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lunedì 15 giugno 2015

Caivano (Na): Intervista a Giuseppe Bernardo dei Socialisti

Caivano (Na): Intervista a Giuseppe Bernardo (Partito Socialista) 


a cura di Gaetano Daniele 



Da sx Giuseppe Bernardo (Socialisti) con
il Sindaco di Caivano Simone Monopoli 

Siamo in compagnia del primo eletto del partito Socialista, Giuseppe Bernardo, esponente di spicco del partito Socialista, al primo turno a sostegno del candidato sindaco Raffaele Del Gaudio, uscito sconfitto con circa due mila preferenze, poi passato al secondo turno di ballottaggio con il centro destra di Simone Monopoli. 

Innanzitutto, benvenuto sul nostro blog il Notiziario sul web, con quale occhio guarda a queste ultime elezioni amministrative 2015, dove la vedono appunto, il primo eletto del partito Socialista, anche se non in assise? 

Grazie a lei per l'opportunità che mi concede sul suo blog per fare dei ringraziamenti. Ebbene si, al primo turno abbiamo perso una opportunità importante, cioè, far eleggere il nostro candidato sindaco, Raffaele Del Gaudio. Abbiamo lavorato bene, com'è noto a tutti, il risultato non è mancato, infatti ne approfitto per ringraziare la mia famiglia che mi ha sostenuto a spada tratta, ma un ringraziamento tutto va anche ai miei elettori, ai miei amici e alla famiglia Palmiero che al primo turno era in lista con me. 

Perchè il suo partito all'ultimo minuto ha deciso di sostenere il candidato sindaco del centro destra Simone Monopoli? 

La decisione è stata sofferta, ma alla fine abbiamo deciso in toto di appoggiare il candidato del centro destra Monopoli, perchè il programma del centro destra si avvicinava di più al nostro, una scelta  di campo rivelatasi vincente. Una scelta di coraggio oserei definire, ed io insieme all'altra candidata Palmiero, siamo stati quasi gli unici a camminare con serietà e spirito di sacrificio verso il nostro programma, i nostri elettori e verso il Paese tutto. 

Si sente di aggiungere altro?

Al momento mi sento solo di ringraziare lei per lo spazio che mi concede, e tutti i miei elettori, in primis la mia famiglia. 

D'Ago si confessa a Perna: "Chi sono le mie spie La Boldrini? Ha un segreto..." ( fisico)

Roberto D'Agostino, intervista esplosiva a Libero: "Cossiga mi passava le notizie, cosa penso di Renzi, Boldrini e Mattarella"


Intervista a cura di Giancarlo Perna 


Nulla di ciò che ho visto da Roberto D’Agostino è normale. Categoria che non vale per la sua casa, né per lui. Dago abita su tre piani affacciati sopra un’ansa del Tevere nel cuore della Roma barocca. La tripla abitazione consiste in un attico, un super attico e un super super attico uniti da una scala a chiocciola interna, variopinta come un murales. A occhio e croce, mille metri quadri. Il terrazzo, grande come un quarto appartamento, abbraccia tutta la città. Nel falansterio vivono Roberto e la moglie Anna Federici, della omonima famiglia di costruttori, proprietaria del bendidio, e ha sede la redazione di Dagospia, la mitica fucina informativa fondata quindici anni fa da Roberto.

Nonostante la vastità dei luoghi, ogni angolo rigurgita di oggetti raccolti dai coniugi D’Agostino il cui impulso collezionista è a livelli psichiatrici. Sparsi a capocchia ex voto, vecchi jukebox, statuine di San Gregorio Armeno, raffigurazioni di Mao tse tung in quantità da maniaco, crocifissi, tabernacoli e teschi del britannico Damien Hirst, il più costoso creativo contemporaneo. Ci sono falli artistici di varie fogge e dimensioni, in terracotta e plastica dura. Durante l’intervista, forse per il vento, due sono chiassosamente ruzzolati per terra facendoci prendere uno spavento dell’accidente. Il terrazzo è pieno di nani da giardino, coccodrilli di plastica, animali di legno ed esseri fantastici. Di giorno ancora ancora, ma di notte vivrei con l’incubo che tutta questa roba cominci a muoversi. 

