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martedì 13 gennaio 2015

Uno squillo e il credito va in fumo Come sfuggire all'ultima truffa telefonica

Si chiama Wangiri l'ultima truffa telefonica: uno squillo e...





L'ultima truffa telefonica si chiama "Wangiri" o "PingCall". L'allarme lo lancia, con una nota postata nella propria pagina facebook, la Questura di Vicenza. Inizia con una chiamata sul proprio cellulare da un numero sconosciuto che comincia con il prefisso 373, ovvero quello della Moldavia. La chiamata dura poco più di uno squillo, prima che cada la linea. Perchè lo scopo dei truffatori è quello di farsi richiamare. Facendolo, qualcuno risponderà ma si sentiranno solo suoni confusi, mentre sul telefonino vengono addebitati 1,50 euro ogni 10 secondi. I truffatori sono dotati di un computer in grado di contattare contemporaneamente migliaia di numeri telefonici casuali in tutto il mondo. Per riavere il credito rubato occorre procedere con una vera e propria denuncia. La soluzione, consiglia la polizia, è non rispondere a qualsiasi chiamata da un numero non in rubrica che cominci con 373.

Sfuma il sogno del portierone Neuer A Ronaldo il terzo Pallone d'oro

Sfuma il sogno di Neur, a Ronaldo il pallone d'oro 2015





Va al portoghese Cristiano Ronaldo il Pallone d’Oro Fifa 2014. L’attaccante del Real Madrid, protagonista di una straordinaria stagione culminata con la conquista della decima coppa dei Campioni delle merengues, ha battuto la concorrenza dell’eterno rivale Lionel Messi e del portierone della Germania campione del mondo Manuel Neuer. Per Ronaldo è il terzo Pallone d’Oro, il secondo consecutivo.

Il discorso - Quando Thierry Henry ha pronunciato il suo nome, la maggior parte dei presenti, lo stesso calciatore ed anche il pubblico da casa non ci ha creduto. La maggior parte degli appassionati e addetti al settore, si aspettava la vittoria del portiere tedesco. Invece alla fine a salire su quel palco è proprio CR7. Il giocatore esprime la sua emozione, ringraziando tutta la famiglia con tanto di dedica alla compagna, alla madre al figlio, al padre deceduto e al fratello. Poi ringrazia anche tutti quelli che lo hanno invitato, il suo allenatore Carlo Ancelotti, il presidente e la squadra del Real Madrid suoi compagni di mille sfide. "Questo trofeo è unico - dichiara l'attaccante portoghese - è il mio terzo ma spero di poter eguagliare Messi già l'anno prossimo". Attestato di stima per il collega eterno rivale o forse guanto di sfida, non si può dire con certezza. Ciò che è sicuro è che Ronaldo è molto contento e alla fine del discorso lancia un urlo distensivo.

Gli allenatori - Tutti aspettavano la proclamazione del migliore giocatore del mondo, ma nell'attesa alla stessa cerimonia è stato incoronato anche il miglior allenatore. Anche in questo caso i candidati erano tre e alla fine su Carlo Ancelotti e Simeone la spunta il ct della nazionale tedesca Joachim Löw. La motivazione è semplice ed avrebbe giustificato anche l'eventuale vittoria di Manuel Neuer; quest'anno ci sono stati i Mondiali e loro lo hanno conquistato. Quando a vincere è solo uno, ovviamente c'è sempre qualcuno che resta dispiaciuto e forse Ancelotti, ci aveva creduto fosse possibile una sua vittoria, d'altronde nessuno ha fatto come lui in Champions Legue, ma il suo nome su quel palco viene fatto solo dal suo pupillo Ronaldo.

Fifa Puskas Award - Quest'anno ad incuriosire gli spettatori c'era anche l'esito della premiazione per il miglior gol. Avrebbe potuto infatti, scrivere una bella pagina di storia del calcio la calciatrice Stephanie Roche, la prima donna candidata alla vittoria di un premio di cui il monopolio è sempre stato maschile. La 25enne irlandese ha insidiato James Rodriguez e Van Persie; il premio però va al colombiano Rodriguez per la rete contro l'Uruguay al Mondiale.

lunedì 12 gennaio 2015

Regalo di Renzi: stipendio tagliato per 100mila lavoratori ecco perché arriva quest'altra mazzata sui dipendenti

