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sabato 17 gennaio 2015

La Kostner condannata per Schwazer Amore e doping: un anno e 4 mesi

Doping, Carolina Kostner condannata a 1 anno e 4 mesi per il caso Schwazer





Il Tribunale nazionale antidoping ha squalificato Carolina Kostner per 1 anno e 4 mesi a partire da oggi. La pattinatrice altoatesina era accusata di complicità e omessa denuncia nell'ambito del "caso Schwazer": avrebbe cioè taciuto delle pratiche dopanti cui si sottoponeva l'allora suo fidanzato, il marciatore azzurro Alex Schwazer, oro a Pechino 2008 nella 50 km. La Procura nazionale antidoping aveva chiesto 2 anni e 3 mesi di squalifica. Kostner è stata anche condannata al pagamento di 1.000 euro. Il suo avvocato Giovanni Fontana commenta "Smentito il Tas che stabiliva la piena consapevolezza dell'illecito per la condanna. Faremo sicuramente ricorso". Queste invece sono le parole della pattinatrice: "Contenta di certo non sono, anzi sono molto amareggiata e molto delusa. Sono determinata ad andare fino in fondo, fino all'ultimo grado di giustizia". Ora Carolina con i suoi legali deciderà come articolare la sua difesa davanti al Tas di Losanna.

venerdì 16 gennaio 2015

Renzi non tira più: giù nei sondaggi E dalla Bignardi è flop di ascolti

Matteo Renzi non tira più: share flop per Le invasioni barbariche di Daria Bignardi. E nei sondaggi il premier cala

di Enrico Paoli 



Tranquilli. Prima o poi a sentirete Daria Bignardi esclamare, con uno dei suoi soliti acuti (inutili peraltro) che lei non fa televisione in senso stretto, ma che ha solo portato il salotto di casa sua nell’etere. E così tutto ciò che direte sugli ascolti delle Invasioni Barbariche, il programma de La7 condotto dalla giornalista-scrittrice ed ex conduttrice del Grande Fratello, sarà usato contro di voi. 
E sì perché la prima puntata della nuova stagione del programma, che ha debuttato mercoledì sera, ha fatto registrare un modesto 3,82% di share, nonostante la presenza del premier Matteo Renzi, al quale la Bignardi ha apparecchiato un’intervista su misura. Nemmeno il Fedez show ha evitato il disastro. Esattamente un anno fa (il 17 gennaio del 2014 per la precisione) Le Invasioni Barbariche, con il premier guest star della serata, fecero registrare il 5,59%. Altri tempi, altri scenari, direte voi. Probabile, tanto che il 17 aprile del 2013, ovvero in occasione dell’ultima puntata di quella stagione, la presenza in studio di Matteo portò in dote alla Bignardi (detta birignao) un ascolto record: il 6,55% di share. Qualcosa è cambiato. 

Di sicuro il presidente del Consiglio non è più il re Mida degli ascolti e la Bignardi è sempre più un prodotto di nicchia. Ma non è sommando le due negatività che si ottiene il risultato di questo tracollo. Perché nel caso della conduttrice de La7 incide, e non poco, la crisi della tv generalista e il logoramento del programma. Sempre uguale a se stesso. Nel caso del premier, invece, pesa il definitivo tramonto della luna di miele con gli italiani. Il sondaggio realizzato nei giorni scorsi dall’istituto Ixé per Agorà, il programma di Rai Tre condotto da Gerardo Greco, ha evidenziato un crollo della fiducia tanto nel governo (sceso in una settimana dal 37 al 33%) quanto nel premier (dal 39 al 37%) e sorpassato dal quasi ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (39%). I motivi sono facilmente immaginabili. Il nuovo record della disoccupazione pesa in modo evidente, così come pasticcio sulla delega fiscale tanto attesa da aziende e cittadini. E se le cifre raccontano che gli italiani non credono più nell’arte affabulatoria del primo ministro, incapace di risolvere i problemi del Paese, i sondaggi non raccontano sino in fondo la crisi degli italiani. Se a settembre la fiducia era al 50%, in poco più di tre mesi si è disperso oltre un quarto del «Renzi fan club». Sono cose che succedono anche nelle migliori famiglie.