L’orrore del vuoto è il nodo psicologico di Roberto. Con la stessa ironia con cui ha riempito la magione, Dago ha occupato ogni spazio del suo corpo. Ha una barba caprina, capelli a coda di cavallo, tatuaggi dal collo in giù, bracciali etnici, una chiusura lampo al lobo di un orecchio, anelli di metallo su ogni dito. «E non sai la schiena», dice divertito, mostrandomi sul cellulare la foto del tatuaggio che campeggia sulla medesima. La scritta Deus, all’altezza della scapole, e, al centro, una grossa croce fiammeggiante con, in tedesco e caratteri gotici, il motto: «Mostra la tua ferita». «Spiegati», lo supplico, ormai nel pallone per quanto ho già visto. «Il tatuaggio è del 2008 -risponde-. L’anno dei miei 60 anni e di una grave operazione ai polmoni. Due mesi di clinica e la paura di non farcela, prima di uscirne bene. Così, invece di portare un ex voto al Divino Amore, in segno di ringraziamento ho fatto fare questo disegno sulla cicatrice lasciata dal bisturi. Fu il mio primo tatuaggio. Poi, ci ho preso gusto e ho proseguito». «Sono bacchettone se ti chiedo che senso ha?», dico. «Mi piace comunicare agli altri la mia vita», risponde e mi mostra sul dorso delle mani la scritta «Rocco», il figlio ventenne, e «Anna», la moglie.

«Una croce sulla pelle. Sei credente?», domando. «Sì, senza incertezze -risponde-. Se ho un problema dell’anima, prego Dio. Pratico a modo mio. Non vado a messa perché mi distraggo. Ma ho usato i crocifissi e i teschi di Hirst per farmi qui in casa una cappella dove mi raccolgo». Ho già detto che per collezionare Hirst ci vuole un patrimonio. Per associazione di idee, domando: «Dopo il diploma di ragioniere, a vent’anni già lavoravi. Per bisogno?». «Certo. Per riempire il frigo di cose. Avevo trovato un impiego in banca. Il giorno del mio primo stipendio, mamma, una bustaia, piangeva di felicità». «Ma non era quello che volevi», osservo. «Avevo già capito che le ideologie politiche sono dannose e le ho abiurate. Ero quindi pronto per la società spettacolo. Dopo dodici anni ho lasciato la banca. Ho fatto il disc jockey e debuttato nei giornali. Premetto che dalla cintola in su sono gay, ossia etero nei pantaloni ma omo di testa. I giornali che facevano per me erano i femminili, meno bacchettoni dei quotidiani politici. Scrivevo di costume. Delle tribù sociali -yuppie, fricchettoni, ecc.- che si formavano negli anni ’80 per reazione agli anni di piombo. Anche con Renzo Arbore in Quelli della notte, facevo il lookologo in tv. Vestito un po’ da clown, per mostrare quanto clownesco fosse il mondo che ci circondava, descrissi il passaggio dalle Br alle Pr (pubbliche relazioni)». Fa una pausa e apre un vasetto di spuma bianchiccia. È un beverone dietetico in luogo del pasto. Mentre mangiucchia, parlando del più e del meno fuori intervista, usa un’espressione curiosa. La riferisco perché proviene da un maestro del trendy. Roberto dice: «Non si può avere la siringa piena e la moglie drogata». Sostituisce il banale «botte piena e moglie ubriaca». Prendete nota, farà tendenza.

In tv sei diventato noto anche per le baruffe con Vittorio Sgarbi che, come te, era pupillo di Federico Zeri, storico dell’arte. Ripicche tra rivali? 

«L’incontro con Zeri è stato tra le cose più belle della mia vita. Scrivemmo insieme Sbucciando Piselli, chiacchiere in libertà. Era un genio alla Leonardo da Vinci. L’arte non è affar mio, l’affinità tra noi era spirituale. Sgarbi era invece suo allievo. Poi Zeri si urtò con lui per una faccenda di libri spariti a Londra». 

Qual è oggi, dopo anni di incomprensioni, il tuo giudizio su Sgarbi? 

«Lo stesso di Zeri: un grande talento rovinato dal furore di vivere. Ciascuno però cucina la propria vita come crede. Ho perso anch’io occasioni». 

Finché nel 2000 non hai trovato il tuo ruolo fondando il sito di Dagospia e sfondando nell’informazione. 

«Pensavo di parlare solo di costume, non di politica. Ma gli utenti mi raccontavano tante storie e contro storie di Palazzo che hanno finito per cambiare pelle al sito». 

Molti si abbeverano a Dagospia per conoscere i risvolti reconditi di politica ed economia. 

«Ho avuto un’intensa vita mondana. Mi è facile perciò parlare a tu per tu con altolocati che incontro spesso nelle cene. Di qui, le esclusive. Ogni scoop mi dà un orgasmo».  

Hai notizie che i giornali non hanno. Perché tu sì e loro no? 