Contratti di solidarietà, per 100mila lavoratori stipendio tagliato

di Antonio Castro 



Quasi 100mila lavoratori che hanno accettato il contratto di solidarietà (o che ne firmeranno uno quest’anno), nella busta paga di gennaio 2015 scarteranno il “regalino” del governo Renzi: un taglio ulteriore della retribuzione del 10%. Insomma, porteranno a casa non il 70% dello stipendio (come nel 2014), ma solo il 60%. In sostanza: né con la legge di Stabilità 2015, né con il decreto Milleproroghe il governo ha messo a bilancio le risorse per integrare i tagli di stipendio dei lavoratori che navigano (con ansia) nel mare magno dei contratti di solidarietà. Sarebbero serviti oltre un centinaio di milioni per garantire l’integrazione (al 70%) degli stipendi decurtati. Al ministero del Lavoro, tutti presi dal parto (incompleto) del Jobs Act hanno fatto finta di dimenticarsene. Cosa volete che sia: sempre meglio che starsene a spasso. Il problema è che la decurtazione del 10% si accompagna già con un taglio del 30% dello stipendio. Morale nel 2015 - salvo rinsavimento di Palazzo Chigi - oltre 100mila lavoratori che pagano la crisi in busta paga vedranno sparire l’integrazione al reddito del 10% garantita nel 2014. E non è la prima volta. Nel 2013 l’integrazione al reddito copriva per le aziende (oltre 2mila quelle che l’hanno richiesta e attivata presso il ministero del Lavoro), l’80% dello stipendio perso.

La procedura dei Cds - semplice e meno burocratica della mobilità o della cassintegrazione - prevede che azienda e sindacati si mettano d’accordo per ridurre lo stipendio. Di conseguenza al lavoratore vengono assicurati un certo numero di giornate libere in base alla percentuale di riduzione del compenso. Il lavoratore resta “agganciato” all’azienda, l’impresa ottiene uno sconto sui contributi, e nessuno (almeno per i 48/60 mesi che può durare la Cds), viene licenziato. La solidarietà è tra i lavoratori che accettano tutti di ridursi lo stipendio per evitare licenziamenti. Peccato che dal 2009 ad oggi il ricorso alla solidarietà sia letteralmente esploso. Secondo calcoli del ministero del Lavoro le aziende che hanno attivato la procedura sarebbero oltre 2mila. Però ci sono grandi gruppi (come Telecom che ha messo in Cds oltre 32mila dipendenti). Morale se le statistiche dell’attuario dell’Inps parlano di 31.156 lavoratori in Cds al 31 dicembre 2013, c’è da notare un boom delle richieste. «Nell’ambito degli interventi straordinari», spiega un monitoraggio 2013 realizzato proprio dal dicastero di Poletti, «stanno assumendo sempre maggior rilievo i contratti di solidarietà, come strumento di difesa del livello occupazionale aziendale attuato attraverso una riduzione dell’orario di lavoro degli addetti. Ai contratti di solidarietà si applicano, in linea di massima, le disposizioni normative che regolano le integrazioni salariali straordinarie. I beneficiari di contratti di solidarietà, espressi in Ula (Unità lavorative anno, ndr), sono in crescita in tutto il periodo 2011-2013; si passa dai 16.710 beneficiari del 2011 a 31.156 del 2013, con variazioni annue del 27,1% nel 2012 e 46,7% nel 2013».

Peccato che il ministero di Poletti - che tanto punta con il Jobs Act proprio sul maggiore utilizzo della Solidarietà invece della costosa (per l’Inps) Cassintegrazione - trascuri il censimento mensile dei lavoratori in Cds. Anzi si preferisce adottare un calcolo Ula che falsa e mischia con altri ammortizzatori il fenomeno crescente della Cds. In soldoni i lavoratori in Solidarietà invece di finire in Cig (a carico dello Stato), si autotassano per conservare la speranza di avere ancora un posto di lavoro. «Nel 2015», chiarisce l’Ufficio Studi Consulenti del Lavoro, «non è stata stanziata in alcun modo la somma di 40 milioni di euro e dunque dal 2015 le aziende che hanno in corso un contratto di solidarietà, oppure stipulino a partire dal 1 gennaio 2015 un contratto simile, avranno una integrazione del 60% e non del 70%». Resta da vedere se si tratti di una dimenticanza o di un intento premeditato per risparmiare. C’è da chiedersi poi se è questo il modello di welfare solidale che ha in mente Renzi. Lavorare meno, per guadagnare meno. Peccato che così, di certo, il Pil non decollerà.

