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martedì 17 novembre 2015

LETTERA AI TERRORISTI Il marito di una vittima: "Vi dico perché non vi odio"

Il marito di una vittima degli attentati del 13 novembre scrive una lettera ai terroristi: "Non avrete mai il mio odio"




Il signor Antoine Leiris ha perso sua moglie nel violento attacco alla sala da ballo Batclan di Parigi e nonostante il dolore straziante per la morte del suo amore ha deciso di utilizzare Facebook per far capire ai terroristi che non avranno mai il suo odio. Ecco la lettera integrale che Antoine ha postato sui social:

"Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa.  

 L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio".

CHI FINANZIA L'ISIS Petrolio, tasse e (tanti) regali Ecco chi dà soldi ai terroristi

Petrolio, tasse e regali: chi finanzia il terrore


di Davide Maria De Luca



All’alba di lunedì 16 novembre, una decina di aerei americani si è alzata in volo dalle basi aeree in Turchia per intraprendere una missione che l’aviazione degli Stati Uniti non aveva mai compiuto prima. Dopo il decollo, gli aerei si sono diretti sopra Deir el-Zour, il principale centro di produzione petrolifera nelle mani dell’Isis. Con bombe e mitragliatrici hanno attaccato la lunghissima colonna di autocisterne in coda davanti agli impianti e, in pochi minuti, hanno distrutto 116 veicoli.

È difficile stabilire con certezza quali e quante siano le entrate dell’Isis, ma quasi tutti gli esperti sono concordi nel dire che la vendita del petrolio siriano è di gran la più sostanziosa. Secondo le stime più diffuse, l’Isis ricava 1,5 milioni di dollari al giorno grazie alla vendita del petrolio.

Quello di lunedì è stato il primo attacco a questa fondamentale fonte di sostentamento per lo Stato Islamico. Attaccare direttamente i pozzi di petrolio siriani, infatti, rischia di innescare un disastro ecologico e di pregiudicare la ripresa economica del paese. Colpire le fasi successive del ciclo produttivo è altrettanto difficile perché non sono gli uomini dell’Isis a occuparsi di raffinare e distribuire il petrolio, ma migliaia di civili siriani che comprano il greggio dallo Stato Islamico, lo raffinano in impianti privati, lo trasportano sui loro automezzi e lo vendono nei loro distributori. Paralizzare l’industria petrolifera siriana senza causare danni a lungo termine rischia di provocare un’ecatombe di civili.

Sono proprio loro, purtroppo, ad acquistare gran parte del petrolio estratto dall’Isis. Quello che resta viene contrabbandato in Turchia e in Iraq, oppure viene acquistato dai nemici dell’Isis, come il regime di Bashar al Assad e i ribelli moderati della FSA, che lo usano per alimentare i loro veicoli e per mantenere in funzione gli ospedali nelle aree sotto il loro controllo. Secondo l’intelligence americana, questa industria dipende da una flotta formata da circa 1.000 autocisterne, un decimo delle quali sono state distrutte negli attacchi di lunedì.

Gli Stati Uniti hanno detto che la decisione di cambiare strategia e di iniziare a colpire l’industria petrolifera siriana, risale a molto tempo fa e che non è una risposta agli attacchi di Parigi. È una scelta, dicono, per colpire quella che ancora oggi è la principale fonte di guadagno dello Stato Islamico.

Al secondo posto invece c’è un tipo di finanziamento che non sarà possibile fermare con qualche attacco aereo: le imposte. Circa sei milioni di persone abitano sotto il controllo dello Stato Islamico, più degli abitanti della Danimarca. A loro l’Isis impone una serie di tasse tratte dalla tradizione dei primi secoli della storia islamica: la kharaj, la tassa sui terreni; l’ushr, un’imposta sui beni importati; la zakat, una forma di carità obbligatoria e infine la jizya, la tassa che sono obbligati a pagare i non musulmani.

Accanto a queste imposte, «legali» dal punto di vista delle scritture islamiche, l’Isis spesso ricorre a rapimenti ed estorsioni per arrotondare i suoi bilanci o per arricchire i suoi comandanti locali. Diversi commercianti di Raqqa e Mosul, ad esempio, hanno raccontato di essere obbligati a pagare una specie di «pizzo» per essere lasciati in pace. I riscatti pagati dai governi occidentali sono un’altra fonte di guadagno importante, anche se incostante: un paio di rapimenti possono fruttare anche decine di milioni di dollari.

Secondo gli esperti, petrolio e tasse hanno reso l’Isis finanziariamente autosufficiente. In altre parole, lo Stato Islamico riesce a mantenere in piedi gran parte della sua struttura sfruttando le risorse che estrae dai territori sotto il suo controllo. Esiste comunque una terza fonte di finanziamento, anche se piuttosto lontana per volume dalle prime due: i trasferimenti di denaro dall’estero. È un flusso che si è inaridito nel corso degli ultimi anni, ma che era consistente quando l’organizzazione era poco più di una delle numerose brigate ribelli che combattevano il regime di Bashar al Assad.

Secondo una stima fatta dal settimanale Newsweek, tra il 2012 e il 2013, l’Isis ha ricevuto circa 40 milioni di dollari da donatori situati nei ricchi paesi del Golfo - una cifra pari a quanto oggi l’organizzazione ricava in un mese dalla vendita del petrolio. Oggi, i governi di Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e degli altri paesi del Golfo hanno spostato i loro finanziamenti verso gruppi ribelli che considerano meno pericolosi per la stabilità delle loro dinastie regnanti. Hanno anche iniziato a collaborare con i servizi di intelligence occidentali per bloccare i flussi di finanziamento privati. I loro sforzi, però, non sempre si sono rivelati genuini e ancora oggi esiste una rete di simpatizzanti dell’Isis, estesa dal Marocco all’Indonesia, che raccoglie denaro, a volte in piccole o piccolissime somme, e, seguendo strade tortuose, riesce a farlo arrivare fino in Siria e in Iraq.

L’Isis è sotto attacco di una coalizione internazionale oramai da più di un anno e tutte e tre le sue principali fonti di sostentamento sono state messe sotto pressione. I servizi segreti di mezzo mondo stanno dando la caccia ai suoi finanziatori; curdi, iracheni e ribelli moderati hanno riconquistato vaste aree del suo territorio e i caccia americani hanno iniziato a colpirne l’infrastruttura petrolifera. Eppure sembra ancora vero quello che all’inizio di questa guerra disse il sottosegretario al Tesoro americano: l’Isis «è la più ricca organizzazione terroristica che abbiamo mai incontrato».

Il beltempo è finito, irrompe l'inverno: pioggia, neve e temperature in picchiata

Meteo, arriva l'inverno: pioggia, neve e temperature in picchiata




Il clima mite, il tempo prevalentemente sereno o poco nuvoloso, ma anche la nebbia e le sostanze inquinanti, dureranno ancora per poco. "Ancora qualche giorno di alta pressione", conferma l'esperto di 3bmeteo.com Edoardo Ferrara, "fino a venerdì ci saranno temperature miti, specie in montagna e al Centro Sud, con ancora punte di oltre 18-20 gradi, mentre laddove insistano nebbie o nubi basse farà piuttosto freddo anche di giorno, ma sarà un freddo per così dire fittizio". Da venerdì però ci saranno i primi segnali di peggioramento mentre dal weekend comincerà l'inverno.

Da sabato infatti "aria fredda di diretta estrazione artico-marittima dopo aver invaso il Centro nord Europa irromperà sull'Italia spazzando via l'anticiclone che da molti giorni tiene sotto scacco la nostra Penisola. Piogge e temporali anche accompagnati da grandine spazzeranno lo Stivale da Nord a Sud interessando però soprattutto Nordest, Centro e Isole Maggiori; poco o nulla sul Nordovest salvo fenomeni sulle Alpi di confine".

Temperature in picchiata: sotto i colpi della Tramontana e del Maestrale, scenderanno anche di 10-15 gradi rispetto ai valori registrati i giorni scorsi. "Tanto che tornerà la neve soprattutto sull'Appennino anche sotto i 1000-1500 metri, sulle Alpi di confine anche a quote di fondovalle", continua Ferrara. Ma attenzione, la neve non è esclusa anche sulle colline dell'Emilia Romagna nella notte tra domenica e lunedì".

