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domenica 12 luglio 2015

Perché mezzo Parlamento deve tremare: Cav condannato, la soffiata di Belpietro

Compravendita senatori, Maurizio Belpietro: "Pur di condannare Silvio Berlusconi i pm riscrivono la storia"


di Maurizio Belpietro
@Belpietro Twitter


La sentenza con cui il Tribunale di Napoli ha condannato Silvio Berlusconi a 3 anni di carcere per aver corrotto il senatore Sergio De Gregorio e provocato la caduta del governo Prodi, prima che un errore giudiziario, rappresenta un falso storico. Il governo dell’Ulivo infatti non cadde per il voto contrario di Sergio De Gregorio: l’esecutivo alla mortadella finì affettato dalle inchieste giudiziarie che colpirono il partito famigliare di Clemente Mastella, oltre che per il voltafaccia di alcuni alleati di estrema sinistra e dei liberaldemocratici di Lamberto Dini. A Prodi non mancò il voto di De Gregorio, che non avrebbe fatto la differenza, ne mancarono sei e infatti cadde con 156 sì contro 161 no.

Non c’è bisogno di fare particolari indagini per scoprirlo: basterebbe sfogliare i principali quotidiani del 24 gennaio di sette anni fa. Nella cronaca del Corriere della Sera, De Gregorio non è neppure citato fra coloro i quali votarono no a Prodi, perché il suo voto contrario era scontato da almeno un paio d’anni, cioè dal giorno dopo la sua elezione. De Gregorio dal 1994 era infatti contiguo al centrodestra, tanto da essere stato sin dalla fondazione di Forza Italia nell’entourage di Antonio Martusciello, ex Pubblitalia che con la discesa in campo del Cavaliere passò direttamente da Fininvest alla Camera. Nel 2005, dopo un periodo trascorso come assistente parlamentare a Bruxelles, De Gregorio fu sul punto di essere candidato alle regionali in Campania proprio per Forza Italia e solo per un soffio non ce la fece.

L’esclusione fu ricompensata con il ripescaggio, senza successo, nella lista di Gianfranco Rotondi, per il quale divenne in seguito vicepresidente nazionale della Democrazia cristiana per le autonomie. Il vero mistero è dunque come sia stato possibile che un tipo del genere, con quasi vent’anni di carriera nelle retrovie del centrodestra (fu anche promotore di una sfortunata edizione napoletana del quotidiano della famiglia Berlusconi tra il 1997 e il 1998), sia finito per essere eletto nelle liste dell’Italia dei Valori. Ciò che si dovrebbe chiarire non è dunque perché il 6 giugno del 2006 De Gregorio sia passato di fatto nelle file del centrodestra, ma perché nell’aprile del 2006, cioè pochi mesi prima, l’ex pm di Mani pulite avesse accettato di farlo eleggere nelle liste del suo movimento. Perché un tizio cresciuto fra socialisti e berlusconiani all’improvviso venne arruolato nelle truppe dell’Italia dei Valori?

Del resto che il voltafaccia due mesi dopo l’elezione a senatore fosse evidente lo dimostra ancora la raccolta dei principali quotidiani. Il 7 giugno, dopo che De Gregorio si era fatto eleggere presidente della Commissione difesa con i voti del centrodestra e all’insaputa della parte politica che lo aveva portato in Parlamento, la Repubblica riferì la reazione di Di Pietro al blitz che aveva affossato la candidata dell’Unione. «Così facendo, De Gregorio si colloca fuori dalla linea politica del nostro partito e dell’Unione». Dunque, vediamo di ricapitolare. Fino alla primavera del 2005 De Gregorio è nel centrodestra, poi nella primavera del 2006 finisce nel centrosinistra, ma già all’inizio di giugno del 2006 sta di nuovo con il centrodestra. Perciò, dove sta il problema? Di centrodestra era e di centrodestra è rimasto, a prescindere dai finanziamenti al partito personale che aveva fondato. Semmai non si capisce perché l’Idv lo abbia candidato, ma questo è un altro discorso.

Non è finita. Torniamo alle cronache del gennaio 2008, quando Prodi viene sfiduciato. Il Corriere fa i nomi di una serie di senatori assenti al momento del voto, tra i quali Andreotti, Pallaro e Pininfarina. Gli articoli riferiscono il voto contrario di Clemente Mastella e di Tommaso Barbato, due esponenti dell’Udeur, oltre che di Domenico Fisichella, già An poi passato alla Margherita, di Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. Dunque per il Corriere a Prodi mancarono i voti di 8 senatori: Mastella, Barbato, Fisichella, Dini, Scalera, Andreotti, Pallaro e Pininfarina.

