatola. E non rifiuterà di interpretare la parte del direttore di un giornale governativo». Sensi aveva ragione. Cavò il ragno dal buco e il risultato fu trionfale.

Pagato a peso d’oro, Costner imparò a memoria le risposte alle domande, poi venne doppiato da un attore italiano. L’intervista la registrarono nell’ufficio di D’Angelis all’Unità. E incantò tutto il personale femminile, a cominciare dalle donne addette alle pulizie. Ma il vero scoop Sensi lo realizzò portando davanti alle telecamere il campione italiano dei rosiconi. Era Mister Gufo 2015, il più implacabile dei menagramo. Venne presentato con il viso nascosto da un passamontagna, come succede con i latitanti. Sollecitato da Lotti, disse le peggio cose sul governo Renzi. Ma non risultò credibile, anche perché la voce distorta «per motivi di sicurezza» sembrava quella di un uomo delle caverne.

Il talk show di Renzi andò in onda su tutte le reti. Però si rivelò un flop disastroso. Ma non per colpa di Sensi, Lotti, Verdini, Boschi, D’Angelis-Costner e neppure di Mister Gufo 2015. Il motivo fu un altro. I talk messi all’indice dal premier si erano coalizzati, decidendo di fare ciò che non avevano mai fatto. Si gettarono su quelli che chiamarono “Super match”, vale a dire un succedersi di contrapposizioni tratte dall’Italia reale, quella di tutti i giorni.

Una famiglia mafiosa contro una camorrista. Due omofobi e due gay. Un nemico giurato dei migranti e una fanciulla della Caritas. Un miliardario e un poveraccio senza casa, costretto a dormire per terra alla stazione Termini. Un tifoso di papa Bergoglio e un ateo bestemmiatore. Ma il vero scoop dei talk anti Renzi fu ancora un altro.

Un giornalista sciagurato aveva appiccicato al premier un soprannome beffardo: Ciccio bomba cannoniere, per le continue promesse sparate a vanvera. Era l’inizio di una filastrocca recitata dai bambini. Bisognava completarla. Il vincitore di quel concorso sarebbe stato presentato in tivù da tutti i talk che non amavano il premier.

Il primo premio andò a un anziano geometra di Vigevano. La sua filastrocca recitava così: «Ciccio bomba cannoniere fa la cacca nel bicchiere. Il bicchiere si spaccò e Ciccio bomba lo leccò. Lo leccò col cucchiaino, Ciccio bomba maialino». L’audience s’impennò e raggiunse livelli mai registrati. Renzi rinnovò le scomuniche. I talk ribelli se ne infischiarono. E presentarono la filastrocca arrivata seconda: «Ciccio bomba cannoniere con tre pulci nel sedere. Con tre pulci nella pancia, Cicciobomba corre in Francia. Ma in Francia c’è la guerra e Cicciobomba cade a terra».

Arrivati a quel punto, il Rottamatore comprese che era inutile fare il braccio di ferro con i televisionisti. E si limitò a distruggere tutti gli apparecchi tivù di Palazzo Chigi. Giurando a se stesso: «Soltanto io posso vincere davanti a una telecamera. Devo soltanto perdere i dieci chili di ciccia che ho accumulato mangiando troppi spaghetti a Palazzo Chigi».

Fisco, ecco cosa controllano gli 007 Terme, estetista, automobili e pay tv

Fisco, come cambia il redditometro




Terme, centri benessere e centri bellezza, abbonamenti alla televisione a pagamento. Ma anche assegni periodici al coniuge, rette per gli asili nido e investimenti in fondi di investimento. Sono le voci contenute nella nuova versione del redditometro, il cui decreto è stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale. L'obiettivo è quello di combattere l'evasione fiscale tramite controlli incrociati tra il reddito e le spese effettuate, al fine di scoprire eventuali discrepanze tra l'effettivo tenore di vita ed il reddito dichiarato. L'accertamento si verifica solo nel caso in cui lo scostamento superi il venti per cento tra reddito dichiarato e le spese sostenute ma al contribuente è data la possibilità di difendersi. I nuovi criteri si applicano per gli accertamenti validi sui redditi a partire dal 2011 (in precedenza riguardava i redditi dal 2009) e riguardano oltre 100 voci di spesa che ricalcano quelle della precedente versione, divise in due grandi macro-aree: consumi e investimenti. La prima comprende gli alimentari, l'abitazione (mutuo, affitto, condominio e anche i compensi all'agente immobiliare), i combustibili, i mobili, la sanità e i trasporti, con un dettaglio che scende fino al costo al metro per le riparazioni dei natanti a motore o a vela.