Inizierà tutto in Francia, poi l'Anticristo... L'agghiacciante profezia di Nostradamus

La Francia e la guerra: Nostradamus aveva predetto tutto. Ecco le sue parole




"La grande guerra inizierà in Francia e poi tutta l’Europa sarà colpita, lunga e terribile essa sarà per tutti… poi finalmente verrà la pace ma in pochi ne potranno godere". Così parlò Nostradamus nel suo libro, e l'eco sinistra di quelle parole si sovrappone alle immagini tremende degli eccidi di Parigi di venerdì scorso. Secondo un altro passo del volume Le Profezie, il libro più famoso astrologo francese, attivo nel 1500, ecco cosa succede: "Ci saranno tanti cavalli dei cosacchi (popolazioni nomade tartare che abitavano nelle steppe russe) che berranno nelle fontane di Roma".

Non solo: "…Roma sparirà e il fuoco cadrà dal cielo e distruggerà tre città. Tutto si crederà perduto e non si vedranno che omicidi; non si sentirà che rumori di armi e bestemmie. I giusti soffriranno molto. (…) Roma perderà la fede e diventerà il seggio dell’Anticristo. I demoni dell’aria, con l’Anticristo, faranno dei grandi prodigi sulla terra e nell’aria e gli uomini si pervertiranno sempre di più…". 

Il Viminale alza l'allerta-terrorismo: ecco quali sono le situazioni a rischio

Terrorismo, il Viminale: "Aumentare allerta per eventi culturali, religiosi, sportivi e musicali"




"Elevare il livello di sicurezza e vigilanza in occasione di particolari eventi di carattere culturale, religioso, sportivo, musicale e di intrattenimento connotati da un afflusso molto importante di persone". È la raccomandazione operativa contenuta in una circolare inviata dal dipartimento di pubblica sicurezza a prefetti e questori di tutta Italia dopo gli attentati di Parigi. Attentati che, come ha ricordato lo stesso ministro dell'Interno Angelino Alfano in una informativa alla Camera, hanno colpito un ampio ventaglio di "soft target": un ristorante, un caffè, lo stadio, un teatro.

"Ecco come ho fregato gli 007" Jihadista, confessione da brividi

Il terrorista "mente" degli attacchi di Parigi sfotteva gli 007 europei: "Allah li ha resi ciechi, ecco come li ho fregati"




"Allah li ha resi ciechi e sono così riuscito a partire (dal Belgio, ndr) e venire in Siria, pur essendo ricercato da così tante agenzie di intelligence". Così Abdelhamid Abaaoud, l'estremista che, dalla Siria, sarebbe la mente degli attentati a Parigi, raccontava in un'intervista dello scorso febbraio alla rivista dell'Isis Dabiq del suo ingresso in Belgio e poi del suo rientro in Siria, burlandosi dei kuffar (infedeli, ndr) resi ciechi da Allah" che non sono mai riusciti a identificarlo e fermarlo.

"Allah mi ha scelto" - "Perché sei andato in Belgio?", gli chiedeva il giornalista di Dabiq. "Allah mi ha scelto, insieme ai compagni Abuz-Zubayr al-Baljiki (Khalid) e Abu Khalid al-Baljiki (Sufyan) per viaggiare in Europa - diceva il jihadista, identificato, come i suoi compagni, con il nome di battaglia al-Bajiki (il belga) - per portare il terrore tra i crociati che fanno la guerra ai musulmani. Come sai, il Belgio fa parte della coalizione crociata che attacca i musulmani in Iraq e nello Sham (Siria, ndr)".

"Così sono sfuggito alla polizia" - "Abbiamo passato mesi a cercare il modo di entrare in Europa - raccontava ancora - e alla fine siamo riusciti a trovare il modo di andare in Belgio. Quindi siamo riusciti a ottenere armi e allestire una casa sicura, mentre pianificavamo operazioni contro i crociati". Poi il volto di Abaaoud divenne noto alle forze di sicurezza a causa di un video girato da un compagno con una telecamera andata persa, trovata da un "murtadd" (apostata) e consegnata ad alcuni media. "Ho visto improvvisamente la mia faccia su tutti giornali - raccontava il belga - ma grazie a Dio i kuffar erano stati resi ciechi da Allah. Sono stato perfino fermato da un agente che mi osservava e mi paragonava alla mia foto, ma che mi ha lasciato andare, perché non ha notato somiglianze. Questo può essere solo un dono di Allah". 

La retata di Verviers - Spiegava poi di come i suoi due compagni fossero stati uccisi in un raid della polizia belga e francese ("più di 150 soldati"), con uno "scontro a fuoco durato più di 10 minuti". L'episodio raccontato è probabilmente l'operazione del 15 gennaio, quando fu sgominata una cellula terroristica a Verviers, cellula di cui proprio Abdelhamid Abaaoud - che nel frattempo era stato brevemente arrestato e rilasciato - era considerato il leader. Ma lui non si trovava lì. "Dopo il raid - raccontava ancora a Dabiq - loro hanno capito che ero stato lì con i miei fratelli e che insieme pianificavamo operazioni. Così hanno radunato agenti dell'intelligence da tutto il mondo, dall'Europa come dall'America, per catturarmi. Arrestarono musulmani in Grecia, Spagna, Francia e Belgio per prendermi. Ma tutti quelli arrestati non erano neppure collegati ai nostri piani». "Questo dimostra che i musulmani non devono avere paura dell'immagine esagerata dell'intelligence dei crociati. Il mio nome e le mie foto erano su tutti i media, ma sono riuscito ugualmente a stare nella loro patria, a pianificare operazioni contro di loro e a ripartire in sicurezza quando è diventato necessario".

Hollande: "In guerra contro i terroristi Sicurezza, cambiamo la Costituzione"

Hollande è in guerra: "Controllo alle frontiere, uniti contro il terrorismo"




"Non è una guerra di civiltà, i terroristi non ne hanno una". Il presidente Francoise Hollande parla al Parlamento dei tragici fatti di Parigi. Chiede l'allungamento dello stato di emergenza di tre mesi. Spiega che gli "gi atti di venerdì sono stati pianificati in Siria, organizzati in Belgio e perpetrati con complici francesi". Commosso, dice che è stata "colpita la giovinezza della Francia, tanti morti avevano meno di 30 anni". 

"La risposta della Francia sarà immediata, triplicheremo le nostre capacità militari contro l'Isis", dichiara Hollande, "tutte le persone uccise devono essere vendicate. Dobbiamo andare avanti, dobbiamo combattere. Bisogna unire tutti i paesi che possono essere in grado di combattere questa associazione terrorista, una minoranza rispetto alla totalità dei paesi musulmani. Incontrerò Obama e Putin per unire le nostre forze. La Francia parla a tutti, all'Iran, alla Turchia, ai Paesi del Golfo. Dobbiamo unire le nostre forze. Nel momento in cui uno stato è aggredito tutti devono fare fronte comune".

Quello del terrorismo di matrice islamica "è un pericolo non della Francia, ma dell'Europa", chiarisce Hollande, "gli abitanti della Siria devono lasciare i loro territori, sono vittime. E' fondamentale chiedere il diritto d'asilo, non si tratta solo di dare protezione, la Francia con la Germania sono i due paesi che si stanno confrontando con il problema dei rifugiati, dobbiamo procedere con il controllo delle frontiere". 

Il presidente francese spiega che è essenziale modificare la stessa Costituzione per avere la forza di affrontare la situazione. "Dobbiamo garantire sicurezza. Le perquisizioni ci permettono di sventare futuri atti terroristici. Vi chiedo di votare questa legge. Dobbiamo cambiare la nostra Costituzione". Il presidente francese intende rivedere la Costituzione negli articoli 16 e 36: "Da mercoledì il Parlamento può stilare un provvedimento per estendere lo stato d'emergenza ai prossimi tre mesi. La legge è degli anni '50, ma noi dobbiamo modificarla per attualizzarla. Questi atti amministrativi ci permettono di procedere con le perquisizioni. Parlamentari, vi invito di votare questa legge. Dobbiamo agire d'urgenza". Le modifiche chieste da Hollande vanno a toccare le procedure di perquisizione e degli arresti domiciliari per le persone sospettate di associazione terrorista. 