Il quotidiano di via Solferino si dimenticò di De Gregorio? O forse non lo conteggiò proprio perché da almeno due anni era considerato fuori dalla maggioranza? La risposta giusta è la seconda. Tanto è vero che la vittima del complottone, ossia Romano Prodi, nel discorso che fece a Palazzo Madama prima di essere mandato a casa non se la prese con Berlusconi e De Gregorio, ma si rivolse a quelle forze politiche della maggioranza che con il loro atteggiamento «avevano minato l’azione dell’esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili». Con chi ce l’aveva? Con Di Pietro, con Bertinotti e con Mastella, ossia con i galli che litigavano nel suo pollaio. Concetti che peraltro l’ex presidente del Consiglio ebbe modo di ribadire anche in seguito. Dunque, rileggendo la storia, si capisce che quella ricostruita in tribunale è una fiction, non la realtà dei fatti per come si svolsero. Ultima considerazione. Nel corso degli anni molti parlamentari hanno cambiato casacca e molti hanno beneficiato di nomine o di alti incarichi. Se fosse vera la tesi usata per condannare Berlusconi, ovvero che un onorevole che abbia ottenuto soldi o altri vantaggi sia da ritenere corrotto, mezzo Parlamento dovrebbe finire in galera. A cominciare da quegli onorevoli che, pur essendo stati eletti nelle file del centrodestra, sostennero il primo governo comunista della storia italiana, divenendo magari ministri o sottosegretari di Massimo D’Alema. Per loro non ci fu alcuna indagine sulle dazioni ambientali. Anzi, le denunce presentate da alcuni esponenti di centrodestra che avevano ricevuto e rifiutato la proposta indecente di sostenere l’ex segretario Ds furono archiviate in tutta fretta. Perché in Tribunale si emettono sentenze, mica si scrive la storia.

Capuozzo svela la vergogna italiana "Chi ha sacrificato i nostri due marò"

Marò, Toni Capuozzo: "Fregati dalla nostra Marina. Quante carriere sulla loro pelle"


Intervista a cura di Chiara Giannini 



«Sembra passato molto più tempo da allora. Era inverno, è venuta l’estate, poi un altro inverno, un’altra estate, un terzo inverno, un’estate, un inverno, e questa è la quarta estate. Era quasi un giorno qualunque, quel mercoledì 15 febbraio 2012, il giorno dopo San Valentino»: racconta così Toni Capuozzo, uno dei giornalisti italiani che più si è occupato del caso “marò”, il trascorrere quasi cadenzato delle stagioni che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria e internazionale più intricata di tutti i tempi. Lo racconta in un libro dal titolo “Il segreto dei marò” (Mursia, 16 euro), in uscita martedì 7 luglio in tutte le librerie italiane. È la storia di Massimiliano Latorre, che il giornalista conobbe in Afghanistan (era il suo capo scorta) tanti anni fa e Salvatore Girone, ma soprattutto la storia dell’assurdo intrigo che ha visto coinvolti leader internazionali, vertici delle forze armate, politici. Un segreto che si sintetizza in poche parole: i marò sono stati vittime di uno Stato che non ha avuto la volontà di risolvere subito la questione. E Toni, nel suo libro, non ci va leggero, facendo chiarezza sulla questione e raccontando connivenze e grandi carriere fulminee che, guarda caso, hanno interessato tutti coloro che si sono occupati, non portando nessun tipo di risultato, della vicenda dei due fucilieri di Marina.

Perché hai deciso di scrivere questa storia?

«Devo dire la verità, ho deciso di farlo con la speranza che fosse utile alla causa dei marò. Da subito si è capito che l’opinione pubblica non fosse abbastanza informata. C’è molta ignoranza sul caso, devo dire, forse, che spesso non è neanche voluta, ma occorreva far chiarezza. In un Paese in cui si sa tutto di Salvatore Parolisi, del caso di Cogne, di Meredith, mancava qualcuno che raccontasse la verità sull’odissea che stanno passando questi due militari. C’era un vuoto, insomma, e io ho cercato di colmarlo affinché molte cose non cadessero nell’oblio».

Nel tuo libro racconti per filo e per segno questa storia. Qual è uno dei punti che la caratterizza di più?