«Sono condizionati e non le mettono. Abbiamo un giornalismo ingessato. In un Paese serio, Dagospia non esisterebbe. Se i 470 giornalisti del Corsera si mettessero a lavorare veramente sarebbe il delirio, in senso positivo». 

Voi quanti siete in redazione? 

«Con me, cinque. Fuori, ho collaboratori di settore: sport, economia, ecc. La squadra corta garantisce più riservatezza che incoraggia chi vuole darmi notizie. Parla direttamente con me e un minuto dopo, senza intermediari, metto in rete. Nei giornali c’è invece la trafila direttore, caporedattore, il giornalista che stende il pezzo». 

Il nome di una tua fonte eccelsa che fu? 

«Cossiga. Sapeva tutto della Chiesa, dei Servizi, di Mediobanca. Un’altra era Maria Angiolillo a sua insaputa».  

In che senso? 

«Avevo tre spie alle sue favolose cene dove si prendevano le decisioni che contano. Il potere ecclesiastico era incarnato da monsignor, Giovan Battista Re. Quello secolare da Gianni Letta. Pubblicavo i resoconti di quegli attovagliamenti, facendo impazzire Maria». 

La quale? 

«Alla cena successiva non invitava questo o quello dei soliti commensali, per vedere se era lui la fonte. Non sapeva che ne avevo tre e che una almeno sarebbe stata comunque presente». 

Con una querela, Piero Ostellino ti ha sfilato 160mila euro.  

«Solo per avere scritto che puntava a rifare il direttore del Corsera. Ora, Montezemolo, che chiamo Monteprezzemolo, vuole 1,9 milioni per quella che ritiene una campagna diffamatoria». 

Paga tua moglie? 

«Faccio da solo. L’azienda va». 

Che dicono i tuoi di te? 

«Non credo di essere il loro modello di stile». 

Tuo figlio Rocco è più un D’Agostino o un Federici? 

«Un Federici: studia Ingegneria». 

Cosa non ti piace in tv? 

«La prosopopea di tipi alla Lerner e Santoro. Ma stanno andando via, uno a uno. L’epoca dei tribuni è finita». 

Mattarella? 

«La mummia sicula. Meglio però di Napolitano che ha nominato di fila tre premier non eletti». 

Laura Boldrini? 

«Una sciccosa d’antan, senza valenza politica. Mi colpisce il naso mal rifatto. Vorrei tanto sapere com’era quello prima». 

Credi alle promesse di Renzi? 

«È uno sborrone, si dice a Roma. Gli mancano i fondamentali della politica. Un ragazzotto burlone, toscaneggiante».  

Che ti aspetti il giorno del Giudizio? 

«Ho rotto le scatole a troppa gente. Finirò all’inferno».

Treviso: Il giudice si rifiuta di decidere "Rischio di dover pagare io"

Treviso, il giudice non firma la sentenza: "Se sbaglio, devo pagare io". Rinvia tutto alla Corte Costituzionale




Effetti (non previsti) della "responsabilità civile dei magistrati". A Treviso un giudice, Cristian Vettoruzzo, si è rifiutato di emettere una sentenza relativa al caso del locatario di un capannone in cui erano state trovati 47 quintali di contrabbando. In base alle nuove norme varate dal governo, si è giustificata la toga, è troppo rischioso emettere un verdetto sulla base di "semplici elementi indiziari". In caso di errore, il giudice si sarebbe potuto veder trattenere dallo Stato fino a un terzo dello stipendio mensile. Meglio rinviare tutto alla Corte Costituzionale, eccependo sulla costituzionalità della riforma. Stop dunque al processo, in cui il pm aveva chiesto per l'imputato 2 anni di carcere e 8 milioni di euro di multa contro la richiesta di assoluzione piena per insufficienza di prove avanzata dalla difesa. Il ricorso alla Consulta rischia ora di aprire nuove, inquietanti prospettive per la giustizia italiana: se verrà accolta la posizione di Vettoruzzo, i tribunali italiani potrebbero andare in tilt a suon di rinvii e rifiuti di sentenziare da parte dei giudici.