Hollande annuncia cinque mila nuovi posti di polizia nei prossimi due anni. Sarà rafforzato l'esercito. Fino al 2019, nessun taglio ai comparti militari. " I barbari che ci hanno attaccato non ci uccideranno". L'applauso a Hollande dei parlamentari francesi è corale. Alla fine del discorso, l'inno nazionale.

lunedì 16 novembre 2015

Un numero lega Charlie e Bataclan Occhio, non ce la raccontano giusta

Una data lega i terroristi da Charlie Hebdo al Bataclan


di Pierangelo Maurizio 



Va bene Je suis Paris e Je suis qualunque cosa, ma forse non basta. E le scritte pacifiste a piazza Farnese a cornice dell' immensa corona di fiori forse dimostrano che non abbiamo le idee chiare. Una cosa soprattutto è ormai insopportabile. Apprendere tutte le volte che i massacratori risultino essere conosciuti dai servizi di sicurezza di Parigi che però sono sempre colti alla sprovvista. Non è credibile.

Basta fare una piccola ricostruzione di 3 anni di stragi jihadiste in Francia e i risultati sono sconcertanti. Morale, i servizi francesi non ce la raccontano giusta.

Certo, c' è sempre da capire quale - tra le mille segnalazioni - è quella attendibile. La Francia ha il problema della comunità musulmana più grande d' Europa. Ma non basta a spiegare i flop d' Oltralpe.

Uno dei macellai di venerdì è un francese di 30 anni, «conosciuto dai servizi». È stato identificato dalle impronte digitali. Schedato dalla Dgsi, la Direction generale de la securité interieure, dal 2010: occhio all' anno. Sarebbe bastato intercettare lui. Senza contare il "profugo" siriano - un pericolo ovvio denunciato allo sfinimento da Libero, una delle poche voci - tra i carnefici, tre attentatori che vengono dallo stesso quartiere degli stragisti di gennaio nonché la pista belga già emersa allora.
Non proprio fantasmi.

Anche l' autore degli attentati di Tolosa e Mountaban (tre militari uccisi) e della strage alla scuola ebraica (4 morti) nel marzo 2012 era «conosciuto dai servizi». A Mohamed Merah si è risaliti grazie alla targa di uno scooter e all' ip del computer di una donna, madre di «due sospetti già sotto osservazione dei servizi antiterrorismo».

E pure i killer di Charlie Hebdo, Said e Chérif Kouachi, e il complice Adamy Coulibaly dell' assalto al supermercato kosher (7-9 gennaio 2015) «erano conosciuti dai servizi». Uno dei fratelli Kouachi, Chérif, era stato arrestato nel 2008 come membro di un gruppo che reclutava combattenti da mandare in Iraq. I due fratelli Kouachi riescono ad addestrarsi in Yemen nel 2011 quando sono «persi di vista dai servizi». Coulibaly dall' età di 17 anni finisce in gattabuia cinque volte per rapina e spaccio. Una perizia psichiatrica ne evidenzia «la personalità immatura e psicopatica», «scarse capacità di introspezione». Nel 2010 - ancora - viene arrestato perché implicato nel tentativo di far evadere il terrorista Smain Ait Alit Belkacem (un simpaticone che nel '95 voleva far saltare il metrò di Parigi). Indagini che hanno coinvolto anche i Kouachi. Tutti con una sfilza di precedenti per reati comuni "politicizzatisi" in carcere (dunque facilmente agganciabili e controllabili). Tutti scarcerati poco dopo le condanne per terrorismo. Coulibaly e i fratelli Kouachi, grandi amici, sono conosciuti con altri come "quelli di Buttes-Chaumont", dal Parco dove si ritrovano e si allenano in esercizi para-militari. En plein air.

Non proprio dei grandi cospiratori. A Coulibaly mancava solo di scriverlo sul biglietto da visita, che voleva andare a combattere in Siria.

E gli attentati del dicembre 2014 - un automobilista si butta col furgone sui passanti, un altro assalta con un coltello un commissariato - (14 feriti), antipasto di quello che verrà a gennaio, a sua volta antipasto di quello che è arrivato venerdì sera? L' autore dell' assalto al posto di polizia, ucciso dopo aver ferito tre agenti, Betrand Nzohabonayo, passa per uno squilibrato. Però fratello di un «radicale islamista», che aveva cercato di andare in Siria, e due giorni prima sulla sua pagina facebook ha pubblicato la bandiera nera dell' Isis. Anche loro due «erano conosciuti».

No, i servizi francesi non ce la raccontano giusta. Non è verosimile che gli 007 di Parigi, tra i migliori del mondo e con una delle storie più blasonate, ogni volta «si facciano sorprendere» e facciano acqua da tutte le parti. Non è pensabile. Questo è un dato di fatto.

Trovare una risposta è più difficile. La più probabile è che queste cellule facciano parte del network infiltrato e di cui i francesi si sono serviti per fare il lavoro sporco in Siria, in Libia come in Iraq. Poi sono sfuggite di mano. Qualcosa tipo Bin Laden e gli Usa, giusto per capirci. A rafforzare l' ipotesi, gli assassini, da Coulibaly all' attentatore di venerdì, sono schedati dal 2010, come fosse una stessa "nidiata". Andare fino in fondo con le indagini o anche solo con una versione credibile significherebbe con buona probabilità far emergere la rete della barbe finte - cosa che nessuna intelligence può permettersi - ma anche responsabilità non solo politiche.

Al governo di Parigi non si può certo chiedere - e ora poi - di mettere a repentaglio la propria sicurezza nazionale. Ma i fratelli francesi facciano almeno ammenda sugli errori - tragici - compiuti in Libia per detronizzare Gheddafi, ai quali ha tentato di opporsi solo un Berlusconi ormai troppo indebolito, e per destabilizzare la Siria di Assad. Poi, con la massima solidarietà, si faccia la guerra vera al terrore islamico. Giocarci, con questa guerra, per interessi e fini di parte è molto pericoloso. In gioco ormai sono la sicurezza di tutti i giorni, le vite dei nostri figli, il futuro dell' Europa.

RIDONO DELLE STRAGI Vignette sui giornali arabi:

Le vignette arabe sulla strage di Parigi: così sfottono Francia ed Europa




Se si osservano le vignette satiriche sui quotidiani arabi, sarà praticamente impossibile trovare traccia di solidarietà alla Francia o magari, così anche di sfuggita, un cenno di condanna per gli attacchi terroristici a Parigi che hanno ammazzato almeno 129 persone. Per i disegnatori arabi è l'occasione per pungolare la Francia e l'Occidente sulla "doppia morale", come scrive Maurizio Molinari su La Stampa, cioè su quanto siano stati ben più gravi i fatti di sangue avvenuti negli anni nei Paesi arabi, rispetto alla tragedia parigina. C'è per esempio il vignettista Ala al-Luqta che vede la Francia come un signore grasso con una freccia infilzata nella schiena, seguito da un palestinese colpito da una decina di frecce e che alza un po' scocciato un cartello con la scritta: "Rifiutiamo il terrorismo a Parigi". Oppure ci sono vignette che raffigurano la Francia ferita a un dito, ricoverata in ospedale nella stessa stanza della Siria ferita a morte. Rincara la dose Arab21News che pubblica una vignetta con la Morte che bussa alla porta dell'Unione Europea portando un carico di teschi, restituendoli al mittente.

UN TERRORISTA IN ITALIA Seat nera sospetta varca il confine Ricerche nel Torinese / La targa

Parigi, Seat sospetta nera ha varcato il confine italiano




Le autorità francesi hanno comunicato che ha varcato il confine con l'Italia a Ventimiglia una macchina sospetta di marca Seat, modello non precisato, di colore nero e targata, parzialmente, GUT18053. A bordo ci sarebbero tre persone. Si chiede la collaborazione di tutti per rintracciarla. Nella nota è chiaramente specificato il possibile "collegamento con gli attentati in Francia".

Secondo l'Ansa il sospetto terrorista sarebbe ricercato nel torinese. Potrebbe trovarsi sulla Tangenziale di Torino. L'uomo, 32 anni, Baptiste Burgy.