Però nel caso di Renzi e della Bignardi le vicende, diciamo così, «familiari» sono un fatto marginale, dato che entrambi sono afflitti da un ego smisurato. La conduttrice de La7, molto attenta ad accontentare i salotti radical chic più che il pubblico trasversale della rete, è stata battuta da una programma popolare come Chi l’ha Visto, condotto con maestria da Federica Sciarelli. Il contenitore di Rai Tre ha fatto registrare il 15,02% di share, mantenendosi sui propri livelli standard. Matteo, invece, rischia di essere surclassato dall’altro Matteo, Salvini naturalmente. I due sono considerati fra i leader più amati in questo momento, sebbene la luna di miele del premier con il Paese pare essersi eclissata. Tuttavia c’è un dato che dovrebbe far riflettere, e non poco. Soltanto il 50,7% degli intervistati ha dichiarato che si recherebbe alle urne nel caso in cui si tornasse a votare. Segno che il disinteresse verso la politica ha raggiunto percentuali mai viste in passato. Nel frattempo, però, il leader della Lega continua ad essere l’ospite preferito dei programmi tv. E chissà che non sia proprio lui il vaccino contro l’epidemia dell’astensionismo.

Otto e mezzo, Paolo Gentiloni e quella domanda della Gruber sul riscatto per Greta e Vanessa

Otto e mezzo, Paolo Gentiloni e quella domanda della Gruber sul riscatto per Greta e Vanessa








"Abbiamo pagato il riscatto? Le notizie che circolano sono solo illazioni, abbiamo seguito tutte le procedure utili per liberare Greta e Vanessa". Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ospuite a Otto e Mezzo, va in tilt con una domanda di Lilli Gruber che lo incalza: "Ministro può rispondere sì o no sulla vicenda del riscatto? Avete pagato?". Niente Gentiloni non riesce a pronunciare un monosillabo. E così parte il solito giro di parole: "Ho trovato quelle ragazze molto provate, il governo italiano ha fatto il possibile per riportarle a casa. Abbiamo seguito tutte le procedure che sono simili a quelle adotatte dagli altri Paesi. L'Italia non paga riscatti", ha affermato. 

"Che io sappia" - Ma sul caso specifico di Greta e Vanessa non riesce pronunciare una frase semplicissima: "Il governo italiano non ha pagato il riscatto ad Al Nusra". Poi sempre più stremato, Gentiloni all'ennesima domanda su uno scambio di prigionieri risponde così: "Che io sappia non c'è stato". Va sottolineato quel "che io sappia". Non proprio rassicurante come risposta per chi guida il dicastero degli Esteri ed è in prima linea nella difesa del nostro paese dal pericolo jihadista...

Un devastante Ferrara su Papa Francesco: "Su Charlie non ha perso la brocca e non è una gaffe. E' molto peggio". Poi la drammatica profezia

Ferrara su Papa Francesco: "Le sue parole su Charlie non sono una gaffe. Sono molto peggio"





"Se dici una parolaccia su mia mamma ti devi aspettare un pugno", ha detto ieri Papa Francesco a proposito della libertà di espressione e della blasfemia. "È aberrante uccidere in nome di Dio", ha detto il gesuita Bergoglio, ma è sbagliato anche "insultare le religioni". Parole molto forti pronunciate mentre era in aereo in volo verso le Filippine che hanno in qualche modo stupito cattolici e non. E proprio a quelle parole Giuliano Ferrara dedica oggi il suo editoriale sul Foglio sottolineando che "il fantasma di Voltaire e della sua irrisione delle religioni, dai maomettani ai papisti agli ebrei, il fantasma di un Charlie del Settecento, è ancora troppo vivo, nonostante si faccia finta di averne cancellato anche il ricordo con il Concilio ecumenico vaticano II".