Anche il Papa contro Marino: contro di lui un attacco tremendo

Il Papa stanga Marino: "La città rinasca moralmente e spiritualmente"




Renzi, per il momento, tace. sa benissimo che se dovesse commissariare Ignazio Marino per poi andare a elezioni anticipate per il Comune di Roma, il Pd perderebbe la Capitale a vantaggio, con ogni probabilità, dei 5 Stelle o del centrodestra guidato dai Fratelli d'Italia. Basti pensare che un recentissimo sondaggio dava i democratici addirittura al 17% di preferenze in città. Così, Ignazio Marino resta dov'è, almeno fino alla primavera 2016. Ma c'è chi ai conti di bottega non deve guardare (nè al colpo d'immagine che la perdita di Roma significherebbe) e che oggi una bella stangata a Marino e alla sua amministrazione l'ha data. Si tratta addirittura di Papa Francesco, che in piazza San Pietro, in apertura del convegno Ecclesiae Diocesano non ha certo usato mezze parole nel commentare il degrado morale e politico della città: "A seguito delle ben note vicende, la nostra città ha bisogno di una rinascita, deve rinascere moralmente e spiritualmente". Parlando a braccio, poi, il Papa ha fatto cenno anche "alle colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima", e ha raccontato di famiglie che "debbono ’ricatechizzare' i figli quando tornano dalla scuola".

Gli autovelox "fregati" per sempre Nuove norme: come evitare la multa

Nuovo codice della strada: autovelox depotenziato: così spariranno le multe




Oggi arriva alla Camera il ddl di riforma del codice della strada. Tra le nuove norme non c’è solo quella sul ritiro delle patente a vita a chi uccide qualcuno guidando un veicolo sotto l’effetto di alcol o droga. Accanto all’inasprimento di quelle norme specifiche sul cosiddetto “ergastolo della patente” il testo unificato contiene infatti altre norme destinate a incidere sulla vita degli automobilisti italiani e magari salvarli dalle odiose multe. Al comma 6bis dell’articolo 142 del codice (quello che tratta dei limiti di velocità su strada, superstrade e autostrade), ci sono un paio di righe scritte da Simone Baldelli (Forza Italia) con cui si stabilisce che le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità, oltre ad essere preventivamente segnalate e ben visibili, non potranno essere collocate a meno di 300 metri di distanza dall’avviso di segnaletica di riduzione della velocità. Un emendamendo questo che a detta dell'azzurro è un battaglia in difesa dei diritti dei cittadini automobilisti contro gli autovelox messi a “tradimento” dopo i cartelli di abbassamento dei limiti di velocità: "Una cosa è la sicurezza stradale, un’altra è vessare i cittadini".

Caivano (Na): Avanti il centro destra, Simone Monopoli è il nuovo Sindaco

Caivano (Na): Simone Monopoli è il nuovo Sindaco 





Rilevazioni votanti definitivi: 14.990 (51,16%)

Monopoli Simone (8687 voti)

Sirico Luigi (6102 voti)

Monopoli Simone è il nuovo sindaco di Caivano. 

domenica 14 giugno 2015

Pensioni d'invalidità, boom Renzi Mappa: le città con più assegni

Pensioni d'invalidità, il business alle spalle dell'Inps: in 2 anni 100mila assegni in più, ecco la mappa delle province più "fortunate"




Le pensioni di invalidità sono un affare per molti italiani. Un business gonfiato negli anni per compiacere amici ed elettori e finito sotto le forbici della spending review in tempi di crisi. Ma come mostra Federico Fubini sul Corriere della Sera, la situazione è ancora allarmante, con 100mila assegni in più nei soli ultimi 2 anni. Secondo i dati dell'Inps, dal 2013 il numero di pensioni di invalidità è cresciuto dell'8,4% in Calabria, del 5,7% nel Lazio, del 5% in Sicilia e Puglia, del 4,2% in Liguria, del 3,5% in Lombardia e Veneto e del 3,1% in Campania, a dispetto di "verifiche straordinarie" e controlli sulla carta più severi. E anche in Toscana ed Emilia Romagna le pensioni di invalidità sono aumentate dell'1,7 e del 2,2 per cento.

La mappa delle province - Il punto, spiega Fubini, è che la concessione di permessi, pensioni e assistenze sanitarie ai disabili, veri e presunti, è una importante leva per il mantenimento del consenso e il controllo dei voti locali. Il taglio è molto impopolare, la concessione facile (o i controlli allegri) è viceversa molto gradita dai potenziali elettori. Spulciando tra i dati delle singole province, il record spetta alla sarda Oristano: fra indennità e pensioni agli invalidi civili, ne gode il 9% dei residenti. Ridono anche Lecce con l'8%, Cosenza (il 7,4% dei residenti), Messina (7,68%) e Reggio Calabria (7,69%), e ancora Roma (una prestazione d'invalidità ogni 20 abitanti). Dati superiori alla Capitale al Nord, in città come Sondrio o Pavia. A conferma che "l'uso dell'Inps a fini clientelari" non conosce limiti geografici né politici.