L'editoriale di Belpietro sugli attentati: "Niente patti con i nazi-islamici"

Maurizio Belpietro: perché è impossibile trattare con i nazi-islamici



Nel suo editoriale di oggi Maurizio Belpietro torna a parlare delle stragi di Parigi. E spiega perché non è possibile trattare, come sostiene tra gli altri lo scienziato Umberto Veronesi, con l'Isis. Ecco, in sintesi, cosa scrive il direttore di Libero: "L' idea di scendere a patti, di trovare un' intesa che garantisca una convivenza tra orrore e diritti umani, in realtà è una resa. Ci consegniamo a loro pensando di farla franca, ma così ci condanniamo". 

L'intervento completo  in edicola oggi 16 Novembre su Libero, non perderti l'editoriale integrale del direttore Maurizio Belpietro. 

"ECCO IL REGISTA DELLE STRAGI" Viveva in Belgio, poi è sparito Era in contatto con tutti i kamikaze

L'intelligence belga: "Individuato il regista delle stragi di Parigi"




I servizi di sicurezza belgi sospettano che la mente degli attentati di Parigi sia Abdelhamid Abaaoud, 28 anni di origine marocchina, residente a Molenbeek e latitante da quando, a gennaio, la polizia belga ha  neutralizzato la cellula jihadista di cui era a capo a Verviers. Lo riportano i media belgi. Almeno due dei terroristi di Parigi erano amici di Abaaoud, spiega la stampa locale, ed avevano commesso insieme piccoli crimini a Bruxelles tra il 2010-2011.  Abaaoud è poi partito per la Siria dopo lo smantellamento della cellula jihadista di cui era a capo. etro gli attacchi di Parigi, ci sarebbe lo stesso uomo che fu la mente di un fallito attentato per  uccidere dei poliziotti in Belgio lo scorso gennaio. Lo scrivono i giornali belgi De Standaard e Het Nieuwsblad. Si tratta del 28enne Abdelhamid Abaaoud, cittadino belga di origine marocchina, che è  andato a combattere in Siria. L’uomo è tristemente famoso per un video registrato nel 2014 in cui guida un’automobile che trascina dietro alcuni corpi mutilati.

Ricercato - Abaaoud avrebbe organizzato il fallito attentato in Belgio dalla Grecia e da allora è ricercato. Due dei terroristi suicidi identificati a Parigi - indicati dai giornali belgi come Bilal Hadfi eBrahim Abdeslam - avrebbero conosciuto Abaaoud. Quest’ultimo viveva un tempo nel quartiere di Molenbeek a Bruxelles, così come Abdeslam.

"SERVE LA GUERRA" Piano del gen. Jean cosa serve per vincere

"ENTRIAMO IN GUERRA". Il piano del generale Jean: cosa serve per vincere




La Nato dovrebbe intervenire con truppe di terra direttamente in Siria e umiliare le forze dell'Isis per far loro: "perdere la faccia" sostiene il generale Carlo Jean in un'intervista al Giorno: "L'aura di invincibilità, la presunta profezia di Maometto - dice il generale - che li vedrebbe come vincitori. Una volta che li fanno neri, è più difficile per loro passare per spauracchio degli infedeli e stupidaggini simili". L'ex generale degli Alpini, oggi docente di strategia all'Università Luiss, avverte sull'insufficienza della reazione francese, dei bombardamenti a Raqqa, in Siria. Quel che servirebbe davvero ma difficilmente accadrà è: "L'invio di un vero e proprio contingente di truppe di terra - ha detto - credo che avverrà solo se ci sarà un altro attentato. Intendiamoci - chiarisce - strike duri sono già qualcosa, ma servirebbe altro: l'intervento di terra".

Dietro la strage - Gli attacchi coordinati a Parigi la sera del 13 novembre hanno avuto una funzione precisa, secondo il generale Jean, nella strategia di comunicazione dello Stato islamico: "In organizzazioni come queste il prestigio è tutto. Proprio perché stanno incassando colpi sia in Siria che in Iraq, al Baghdadi e i suoi hanno pianificato gli attacchi contro l'aereo russo, contro Hezbollah in Libano e a Parigi: perché avevano bisogno di recuperare prestigio".

Cosa fare - Il generale Jean non nega l'utilità di una possibile soluzione diplomatica, cercando per esempio un accordo di pace in Siria o almeno un cessate il fuoco: "Renderebbe molto più facili le cose". Di fatto però, l'Isis è attivo in metà del territorio iracheno, un intervento militare sarebbe comunque possibile per: "liberare Mosul e la provincia di al Anbar. E attraverso le zone controllate in Siria dall'Ypg curdo si può arrivare a Raqqa e Deir el Ezzor. Credo che Assad, che ha un disperato bisogno di credito in Occidente, non si metterebbe di traverso".

Come agire - È scettico il generale su un accordo tra Stati Uniti e Russia per un'azione militare congiunta. L'intervento di Putin sarebbe comunque utile per "tranquillizzare Damasco, ma non è essenziale". Difficile anche che tutti i paesi della Nato trovino comunione d'intenti per intervenire in Siria. Sul numero di uomini necessari, il generale Jean chiarisce: "C'è chi come Luttwak dice una brigata. Ma non voglio esagerare. Diciamo che due brigate combattenti, massimo tre, con abbondante supporto aereo, basterebbe. I Daesh hanno 30-40mila uomini e non hanno supporto aereo. Non potrebbe reistere". I tempi potrebbero essere strettissimi per un possibile intervento tra Paesi europei e Stati Uniti. In particolare le forze americane possono essere organizzate in pochi giorni: "Una forza mista americana-europea può essere in grado di operare in venti giorni/un mese". Il vero problema, secondo il generale, è che manca del tutto il coraggio da parte dei governi europei di intervenire, frenati dal pericolo di nuovi attentati.

Bombe sui campi di addestramento Isis La reazione francese: "È solo l'inizio"

Bombe sui campi di addestramento dell'Isis. La reazione della Francia dopo la strage




La prima risposta militare della Francia allo Stato Islamico è stata una pioggia di fuoco su Raqqa, la città siriana individuata come il quartier generale del Califfato in Siria. Almeno trenta raid sono partiti dalla tarda serata di domenica 15 novembre da parte dell'aviazione francese e dei caccia americani che, secondo il Wall Street Journal, stanno dando supporto sul campo indicando informazioni sui luoghi da colpire. I bombardamenti hanno colpito un centro di comando del Califatto, una struttura di reclutamento di jihadisti, depositi di munizioni e un campo di addestramento. Proprio a Raqqa, secondo l'intelligence francese, sarebbero stati addestrati alcuni dei terroristi autori della strage del 13 novembre a Parigi. Solo pochi giorni i droni americani avevano messo a segno proprio nei pressi di Raqqa l'attacco contro il boia dell'Isis Jihadi John, nei primi momenti dato per morto dagli Stati Uniti, ma subito dopo ritenuto gravemente ferito da fonti siriane.

Il sospetto - In Francia intanto cresce la polemica contro il governo che avrebbe ignorato gli allarmi dell'intelligence su possibili attacchi in preparazione da tempo. Il premier Manuel Valls non smentisce del tutto: "Sapevamo che c’erano operazioni in preparazione e che ci sono operazioni in preparazione non solo contro la Francia. Dobbiamo convi
vere con il terrorismo e combatterlo. I due obiettivi identificati a Raqqa sono stati colpiti. Dobbiamo distruggere Daesh. Anche lo schianto dell’aereo russo è stato rivendicato dall’Isis".

Il piano - Nei prossimi giorni partirà dal porto di Tolone la portaerei a propulsione nucleare Charles de Gaulle che resterà nell'area per almeno 4 mesi, triplicando la capacità offensiva di Parigi, portando a 36 il numero totale di aerei da guerra francesi nell'area.