Perché quelle parole - "Perché il Papa ha parlato in modo da essere identificabile come il tutore dell' autodifesa della dignità delle religioni invece che come il custode della sacralità della vita umana e del diritto alla libertà d' espressione?", si chiede il direttore del Foglio. La risposta arriva un paragrafo più sotto: "Non credo sia una gaffe, modalità a parte, ché il magistero posta aerea è effettivamente un po' troppo colloquiale per valere erga omnes. Non ha perso la brocca, il Papa, il che sarebbe umano, possibile, riparabile. C' è dell'altro. C'è la convinzione, comune al Papa e a molta cultura irenista occidentale, che si debba convivere con l'orrore, che il distacco concettuale e spirituale dell'islam dalle pratiche violente del jihad è una conquista che spetta eventualmente all'islam di realizzare, che non esiste alternativa alla sottomissione o all'abbandono al dialogo interreligioso".

Non è una gaffe - Del resto, spiega Ferrara nell'articolo firmato con l'elefantino rosso, "per quanto si voglia essere Papa del secolo e nel secolo, per quanti omaggi si facciano, anche per i creduloni, alla libertà piena di coscienza come fondamento della fede, della possibilità della fede, alla fine quel che conta è non perdere il contatto con l'universo islamico, e la chiesa sa bene, ben più e meglio di altri, che il nemico violento non è il terrorismo ma l'idea coranica radicalizzata di cui il terrorismo è il frutto". "Parole e gesti del Papa, le risate risuonate nella carlinga del suo aereo, la metafora del pugno risanatore che colpisce e ripara l'offesa alla dignità, la declamazione tra pause teatrali del concetto "è normale, è normale", tutto questo non è gaffe", conclude Ferrara. "E' di più e peggio". "La piazza araba militante, gli imam che predicano nelle moschee e riluttano a una
rigorosa condanna della decimazione con fucile a pompa di redazioni di giornale e negozi ebraici, da ieri si sentono meno isolati, meglio protetti dalla convergenza con il Papa di Roma". 

Jihadisti, piano diabolico in Europa Decapitazione e ostaggi: tutto pronto

Belgio, i jihadisti uccisi volevano assaltare un bus e prendere i passeggeri come ostaggi





I due sospetti terroristi uccisi dalla polizia belga nel raid di ieri sera a Verviers progettavano, insieme al terzo sospettato rimasto ferito, di sequestrare un autobus e prenderne in ostaggio i passeggeri. Lo riferisce l’emittente belga Rtl, secondo la quale i tre intendevano compiere la loro azione indossando uniformi della polizia belga e utilizzando fucili d’assalto kalashnikov, pistole ed esplosivi. Secondo quanto riporta invece il quotidiano Het Laatste Nieuws, la cellula terrorista intendeva rapire un alto ufficiale di polizia o un magistrato per poi decapitarlo in un video da diffondere su Internet. Il sito della Dernière Heure più in generale sostiene che stavano preparando il rapimento e la decapitazione di un importante personaggio. 

Cellula cecena - Le operazioni antiterrorismo in diverse località del Belgio "sono terminate" e i membri della cellula neutralizzata a Verviers sono di origine cecena. Secondo quanto confermato dal ministro degli Esteri belga Didier Reynders i due uomini uccisi ieri erano tornati di recente dalla Siria. Un terzo uomo, rimasto ferito nell’assalto della polizia è stato arrestato. "Le operazioni sul terreno sono terminate. Ora analizzeremo la situazione per capire se la polizia e le autorità giudiziarie dovranno prendere altre misure", ha spiegato Reynders.

L'attentato imminente - La cellula preparava attentati contro le forze dell’ordine "per oggi, o al più tardi domani", ha detto il procuratore Eric Van Der Sypt durante una conferenza stampa a Bruxelles. Il pericolo, ha spiegato, era imminente, "questione di ore", e questo ha spinto la polizia ad accelerare l’operazione. L’indagine, ha spiegato, andava avanti "da alcune settimane".

Scuole ebraiche chiuse - In Belgio rimane alta l’allerta anti terrorismo dopo l’operazione di polizia. Secondo quanto riferito dalle autorità i due erano appena rientrati dalla Siria e si apprestavano a compiere attacchi contro la polizia belga. Un terzo sospettato è stato arrestato dopo essere rimasto ferito nel corso del raid. Dopo l’operazione Van Der Sypt ha riferito che l’allerta è stata innalzata a livello tre, il secondo più alto. E' per questo che alcune scuole ebraiche ad Anversa e Bruxelles sono state chiuse dopo essere state indicate come possibili bersagli di attacchi terroristici.