Roberto Saviano, disfatta del copione Scaricato anche dai suoi: tutti i nomi

Roberto Saviano copione scaricato anche dai suoi: i vip e i fan che gli voltano le spalle


di Giuseppe Pollicelli 



Per un Gad Lerner che ne ha preso calorosamente le parti, arrivando a definire provinciali, mediocri, pecoroni e - con un ardito capovolgimento dei termini della questione - perfino scopiazzatori coloro che su siti e giornali hanno commentato le accuse di plagio giunte dagli Stati Uniti, Roberto Saviano sta assistendo stavolta al progressivo infoltirsi del novero di coloro che non sembrano più disposti a perdonargli l’appropriazione di articoli altrui senza menzionare la fonte. E al gruppo, questa è la novità più rilevante, si sono iscritte anche persone che fino a ieri avevano dimostrato stima e apprezzamento nei confronti dell’autore di Gomorra.

A dire il vero, già nel 2013, subito dopo l’uscita di ZeroZeroZero, il libro di Saviano a cui ha fatto le pulci il giornalista Michael Moynihan della testata americana Daily Beast, un intellettuale di sinistra come Christian Raimo notava con disappunto, sul sito Linkiesta, come Saviano avesse scelto di «eliminare qualunque riferimento bibliografico: né in una citazione del testo, né in nota, né alla fine nei ringraziamenti. Nemmeno in modo simulato viene citato un libro, una fonte giudiziaria, una statistica, un’ispirazione, un saggio dove approfondire o trovare conferma. (...). Questa mancanza di bibliografia per chi legge è spiazzante man mano che si va avanti nel libro proprio perché la ricostruzione della storia della criminalità internazionale è estremamente articolata. (...). Perché questi riferimenti mancano?».

La risposta è arrivata in questi giorni, a due anni di distanza da quando Raimo ha formulato il quesito: essenzialmente i riferimenti mancano perché Saviano ama presentare come originali contenuti che invece sono stati ripresi, talvolta in modo pressoché letterale, da lavori altrui.

Venendo all’oggi, è da notare che anche un sito di orientamento progressista come Il Post, giovedì scorso, ha scelto di non usare particolari cautele per informare i propri lettori del documentato attacco del Daily Beast: «L’articolo di Moynihan spiega che nel libro ci sono “diversi casi di apparente plagio”, oltre che alcune interviste con persone “che potrebbero non essere vere”. Dubbi simili erano già stati avanzati dal New York Times, ma l’articolo di Moynihan li circostanzia con esempi concreti».

Spostandosi sui social network, appare ancora più chiaro come lo sconcerto abbia colto anche chi di Saviano è (o era) un ammiratore. La giornalista Simona Zecchi, collaboratrice del Fatto Quotidiano, ha per esempio affermato su Facebook che «Saviano ha plagiato e si è spacciato per giornalista d’inchiesta. Si può essere scrittori e rendere meglio dei giornalisti la realtà, ma ci vuole metodo». Le ha fatto eco Angela Azzaro, vicedirettrice del Garantista: «Saviano non fa niente per rendersi simpatico: scrive cose di un narcisismo mostruoso, pontifica su tutto. (...). Sta a lui smettere di giocare a fare l’autore onnisciente e onnipotente».

E ancora, sempre su Facebook, Paola Tavella, ex redattrice del manifesto ed ex firma di Noi donne, storica rivista femminista: «Però Saviano ha copiato contenuto e forma. E pure da giornalisti di inchiesta messicani e russi che per trovare quelle fonti e citarle hanno rischiato l’osso del collo, senza scorta al seguito. Non si fa. Non ci piove che non si fa. Puoi mettere in discussione la separazione fra giornalismo e letteratura, ma se del giornalismo butti via solo la deontologia, beh, non ti stimo mica tanto».

Anche sulla pagina ufficiale di Saviano, in mezzo a tanti che lo difendono, non sono pochi, fra le persone comuni, quelli che esprimono la propria delusione. Da Raffaele Pellegrino, che scrive «Invece di contestare le accuse nel merito, alzi una cortina fumogena fatta di autocelebrazione, vittimismo e accuse di persecuzione», a Duccio Mondanelli («Il problema, Saviano, è che non hai citato manco una volta le tue fonti. Va bene usarle, l’abbiamo fatto tutti nella tesi di laurea, però vanno citate. Non spacciare come tue interviste o fonti i lavori di altri, dai!»).

A Saviano non resta che sperare nel soccorso di qualche big, magari il suo omonimo Benigni, che già anni fa si spese a favore di Daniele Luttazzi (rivelatosi gran plagiatore di battute) ricordando come anche i grandi della poesia e del teatro, a cominciare da Dante, abbiano copiato. Ma pure in questo caso, a pensarci bene, saremmo di fronte a qualcosa di già visto, cioè a una copia. Per cui, forse, è meglio soprassedere.