"IL TERRORISTA VERSO L'ITALIA" I servizi: ricercato e pericoloso Preso e liberato prima della strage

L'Antiterrorismo: "Il terrorista ricercato è in fuga verso l'Italia"




Di lui oramai si conosce il nome e c'è anche una foto. Secondo quanto scrive il Tempo, il presunto terrorista di Parigi, Salah Abdelsalam, nato a Bruxelles  nell' 89, dopo essere sfuggito all' intelligence francese e belga, sarebbe diretto in Italia. Emerge poi un altro particolare inquietante: l' uomo, considerato uno dei tre fratelli che avrebbero partecipato alla strage di venerdì mattina nella capitale francese, fu fermato i prima della tragedia e poi rilasciato in quanto non c'era segnalazioni particolari su di lui . L'allarme a quanto scrive il Tempo è stato inviato al nostro ministero dell'Interno. "Si informa di aver appreso dall' Ufficio di collegamento in Francia che le autorità francesi hanno comunicato di ricercare un soggetto di nazionalità francese Salah Abdeslam", si legge nel documento del Viminale inviato alla direzione centrale dell' immigrazione e della polizia di frontiera, alla direzione centrale di polizia stradale e ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali, al comando generale dell' Arma dei carabinieri e della Guardia di Finanza, al Ros e alla direzione centrale polizia di prevenzione.

Gli strumenti per la cattura - L'uomo era stato fermato, secondo quanto ha scritto Le Monde, alle 21 di venerdì scorso ma siccome non esistevano segnalazioni sul suo conto, fu rilasciato. Ed ha partecipato alle stragi di Parigi. Adesso gli inquirenti usano tutti gli strumenti, anche i social nertwork: ieri sera, infatti, è stato diffuso su Twitter la foto di Salah. "Se disponete di informazioni - si legge su Twitter - chiamate direttamente il numero 197, non agite da soli perché l' individuo è pericoloso".  

Della Valle sgambetta Berlusconi: "Io non scendo in politica? Vedrà..."

Diego Della Valle sgambetta Berlusconi: "Non è lui a decidere se scendo in politica"




La discesa in campo (cioè in politica) di Diego della Valle ricorda molto da vicino quella di Montezemolo. Che, annunciata per mesi e mesi, poi non si realizzò mai. Le parole pronunciate qualche giorno fa da Silvio Berlusconi a "Porta a porta" sembravano poi aver chiuso la questione: "Della Valle lo incontrerò ma mi ha assicurato che non scenderà mai in politica". Invece, il patron di Tod's rilancia. La settimana prossima, se tutto andrà bene, terrà finalmente a battesimo la sua fondazione "Noi italiani" e dirà che cosa vorrà davvero fare. "Non sono il delfino di nessuno e non mi faccio comandare da nessuno - dice oggi dalle colonne del quotidiano La Repubblica. "E poi non è certo Berlusconi a poter annunciare in tv le mie intenzioni". Insomma, il Cavaliere sembra aver fatto un passo falso e il fiorentino Della Valle non l'ha presa bene. L'obiettivo di Mister Tod's è quello di pescare un po' a destra e un po' a manca: tra i delusi da un governo che lui considera ormai in caduta libera e tra quelli di un centrodestra che (ancor più dopo Bologna) appare schiacciato sul Carroccio di Matteo Salvini. Senza considerare il feeling con l'area di Ncd che fa riferimento a Quagliariello e con i fittiani ex forzisti.

Adesso tutti chiedono scusa a Oriana La previsione (azzeccata) della Fallaci

Ora chiediamo scusa alla Fallaci: la previsione sull'Islam




Oriana Fallaci l'aveva previsto, l'aveva scritto nel suo libro "La Rabbia e l'Orgoglio", ma all'epoca fu accusata di "islamofobia", oggi ecco che arriva dopo le stragi di Parigi il "risarcimento" online. Sui social network, come fa notare Pierluigi Battista sul Corriere della Sera è tutto un fiorire di elogi e anche una pioggia si "scusaci". C'è anche chi l'accusa di essere stata una Cassandra e parla di "delirio della Fallaci" .  "Si vede nel massacro di Parigi il frutto della profezia di Oriana. Si citano brani interi de La rabbia e l' orgoglio, un libro che ha venduto un numero incalcolabile di copie, che ha intercettato un umore popolare, che ha dato voce a un sentimento diffuso".

La ricompensa - "E oggi, dopo anni di dimenticanza e di marginalizzazione, lo «scusaci Oriana sembra essere la ricompensa postuma, il risarcimento per una sordità, quasi a considerare Oriana Fallaci come una intrattabile estremista", scrive Battista. "Non ti hanno ascoltata, tu l'avevi detto". Tutti gli interrogativi, le divisioni che scatenava la scrittrice fiorentina con  il suo libro-premonitore scritto dopo l'attentato dell'undici settembre, sono rimbalzati con prepotenza sui social dopo il 13 novembre.  

ECCO IL TERRORISTA RICERCATO "È belga, ha 26 anni ed è pericoloso"

Parigi, la foto e il nome del terrorista in fuga: "Belga, 26 anni e pericoloso"




La polizia francese ha diffuso la foto d un sospetto potenziale per gli attacchi di Parigi. Lo riporta Bmftv spiegando che si tratta di, Abdeslam Salah, belga di 26 anni in fuga e "pericoloso". È il terzo dei fratelli coinvolti negli attentati, il cosiddetto "ottavo uomo". 

"Altri due kamikaze francesi" - Gli inquirenti hanno anche reso noto che tre degli attentatori suicidi coinvolti nel massacro di venerdì erano francesi: "Altri due terroristi morti la notte del 13 novembre sono stati identificati oggi dalle loro impronte digitali", afferma la Procura in un comunicato, in cui si specifica che si tratta di cittadini francesi residenti in Belgio. I due, che avevano 20 e 31 anni, sono tra i kamikaze che hanno agito allo Stade de France e in un bar dell'XI arrondissement. Si rafforza, dunque, la pista dei legami tra Parigi e Bruxelles.

L'Italia piange Valeria, morta al teatro Una vita tra università e volontariato

Valeria Solesin, la studentessa uccisa al teatro Bataclan




Non era dispersa, ma il suo corpo era all’obitorio. Tra le vittime della strage al Bataclan. Tra  quei giovani che hanno trovato l’orrore di una morte senza una ragione mentre ascoltavano un concerto. Valeria Solesin è morta. Non si spera più. La studentessa veneta aveva 28 anni e studiava Demografia all’Università Sorbona di Parigi dove viveva con il suo fidanzato. Valeria era veneziana e circa sei anni fa era volata a Paridi dove si era laureata con una tesi sulle madri lavoratrici. La ragazza stava svolgendo un dottorato. Era anche volontaria di Emergency.  

La testimonianza - Era andata al concerto insieme ad Andrea Ravagnani, la sorella di lui, Chiara, e il fidanzato dei questu’ultimo. “Non erano ancora nella sala, -  spiega un'amica veneziana della famiglia. - Ma lì si sono staccati; nella calca gli altri tre hanno perso contatto con Valeria. Nessuno l'ha più vista. Ma lì si sono staccati; nella calca gli altri tre hanno perso contatto con Valeria. Nessuno l'ha più vista. " Sui social rimbalzano i messaggi di cordoglio e le parole di dolore tra questi anche quelli di Gino Strada e sua moglie .

TRATTATIVA CHIESA-ISIS Monsignor Bagnasco choc: "Auspicabile un dialogo"

Monsignor Bagnasco: "Auspicabile un dialogo con l'Isis"




"Cercare dialogo con queste persone? Ci auspichiamo che sia possibile e su questo auspicio tutti dobbiamo continuare ad avere speranza e operare attraverso le vie che sono possibili all'intelligence e alla diplomazia". La "trattativa Chiesa-Isis (e Occidente-Isis) è possibile: parola di monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova. 

Intervistato a Stanze Vaticane su Tgcom24, il Cardinale ha poi spiegato: "Dev'esserci però un isolamento radicale di tutti i governi, dicendo basta ad ogni rapporto, alle forniture di armi e viveri, con una condanna reale, che finora è stata però solo verbale e non pratica". Mettere i terroristi jihadisti con le spalle al muro, dunque, e poi eventualmente trattare. Posizione diversa rispetto a quella di Umberto Veronesi, che invitava a dare agli uomini di Al Baghdadi quello che vogliono.

Secondo Bagnasco ci sono due strade per reagire allo Stato Islamico: "Serve intanto una parola, una voce unica, unitaria, alta e insistente di condanna di questa strage e dell'odio di questa barbarie imperante. Questa voce dovrebbe sollevarsi da tutto il mondo indistintamente. Seconda via, a me pare, dovrebbe essere quella di isolare queste centrali del terrore e del terrorismo: tutti i paesi del mondo realmente sospendano, tronchino ogni rapporto, sia di tipo politico sia commerciale, con queste centrali. La domanda chi fornisce le armi e chi compra il petrolio, ecco, questa domanda è stata ancora inevasa e rimasta senza risposta".

