Grecia, cosa succede con la vittoria del "no": Alexis Tsipras vuole trattare, ma lo scenario più probabile è quello del default
In Grecia vince il "no", il popolo ellenico boccia le misure di austerità proposte dalla Commissione europea per rispettare gli impegni con i creditori. E adesso, che succede? Partiamo dal nostro orticello, dall'Italia: di sicuro domani, lunedì 6 luglio, sarà una giornata di passione in Borsa e di passione anche per lo spread. Il timore è che la giornata si trasformi poi in settimane, o peggio in mesi di terrore (uno scenario che accomuna tutte le economie di Eurolandia, ma quelle di Italia e Spagna su tutte, poiché si tratta dei Paesi più esposti alla possibile ondata speculativa). Però, al di là di quelle scontate e macroscopiche, le conseguenze per il nostro "orticello" sono ancora tutte da vedere, poiché come ha detto mister Bce, Mario Draghi, con la vittoria del "no" in Grecia si entra in un territorio inesplorato.
Tsipras vuole trattare - Anche per gli ellenici, va da sè, il territorio è inesplorato. Restano però alcune certezze in più. Ora Alexis Tsipras, che ha vinto la sua battaglia per il "no", non si dimetterà (come invece con assoluta probabilità avrebbe fatto con il "sì"). Ora la sua posizione è un poco più forte: ha la legittimità del popolo, anche se l'investitura popolare, davanti al fronte rigorista europeo capeggiato da Angela Merkel (sconfitta, per ora), potrebbe servire a poco. Tsipras ora tenterà di riprendere i negoziati con i creditori per ottenere un nuovo accordo, da una posizione, appunto, "rafforzata" dal mandato degli elettori. Lo ha confermato subito, appena la vittoria del "no" era chiara, chiedendo contestualmente nuova liquidità alla Bce. Il territorio in cui si dovrà muovere il premier ellenico, però, è assai ostile: Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, ha detto che in caso di vittoria del "no" la Grecia dovrà emettere una divisa parallela (ma la Grecia ha subito affermato che non è sua intenzione farlo).
Verso il default - Bruxelles, insomma, potrebbe non riaprire le trattative, spingendo de facto la Grecia fuori dall'euro (con buona pace della Merkel, che disse che Atene fuori dalla moneta unica equivale alla "sconfitta dell'euro", una frase alla quale, forse, non crede neppure lei). Lo scenario più probabile, in definitiva, è quello del default greco nei confronti della Bce, cui deve 3,49 miliardi in scadenza il 20 luglio. Di fronte all'insolvenza di Atene, l'Eurotower sarà costretta a interrompere i finanziamenti di emergenza che fino ad oggi hanno tenuto in piedi le banche (in totale, fanno 89 miliardi di aiuti dall'agosto scorso). Per la Grecia, dunque, il rischio è un collasso del sistema bancario e una profonda, forse insostenibile, crisi di liquidità.
Euro addio? - L'uscita dall'euro, comunque, non è automatica in caso di vittoria del "no". Quest'ultima, come detto, è adesso l'ipotesi più probabile: anche nel caso (improbabile) in cui riprendessero i negoziati (in un clima ancor più avvelenato rispetto a una settimana fa), è difficile immaginare che si possano raggiungere dei risultati, anche perché di risultati, negli ultimi 5 mesi, non ne sono stati raggiunti. Dunque, in caso di default, il governo greco per sopravvivere e per fronteggiare la crisi di liquidità, sarebbe costretto ad emettere una divisa parallela: solo a questo punto, anche a lato pratico, Atene inizierebbe l'irreversibile processo che la condurrebbe fuori dalla moneta unica e a riabbracciare la dracma. Un territorio, quest'ultimo, ancor più inesplorato del "territorio inesplorato" a cui ha fatto riferimento Draghi.