Nessun collegamento con Parigi - Non sembra esservi, ha riferito il portavoce della procura Eric Van der Sijpt, un collegamento con gli arresti effettuati a Parigi. "Ciò che posso confermare -ha spiegato- è che abbiamo cominciato le indagini prima degli attacchi di Parigi". E -ha aggiunto- gli "arresti importanti" effettuati significano che "non è stata smantellata solo una cellula bensì anche il sostegno di cui godeva". 

Clamoroso: Renzi si fa un giornale In squadra il figlioccio di Ferrara

Matteo Renzi, addio a Europa e Unità: si fa un suo giornale con il figlioccio di Giuliano Ferrara e altre firme vip

di Francesco Specchia 



L’idea è suggestiva, un lampo nella notte dell’editoria. Matteo Renzi si fa un settimanale (il quotidiano costicchia, e di ’sti tempi porta un po’ sfiga) tutto suo. Meglio: il premier lavora a un giornale che lasci il Pd per strada, e onori l’indicibile «Patto del Nazareno». Tambureggiata dal quotidiano online Stati generali e confermata da ambienti finanziari milanesi, si fa sempre più strada la notizia che il «giglio magico» stia lavorando ad una rivista cartacea. Si giocherebbe tutto sulla triangolazione Luca Lotti e Marco Carrai (l’uno plenipotenziario sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’altro sodale di sempre nonchè found raiser) e Christian Rocca. Quest’ultimo, ex giornalista del Foglio e attuale direttore di IL, il mensile del Sole 24Ore, rientra tra i sostenitori della prim’ora di Renzi. Molti, di Rocca, ricordano i recenti tweet che paragonavano la potenza eversiva del Jobs Act al divorzio (roba inosabile, finora, nemmeno dal più duro e puro dei renziani); e una copertina di IL, appunto, che descriveva il favoloso mondo di Renzi con illustrazioni belle ma di un buonismo da far innalzare il colesterolo. Potrebbero essere della partita «anche Giuseppe De Bellis (vice del Giornale), Stefano Menichini e Luca Sofri. Più una serie di firme della rivista diretta da Federico Sarica, Rivista Studio», scrive Stati Generali.

In tutto questo il recupero del brand storico dell’Unità non viene mai citato: «anche perché l’Unità sarebbe comunque andata a un dalemiano...», chiosa un collega dell’Unità. Né si parla di Europa, quotidiano autorevole e organo del Pd oramai pubblicato solo in versione online e considerato costoso. Non per nulla il suo direttore, Menichini, parrebbe nella lista degli arruolandi. Le indiscrezioni, inoltre, non accennano ad alcun tipo di finanziamento pubblico (anche se, volendo, il finanziamento è roba di Lotti). «Ma non c’è problema. Ci sarebbe già pronta la coda, per un’operazione del genere...», ci risponde uno dei colleghi «allertati». E uno subito pensa al mitico Carrai e alla Fondazione Big Bang, la storica raccoglitrice di fondi del premier i cui primi sostenitori sono il finanziere Davide Serra, oltre ai patron della chimica Mossi e Ghisolfi, a Paolo Fresco, a Franzo Grande Stevens, ecc.. E, in effetti , l’idea della «coda» per supportare un giornale del premier non è affatto peregrina. Secondo un’inchiesta di Pagina 99, infatti, il 66,12% dei finanziatori individuali - tra i 40 e 50 anni - di Renzi ha ricevuto incarichi pubblici di prima nomina, la maggior parte in Parlamento con le elezioni del 2013. Altri, invece, in società partecipate dello Stato. Nulla di male, per carità. La cosa è ciclica: trattasi un fenomeno di mercato prodottosi anche con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio. E a proposito di Berlusconi. Un foglio esclusivamente renziano ma, in fondo, striato di flebile berlusconismo (Rocca viene dal Foglio, è un figlioccio di Giuliano Ferrara, come Claudio Cerasa, un altro dei cronisti di riferimento del premier), potrebbe davvero puntellare la strategia riformista del Patto del Nazareno, dicono. A Renzi potrebbe andare anche bene, se il buon Dio, il calo petrolio e la tenuta del dollaro gli dessero un aiutino. Ovviamente i colleghi coinvolti, in pubblico, smentiscono il tutto. E il Pd di governo tace, anche perché se parlasse ora, prima del voto per il Quirinale, sarebbe un suicidio di massa. Si tratta di aspettare, anche l’addio di Gubitosi alla Rai, preludio ad un probabile assalto governativo ai Tg (specie al Tg3 si candiderebbero colleghi/e embedded del Corrierone). Todos renzianos...