Alla domanda se anche l'Italia adesso dovrà fare la sua parte per la lotta allo Stato Islamico, il cardinale ha risposto: "Nessuno può essere assente da questo fronte della giustizia e della pace che passa attraverso la via del dialogo e della condanna unitaria e dell'isolamento concreto. Anche l'Italia è presente e fa e farà la sua parte".

Pansa, la verità sulla strage a Parigi: "Loro sono feroci, noi siamo vili"

Giampaolo Pansa, dopo la strage di Parigi la loro ferocia, la nostro viltà


di Giampaolo Pansa



Confesso che la strage di Parigi non mi ha affatto sorpreso. Sono uno dei tanti che guardano con realismo al conflitto tra l' Occidente e quello che chiamiamo lo Stato islamico. Una entità statuale con molti protagonisti, a cominciare dall' Isis, il Califfato nero. Non abbiamo di fronte soltanto un terrorismo di tipo nuovo, connotato da una ferocia che in altre epoche non si è rivelata in tutta la sua geometrica potenza. Siamo alle prese con una guerra che non abbiamo mai dichiarato, ma che i combattenti abituati ad andare all' assalto urlando «Allah è grande!», stanno da tempo conducendo contro di noi.

Esiste una verità che è da suicidi fingere di non vedere. Gli islamici sono in vantaggio perché possiedono un' arma che noi non abbiamo: la ferocia, anche contro se stessi, come confermano i tanti kamikaze. Noi siamo sconfitti, almeno per ora. Poiché il nostro connotato è la viltà, con tutto quello che segue: le divisioni, le incertezze, le beghe fra stati, l' egoismo, la pavidità. L' arma numero uno del nuovo terrorismo è il fattore umano. E la sua determinazione di distruggerci, anche a prezzo di rimetterci la vita.

L' ho compreso sino in fondo leggendo sulla Stampa del 12 novembre un lungo colloquio fra un jihadista quasi professionale e un giornalista che stimo molto. È Domenico Quirico, 64 anni, astigiano, un reporter, ma forse è meglio definirlo un inviato speciale di grande coraggio e forte esperienza.

Tanti giovani colleghi forse lo riterranno un vecchio signore, senza rendersi conto che è un loro maestro. Abituato a inoltrarsi in territori che i media odierni osservano soltanto da lontano. Quirico l' ha fatto di continuo. È già stato sequestrato due volte: nel 2011 mentre tentava di arrivare a Tripoli e nel 2013 in Siria. In entrambi i casi, l' ha scampata, la seconda volta dopo una brutta detenzione durata cinque mesi.

Perché quel suo articolo mi ha colpito? Perché ci mette di fronte a un problema dal quale possono dipendere le nostre vite.
Lui scrive: «Ci sono professionisti della guerra santa che con la violenza stanno scardinando il mondo e che noi non conosciamo. Riempiono i giornali, le televisioni e la Rete, e non li conosciamo. Ci prepariamo a combatterli, forse, e non li conosciamo».

Il jihadista che Quirico ha interrogato è un tunisino quarantenne, Abu Rahman che si è arruolato con Al Quaeda, prima in Iraq e adesso in Siria. Ha famiglia, un mestiere, il commerciante, ma il suo scopo esistenziale è combattere gli infedeli: «Uccido in nome di Dio, per dovere e non per scelta.

Così aiuto i fratelli musulmani». Abu chiede a Quirico: «Vuoi sapere che cosa provo a uccidere? E se ricordo chi è il primo che ho ammazzato? È stato in Iraq, al tempo degli americani. Ho detto: grazie, Dio. Ti ringrazio perché hai guidato la mia mano».

«Dopo quattro mesi trascorsi in Siria, sono passato con Al Nusra, gli uomini di Al Quaeda. Quelli sono i veri combattenti. I loro emiri sono grandi uomini. Guerrieri puri, i migliori, i più dotti nell' islam. La Siria è piena di gruppi di banditi, gente che dice di essere musulmana, ma in realtà cerca denaro e traffici. Non ci sono pensieri impuri in quelli di Al Nusra. Hanno molta forza, altrimenti non saprebbero reggere alle difficoltà della guerra santa».

«La jihad è dura! Non c' era nulla da mangiare, spesso per giorni. Eravamo assediati, abbiamo mangiato l' erba come le bestie e i frutti verdi degli alberi. Uno di noi era un contadino e ha impiantato un piccolo orto. Per bere raccoglievamo l' acqua piovana. Faceva freddo su quelle montagne, le montagne dei curdi dannati, c' era un freddo da morire e noi non avevamo vesti pesanti. In tutto il villaggio esisteva un solo televisore. E quando non cadevano le bombe, noi si andava a vedere Al Jazeera». Tu mi chiedi della jihad.

Per me è un dovere. Non c' è scelta. La terra musulmana è in mano ai senza Dio, agli sciiti infami. Dobbiamo riprendercela. Per questo la guerra santa viene prima dei figli, del mangiare, della casa, del paese. Devi combattere gli sciiti con la parola, i soldi, le armi, le leggi. Morire, vivere… Parole! Ci sono mujaheddin che combattono da trent' anni e sono ancora vivi, altri che sono morti dopo un' ora. A decidere è Dio. Quello che voi occidentali non potete capire. Avete perso la voglia di combattere per la fede. La religione per voi funziona come per me il commercio».

«Voi occidentali siete più forti per il denaro, i mezzi, le armi che possedete. Ma proprio per questo avete paura di morire. E volete vivere a tutti i costi. Noi no. Vedi la saggezza di Dio? Attraverso la debolezza, lui ci rende più forti di voi».

«Sai perché sono venuto via dalla Siria e non sono rimasto lì a morire, come è successo al mio amico Adel Ben Mabrouk, una delle guardie del corpo di Bin Laden, sopravissuto a otto anni di carcere duro a Guatanamo? Perché è arrivato Isis, il Califfato nero. I loro capi non sono veri musulmani come siamo noi. Sono ex funzionari dei servizi segreti di Saddam Hussein o ex ufficiali dell' esercito iracheno. Non vogliono concorrenti. Ma se decidi di lasciarli, ti uccidono. I loro emiri non sanno nulla del Corano, sono ignoranti. Anche i combattenti dell' Isis sono giovani ignoranti, affascinati dalla loro propaganda».

«Ecco perché sono venuto via dalla Siria. Non posso stare in un posto, e morire, dove i sunniti, la gente di Dio, combattono non contro gli sciiti e gli americani, ma tra di loro.

Non so se tornerò, forse andrò da un' altra parte. Voglio combattere per far nascere un governo islamico in Siria. E dopo andremo a liberare la Palestina dai giudei. I russi ci bombardano? Che importa. Noi combattiamo per una fede, loro no. Per questo perderanno».

Così parlava a Quirico Abu Rahman, guerrigliero o terrorista islamico. E noi occidentali, noi italiani siamo disposti a batterci? E per che cosa? Se penso all' Italia del 2015 mi sento tremare. Vedo nel mio paese un governo che non sa domare neppure i califfi di casa nostra. Guidato da un ceto politico che vuole soltanto accrescere il potere del proprio cerchio magico. Vedo il dilagare del menefreghismo, della corruzione, dell' evasione fiscale, dell' assenteismo. Vedo maestroni incapaci di trasmettere ai giovani un po' di moralità, di abnegazione, di rinunce. Vedo un territorio sfasciato, scuole che vanno in pezzi, città senza acqua potabile. Vedo finti statisti e aspiranti dittatori. Vedo montagne di promesse a vuoto. Vedo molta boria, e ras arroganti che spingono sulla scena battaglioni di cortigiani.

Vedo penalizzare la competenza e mettere da parte l' esperienza onesta. Gli altri, quelli di Allah è grande, sono feroci. Hanno scatenato la guerra a Parigi. E prima o poi tenteranno di portare il terrore anche in Italia.

Del resto, il Califfato nero l' ha già annunciato. Il loro obiettivo è di arrivare a Roma. Il Vaticano è un piatto prelibato che vogliono mangiarsi. Il vicino Giubileo della misericordia è una grande torta che attirerà nugoli di uccelli feroci.