Immigrati in Italia sui barconi per un attentato in Vaticano

Immigrati in Italia sui barconi per un attentato in Vaticano

di Michael Sfaradi 



Nel 2010, a seguito dell’omicidio a Dubai del terrorista di Hamas Mahmud al-Mabhuh, l’allora Segretario agli Esteri inglese David Miliband decise, come ritorsione nei confronti di Gerusalemme, di dichiarare «persona non grata» uno dei funzionari israeliani a Londra: questo perché voci, mai confermate, davano per certo che i killer del Mossad avessero usato falsi passaporti inglesi per entrare nell’Emirato. Chi si oppose a questa mossa, soprattutto considerando che il funzionario era l’uomo del Mossad in Inghilterra, fu proprio l’MI5, i servizi segreti inglesi, che rimase momentaneamente senza contatti con il più informato servizio di intelligence al mondo nelle questioni di antiterrorismo.

Segnali ignorati - Che la sezione analisi e informazioni del Mossad sia in continuo contatto, direttamente o indirettamente, con i servizi segreti della quasi totalità del mondo occidentale non è un mistero e molti degli attentati che vengono sventati lo sono grazie alle informative che proprio il Mossad passa ai governi alleati. Per chi frequenta certi ambienti quello che sta accadendo in Francia in queste ore non è una sorpresa, infatti la domanda che girava non era «se», ma «quando» sarebbe scoppiato il bubbone: i segnali, anche se passati in sordina, c’erano tutti.  Dopo l’eccidio nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato kosher, che sono solo gli ultimi attentati di una serie che si trascina da alcuni anni, cosa aspettarci? E dove? Secondo voci fatte trapelare nelle ultime ore, e che dietro le quinte sono date per precise e ben informate, sono decine le informative partite nelle ultime settimane oltre che per Parigi anche verso Londra, Berlino, Bruxelles e Roma (in un video dell'isis i jihadisti minacciano il Vaticano).

Per quanto riguarda l’Italia l’attenzione è focalizzata sull’immigrazione di massa in corso dal Nord Africa: i barconi che partono dalla Libia sono per la maggior parte pieni di gente in cerca di un futuro migliore, ma fra loro, e questo viene dato per scontato, si nasconde una percentuale di guerriglieri addestrati provenienti sia dal Mali, che è solo la punta dell’iceberg, sia nelle numerosissime scuole di guerra islamiche nate dopo le “primavere arabe”. Nelle informative in possesso delle autorità ci sono anche diversi nomi e fotografie di queste persone, ma il flusso è talmente alto che solo una piccola percentuale può essere identificata prima del passaggio nel Mediterraneo. Per questo molti di loro, protetti dall’anonimato, una volta entrati in Italia fanno perdere le tracce e diventano cellule dormienti in attesa di ordini.

"Ventre molle" - L’Italia è considerata il “ventre molle” d’Europa, una porta di passaggio che permette sia l’entrata incontrollata nel vecchio continente di personaggi pericolosi e addestrati che il ritorno di coloro che hanno passato periodi più o meno lunghi con i combattenti siriani, con l’Isis, con Al Nusra o con una qualsiasi delle organizzazioni terroristiche legate all’Islam radicale e che usando la “via dei disperati” evitano di dover spiegare i loro viaggi ai controlli doganali. Persone che, una volta rientrate, possono mettere a frutto l’addestramento ricevuto per colpire dall’interno. Se la Francia, che è una delle più importanti potenze mondiali, si è rivelata impreparata, cosa accadrà nel resto d’Europa nel momento in cui dovessero esserci attentati a catena come quelli che hanno caratterizzato gli ultimi giorni? Impossibile rispondere a questa domanda visto che gli eventi si susseguono e sovrappongono in continuazione. L’Italia, per assurdo e il condizionale è d’obbligo, proprio per questa sua funzione di ponte tibetano potrebbe essere, almeno inizialmente, risparmiata da attacchi terroristici di matrice islamica, ma farsi illusioni sarebbe un tragico errore: nel Paese ci sono troppi obiettivi sensibili agli occhi di chi vuole stravolgere il mondo e Roma non è solo la capitale dello Stato, ma anche il centro della cristianità mondiale.

Voci sul maxi-affare Gelli-Berlusconi L'intreccio: che cosa bolle in pentola...