«Certamente abbiamo detto più volte che i due marò hanno avuto un comportamento molto più che dignitoso, ma singolare, visto che dall’altra parte abbiamo avuto una classe politica che li ha totalmente abbandonati».

Insomma, ci sono stati intrighi, incompetenze. Contro chi si deve puntare il dito?

«Ricordiamoci come hanno operato 5 ministri degli Esteri e un ministro della Difesa, nello specifico l’ammiraglio Di Paola che, una volta che li aveva rispediti in India, si è guardato bene dal dare le dimissioni o dall’avviare l’arbitrato. L’Italia, secondo quanto scritto nella Costituzione, non invia nel Paese di appartenenza neanche gli stranieri accusati se in quella nazione vige la pena di morte. In India c’è e Di Paola ci ha spedito due militari italiani. L’ex ministro Giulio Terzi si è rifatto un po’ la verginità facendo del caso una bandiera, ma a mio avviso lo ha fatto in modo piuttosto ingenuo. E poi ci sono gli alti gradi della Marina Militare. Hanno fatto tutti carriera. Dallo stesso Di Paola che è andato a fare il consulente di Finmeccanica in America, a Binelli Mantelli che diventò Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ma c’è anche Staffan De Mistura, che ha successo a livello europeo e si occupa, se non sbaglio, di Siria».

Adesso si parla di arbitrato. Tu che ne pensi?

«Che resta l’accusa infamante: quella di aver sparato a degli innocenti, uccidendoli. Devo dire che l’arbitrato è stato un’impennata di orgoglio del governo italiano, visto che sappiamo che ogni tipo di trattativa portata avanti è fallita. Dobbiamo certo vedere come si muoverà l’India, che è una nazione finora rimasta ferma e immobile come un giocatore di poker al tavolo. Il primo ministro Modi, a sua volta, è sempre stato pilatesco, dicendo che della cosa si deve occupare la magistratura. Peraltro abbiamo un rinvio della data della prossima udienza della Corte Suprema al 14 luglio, giorno precedente all’ipotetico rientro in India di Massimiliano Latorre. Insomma, vorrei capire dove stiamo andando».

E adesso secondo te che succederà?

«Devo dire che siamo in un vicolo cieco e c’è peraltro la vicenda che assume sempre più l’aspetto della fragilità. Girone, per adesso, resta lì. Ed è da chiarire che questo è la cartina di tornasole per capire se dietro all’arbitrato c’è un accordo sottobosco, anche se la cosa certa è che occorreranno almeno tre mesi perché sia formata la giuria internazionale. Forse si tratterà di un arbitrato a senso unico, con l’India ancora ferma e l’Italia che chiede di far rientrare Girone. E, forse, Salvatore per Natale oppure l’anno prossimo potrà essere insieme a Massimiliano in qualche capitale europea di fronte agli arbitri. Ma sono tutte supposizioni. Non resta che rimanere fermi a vedere cosa accadrà. Intanto, per capirci qualcosa in più, leggete il mio libro».

sabato 11 luglio 2015

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene

Caivano (Na): Problema Furti Il Movimento 5 Stelle locale denuncia e Di Maio interviene 


di Angela Bechis 


Problema furti - Caivano, una piazza difficile, sensibilissima, soprattutto alle rapine e al problema furti che, principalmente nel periodo estivo coinvolge numerose famiglie. Uno dei dilemmi più praticati insieme all'emergenza rifiuti. A mettere nero su bianco, questa volta, è stato il Movimento 5 Stelle locale che, dopo l'ennesima denuncia da parte di cittadini perbene, ha deciso di intervenire e interpellare il Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle), visto che a differenza dei partiti, il Movimento 5 Stelle, conta, per interventi prioritari, contatti diretti con Senatori ed Onorevoli. Difatti, dopo il coinvolgimento del Vicepresidente della Camera, Di Maio, il Movimento 5 Stelle locale, ha subito ricevuto buone, Di Maio ha aperto un'interrogazione parlamentare. Insomma, il Movimento 5 Stelle è presente e, dopo l'ottimo risultato ottenuto alle scorse amministrative, sta continuando a dare risultati e risposte ai tanti cittadini onesti, che sono la maggioranza, presenti sul territorio. 

"Berlusconi, ma la cocaina...?" Travaglio, ultimo fango sul Cav

L'ultimo fango di Travaglio su Berlusconi: lui, le cene eleganti, la cocaina...