Il Vaticano di papa Bergoglio si affanna a inseguire chi ha ispirato due libri che ritiene degni di essere messi all' indice. Ma ben altro è il pericolo che minaccia San Pietro. Il vero rischio è di cadere nell' orrore scatenato a Parigi la sera di un tranquillo venerdì di novembre.

giovedì 12 novembre 2015

Vatileaks, i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi indagati per lo scandalo: le accuse

Vatileaks, indagati i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi




I giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, autori dei libri “Avarizia” e “Via crucis”, sono indagati nell’ambito dell’inchiesta vaticana sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede. Nel libro del giornalista napoletano de L’Espresso si parla delle carte che svelano ricchezza scandali e segreti della Chiesa di Francesco. Sotto inchiesta anche Gianluigi Nuzzi per il suo nuovo libro uscito per Chiarelettere il 9 novembre, in cui racconta fatti e retroscena della drammatica guerra intrapresa da Papa Francesco per rivoluzionare la Chiesa, incontrando non pochi ostacoli nello scardinare un radicato sistema di privilegi e interessi. 

Il manifesto elettorale di Del Debbio Lui nega

Paolo del Debbio, Milano tappezzata da suoi manifesti




C’è un piccolo giallo su Paolo Del Debbio a Milano. Nonostante il giornalista abbia più volte smentito di volersi candidare, Milano sta per essere tappezzata da cartelloni che somigliano molto a quelli elettorali. La soluzione al giallo la dà Affaritaliani che fa notare come quei manifesti sponsorizzino un convegno a ci partecipano: sponsorizzano un convegno nel quale gli ospiti sono illustri: Matteo Salvini, Maurizio Lupi, Emanuele Fiano, Ignazio La Russa, Laura Ravetto, il leader di Unione Italiana Gianfranco Librandi.

Il sospetto...Il titolo del convegno è  “Ripartiamo dalle periferie”. Affaritaliani.it che ha visto il manifesto sottolinea un altro aspetto. “La cosa che più ha colpito chi ha potuto vedere il manifesto è la foto: c’è Salvini? C’è La Russa? C’è Lupi? Macché: c’è una gigantografia di Del Debbio e sullo sfondo gli inconfondibili palazzi popolari di Milano. Quasi un programma politico. Di fronte al quale non c’è smentita ch

mercoledì 11 novembre 2015

Quel (brutto) sospetto di Belpietro: perché, oggi, Mattarella è al Colle

Sergio Mattarella, un fantasma al Quirinale: c'era un accordo perché fosse l'uomo del sì?


di Maurizio Belpietro
@BelpietroTweet



Giorgio Napolitano non mi è mai piaciuto: troppo comunista e troppo impiccione per essere digeribile come capo dello Stato. Nei quasi nove anni trascorsi al Quirinale non mi ha mai dato l’impressione di essere super partes, come richiederebbe il ruolo, e soprattutto non è mai stato zitto un giorno, ficcando il naso e anche le mani in ciò che non era di sua competenza. Dunque, quando se n’è andato e il suo posto è stato preso da Sergio Mattarella, non dico che ho stappato una bottiglia di prosecco, ma per lo meno in cuor mio mi sono rallegrato del fatto che sul Colle non ci fosse più nonno Giorgio e che finalmente non avrei dovuto più ascoltare le sue prediche inutili.

Immaginavo che il nuovo presidente della Repubblica sarebbe stato sobrio, poco presenzialista, sensibile solo alle questioni costituzionali e generali, un po’ nel solco di quello che era stato nel passato, da ministro e da giudice costituzionale. Insomma, mi auguravo una svolta, cioè un capo dello Stato che facesse il capo dello Stato e dunque fosse garante della costituzione nel rispetto dei poteri che la costituzione gli attribuisce, senza scavalcamenti, ma senza neppure deroghe a chicchessia. In cambio ero pronto anche a farmi andar bene il grigiore che ha emanato fin dal primo giorno il nuovo inquilino del Colle.

Purtroppo, trascorsi ormai parecchi mesi dal suo insediamento al Quirinale, mi devo ricredere. E non perché Mattarella si sia rivelato improvvisamente un sabotatore della carta che custodisce i valori della Repubblica o perché da uomo di poche parole sia divenuto improvvisamente garrulo e da grigio e sobrio che era si sia trasformato in un gaudente presenzialista. No, semplicemente perché Mattarella non c’è, non esiste. O meglio, esiste, interviene, parla nelle occasioni ufficiali, quando lo tolgono dal frigorifero e lo scongelano, eppure non dice niente e sempre di più somiglia a un supplente, un ospite di passaggio che viene portato in visita a qualche cosa che non conosce e di cui non gli importa nulla.

Va ad Expo l’ultimo giorno cercando di farsi notare il meno possibile per non rubare la scena a Matteo Renzi (l’inaugurazione la lasciò al presidente del Consiglio in modo che si intestasse i meriti della manifestazione). Taglia qualche nastro quando serve e se c’è da fare un discorso di buon senso non si tira indietro. Ma poi basta. Per il resto sta chiuso nel suo palazzo, al Quirinale, come se tutto quello che succede nel nostro Paese non lo riguardasse e non lo stimolasse a far sentire il suo pensiero. Non dico che si debba trasformare in un Napolitano o in uno Scalfaro, due dei peggiori capi di Stato che ci siano toccati in sorte da quando c’è la Repubblica, pronti ogni giorno a mettersi in vista e a condizionare governi legittimamente eletti. Ma neppure è accettabile che Mattarella si riduca ad essere una specie di fantasma del Colle.

A indurmi a questa riflessione è soprattutto il suo atteggiamento sul tema delle pensioni. Ma come, nella legge di stabilità si tornano a inserire norme che prevedono il blocco dell’indicizzazione sui trattamenti previdenziali oltre una certa soglia e lui che fa? Firma la legge e tace. Il governo vara un provvedimento che invece di restituire il maltolto ai pensionati aggira la sentenza della Corte costituzionale e il capo dello Stato che fino a pochi mesi prima di quella stessa corte era uno dei giudici, come si comporta? Sottoscrive lo scippo dell’esecutivo e si tappa la bocca. Ultima prova di assenza di vita sul Colle è il dibattito scatenato dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il quale dopo aver fatto trapelare le sue idee di riforma previdenziale ha messo nero su bianco un disegno di legge che prevede di dare un reddito minimo ai cinquantenni rimasti senza lavoro, finanziando l’operazione con l’ennesima tassa sui trattamenti pensionistici oltre i 2200 euro netti al mese. Tutto ciò in barba a più sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato illegittimo il prelievo.

Come è possibile che il presidente della Repubblica, il quale è stato per anni un giudice costituzionale e dunque è uomo sensibile alla legittimità delle leggi, non si sia accorto dell’incostituzionalità delle misure che il governo vara? Come è possibile che non si opponga, rifiutando la firma a provvedimenti palesemente in contrasto con le sentenze dei suoi ex colleghi? Come si spiega che di fronte a un dibattito che per l’ennesima volta punta a toccare l’assegno previdenziale dando prova che questo è il Paese dell’incertezza del diritto, la prima carica dello Stato non senta il dover di far sentire la propria voce? Dopo essermi a lungo interrogato, ne ho concluso che ci sono soltanto due risposte. O Mattarella è lo spettro della Repubblica, ossia la rappresentazione di un potere che è solo un’illusione ottica ma ormai non esiste più, oppure il capo dello Stato ha accettato il Colle in cambio del silenzio, divenendo simulacro di un contrappeso che ormai pesa solo a favore di Matteo Renzi. Non ci sono altre spiegazioni. O il Quirinale è ormai una scenografia di facciata, un po’ come quei palazzi sui set dei film che hanno solo la parte anteriore ma dietro sono legno e cartapesta, oppure il presidente della Repubblica è frutto di un accordo iniziale che prevedeva che l’uomo del Colle non fosse più l’uomo dei no, ma solo un uomo dei sì.

Forse qualcuno riterrà il mio discorso un po’ brutale e magari anche offensivo. Ma non è questa la mia intenzione. Avendo collezionato - credo caso più unico che raro - già due indagini per vilipendio al capo dello Stato (da cui sono regolarmente uscito senza alcuna condanna) non voglio prendermi la terza. Vorrei solo una risposta.