Licio Gelli vuole vendere Villa Wanda: la vorrebbe acquistare Silvio Berlusconi





Una voce, rilanciata dal Fatto Quotidiano. Si parla di Villa Wanda, la storica e splendida dimora di Licio Gelli sul colle aretino di Santa Maria. Si tratta di una "casetta" con 32 stanze, piscina, sauna e un grande parco, di cui l'ex Venerabile Maestro della P2 entrò in possesso nel 1974, quando la acquistò dall'industriale Mario Lebole. Ma oggi, Gelli, ha bisogno di liquidità. E dunque avrebbe deciso di vendere. E ora le indiscrezioni dicono che tra gli acquirenti interessati ci sarebbe niente meno che Silvio Berlusconi. Solo da qualche giorno la villa è stata dissequestrata: il 96enne Gelli, infatti, era stato accusato di frode fiscale, con relativo sequestro dell'immobile. Ma una prescrizione di soli sei giorni ha rimesso tutto in gioco. Sulla villa, inoltre, gravano due ipoteche: la prima del Banco Ambrosiano, la seconda delle Entrate, che contestano a Gelli un debito di 17 milioni di euro. Debito che con la vendita del maxi-immobile potrebbe definitivamente estinguere. Ed è in questo contesto, dunque, che stando ai rumors si sarebbe fatto avanti un interessatissimo Cavaliere...

Meloni-Tosi-Fitto, l'asse anti-Cav: così vogliono sabotare i suoi piani

Meloni, Tosi e Fitto: il progetto per sabotare l'intesa tra Berlusconi e Renzi

di Enrico Paoli 



«Sia chiaro, non voglio morire renziana», dice con il solito impeto passionale Giorgia Meloni dal palco del cinema Adriano a Roma, dove è stata battezzata l’iniziativa «Sveglia centrodestra!», promossa dalla fondazione «Fare Futuro» presieduta dall’ex ministro Adolfo Urso. Per carità, a vedere la sala dell’Adriano sono in molti a condividere l’idea della Meloni. A partire da Francesco Storace che segue con attenzione ma senza troppa partecipazione i lavori. Da uomo d’azione quale è vorrebbe più entusiasmo e meno tatticismo: «Spero che il dibattito cresca di livello, i protagonisti sono comunque all’altezza della sfida». E proprio per questa ragione i giovani della Fondazione, provati e prostrati dalla batosta delle ultime europee, hanno invitato la leader di Fratelli d’Italia, il «ribelle» azzurro Raffaele Fitto e il leghista ma non troppo sindaco di Verona, Flavio Tosi (che ieri ha debuttato ufficialmente su Twitter), a tracciare una linea per riunire il centrodestra. O almeno quel che ne resta, essendo troppo frammentato e disorientato.

Non a caso la diagnosi è pressochè unanime. «Il centrodestra, così come lo abbiamo conosciuto fino a ora, è morto, bisogna ricominciare da capo» e costruire un’alternativa «forte e credibile al rottamatore». Il rischio, avverte Tosi, è di cadere sotto i «ricatti» del Patto del Nazareno, che «serve al premier solo per mantenerci divisi e farci scomparire». Una via d’uscita ci sarebbe pure, assicurano i quattro promotori della manifestazione, e passa attraverso le primarie. Il problema è che fra la teoria e la pratica c’è di mezzo un mare di soldi. Tanti, pure troppi, nonostante lo sforzo titanico nel dimostrare che si possono fare a costo zero. Ma se Tosi e la Meloni possono concedersi il lusso di guardare in prospettiva alle prossime regionali, Fitto è assediato dal presente. «Non hanno ancora capito gli amici del mio partito che errore hanno fatto», dice l’europarlamentare di Forza Italia, «a non invitarmi all’iniziativa organizzata in Abruzzo (Neve Azzurra, ndr). Non pensi nessuno di non ascoltare che cosa pensano in tanti nel partito, noi abbiamo a cuore il futuro del centrodestra e ci interroghiamo sui contenuti e sugli strumenti. I contenuti sono una politica economica alternativa al governo Renzi e gli strumenti», ricorda Fitto, «sono le primarie che legittimano la classe dirigente dal territorio». L’ex governatore della Puglia parla di primarie, in realtà dietro alle sue parole c’è l’ombra del Quirinale.

Perché la partita vera riguarda la scelta del nuovo capo dello Stato. Fitto, assieme al deputato Daniele Capezzone e alla senatrice Cinzia Bonfrisco entrambe presenti alla manifestazione, può contare su 38 parlamentari sicuri, pronti a deviare dal percorso che indicherà Silvio Berlusconi. Non solo. Nel segreto dell’urna la componente dei franchi tiratori potrebbe crescere e moltiplicarsi complicando i giochi tanto a Renzi quanto al Cavaliere. Il quale, consapevole di tutto ciò, delega a Giovanni Toti e Renato Brunetta il compito di smussare i toni con Fitto, preferendo occuparsi della Francia e del fenomeno del terrorismo internazionale. «Mi sembra una polemica sul nulla», dice il consigliere politico di Forza Italia in relazione al mancato invito di Fitto a «Neve Azzurra 2015». Be, se 38 ribelli vi sembran pochi...