Minorenni, escort, bunga bunga, corruzione, prostituzione. Negli anni, Silvio Berlusconi è stato accusato di tutto, nei processi in tribunale e in quelli mediatici. Ma al Fatto Quotidiano non basta. In un articolo di oggi, il giornale diretto da Marco Travaglio pone una nuova (infamante) interrogativo: nella residenza di palazzo Grazioli, a Certosa e ad Arcore, durante le "cene eleganti", qualcuno portava e usava cocaina, o no?

Secondo il Fatto, "gran parte delle persone che hanno frequentato in questi anni Berlusconi, Tarantini incluso, ha avuto avuto un forte legame con la cocaina. Tarantini - che nel processo è imputato di aver indotto decine di ragazze a prostituirsi - è già stato condannato in primo grado per cessione di stupefacenti". Embè? In passato, nel 2008, "Gianpi si muove in grande stile: spende 5 mila euro per farsi trasportare delle mozzarelle con un volo privato, da Bari alla Costa Smeralda. Ma soprattutto, per l' accusa, porta in Sardegna mezzo chilo di cocaina". Ce n'è anche per Iris Berardi: la polizia giudiziaria le ha sequestrato sei grammi di cocaina e i diari personali, in cui racconta che "nella mia pur breve vita non mi sono fatta mancare nulla, ho avuto tutti i vizi del mondo: droga, alcol, sigarette, sesso e anche orge ad Arcore... ". Questo basta, per i segugi di Travaglio, per accostare Berlusconi alla droga. Mah. Un'altra signora vista ad Arcore è Maristhell Polanco, nel cui appartamento la Guardia di Finanza, nel 2010, trova 2,7 chili di coca mentre altri 10 li sequestrano in un altro box affittato dal fidanzato Carlos: in totale quasi 13 kg. Tutto ciò non è avvenuto a casa di Berlusconi, ma per il Fatto Quotidiano non importa: per gettare fango sul Cav va bene tutto. Anche ricordare che  Federica Gagliardi, nel marzo scorso, le Fiamme Gialle sequestrano ben 24 chili di coca mentre sbarca dall'aeroporto di ritorno dal Venezuela. E che Sabina Began, imputata a Bari con Tarantini nel processo in corso oggi, più di dieci anni fa, ovvero nel 2003, era "molto amica di un importante trafficante di droga kosovaro, che si chiama Bashkim Neziri". Tutto fa brodo, anche se l'amico di un amico di un amico di Berlusconi usava cocaina dieci anni fa. I soliti maestri del fango.

"Capitano, che fa coi proiettili in cabina?" La hostess lo scopre, è panico sull'aereo

Houston, Comandante della United Airlines getta i proiettili nel wc ma l'hostess fa la spia




A tutti capita di avere la testa tra le nuvole ogni tanto. Un comandante della compagnia aerea United Airlines da Houston a Monaco di Baviera la mente l'ha proprio lasciata in alta quota. Il pilota mentre era in crociera si è leggermente dimenticato di avere nel suo bagaglio dieci pallottole. Ovviamente accortosi del pericoloso carico e non avendo il porto d'armi, ha deciso bene di sbarazzarsene nel modo più logico possibile: gettandoli nel cestino della cabina di pilotaggio. Come se niente fosse, l'uomo pensava di cavarsela senza conseguenze. Eppure per sua sfortuna una hostess, che cercava l'anello perduto di una passeggera, si è imbattuta nelle pallottole rovistando proprio nel cestino. Spaventata e terrorizzata dal terribile tesoro scoperto, la donna è corsa ad avvertire il comandante. Nella testa della poverina saranno passate mille possibili scenari, dal terrorista pentito al serial killer. Tutti sbagliati.

Recidivo - Il pilota allora allarmato e scoperto ha dovuto escogitare un modo ancora migliore per togliersi di torno queste scomode munizioni. Alla fine ha deciso di gettare tutti e 10 i pallini nel water della toilette, intasandola. La hostess però si è accorta di tutto e ha scelto di avvisare le autorità di terra dell'accaduto. Dopo l’atterraggio e lo sbarco degli innocenti passeggeri il velivolo è stato portato in un’area isolata e i pompieri dell’aeroporto hanno iniziato a svuotare i serbatoi dei gabinetti in cerca dei proiettili. L’aereo, quindi, non è stato disponibile per il volo di ritorno per oltre quattro ore, fino al ritrovamento di tutti i proiettili. Secondo la compagnia aerea i piloti sono autorizzati a portare una pistola durante i voli domestici, ma nonostante l'uomo del volo non avesse con sé la sua arma, non rischierà il processo penale.