C'È UN SECONDO SOSPETTATO L'uomo che può salvare Bossetti

Yara, nell'indagine spunta un secondo uomo




Spunta un secondo uomo nell'indagine sulla scomparsa e la morte di Yara Gambirasio. A dirlo è il settimanale Oggi in edicola, che sottolinea come la ragazzina, quella sera del 26 novembre 2010, non fu rapita né fu trascinata a forza su un automezzo. Scrive il settimanale che "oltre a quello di Massimo Bossetti, c’è un nome che è comparso marginalmente nelle indagini. A Brembate è sulla bocca di molti. E basta dare un’occhiata più attenta ai filmati delle telecamere di sicurezza distribuiti a giornali e televisioni dai carabinieri per notare che nelle stesse ore in cui hanno inquadrato il camioncino di Bossetti si scorge un furgone che incrocia quello del muratore di Mapello facendo lo stesso percorso attorno alla palestra". Gli avvocati di Bossetti starebbero lavorando anche su queste immagini, con indagini difensive per ora segretissime.

L'uomo, scrive sempre Oggi, "vivrebbe a poca distanza dalla palestra, spesso si lascerebbe andare ad apprezzamenti sconci verso le ragazze e pare si fosse invaghito di una donna molto vicina a Yara. In realtà l’uomo, sentito dagli inquirenti, ha dimostrato di avere un alibi ed è subito uscito dalle indagini. Ma il suo Dna è stato confrontato con quello emerso dai peli e capelli trovati sul corpo di Yara rimasto finora di un ignoto? È stato analizzato il furgone che guidava fra le 18.30 e le 19.35 del 26 novembre 2010, quando un testimone lo ha visto tornare a casa?".

Caivano (Na): Monopoli-Forza Italia scontro ancora aperto?

Caivano (Na): Monopoli-Forza Italia scontro ancora aperto? Intanto le opposizioni protocollano un'interrogazione consiliare


di Gaetano Daniele 



Sfida all'O.K Corral tra il neo Sindaco Simone Monopoli, ed i suoi consiglieri comunali di Forza Italia, partito politico rappresentato sempre da Simone Monopoli che succede al fratello Luca Monopoli dimessosi poche settimane fa da segretario politico, insomma, partito formato famiglia?. E come recita il detto, i fatti della pignata li conosce solo la cucchiarella. Al centro del dibattito, una lettera protocollata appunto, dai consiglieri comunali di Forza Italia, primo partito di maggioranza. Oggetto? Richiesta di controllo atti amministrativi: "I consiglieri comunali chiedono alla S.V di disporre ogni opportuna iniziativa tesa a garantire l'osservazione della normativa vigente, nonchè ogni misura volta ad assicurare l'esatta osservanza delle norme in materia nell'interesse dell'Ente Comune". In breve, i consiglieri comunali chiedono al Sindaco Monopoli di vigilare di più soprattutto alla spartizione di incarichi e prebende. Forse ai consiglieri comunali di Forza Italia non è andato proprio giù che alcuni fratelli e mariti di consiglieri e assessori abbiano ricevuto piccoli affidamenti diretti. Il dato ufficiale, incontrovertibile, è che ciò è accaduto. Non solo gli affidamenti a fratelli e a mariti della Giunta comunale, ma anche il protocollo da parte di 5 consiglieri comunali di maggioranza che chiedono più democrazia e più trasparenza nelle scelte. Evidentemente questo non accade? Non lo sappiamo, ci atteniamo alla denuncia dei consiglieri comunali di Forza Italia, che parla chiaro. 

Ma la risposta del Sindaco Monopoli non si fa attendere: "Concetti aberranti e assurdi", così parte la risposta del Sindaco Monopoli ai suoi uomini di partito, a coloro i quali gli hanno consegnato, grazie ai loro voti, lo scettro per governare il Paese. Ma non finisce qui, la nota del Sindaco Monopoli continua: "Con tutti i problemi e le emergenze che vive Caivano è inconcepibile che gli sforzi dei consiglieri siano solo orientati verso gli incarichi da affidare". Così Monopoli. Infatti, per il Sindaco Monopoli, il problema di affidare incarichi e prebende a destra e a manca non sussiste. E' un problema che non deve essere discusso da nessuno. Gli affidamenti non si toccano, quindi i consiglieri comunali di Forza Italia non devono entrare nel merito degli affidamenti diretti. Gli affidamenti diretti sono affare del Sindaco Monopoli e degli assessori, che dovrebbero essere espressione proprio dei consiglieri, e se sbagliano? la colpa in quel caso a chi va? Ma come accaduto in campagna elettorale e come succede ancora oggi tra i banchi del civico consesso, il neo Sindaco Monopoli, punta il dito contro le opposizioni: "E' tutta colpa delle opposizioni", in sintesi, i consiglieri comunali di maggioranza puntano il dito contro Monopoli, ed è colpa delle opposizioni. Monopoli crede di governare un Paese di circa 50.000 abitanti, pieno di insidie e di problemi, accusando le opposizioni, anzi, costruendosi ad arte una giustificazione ai suoi fallimenti politici al cospetto degli elettori, raccontando la solita frase fatta: "Ho ereditato un Paese in dissesto". Ma per quanto tempo ancora le inesperienze politiche del neo Sindaco Monopoli e del suo entourage possono essere giustificate dall'intero Paese? Per quanti anni ancora dobbiamo sentire quasi come un Eco che la colpa delle sue inesperienze politiche è da attribuire a chi oggi non governa? 

Intanto, le opposizioni protocollano il 5 novembre, un'interrogazione consiliare per essere delucidati su quanto dichiarato dai consiglieri di Forza Italia, sulla parola illegalità, interpretata ed attribuita inizialmente nei confronti di alcune scelte politiche adottate dal primo cittadino, forse, espressioni un po forti, poi giustamente ritrattate ed attribuite appunto, alle passate amministrazioni. Difatti, l'oggetto del protocollo è: "Quali sono le illegalità da attribuire alle passate amministrazioni, considerato che parte dell'attuale consiglio comunale di maggioranza, oggi, è formato appunto, da consiglieri comunali della Giunta Falco, e se non è stata sporta denuncia, quali sono i motivi di tale omissione ?"

Google Maps funzionerà senza Internet: Arriva la rivoluzione sul navigatore

Google Maps consultabile anche offline: l'App per Android che funzione anche senza connessione Internet




Da oggi Google Maps permetterà la navigazione passo-passo, la ricerca delle destinazioni e le informazioni utili anche offline. Lo annuncia l'azienda nel suo blog ufficiale, specificando che d'ora in avanti sarà scaricare un'area geografica sullo smartphone e, quando non ci sarà copertura internet, l'app continuerà a funzionare senza interruzioni. Al momento la novità riguarda solamente i dispositivi con sistema operativo Android ma a breve la funzionalità sbarcherà anche su iOS. Per scaricare un'area è sufficiente cercare una città, una regione o una nazione e cliccare poi su download nella relativa scheda, oppure andare su "Aree offline" nel menù di Google Maps e premere il pulsante "+". Una volta scaricata la mappa, nel momento in cui Google Maps rileverà una connettività limitata o assente, passerà automaticamente alla modalità offline, mentre tornerà a quella online quando la connessione verrà ripristinata, così da garantire l'accesso alla versione completa di Maps, che comprende il traffico in tempo reale. Per impostazione predefinita, l'applicazione scaricherà le mappe sul dispositivo solo quando ci sarà connessione a una rete Wi-Fi, in modo da evitare addebiti elevati per il consumo di dati.

"Nel 60% del mondo oggi internet non è disponibile e, anche dove è possibile accedere al web, non è detto che la copertura sia uniforme.  Per la maggior parte della popolazione - scrive la product manager Amanda Bishop - dunque non è ancora possibile, o per lo meno non è semplice, accedere alle informazioni in modo rapido e agevole. Si tratta di un problema enorme, soprattutto quando si visitano luoghi sconosciuti. In questo senso Google Maps sta facendo nuovi passi in avanti con l'obiettivo di aiutare le persone a trovare le indicazioni di cui hanno bisogno per arrivare a destinazione, anche senza connessione internet".