Claudio Coccoluto: "Bisogna tesserare chi va in discoteca"
Intervista a cura di Edoardo Cavadini
Claudio Coccoluto è un king della consolle. Dj da trent'anni, legame affettivo particolare con il vinile nell'epoca di Spotify e del download disperato, uno dei pochi italiani entrati nel firmamento dei dancefloor internazionali.
Lo disturbiamo mentre ricarica le pile nella sua Cassino, a poche ora dalla partenza per le prossime tappe della maratona estiva nei top club in Sardegna, Ibiza, Formentera. «Questo Pedica è stato contagiato dalla sindrome dell'annunciate. Se la sua soluzione alla droga nei locali è la chiusura permanente, temo non sappia proprio di cosa parla». Il riferimento è all'uscita di Stefano Pedica, ex senatore Idv travasato nel Pd, che dopo l'escalation di morti di giovanissimi, collegate più o meno direttamente allo sballo (i casi del Cocoricò di Riccione e del Guendalina in Salento, ndr), ha proposto la serrata per un anno intero di tutte le discoteche. «Sembra Tsipras che in Grecia voleva chiudere gli stadi per i fenomeni di violenza. Da un politico mi aspetterei maggior oculatezza nelle esternazioni e soprattutto informazione: dove pensa che andrebbero gli italiani? Volerebbero, low cost, a ingrassare i portafogli degli spagnoli o dei greci ovviamente: a Ibiza e Mikonos non aspettano altro per fare ancora più soldi. Senza contare i danni economici».
Dietro le luci strobo ci sono Pil e posti di lavoro.
«Certo. Quello della notte è un pezzo fondamentale dell' industria e del turismo italiano, con migliaia di assunti e centinaia di milioni di euro di giro d' affari».
La morte dei ragazzi però pesa come un macigno.
«Sono tragedie enormi, ma non si affronta il problema della droga e dello spaccio colpendo l' ultimo anello della catena. Perché questo sono le discoteche».
In disco di droga ne circola parecchia, questo è innegabile.
«Vero, come però è troppo poca l' azione di repressione e controllo delle forze dell' ordine. Serve un giro di vite da parte del ministro dell' Interno Alfano, chiudere i locali è perfettamente inutile: la droga si trova ovunque a qualunque ora. Pure in Parlamento temo».
Nei Paesi anglosassoni i «club» sono veramente tali. Si entra iscrivendosi, attraverso la carta di identità, così che le autorità sanno chi frequenta questo o quel locale. In Italia questo è impossibile?
«Tutt' altro, io lo propongo da tempo. Siamo pieni di circoli Arci, trasferire il modello alle discoteche servirebbe a fidelizzare la clientela e aumenterebbe la sicurezza».
Una sorta di tessera del discotecaro, sul modello di quella del tifoso?
«Perché no. In questo modo il proprietario avrebbe gli strumenti per allontanare gli indesiderati, oggi non è così: la presunta selezione è irregolare, se io voglio entrare non puoi tenermi fuori, è un locale pubblico».
Cosa altro si può fare?
«Io ho due figli (uno fa il dj, ndr), li ho educati al clubbing fin da piccoli portandoli con me nelle serate e insegnando loro cosa, e chi, evitare sempre. Però dico: in discoteca solo dai 18 anni in su. A 16 sei troppo esposto, non è un posto per ragazzini».