Documento segreto, governo demolito Quella (oscena) decisione sui marò

Marò, il documento che fa vergognare l'Italia: Paola Severino li voleva tenere in Italia, il governo si oppose per interessi economici




Un documento che dimostra tutta la vergogna italiana. Si parla del caso dei nostri marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. I due dovevano essere rispediti in India nel marzo 2013, dopo il permesso per trascorrere Natale in Italia: sulla possibilità si era a lungo discusso e dibattuto, ma poi il governo calò le braghe e li rispedì in India. Oggi, però, è sbucato un documento ufficiale del ministero della Giustizia, ai tempi guidato da Paola Severino. Un documento di cui dà conto Dagospia e che rivela che la giurista riteneva anticostituzionale rimandare i marò a Delhi. La Severino, insomma, si oppose con fierezza all'ipotesi di rispedire Girone e Latorre in India.

La ricostruzione - Nel documento, Severino spiegava che "i rilevamenti satellitari provano che la nostra nave era in acque internazionali. Tutto quello che viene detto è basato su idee, ma la prova sullo svolgimento dei fatti, versione differente tra le due parti, ancora non c'è stata. La posizione dei due militari italiani è molto delicata". Severino argomentava, e spiegava di non avere dubbi: gli indiani, per lei, non avevano alcun diritto di tenersi i marò, tantomeno di processarli. Noi non dovevamo rimandarli in India. Eppure furono rispediti, eppure Latorre e Girone tornarono ostaggi. Perché? Semplice: per non rovinare i rapporti commerciali con l'India. Meglio sacrificare la libertà dei nostri marò piuttosto che qualche euro. Una scelta contro la quale si oppose non solo la Severino, ma anche l'allora ministro degli Esteri Giulio Terzi, che all'epoca si dimise per dissociarsi dalla decisione del governo.

HANNO INTERCETTATO RENZI "Silvio con me, faccio fuori Letta"

Matteo Renzi intercettato: "Enrico Letta è un incapace e Silvio Berlusconi è d'accordo con me"




E' la mattina dell'11 gennaio 2014. Matteo Renzi è già segretario del Pd, ma a Palazzo Chigi (ancora per un mese) c'è Enrico Letta. Siamo a pochi giorni dal "#enricostaisereno" che sarebbe stato il preludio al cambio della guardia al governo. Renzi risponde al telefono al comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi. Renzi parla, scrive Il Fatto quotidiano, sul suo cellulare personale. E viene intercettato, perchè il comandante delle Fiamme Gialle è indagato per una sospetta fuga di notizie, caso che poi sarebbe stato archiviato.

Dopo i convenevoli di rito (Signor generale!", "Come stai, amico mio?"), i due passano al sodo. Cioè, parlano di politica. E già la cosa dovrebbe fare specie, visto che ai due lati della linea ci sono il segretario del maggior partito politico italiano e un alto esponente delle forze armate. Roba da Paese sudamericano. "Allora, rimpastino?" chiede il comandante. "Sì sì, rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino" (e vedremo che razza di rimpastone sarà di lì a qualche settimana). (...). Il comandante: "Significa arrivare al 2015...". E Renzi: "Sai a questo punto c'è prima l'Italia (come no, ndr), non c'è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all'aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico (che è il premier Enrico Letta, ndr).". E il comandante è d'accordo "E' niente (Letta, ndr), Matteo, non c'è niente, dai, siamo onesti".

Renzi rincara: "Lui non è capace. Non è cattivo. Non è proprio capace e quindi... Però l'alternativa sarebbe governarlo da fuori...". Adinolfi: "Secondo me ha il taglio del presidente della Repubblica". Renzi: "Lui sarebbe perfetto, glielo ho anche detto ieri. L'unico problema è che bisognerebbe aspettare agosto del 2016 (perchè Letta abbia 50 anni e diventi così eleggibile al Quirinale, ndr) e quell'altro (che sarebbe l'allor
a Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ndr) non ci arriva, capito? Me l'ha già detto".

Però, sulla via di un rimpastino o di un rimpastone, quell'11 gennaio 2014 Matteo Renzi sa già di avere un possibile e inusuale alleato, cinque giorni prima che il Patto del Nazareno venga annunciato e sette giorni prima che i due si vedano per la prima volta nella sede del Pd. E' Silvio Berlusconi. Ad Adinolfi, Renzi racconta infatti che "il numero uno ce l'ha a morte con Berlusconi per cui... e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso". Letta aveva le ore contate.