Saltano sgravi e detrazioni fiscali per una famiglia su cinque: ecco a chi

Nuovo Isee, manca l'accordo: per una famiglia su 5 addio sgravi fiscali

di Francesco De Dominicis 



Una spending review mascherata che, invece di aggredire direttamente le casse della pubblica amministrazione, va a colpire (tanto per cambiare) le tasche dei contribuenti. Un’altra stangata, su quelli meno abbienti e dunque più bisognosi. È l’ennesima tagliola del governo di Matteo Renzi, passata in sordina e ora più chiara. Stiamo parlando del nuovo Isee, vale a dire quel pezzo di carta che certifica reddito e patrimonio di una famiglia, indispensabile per accedere ad alcuni servizi pubblici: sconti su mense e tasse universitarie, agevolazioni per gli affitti, sgravi per le bollette delle utenze domestiche, rateizzazione delle cartelle esattoriali, iscrizione agli asili nido (e relativa definizione della retta mensile).

Sta di fatto che il riccometro 2.0 (conterrà più dati rispetto al vecchio) doveva debuttare l’1 gennaio, ma è in ritardo perché i centri di assistenza fiscale, come denunciato ieri dalla Consulta dei Caf e da Unimpresa, non hanno ancora raggiunto un accordo con l’Inps per la convenzione (cioè la cifra che i Caf devono ricevere per ogni Isee stampato ai cittadini). Un ritardo che, peraltro, corre il rischio di pregiudicare l’accesso ad alcuni servizi. Ma la tabella di marcia è forse il problema minore. Secondo i Caf, infatti, la platea di coloro che usufruiscono di servizi e prestazioni legati alla situazione economica potrebbe ridursi del 20%. In teoria (cioè nelle intenzioni e negli annunci del governo) la riforma dovrebbe permettere di identificare meglio le condizioni di bisogno della popolazione, consentendo allo stesso tempo di contrastare le tante pratiche elusive ed evasive che caratterizzano le prestazioni sociali. In pratica - dicono i Caf - le famiglie avranno un salasso. Il nuovo documento restringerbbe il numero dei soggetti «abilitati» a usufruire di prestazioni sociali, sconti e agevolazioni varie: stando alle indicazoni delle organizzazioni del settore una famiglia su cinque subirà un giro di vite. Nel nuovo Isee saranno inserite più informazioni, specie quelle finanziarie (bot, titoli, conti correnti). Ragion per cui emergerà patrimonio finora non «denunciato»; e proprio questi dati in più rappresentano la tagliola.

Lo scorso anno sono state circa sei milioni le persone che hanno avuto accesso ai servizi e alle prestazioni garantite dal vecchio Isee e al momento sarebbero solo poche migliaia quelle che hanno inviato la richiesta per il nuovo indicatore andato in vigore dal primo gennaio (appena un centinaio attraverso i Caf che invece generalmente veicolano oltre il 90% delle richieste).

La falsa partenza, dicevamo. Lunedì è prevista una rinione tra l’Inps e i Caf. Che hanno posto un problema economico: hanno chiesto per le nuove pratiche un aumento di circa il 50% rispetto a quelle dell’anno scorso (circa 15 euro a pratica a fronte dei 10/11 del 2014). «Non abbiamo l’autorizzazione - ha spiegato ieri Valeriano Canepari, presidente della Consulta dei Caf - a fornire questa attività. Senza convenzione si fa fatica a garantire il servizio». Se quindi la platea non cambierà rispetto al 2014 (circa sei milioni di persone) la spesa prevista nel 2015 per la convenzione con l’Inps sarà di circa 100 milioni di euro rispetto ai 70 milioni del 2014. C’è comunque il rischio di allungamento dei tempi dato che l’Inps al momento ha un direttore per il quale è scaduto il mandato (ma ci si aspetta il rinnovo di un anno), un presidente designato che attende il parere delle commissioni parlamentari per entrare in carica e un commissario in scadenza. La firma è attesa a breve, ma non è affatto scontata. E la mazzata per le famiglie resta.