Marò, finalmente l'Europa si sveglia: "Devono rientrare subito in Italia"

Marò, l'Ue approva la risoluzione per il rimpatrio. Il giornale di New Delhi: "Basta con questa farsa"





Il Parlamento Ue ha votato sì a maggioranza la risoluzione in cui si chiede di rimpatriare i due marò italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel 2012 e attribuire la competenza giurisdizionale del caso alle autorità italiane o a un arbitraggio internazionale per trovare una "soluzione ragionevole e accettabile" per le parti coinvolte.  Nella risoluzione si "esprime profonda tristezza e manifesta il proprio cordoglio per la tragica fine dei due pescatori indiani" e "grande preoccupazione per la detenzione dei fucilieri italiani senza capi d’imputazione" e si "pone l’accento sul fatto che essi devono essere rimpatriati e sottolinea che i lunghi ritardi e le restrizioni alla libertà di movimento dei fucilieri sono inaccettabili e rappresentano una grave violazione dei loro diritti umani". Nel testo inoltre si lamenta "del modo in cui la questione è stata gestita e sostiene gli sforzi esplicati da tutte le parti coinvolte per ricercare con urgenza una soluzione ragionevole e accettabile per tutti, nell’interesse delle famiglie coinvolte, indiane e italiane, e di entrambi i Paesi" e per questo si auspica che "la competenza giurisdizionale sia attribuita alle autorità italiane o a un arbitraggio internazionale". Nella risoluzione si incoraggia l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, "a intraprendere ogni azione necessaria per proteggere i due fucilieri italiani ai fini del raggiungimento di una soluzione rapida e soddisfacente del caso" e si ricorda alla Commissione "che è importante porre l’accento sulla situazione dei diritti umani nel quadro delle relazioni con l’India e la invita quindi a prendere in considerazione ulteriori misure per facilitare una soluzione positiva del caso".

"Basta con questa farsa" - Intanto qualcosa sembra muoversi anche in India. The Economic Times, un quotidiano di Nuova Delhi che ha spesso pubblicato ’soffiate' del ministero dell’Interno o della Nia, l’agenzia investigativa indiana, ha pubblicato stamattina un editoriale in cui si legge: "Mettiamo fine a questa farsa, mandare a casa i marò è la cosa migliore". Secondo il quotidiano il governo del premier Narendra Modi "sta valutando un accordo consensuale con l’Italia per risolvere la questione" e aggiunge che "questa è davvero l’opzione migliore". "Il governo indiano", aggiunge il giornale, "esattamente come il suo predecessore, non ha alcuna interesse nel punire i due marò, considerato il fatto che sono in gioco le relazioni diplomatiche dell’India con l’Ue. Gli italiani lo sanno bene e hanno condotto il gioco diplomatico alla perfezione, conducendo l’India in una trappola giudiridica". Secondo il quotidiano, la serie di errori di New Delhi è cominciata nel 2013 quando l’allora ministro dell’Interno RK Singh consegnò l’inchiesta alla Nia, che fece appello alla legge anti-pirateria. Una legge, ricorda ancora The Economic Times, che ha scatenato la furia dell’Italia perchè prevede la pena di morte (che invece era stata esclusa dalle garanzie assicurate all’Italia dal ministro degli Esteri, Salman Khurshid). Ma l’India imperterrita continuò a "infilare la testa nella sabbia". Ripercorrendo i vari complicati meandri giuridici della vicenda, il quotidiano conclude che il governo di New Delhi al momento è "disponibile all’ipotesi di consentire ai due marò di scontare la sentenza in Italia, se condannati in India. Ora -è la conclusione- dovrebbe consentire loro anche di essere processati in Italia".